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Autore: bittersweet Mel    20/03/2016    6 recensioni
Peter Parker, diciassette anni, che in segreto indossava una calzamaglia leggermente ridicola, aveva un grandissimo problema: Deadpool non era così stupido quanto sembrava.
[ Deadpool/Spider-man ]
Genere: Erotico, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Deadpool, Peter Parker
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno
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Catch ya, baby boy
 
 
Il crimine non dormiva mai a New York.
A quanto pareva non intendeva nemmeno appisolarsi un po’, visto che l’orologio segnava le 2 di notte e Spider-man era ancora lassù tra i grattacieli a cercare di donare sogni pacifici ai cittadini.
Tra una ragnatela e l’altra Peter sospirava e continuava a ripetersi mentalmente la tavola periodica che sicuramente l’indomani il professore avrebbe messo nella verifica di chimica.

“ Perché non ho di meglio da fare, ovviamente. ”

A parte sgranchirsi di tanto in tanto le braccia e le gambe con qualche combattimento, ovviamente.
Eppure quella sera il crimine non dormiva, certo, ma nemmeno si impegnava più di tanto per farlo divertire.
Peter aveva incontrato solo criminali mediocri o stupidi ladruncoli e gli scontri che ne erano seguiti non erano nulla di che.
In un certo senso si annoiava, gli mancava ritrovarsi a fronteggiare qualche “ super cattivo” o qualcosa del genere.
Gli andava bene anche qualche mutante delle fogne, seriamente, tutto tranne che dei ladruncoli da strapazzo.
Ma a quanto pareva quella era una serata fiacca e Peter non poteva far altro che ripassare le materie per l’indomani e girovagare tra un comignolo e l’altro.

« Dovresti prestare più attenzione a chi gira da queste parte, baby boy. »

Meno di mezzo centimetro più a destra e di Peter non sarebbe rimasto altro che una sagoma spiaccicata contro un grattacielo.
Fortunatamente i suoi riflessi erano ancora sull’attenti e il ragazzo riuscì ad atterrare perfettamente sopra al tetto dell’appartamento, anche se il leggero attacco di cuore che l’aveva colpito avrebbe sicuramente avuto delle conseguenze.
Catastrofiche per Deadpool, sperava.

« In effetti se ci sei in giro tu è tutto da vedere. »

Commentò allora Peter, voltandosi verso l’uomo che aveva parlato poco prima, con la sua solita voce acuta e cantilenante.
Wade Wilson, conosciuto anche come Deadpool, se ne stava comodamente sdraiato sopra al parapetto dell’ abitazione, dondolando mollemente il piede destro nell’aria.
Quel tizio aveva la straordinaria capacità di irritare tremendamente Peter anche solo aprendo bocca; lui e quel comportamento sconsiderato, quel suo prendere tutto fin troppo alla leggera.

“ Chi ha torto scagli la prima pietra.”

Si rammaricò mentalmente, ricordandosi che puntare il dito contro Deadpool per accusarlo di superficialità era un po’ come ficcarsi un dito nell’occhio da solo.
Spider-man era conosciuto proprio per il suo modo di fare sarcastico e indolente, ma al contrario di Wade non lo si poteva mettere dalla parte dei “cattivi.”
Beh, non che Deadpool facesse parte di uno schieramento preciso, d’altro canto.
Peter sospirò ancora una volta e si avvicinò al parapetto a propria volta, fissando l’altro attraverso la maschera in microfibra.

 « Che ci fai a New York? Non eri chissà dove a fare chissà cosa? »

Deadpool gli dedicò una risata pungente e irritante, mentre il volto coperto si sollevava nella direzione dell’uomo ragno.

«  Lo sai, non riesco a starti lontano troppo a lungo, Spidey. »

Ecco, forse era proprio quel suo modo di fare che irritava tanto Peter.
I vezzeggiativi, il tono di voce, la volgarità con cui solitamente accompagnava le sue parole; erano tutte cose che lo mandavano in bestia, ma a cui iniziava ad aver fatto l’abitudine.
Non era la prima volta oramai che faceva manforte con l’alto “Super-eroe” e addirittura gli Avengers gli avevano chiesto di fare da tramite tra loro e Deadpool per cercare di farlo ragionare.
In un certo senso si trovavano perfino bene a combattere insieme, se non fosse stato per le stramberie dell’altro.
Peter si schiarì la voce a quei pensieri e appoggiò entrambe le mani sopra al parapetto, guardando giù verso la città illuminata dalle luci.

 « Quando arrivi te la città non è al sicuro. »

L’altro rise ancora, sollevandosi con uno scatto di reni.
Incurante come al solito dalla possibilità di cadere giù da una palazzina, Deadpool si sistemò a gambe incrociate sopra la balaustra e riprese a dondolare i piedi proprio come avrebbe fatto un bambino.

« Nemmeno te sei al sicuro, se è per questo. »

La voce che variava dall’allegro al serio, la maschera che pareva seguire le forme della bocca dell’uomo.
Per un secondo Spider-man riuscì a sentire i suoi sensi vibrare, avvertirlo che qualcosa non andava, che c’era un pericolo vicino, ma l’istante dopo Deadpool si perse nell’ennesimo sorriso.
La maschera si tirò vicino alle labbra e la testa del ragazzo smise di formicolare.
Peter trasse un leggero sospiro di sollievo – aveva chiesto un rivale interessante poco prima, ma non ne voleva uno così troppo incapace di morire- e con un salto si accovacciò a propria volta sopra la balaustra, rimanendo ben saldo sui piedi.
Sotto di loro la città continuava a muoversi, a cambiare; le macchine correvano lungo le strade quasi deserte, qualche giovane rideva per le vie e i bar iniziavano a tirare giù le saracinesche.
New York era un cuore pulsante di vita e Peter aveva il privilegio di vederla tutte le notti dalla posizione migliore del mondo.
Quella notte, a quanto pareva, avrebbe condiviso quello spettacolo con Deadpool.

« Sei seriamente qui per vedermi oppure hai qualche lavoro in mente? »

Domandò dopo qualche minuto di silenzio – in cui Peter era certo di aver visto l’altro parlottare tra sé e sé-  fissando di traverso l’uomo al suo fianco.
Solitamente i  lavoretti di Deadpool erano tutt’altro che ben graditi da quelle parti e solitamente portavano alla distruzione in massa di più cose.
Strade, grattacieli e persone; gli obbiettivi preferiti dalla follia di Wade.

« Pensavo di far esplodere qualcosa. »

Rispose dopo un po’ Wade, schioccando le labbra sotto la maschera, stiracchiandosi le gambe verso il vuoto oltre il parapetto.
Spider-man lo fissò attentamente, aggrottando le sopracciglia e sbuffando prontamente un: “ no.”

« Non fai esplodere nulla nella mia città. »

« Ma c’è il rischio che succeda. »

« No, affatto, non c’è nessun rischio, nemmeno uno. »

E se solamente Peter non avesse indossato quella maschera, ora l’altro l’avrebbe visto fare esattamente quella faccia, la stessa che dedicava a sua zia May quando cercava di rifilargli ancora i broccoli. La stessa che dedicava agli Avengers quando gli dicevano che era “ ancora troppo piccolo per poter aiutare”.
L’occhiata scettica che ora aveva preso anche il significato di: “ No Deadpool, tu non puoi far esplodere proprio niente qui, davanti a me.”
Straordinario come uno sguardo potesse dire tanto.
Peter sperò che l’altro se ne rendesse conto anche da sotto la maschera e, stando a sentire la risatina che arrivava alle sue orecchie, forse una parte del messaggio era arrivato a segno.

« Va bene baby boy, ho capito, qui è una gran noia. »

Poche e semplici parole, seguite da uno sbuffo e dal suono delle vesti che strofinavano a terra.
Deadpool si alzò così come si era seduto: velocemente, con un movimento deciso, fino a rimanersene in piedi a pochi passi da Peter.
Il ragazzo si voltò nuovamente verso di lui, tenendo una mano appoggiata al tetto per non sbilanciarsi, e ricambiò lo sguardo.

«  Vuoi venire con me? »

No.

La risposta più sensata che sarebbe dovuta  uscire dalle labbra di Peter : no.
Assolutamente, categoricamente, no.
Eppure scivolò giù dal parapetto altrettanto velocemente, mettendosi in piedi davanti all’altro.
Certe volte nemmeno lui si spiegava il perché delle proprie azioni; semplicemente alcune volte Peter andava avanti e si lasciava spingere dal momento e dalle situazioni.
Il crimine a New York City non dormiva mai e Peter Parker non poteva permettere a Deadpool di svegliare anche l’intera città.
 

***
 
Peter non sapeva come e  non sapeva nemmeno il perché, ma al posto di combattere i criminali ora ci stava mangiando insieme del cibo messicano.
A quanto pareva Deadpool aveva una vera fissazione per i Chimichanga eper le telenovelas, e in un modo o nell’altro Peter se ne stava seduto il più compostamente possibile sopra ad un divano mezzo rotto a sentire i deliri in spagnolo di una ragazzina.
Cercando di non sembrare scortese, Peter, si spostò leggermente di lato, cercando di evitare una macchia di formaggio sopra la trapunta rossa e, al tempo stesso, di non appoggiare il sedere sopra la molla sporgente.
Si schiarì la voce e osservò Deadpool al suo fianco, che si teneva ben dritto sopra al divano e sembrava totalmente preso dalla soap opera che mandavano alla televisione.

« Questa sarebbe casa tua? »

Domandò, cercando di parlare con voce normale e non con quella nota mezza disgustata che si sentiva in fondo alla gola.
Insomma, quel posto era una topaia e, molto probabilmente, sotto le travi del pavimento c’era nascosto qualcosa di peggio di piccoli roditori.
Più che una dimora sembrava una soffitta in disuso, con tanto di ragnatele che pendevano dal soffitto e una semplice lampadina attaccata al filo elettrico a far luce.
Deadpool scrollò le spalle e mormorò un: “ por favor” indirizzato sia alla televisione che a Spider man.

« E’ un alloggio momentaneo, il top del top. »

Peter evitò di commentare a quel “ top del top”, specialmente perché continuava ad avere l’orrido presentimento che sopra a quel divano ci fosse chissà quale insetto disgustoso.
Si schiarì ancora la voce e appoggiò il piatto, completamente intatto, di chimichanga sopra al tavolino.
Wade al contrario sembrava il ritratto della tranquillità, tanto che si era sollevato la maschera fin sopra al naso e mangiava tranquillamente, tra qualche parole a l’altra.
Peter di tanto in tanto si perdeva a fissare la pelle rovinata, chiazzata, e via via andava a chiedersi che gli fosse successo.
Qualche scontro letale – “ mica ha il fattore rigenerante, poi?”- , oppure un incidente, o …

« Vedi qualcosa di interessante, baby boy? »

In un mezzo secondo Spider-man si riscosse, risvegliandosi da quella specie di trance dov’era caduto.
Scosse la testa e, imbarazzato, distolse lo sguardo dal volto dell’altro.
Belle figure che ci andava a fare, ad incantarsi davanti ad un uomo mentre mangiava senza ritegno del cibo.

« Affatto, non guardavo proprio niente. »

Il sorriso sopra le labbra chiare di Deadpool aumentò maggiormente, ora totalmente visibile senza maschera.
Chissà quante volte sorrideva, nascosto; quelle sembravano labbra abituate a prendersi gioco della gente, Peter lo capiva benissimo perché assomigliavano anche alle sue.
Il ragazzo serrò le labbra e “ no, no, no. Non voglio compartirlo, non mi sta nemmeno simpatico”, si impose di rimanere lì solo per qualche minuto e poi di tornarsene al lavoro.

« Sembravi incantato dalla mia bella faccia. »

Continuò però l’altro, tutt’altro che desideroso di troncare lì il discorso.
Deadpool aveva un certo tipo di accanimento verso qualunque cosa fosse o stupida o sanguinosa, oppure tutte e due.
Il fatto che Spider-man gli stava fissando la bocca così insistentemente era stupido ma, dio, lo invogliava solamente a punzecchiare quel ragazzino.

« Ti capisco, anche io mi seduco da solo di tanto in tanto. »

« Non mi stavi affatto seducendo, Deadpool! »

Ed ecco perché aveva risposto così velocemente e stizzito, perché non c’era niente, nulla al mondo, che potesse fargli ammettere che Wade avesse qualcosa di intrigante.
Il modo di fare a parte.
E lo spandex che gli fasciava il sedere a puntino.
Ma quelli erano dettagli più che trascurabili nella mente di Peter, ovviamente.
Perché pensare al sedere di Deadpool quando poteva avere Gwen o Mary Jane?  Perché trovare intriganti le sue cicatrici e le sue labbra quando poteva avere Kitty oppure Felicia?
Peter serrò le labbra e si sollevò dal divano, strofinandosi le mani sopra le cosce come per pulirle dalla sporcizia lì intorno.
Che, a prescindere, era davvero tanta.

« Ora me ne torno al lavoro, io. »

« Guarda baby boy che anche guardare le serie tv implica un grande impiego di sforzi e energie. Sono un maestro nelle maratone e
riesco a mangiare più di cinquanta hot dog di fila. »

Per un secondo Peter lo fissò disgustato, mormorando un: “ non lo metto in dubbio.”
Il giovane osservò Deadpool mentre si leccava un dito sporco di salsa e storse il naso, prima di ruotare gli occhi al soffitto polveroso.

« E ingoio che è una meraviglia.»

E a quella frase, Peter, ringraziò ancora una volta di portare una maschera.
Non sapeva se l’intenzione era quella di gettare lì un doppio senso oppure no – conoscendo Deadpool sì, decisamente-, ma Spider man non aveva alcuna intenzione di cascare in nessuno dei suoi trucchetti.
Quindi si scrollò di dosso quel leggero brivido che gli aveva percorso il corpo e si strofinò ancora una volta le mani sopra le gambe.

« Allora continua pure a ingoiare quelle enchiladas o quel che sono, io ho da fare. »

Qualcosa di meglio di guardare un telefilm mal recitato e assistere alla strage del fegato di Deadpool, qualcosa di molto meglio.
Il ragazzo sollevò la mano per salutare l’altro uomo e fece per andarsene, o per lo meno l’intenzione era quella, finché qualcosa non lo trattenne.
Qualcosa di molto simile alla mano di Deadpool vicino al gomito, accompagnata da una pistola direttamente puntata in testa.
Ma nessun formicolio alla testa, nessun “ senso di ragno” all’erta; non era una minaccia, non una vera, se non altro.
Allora Peter voltò il capo e sospirò, strattonando il braccio dalla presa dell’uomo solo per poi guardare la pistola puntata addosso.

«  Si può sapere che vuoi? »

Deadpool sorrise, con la maschera ancora sollevata fino al naso.
Abbassò il braccio e lasciò ciondolare la pistola al proprio fianco.

« Te l’ho detto, Spidey, ho voglia di far esplodere qualcosa. »
 
 
 
A quanto pareva quel qualcosa era il corpo di Peter.
Da quando il mercenario gli aveva puntato la pistola contro gli avvenimenti si erano susseguiti ad  una velocità incredibile.
Prima la pistola a terra, poi le mani di Wade sopra le sue braccia e alla fine Peter si era ritrovato a terra, con il corpo dell’altro premuto contro.
La luce si stagliava dietro  le spalle larghe del mercenario e la figura dell’uomo era completamente oscurata davanti ai suoi occhi.
Avrebbe dovuto esserci la paura, la tensione, una rabbia incredibile per essere stato preso e sbattuto a terra, eppure l’unica cosa che Peter sentiva era lo stomaco in subbuglio e l’erezione dell’altro premuta contro la coscia.
Era difficile pensare perfino per lui, che di pensieri e battute ironiche ci aveva fatto uno stile di vita, quando c’era un uomo eccitato che lo premeva a terra.
E gli respirava così vicino che riusciva a sentire il profumo di messicano nelle narici mischiato a qualcosa che assomigliava leggermente alla mente.
Un connubio di profumi che gli fece contrarre ancora di più lo stomaco, mentre le mani se ne rimanevano inermi a terra.

“ Tirale su e prendilo a pugni. Sì, lì, proprio sulla faccia, un bel cazzotto. Forza Peter.”

Però le mani rimanevano a terra, mentre Deadpool lo sovrastava e lo schiacciava a terra.
Bastava solo un movimento, uno piccolo, da parte di entrambi e tutti e due sapevano esattamente dove sarebbero andati a finire.
Erano troppi mesi che litigavano ogni volta che si vedevano, erano troppi anni che si lanciavano sguardi fugaci ad ogni incontro.
Quante volte avevano cooperato? Quante altre volte si erano scontrati?
Deadpool era …
Peter deglutì, con il pomo d’Adamo che risaliva e scendeva lentamente.
Deadpool era una cosa, Wade un’altra.
Certo, il corpo era lo stesso, ma Peter riusciva a capire qual’era la differenza tra i due; aveva visto Deadpool sparare senza pietà a innocenti così come aveva visto Wade voltare le spalle a bambini morenti.
Portare una maschera poteva cambiare una persona, Peter lo sapeva bene.

Al tempo stesso Wade era lì che guardava quel ragazzino sotto di sé e si diceva quando fosse bello, quanto fosse piccolo rispetto a lui.
Quante volte aveva sentito le sue battute sagaci e quante altre volte avrebbe voluto essere esattamente lì dov’era ora: sopra di lui, con il cazzo proprio premuto lì.
Il mercenario sospirò e il sorriso si levò ancora di più.
Quello era esattamente il movimento che entrambi aspettavano.
Così come Deadpool si spinse in avanti per baciare Spider-man, Peter sollevò entrambe le mani in avanti e gli afferrò la testa.
La maschera del mercenario scivolò via, ma nessuno dei due ci prestò troppa attenzione; rotolarono a terra, con le mani di Peter che cercavano di liberarsi dalla presa di Wade, e le mani dell’uomo che cercavano di afferrare il volto dell’altro.
Per qualche secondo si batterono sopra quello squallidissimo pavimento lurido, con le mani che tiravano e le gambe che scalciavano, finché non si ritrovarono senza fiato nella stessa identica posizione di qualche minuto prima: Wade premuto sopra al corpo di Peter, solo che questa volta il labbro inferiore era sporco di sangue e la maschera non c’era più.
Il respiro affannato si condensò vicino ai loro volti e alla fine Deadpool si spinse semplicemente in avanti.
Premette le labbra sopra lo spandex, cercando alla cieca le labbra di Peter sotto la forma della maschera.
Il ragazzo si divincolò, mosse la testa, ma alla fine si ritrovò a schiudere le labbra nonostante tutto.
Il fiato caldo dell’uomo gli solleticò il volto e, benché coperto, riuscì a rabbrividire sotto la sua bocca.
Fremette per qualche secondo, Peter, mentre le mani di Deadpool gli lasciavano l’occasione di liberarsi e andarsene.
Non lo fece, al contrario accolse l’altro uomo tra le sue cosce, mentre la mano destra di Wade si aggrappava alla maschera di Spiderman e la tirava verso l’alto.
Per un attimo Peter sentì la paura contrargli le viscere – “ no, non tirarla su, non puoi vedere chi-“ -, ma non appena sentì la stoffa sollevarsi fino al naso non ebbe più tempo nemmeno per un solo pensiero.
Le labbra secche di Deadpool furono sopra le sue e il secondo dopo la lingua scivolò sopra la bocca del più piccolo.
I respiri si mischiarono, i denti stridevano, il bacio si inumidì e si approfondì secondo dopo secondo.
Era frenetico, doloroso, cruento; i denti di Wade mordevano le labbra di Peter fino a fargliele dolere, mentre il ragazzo si aggrappava alle scapole dell’altro e affondava le unghie.
C’erano gemiti e respiri mozzati, sospiri e i corpi che premevano l’uno contro l’altro.
Faceva male tanto quanto gli faceva bene.
Il corpo di Deadpool era forte e duro contro al suo; delle spalle larghe e muscolose, un corpo tonico e decisamente virile.
Peter sentì in mezzo alle proprie gambe crescere il piacere, unito ad un certo senso di disguido.
Non aveva mai provato interesse per un uomo, ma in quel momento che importanza aveva?
Peter Parker, giovane studente liceale, era lontano; Spider-man era un’altra cosa, lui poteva fare quello che voleva, e se desiderava fare sesso con un sociopatico serial killer allora poteva.
Forse non era l’idea migliore dell’anno, ma poteva.

Quando il membro di Wade si spinse dentro di lui per l’ennesima volta Peter non riuscì a trattenere più i gemiti.
Il dolore era sparita del tutto e ora gli pareva solo una minuscola bruciatura in fondo alla testa: lontana, spazzata via da qualcosa di molto meglio.
Forse sarebbe risultato volgare a dire che quel “ meglio” era il cazzo di un uomo, ma al momento aveva ben poco di cui contenersi.
La maschera  sudaticcia e appiccicata al volto gli dava fastidio, la sentiva strusciare a terra e contro le guance, mentre i capelli scivolavano fuori ad ogni spinta sempre di più.
Le mani del ragazzo erano aggrappate ancora alle spalle del mercenario, affondando le unghie nella pelle martoriata dell’altro come se una cicatrice in più non facesse poi tutta quella differenza.
In parte era vero, perché era Deadpool stesso a invogliarlo a fargli male, a bisbigliargli, tra un morso e l’altro, di farlo sanguinare.

«Fottuto pervertito.»

Gli ringhiò contro Peter, quando le labbra dell’uomo scesero sopra al suo orecchio e gli mormorarono di: “ farsi scopare un po’ più spesso.”
Deadpool rise nonostante tutto, anche se le dita di Peter avevano appositamente cercato le cicatrici ed erano affondate nella pelle più molliccia.

«Fino a prova contraria sei tu ad essere fottuto.»

Anche questo era vero.
Per darne un’ulteriore prova l’uomo spinse ancora una volta il bacino contro quello del più piccolo, spingendolo a terra con le braccia e affondando l’erezione sempre più a fondo.
La stanza era ancora più in disordine di prima e loro due si ritrovavano sopra quel dannatissimo pavimento sporco, circondati da cibo messicano sparpagliato in giro e polvere.
I loro corpi avevano lasciato il segno del loro passaggio: qualche goccia di sangue vicino alla testa di Peter e il segno sopra al parquet polveroso attorno a loro.
Le nuove spinte gli fecero spostare ancora, tracciando una nuova linea più lucida sopra al pavimento, finché Peter non sollevò il bacino e non si artigliò con più forza alle spalle dell’altro.

«Cristo, fa’ piano.»

Gli gemette contro, un po’ per la scossa di dolore e un po’ per il piacere.
Sentiva il fondoschiena in fiamme, ma così anche l’erezione tra le gambe.
Le mani di Deadpool erano rudi così come i suoi modi di fare, prendevano e toccavano quello che volevano senza farsi troppi scrupoli.
Il volto del mercenario erano prono sul suo collo, ora, e i denti lavoravano un punto fino a farlo pulsare.
Non gli rispose, Deadpool, preferì stringergli la vita tra le dita della mano destra e uscire piano da lui.
Una sofferenza sentire come l’asta usciva fuori piano piano, togliendogli quella straordinaria sensazione di pienezza che non aveva mai sentito prima.
Tornò subito dopo, e gli tolse il fiato.
Per un secondo riuscì a sentire tutto il membro dell’uomo tornargli dentro, un colpo unico, sicuro, che gli scagliò una miriade di brividi lungo la schiena.
Peter serrò le labbra arrossate e umide, inspirando lentamente mentre sentiva il glande dell’altro sfilarsi nuovamente dall’apertura.

«Ah, Dea-»

Si morse le labbra, interrompendo il gemito, pregando se stesso di non continuare.
Sarebbe stato imbarazzante incontrare nuovamente Deadpool per i comignoli di New York City e guardarlo “ maschera a maschera” come ogni bravo super eroe doveva fare.
Lo sarebbe stato ugualmente senza lasciarsi scappare altri gemiti e sospiri.
Il piacere continuava ugualmente la sua strada, aumentando e diminuendo in base ai desideri dello stesso Wade.
I muscoli sulle spalle dell’uomo si contraevano ad ogni spinta, il suo volto si tendeva quando sentiva l’apertura di Peter stringersi o al tempo stesso rilassarti.
Era come una battaglia, quella scopata: se l’era cercata per anni e finalmente, ora che riusciva a sentire il corpo di Peter sotto al suo, assaporava la vittoria vicina.
Così piacevole, così intensa, da fargli venire i brividi perfino a lui, che era arrivato vicino a scoparsi pure la morte.
Ma Spider-man era un’altra cosa.
Era un ragazzino dalla battuta sempre pronta, dalla lingua guizzante e la voce sagace; lo eccitava da impazzire, ecco perché le mani non potevano fare a meno di toccarlo ovunque, di aggrapparsi al volto mezzo scoperto e scendere sopra al collo arrossato dai morsi e dai graffi.
Peter sotto di lui sentiva lo stesso, lo riusciva a capire da come allargava le cosce, da come contraeva le labbra e cercava di non farsi vedere.
Lo eccitava ancora di più quel modo di fare, quel pudore che non gli si addiceva.
Wade tornò ad affondare in Peter subito dopo avergli guardato il volto, quel mento leggermente appuntito e giovane, i capelli castani che scivolavano sparpagliati fuori dalla maschera tirata.
Affondo con il membro e con il volto; le labbra sul collo e l’erezione dentro di lui.
Il corpo di Peter spasimò e l’istante dopo quello di Wade.
 
***
 
Peter se ne stava fermo davanti alla macchinetta, impietrito, come se un camion l’avesse appena preso in pieno.
La sensazione era la stessa, davvero, era pronto a giurarlo perfino davanti alla corte suprema.

“ Un grosso, enorme, Tir carico di mattoni.”

Preso dritto in faccia e, non contento, probabilmente gli era anche passato sopra un paio di volte.
Peter Parker aveva altro da fare che sentirsi uno schifo, la sua vita era piena zeppa di impegni: un’interrogazione di biologia, la verifica di matematica e ah sì, certo, salvare New York da chissà quale altra schifezza.
Impegni normali, da giovani di tutti i giorni, certo, eppure ora non riusciva a muovere un solo passo dalla macchinetta delle merendine.
Era fermo nel corridoio della scuola e gli occhi fissavano imperterriti proprio davanti a sé.
Lui, che aveva affrontato mille nemici, che aveva aiutato a impedire la fine del mondo – “più volte, meriti a parte”-, ora non aveva il coraggio di allontanarsi dal suo  nascondiglio.

“ E se mi riconosce? No, no, come fa a riconoscermi? Avevo la maschera!”

Peter Parker, oltre che lavorare part-time come super eroe New Yorkese e salvare il mondo almeno una volta al mese, aveva un punto debole: essere un adolescente in piena crisi ormonale.
Tutto normale, direbbero in molti; quale diciassettenne non penserebbe al sesso ventiquattro ore su ventiquattro?
L’unico problema era che solo poche notti prima, il suddetto Spider-man, protettore dei deboli e vendicatore dei maltrattati, si era ritrovato a fare sesso con un suo  collega, sempre che così si potesse chiamare quella sottospecie di eroe.
Peter deglutì ancora una volta, appoggiando la mano sinistra contro la macchinetta, serrando le dita come se potesse trarne chissà quale sostegno morale.

“ I sensi di ragno mi pizzicano.”

Pensò con un leggero sarcasmo, mentre gli occhi tornarono a scivolare sopra al volto rovinato dell’uomo che se ne stava amabilmente al liceo.
Anche se di anni ne dimostrava di certo troppi e sicuramente, Peter ne era certo, era lì perché aveva scoperto chi si nascondeva sotto la maschera dell’uomo ragno.
La sola idea gettò nello sconforto il ragazzo, e la sensazione di essere investito da un camion tornò ancora più forte di prima.

“ Ma portavo la maschera!”

Sottolineò ancora mentalmente, assottigliando lo sguardo e fissando attentamente l’uomo che, con noncuranza, si grattava la nuca e si sistemava meglio il cappuccio sopra la testa.
Come se quel travestimento potesse nascondere tutte le chiazze che gli ricoprivano il volto, tra l’altro!
Wade Wilson era il peggior super- eroe nella storia dei super-eroi.
Forse perché era cattivo.
Probabilmente perché era un mercenario.
Sicuramente perché non sapeva come nascondere per bene la propria identità.
Peter serrò le labbra e mosse un piede di lato, incerto se andarsene via oppure no.
Nulla gli suggeriva che l’altro fosse lì per lui; non era strano che qualche collega – di tanto in tanto anche qualche Avengers- andasse in qualche scuola a dare due o tre consigli sull’amore alla patria o altre cose.
Il Capitano era bravo in quello, col suo spirito patriottico e una visione fin troppo rigida sulle regole del buon comportamento.
Si ricordava ancora quando era apparso, con la tuta e tutto il resto, e tutta la scuola gli si era radunata attorno con un’aria talmente spasimante che per un attimo Peter aveva tenuto che gli saltassero tutti addosso pur di riuscire a stringergli la mano.
Nessuno aveva osato scomporsi più di tanto alla fine, forse perché l’aria rispettosa che si portava dietro Capitan America riusciva a placare gli animi velocemente.
Al contrario quand’era Tony Stark a presentarsi in aula tutto si trasformava in un delirio.
Risa da una parte e dall’altra, qualche oggetto super tecnologico – “ ultima tecnologia Stark, ragazzi, la migliore!”- che sfrecciava per i corridoio a mezz’aria.
In ogni caso Peter non sapeva perché Deadpool era lì e sicuramente l’altro non aveva la più pallida idea di chi fosse Peter Parker, quindi non aveva senso nascondersi dietro una macchinetta.
Eppure qualcosa lo bloccava, gli cementava i piedi a terra come una stupida ragazzina indifesa.

“ Che diavolo, sono un giustiziere e lui è un’idiota, sicuramente non si ricorderà di me.”

Peter trasse un profondo respiro e si passò la mano destra tra i capelli, scompigliandoli ancora più del dovuto.
Non si era perso di coraggio davanti ad un rettile gigante, chi diavolo era Deadpool in confronto?

“ Un mercenario immorale dagli scarsi principi etici?”

Straordinario, non era nemmeno capace di confortarsi da solo.
Peter socchiuse gli occhi e allontanò la mano dalla macchinetta, ritrovando lo stesso coraggio che mostrava puntualmente ogni pomeriggio.
Annuì a se stesso e si allontanò dal suo rifugio, prendendo a camminare lungo il corridoio.
Probabilmente era solo l’impressione del ragazzo, ma il suono che sentiva nelle orecchie era quello di un clacson?
Passo dopo passo, nel corridoio ghermito di persone, Peter prese a camminare con un po’ più fretta del solito, mettendo un piede dopo l’altro.
Lo speravano pochi metri a Wade, che ancora se ne stava fermo in mezzo al corridoio, con lo sguardo puntato verso la bacheca degli annunci.
Un passo, due passi, tre passi.
Non c’era motivo di essere agitati, nemmeno uno, eppure più il volto dell’altro diventava ben visibile, più Peter sentiva il cuore battergli forte nelle orecchie.
Un suono ritmico e fastidioso, spaventoso quasi quanto  Jameson quando mancava di portargli una consegna al giornale.
Il giovane si ritrovò a schiarirsi la voce e a mandare giù un gran boccone d’aria e saliva, prima di poter tornare a camminare dritto.

“Non lo guardare, non lo fare Peter.”

Ma non ci riuscì.
Mentre gli passò accanto gli occhi scivolarono furtivamente verso sinistra e lì riuscirono a vedere il volto di Deadpool.
Pareva bruciato alla luce del giorno, macchiato, ma i lineamenti erano belli quanto la prima volta che l’aveva visto: ora c’era più luce a illuminarli e la linea della mascella sporgeva perfettamente dal cappuccio che cercava di celarla.
Per qualche secondo Peter ripensò alle labbra dell’uomo sopra le sue e il passo fatale fu innegabile.
Gli bastò il pensiero per storcere le labbra, per sentire il calore invadergli le orecchie, e l’istante dopo Wade sollevò le labbra chiare in un sorriso.
La mano destra puntata come una pistola, sollevata verso di lui.
Premette il grilletto.

« Catch ya, baby boy. »

Peter Parker, diciassette anni, che in segreto indossava una calzamaglia leggermente ridicola, aveva un grandissimo problema: Deadpool non era così stupido quanto sembrava.
 
 
 
 
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Bene, bene, bene, insomma, sono due annetti che navigo su questa bella coppietta e ancora non avevo nemmeno provato a scriverci qualcosa, ma ora eccomi qui.
D’altronde doveva accadere prima o poi, le disgrazie capitano.
Ho questa storia nel pc da un mese intero, solo abbozzata, come se avesse poi questa gran trama, ma vabbé.
Non so nemmeno perché non l’ho scritta subito, ma oggi mi sono messa lì e ho detto: “ cazzo Mel, e falli scopare un po’”, quindi eccomi qui.
Spero vi possa piacere, grande trama a parte.
   
 
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