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Autore: Lady Five    19/03/2016    2 recensioni
[https://it.wikipedia.org/wiki/Giorgio_Scerbanenco#Quadrilogia_di_Duca_Lamberti]
Un altro caso affidato, in via non ufficiale, a Duca Lamberti dall'ispettore Carrua, vecchio amico di suo padre: una donna scomparsa misteriosamente da una lugubre isola in mezzo al lago, i cui abitanti sembrano nascondere un inquietante segreto... Riusciranno Duca e il fido Mascaranti a risolvere l'enigma o dovranno arrendersi a una cruda verità?
Genere: Drammatico, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Racconto ispirato ai romanzi di Giorgio Scerbanenco dedicati a Duca Lamberti.
Ho volutamente tralasciato di spiegare alcuni particolari, per non fare spoiler, nel caso qualcuno decidesse di leggerli, ma sono disponibilissima a fornire in privato tutte le delucidazioni richieste.

 

 

Il piccolo motoscafo fendeva lentamente le acque scure del lago, lasciando dietro di sé una piccola scia. Intorno c'era un buio pesto. Soltanto la piccola luce anteriore dell'imbarcazione illuminava, per un breve tratto, l'acqua color del piombo.
Era anche maledettamente freddo e umido, per essere ottobre. Duca Lamberti si rialzò il bavero del soprabito, troppo leggero, con una smorfia di disappunto. Di fronte a lui, Mascaranti si accese una sigaretta e, senza parlare, ne porse una anche a lui.
La telefonata di Carrua era arrivata poche ore prima. Come la volta precedente1, un incarico non ufficiale. Un favore personale, più che altro. Nientemeno che al prefetto, così gli aveva urlato l'ispettore... Ma, del resto, Carrua urlava sempre. Si infuriava soprattutto quando sbagliavano l'accento del suo cognome, e lo chiamavano Carrùa, invece di Càrrua.
Duca aveva fatto solo qualche domanda, poi aveva accettato. Non che uno nella sua posizione avesse molta scelta, ormai, considerò amaramente l'ex medico. Così, Mascaranti era passato a prenderlo con una delle sgangherate macchine in dotazione alla questura di Milano e insieme si erano diretti alla località lacustre dove li attendevano il piccolo motoscafo e il suo taciturno conducente.
A un certo punto, una pallida luna fece capolino attraverso le nubi e si poté cominciare a scorgere la sagoma allungata dell'isola. La traversata per fortuna stava per concludersi. I due passeggeri rimasero colpiti dalla mancanza di luci e suoni. Sembrava un luogo disabitato, oltre che inquietante. L'imbarcazione la aggirò su un lato ed entrò in una piccola darsena, accostandosi a un breve molo di cemento. I tre occupanti scesero.
“Per di qua” disse laconico il barcaiolo, precedendoli.
Dal porticciolo partiva una stradina acciottolata, chiusa da un alto muro di pietra su un lato e dalle scure acque del lago sull'altro, appena nascoste da un parapetto. Qualche raro lampione rompeva l'oscurità con la sua fioca luce. Dopo un tratto, il viottolo cominciava a inerpicarsi, lasciando il lago sempre più in basso, nascosto dalla vegetazione. Camminarono per un bel tratto in salita, poi varcarono un pesante cancello di ferro battuto e si addentrarono in un giardino, fino a giungere in vista della villa. Duca e Mascaranti tirarono un sospiro di sollievo. Camminando si erano scaldati, ma la passeggiata forzata li aveva un po' provati.
L'edificio, da quel poco che si riusciva a distinguere, appariva come una massiccia struttura quadrangolare, che dominava l'isola con la sua mole severa. Con le due torri laterali e i profili merlati, era più simile a un castello o una fortezza, che a un'abitazione. Solo poche finestre erano illuminate. L'impressione d'insieme era di un posto ben poco ameno.
I tre uomini salirono la scalinata di pietra, fino a un pesante portone. Il barcaiolo alzò uno dei battenti e bussò. Nei pochi istanti che trascorsero prima che qualcuno venisse ad aprire, Mascaranti pregustò il tepore che lo avrebbe accolto e soprattutto si augurò che venisse loro offerta una cena decente, visto che non avevano avuto il tempo di mettere qualcosa sotto i denti, prima di partire da Milano. Duca invece si guardava intorno. Il poliziotto sapeva che stava prendendo mentalmente appunti.
Venne ad aprire un uomo in un impeccabile abito scuro. Un maggiordomo, o qualcosa del genere.
“Buonasera, signori. Prego, seguitemi, il conte vi sta aspettando” disse con una curiosa voce nasale.
Il barcaiolo invece si dileguò nelle tenebre, silenzioso come sempre, senza che loro potessero avere il tempo di salutarlo, come si conviene tra persone educate.
Il maggiordomo fece l'atto di prendere i loro soprabiti, ma entrambi rifiutarono gentilmente. Dopotutto, lì dentro non faceva poi così caldo. Lo seguirono attraverso un corridoio lungo, stretto e piuttosto buio, fino a una porta, sotto la quale filtrava - finalmente - una lama di luce.
Il maggiordomo bussò discretamente e aprì.
“Signor conte, i signori che stava attendendo sono arrivati.”
“Grazie, Pietro, falli entrare e portaci il tè, per favore.”
Il domestico assentì, si fece da parte per lasciare entrare i due ospiti e si allontanò.
Sprofondato in una poltrona, il conte Carlo Alberto Varrega2 indicò con la mano il divano di fronte a lui.
“Prego, accomodatevi” disse con una voce che voleva essere gentile, ma suonò stranamente poco gradevole.
Il salotto in cui si trovavano era scuro e austero, ma il caminetto acceso diffondeva un piacevole tepore. Duca e Mascaranti si lasciarono cadere sul sofà con un moto di sollievo. Poco dopo entrò il maggiordomo portando un vassoio. Versò il tè nelle tazze e lasciò tutto l'occorrente sul tavolinetto basso posto tra la poltrona e il divano, prima di sparire di nuovo senza fare il minimo rumore. Era un orario piuttosto bizzarro per bere tè, i due avrebbero certo preferito qualcosa di più forte, ma non commentarono.
Il conte non parlava, sembrava piuttosto che stesse studiando i due uomini seduti davanti a lui, mentre rimescolava nella tazza il liquido fumante. Era un ometto sulla sessantina, magro e grigio di capelli, vestito di scuro, con un'espressione dura e diffidente dipinta sul volto. Nell'insieme, a entrambi ispirò subito un'istintiva antipatia.
“Quindi voi sareste amici del prefetto di Milano?” chiese dopo un po'.
“Non proprio - lo corresse Duca - Il nostro superiore, il dottor Carrua, ha ricevuto una telefonata diciamo... non ufficiale da parte del prefetto... ed eccoci qua.”
Duca sperò con tutto il cuore che il conte non sapesse, e non capisse, che lui non era un vero poliziotto. Non che gli importasse cosa avrebbe potuto pensare di lui, ma non aveva nessuna voglia di raccontargli la sua storia.
“Ci dica esattamente che cosa è successo, signor conte” disse nel modo più cortese che gli riuscì.
Mascaranti tirò fuori dalla tasca del giubbotto il suo inseparabile taccuino e una penna.
I due conoscevano per sommi capi la vicenda, naturalmente, ma volevano che fosse il diretto interessato a enunciare i fatti.
“Come saprete, mia moglie è scomparsa.”
“Quando?”
“Stasera. La domestica è andata verso le diciotto e trenta a portarle le medicine, come al solito, e lei non c'era più, né in camera sua né da nessun'altra parte della villa.”
“E quando è stata vista l'ultima volta?”
“Alle sedici e trenta, per il tè.”
Duca considerò che Carrua lo aveva chiamato poco dopo le sette di sera. In quel breve lasso di tempo il conte aveva telefonato al prefetto e il prefetto aveva contattato l'ispettore... Perché tanta fretta? Perché quell'uomo aveva chiesto l'intervento non ufficiale di due poliziotti milanesi, invece di rivolgersi alle autorità del posto? Carrua era stato molto vago in proposito. Aveva detto che il nobiluomo non amava gli scandali e, prima di coinvolgere i suoi compaesani, aveva preferito rivolgersi a degli estranei per fare svolgere delle indagini preliminari.
Duca e Mascaranti si scambiarono una rapida occhiata.
“Quindi, sua moglie era scomparsa da massimo due ore e lei ha chiamato subito il prefetto... non è stato forse un po' troppo... precipitoso? Intendo dire, non può essere che la signora avesse voglia di fare un giro in paese, magari è andata a trovare un'amica e non si è resa conto del tempo che passava?”
“No, è impossibile che sia andata così - lo interruppe secco il conte - Mia moglie non si allontana mai, tanto meno da sola. In più, l'unico mezzo per lasciare l'isola è l'imbarcazione con cui siete arrivati voi, e non si è mai mossa dalla darsena prima di venirvi a prendere. Ma evidentemente non sapete tutto. Venite, vi mostro la sua stanza.”
Il conte si alzò faticosamente dalla poltrona e condusse i due uomini, sempre più perplessi, lungo una serie di corridoi e scale che salivano e poi scendevano, e che il vecchio percorreva con una certa fatica, fino alla camera della moglie, situata in una delle torri d'angolo.
La stanza era in perfetto ordine: il letto era rifatto con cura, i libri allineati sugli scaffali di noce, nessuna impronta sulle poltrone o sui cuscini. Si faticava a pensare che lì fino a poche ore prima fosse vissuta una persona. Mascaranti si guardava intorno con occhi indagatori, da sbirro consumato qual era. Duca cercava invece di capire le ragioni di tanta reticenza. Perché era chiaro che il conte stava occultando qualche particolare. Perché, poi, avevano camere separate? Era soltanto un vezzo da nobili?
“Lei permette che diamo un'occhiata... più approfondita, vero?” chiese.
“Sì, certo, vi ho chiamati per questo.”
I due cominciarono a rovistare in giro, ad aprire cassetti e armadi... alla ricerca di qualunque dettaglio fuori posto. Ma non trovarono nulla.
Mascaranti prese un portafotografie dalla scrivania e la mostrò a Duca.
“Questa è sua moglie, suppongo.”
“Sì, esatto. La tenga pure, se può servirvi per le indagini.”
Molto più giovane del marito, commentò Duca tra sé, togliendo la foto dalla cornice e mettendosela in tasca, ... e infinitamente più graziosa.
La scoperta più inattesa, però, la fece Mascaranti.
Scostando un pesante tendaggio, che nascondeva una rientranza nel muro, si lasciò sfuggire un'esclamazione di sorpresa.
Nell'angolo c'era una sedia a rotelle.
Ecco il dettaglio che mancava!
I due uomini rivolsero al conte uno sguardo interrogativo. Negli occhi del conte brillava invece una strana luce, che aveva un che di maligna soddisfazione.
“Ora capite perché mia moglie non può andare da nessuna parte da sola e di sua iniziativa. E in generale preferisce restare qui e non ama ricevere nessuno.”
“Deduco, quindi, che non si tratta semplicemente di una gamba rotta - commentò Duca - Posso chiederle la causa dell'infermità della contessa?”
“Oh, un brutto incidente, tanto tempo fa.”
Era oltremodo doloroso collegare il viso giovane e gentile della contessa con la brutale realtà di quella sedia a rotelle. Questo comunque cambiava di parecchio il quadro della situazione.
Duca aprì la finestra e l'aria fredda e umida della sera lo investì. La stanza era nella torre, ma si trovava al pianterreno, e la finestra dava direttamente sul lago. Nel buio biancheggiavano alcune rocce, su cui si infrangevano, con un suono cupo e monotono, le acque scure.
Una persona disabile non se ne sarebbe mai potuta andare via da lì, soprattutto in una sera come quella. A meno che...
Duca richiuse le finestra e fissò gravemente il conte.
“Stando così le cose, non ci sono molte alternative per spiegare la scomparsa di sua moglie. Suicidio o... omicidio.”
“O rapimento” disse prontamente il conte.
“Veramente, se fossi un delinquente, troverei molto più semplice rapire lei dal suo salotto che una donna inferma da questa stanza a picco sul lago. Comunque, anche questa è una possibilità e la valuteremo. In tal caso, di solito si aspetta che i rapitori si facciano vivi. Lei ha qualche sospetto? C'è qualcuno che avrebbe potuto trarre vantaggio dalla scomparsa o dalla morte di sua moglie? Qualche parente, per esempio... o qualcuno della servitù.”
“No, non mi viene in mente nessuno. Non abbiamo figli. La mia unica erede è mia moglie e, alla sua morte, degli enti di beneficenza. Proprio non ne ho idea.”
Ci fu qualche istante di silenzio.
“Dovremo interrogare tutti gli altri occupanti della villa...” disse Duca.
“Sì, certo, ma domani - disse il conte quasi cordialmente - Ora sarete stanchi e affamati. Vi farò accompagnare nelle vostre stanze, dove vi verrà servita la cena. Buonanotte.”
Il conte uscì dalla stanza e scomparve nel buio corridoio, lasciando i due un po' interdetti. Come, tutta questa fretta per farli andare lì e ora rimandava ogni cosa a domani? Non che fossero dispiaciuti. In effetti, era buio e non sarebbe stato possibile esaminare i dintorni della villa fino al giorno dopo... Avrebbero dovuto, però, almeno fare qualche domanda alla servitù, quando il caso era ancora “fresco”. L'indomani avrebbe potuto essere troppo tardi, come i bravi poliziotti ben sanno.
Appena scomparso il conte, sulla soglia si materializzò quasi magicamente Pietro, che li pregò di seguirlo fino alle stanze loro assegnate. Né Duca né Mascaranti avevano messo in conto di trascorrere lì la notte. Ma entrambi erano abituati agli imprevisti e ad adattarsi anche alla situazioni più disagiate. Mascaranti aveva alle spalle anni di duro lavoro da sbirro, fatti anche di notti passate all'addiaccio o in scomode macchine, e Duca in carcere ne aveva viste di tutti i colori, quindi...
Attraversarono un'ala della villa che non avevano ancora visto, gelida e tetra come tutto il resto. Anche le due camere destinate a loro non erano diverse, anche se qualcuno si era sforzato di renderle accoglienti. Su ogni letto era appoggiato un pigiama ancora avvolto nella confezione e in bagno c'era tutto l'occorrente per la toilette. La domestica lasciò a ciascuno un vassoio con la cena.
Duca sentì bussare alla porta.
“Dottore, le spiace se ceniamo qui da lei? Non mi va di mangiare di là da solo. Questo posto mette i i brividi...”
“No, certo che no. Glielo avrei chiesto io stesso, mi ha preceduto.”
Si sedettero al piccolo tavolo e per un po' mangiarono in silenzio.
“Che cosa ne pensa? - chiese Duca appoggiando il tovagliolo - L'avrà uccisa lui?”
“Non lo so, ma non credo. Sì, la contessa è molto più giovane di lui e, dalla foto, sembra anche una bella donna... Quindi in effetti il movente potrebbe essere la gelosia. Ma nello stesso tempo mi sembra assurdo essere gelosi di una inferma che vive segregata su un'isola senza praticamente mai uscire né vedere nessuno, a parte i domestici e il suo bisbetico marito. Poi ci ha fatto chiamare lui... mentre avrebbe potuto liberarsi di lei in qualunque altro modo.”
“Forse ci ha fatto chiamare per salvare le apparenze. Il personale di servizio avrebbe potuto sospettare qualcosa. Comunque, forse la contessa non era poi così sola...”
“Che intende dire?”
“Forse qualcuno veniva a trovarla dal lago. Domani controlleremo meglio, ma la sua stanza sembra accessibilissima per uno che arrivi con una barca.”
“Quindi lei pensa che il conte abbia sorpreso i due amanti, li abbia fatti fuori e buttati nel lago con una pietra al collo?”
“Lo so, è un po' troppo romanzesca come ricostruzione. Il conte è vecchio, non avrebbe potuto fare tutto questo da solo... e tra la scomparsa della contessa e l'allarme sono trascorse soltanto due ore, troppo poco per compiere un duplice delitto e far sparire ogni traccia.”
“L'altra ipotesi è il suicidio” continuò Mascaranti, chiedendo con lo sguardo a Duca il permesso di accendersi una sigaretta. L'altro assentì e porse la mano per farsene dare una.
“E, francamente proseguì il poliziotto - se fossi stato io nella sua situazione, mi creda, mi sarei già ammazzato da un pezzo! Resta da capire come. Buttandosi nel lago? Impresa non facile, per una persona paralizzata.”
“Chiederemo alla donna che si è accorta della scomparsa come ha trovato la stanza, se la finestra era aperta o chiusa. C'è una terza possibilità, ma ci devo ancora riflettere bene.”
“Cioè?”
“La fuga.”

 

 

 

 

1In “Venere privata” (1966), il primo dei quattro romanzi che hanno Duca Lamberti come protagonista.

2Una contessa Cecilia Varrega di Camogli è citata nel romanzo “Malombra” (1881) di Antonio Fogazzaro.

  
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