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Autore: revin    20/03/2016    2 recensioni
La vita da reclusa è molto più dura di quella che Gwen avrebbe potuto immaginare, soprattutto in un penitenziario di massima sicurezza interamente dominato da uomini. Fox River è un inferno al quale sembra impossibile poter sopravvivere. Ma Gwen ha una missione da compiere... la vendetta.
Genere: Azione | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti | Coppie: Michael/Sara
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Iniziavo il mio primo giorno da carcerata, spedita in mezzo a quella mandria imbufalita di detenuti.
Ero da poco tornata dal mio primo incontro col direttore del carcere, Henry Pope, ed ero rimasta nella mia cella giusto il tempo di dare ai numerosi ospiti del Braccio A nel quale ero stata spedita, la possibilità di sfogare tutti i più volgari e bassi commenti sulla nuova arrivata.

Ne avevo sentite di tutti i colori nel corso di quell’ora trascorsa sulla branda più bassa del letto a castello, rannicchiata come un riccio per paura che qualcuno potesse allungare una mano e farmi del male. In verità quella cella era il luogo più sicuro al mondo, se paragonato al cortile esterno dove le guardie ci avrebbero accompagnati di lì a poco.
Avrei dovuto aspettarmelo, prima o poi quel momento sarebbe arrivato. Dovevo solo convincermi che tra me e quegli uomini non c’era alcuna differenza. Io ero come loro, un detenuto. Più facile a dirsi che a farsi, ovviamente.

“Posso farcela”, mi dissi alzandomi dalla branda quando tutte le celle vennero aperte, segnando l’inizio della pausa pomeridiana.
“Posso farcela”, ripetei a me stessa gonfiando il petto per tirare fuori un grosso sospiro mentre appoggiavo un piede fuori, oltre le sbarre, per immettermi nella fila che proseguiva verso il cortile.
“Posso farcela”, ma tutti i muscoli e le ossa del mio corpo stavano tremando per la paura.

Per quanto ci provassi, non riuscivo a non sentirmi un pesce fuor d’acqua il quel mondo.
Ero in carcere, ero a Fox River per scontare la mia pena come gli altri, ma più di ogni altra cosa, ero lì per trovare Lincoln Burrows, il condannato a morte. Questo dovevo fare, sfoderare il mio coraggio e la mia arte investigativa per scoprire qualcosa che mi aiutasse a dimostrare la mia innocenza e soprattutto, vendicarmi dei bastardi che avevano contribuito a rovinarmi la vita.
Quel pensiero riuscì a darmi coraggio e rimettere in moto i miei neuroni. Dovevo pensare, pianificare e agire, ma prima dovevo individuare il bersaglio e per farlo, dovevo innanzitutto orientarmi.

Feci una passeggiata nello spiazzo cercando di capire innanzitutto a quale zona del carcere corrispondesse la mia posizione all’esterno, e contemporaneamente, non dare troppa importanza alle continue occhiate che mi venivano lanciate. Grazie al giro turistico effettuato quella mattina e alla passeggiata nello spiazzo, ero riuscita a farmi un’idea della struttura e dell’organizzazione del penitenziario.
Esistevano due blocchi dove venivano sistemati i detenuti, a est il blocco A e a ovest il blocco B. Le due sezioni erano completamente isolate dall’ala sud, dove lavorava il personale amministrativo.
Questa prima informazione era riuscita fin da subito a gettarmi nello sconforto. Il fatto che i blocchi di celle fossero due mi dava il 50% di possibilità di poter individuare Burrows. Io ero stata destinata al Braccio A, ma in quale si trovava Burrows? Non sapevo ancora che essendo un condannato a morte, l’uomo non appartenesse a nessuno dei due blocchi, ma fosse stato destinato alla sezione isolata rispetto ai detenuti comuni.
Nell’ala opposta al Braccio A era dislocata l’infermeria, e al piano di sotto, le docce.

All’esterno l’organizzazione era completamente diversa. C’erano quattro torrette di controllo, una per ogni angolo dell’alto muro di cinta, che a sua volta era sormontato da un’alta recinzione di filo spinato che si prolungava per chilometri, a perdita d’occhio. Oltre all’edificio principale, che da fuori appariva ancora più cupo e squallido, avevo notato anche una specie di stanza-magazzino adibito a stanza ristoro per le guardie. Sul lato opposto, un altro edificio, più piccolo rispetto a quello centrale, al quale venivano destinati gli schizofrenici, i malati mentali e le vittime di abusi.
Non sarebbe stato tanto facile scovare Lincoln Burrows in mezzo a quell’ammasso di anime e cemento.

Stanca di camminare, decisi di sedermi su una panca all’ombra, isolata e silenziosa rispetto alle altre. Stavo osservando il cielo, deprimente e nuvoloso, chiedendomi quando sarei riuscita a rivedere il cielo limpido della California, quando all’improvviso una voce molto ravvicinata interruppe il flusso dei miei pensieri e mi fece trasalire.

-          Ehi, bambolina! Sei seduta sulla mia panca.

Il tizio che aveva parlato, si avvicinò sedendomisi a fianco con fare alquanto intimo che immediatamente mi mise sulla difensiva. Un uomo giovane, sulla trentina, con un viso dai lineamenti piuttosto grossolani, pallido, importuno e dai modi fin troppo diretti. Però non faceva particolarmente paura. A prima vista sembrava uno di quei tipici scocciatori che disturbano se in quel momento vuoi restartene da sola e vuoi pensare agli affari tuoi.
Aveva il naso adunco come il becco di un’aquila, gli occhi stretti e penetranti come aghi di spillo, labbra sottili, quasi invisibili, racchiuse fra due pieghe profonde ai lati della bocca, appena increspate da un sorriso sfuggente, ambiguo e un po’ beffardo che non arrivava a scoprire neanche i denti.

Mentre osservavo quello strano tipo smilzo vagliando ciò che mi aveva appena detto, mi chiesi cosa fosse meglio fare. Potevo alzarmi dalla panca e andarmene, ma così avrei dimostrato di non avere affatto spina dorsale e se volevo farmi rispettare, dovevo dimostrare il mio coraggio fin da subito, altrimenti quei mesi sarebbero stati un incubo.

-          Devo chiedere un permesso per sedermi su questa panca? – chiesi tastando il terreno.

Al minimo sentore di pericolo ero pronta a schizzare via.

-          Quello è il mio posto, lo sanno tutti qui dentro, ma tu ovviamente non puoi saperlo perché sei nuova e non conosci ancora le regole. Dovresti stare attenta bambolina, potresti finire nei guai.

Mentre mi parlava, un brivido, forse un avvertimento, mi attraversò la schiena ed ebbi l’impulso di scappare. C’era qualcosa in quell’uomo, nel modo in cui mi guardava, come un pastore tedesco che fissa una bistecca su un piatto, o nel modo in cui mi sorrideva, di un modo veramente inquietante. Eppure in apparenza sembrava così calmo e innocuo. Chissà chi era quell’uomo…

-          Non preoccuparti bambolina, io posso fare in modo che tu non debba chiedere il permesso a nessuno… -  e così dicendo si avvicinò a me per eliminare la distanza che ci separava.

Mi vennero subito i brividi e per porre un minimo di distanza tra noi cercai di scostarmi impercettibilmente, pur continuando a mantenere un atteggiamento sicuro.

-          …ma per fare questo, tu dovrai riuscire ad entrare nelle mie grazie, non so se mi spiego. – continuò sollevando un sopracciglio.

“A meraviglia!" Ecco un tipo viscido dal quale stare alla larga.

Copiai il suo gesto e mi allontanai un altro po’.   – No, non direi.

-          Eppure è semplice. Qui a Fox tutti fanno parte di uno specifico gruppo. C’è il gruppo dei neri fissati con le differenze di razza, il gruppo dei cocainomani…Quella è la zona dei culturisti, – disse indicando un angolo dov’erano posizionati vari attrezzi e pesi che alcuni nerboruti detenuti stavano utilizzando. – ma di solito quella è zona off-limits. E’ meglio che non ti avvicini a quei tipacci, piccola.

-          E tu di che gruppo saresti?

-          Del gruppo dei buoni. Recluto le nuove leve affinché si ambientino a Fox nel migliore dei modi e non abbiano problemi, perché vedi, chi è sprovvisto di protezione qui dentro non dura molto. – Il tono in cui lo disse mi fece accapponare la pelle.

-          Grazie dell’offerta ma penso proprio che ne farò a meno.

Ancora una volta provò ad avvicinarsi e io mi allontanai. Sarei presto caduta a terra se continuavamo con quel ritornello.

-          Bambolina, credo che tu non abbia afferrato bene il concetto. Ti conviene accettare al più presto il mio aiuto perché senza sarai spacciata. Basterà che tu prenda questa – Tirò fuori la fodera della tasca dei pantaloni. – e che prometti di seguirmi ovunque io vada e di appoggiarmi qualunque cosa io faccia. E’ semplice. Certo, potrebbe capitare che io abbia bisogno di un favore o che abbia qualche…richiesta, ma daltronde è così che funziona una trattativa, no? Io faccio un favore a te e tu ne fai uno a me e in cambio ti prometto protezione assoluta…sarai la mia schiavetta personale e io sarò il tuo padrone.

Rabbrividii solo a pensarci. – Questo è un carcere, non un harem. Te lo ripeto, la tua offerta non m’interessa.

La mia risposta riuscì a trasformare completamente la sua espressione che da sorridente, si fece minacciosa.

-          Ragazzina, non sono tipo da ripetere una seconda volta le offerte di pace. Non hai idea di cosa questo significhi.

-          Immagino sarò costretta a scoprirlo.

I suoi occhi si fecero nuovamente viscidi, famelici. – Non ti conviene farti nemici pericolosi qui dentro.
Stavo per alzarmi dalla panca e andare via, la situazione era diventata pericolosa a sufficienza. Ero dentro da meno di tre ore ed ero già riuscita a farmi dei nemici. Proprio quello che mi ci voleva. Prima che mi alzassi per darmela a gambe, l’uomo riuscì ad afferrarmi per un braccio e per un attimo pensai di essere sprofondata nella sfortuna più nera. Volevo aspettare almeno 24 ore prima di cacciarmi nei guai. Quello sarebbe stato un record.

-          Lasciala T-Bag e sparisci di là! – esclamò improvvisamente un altro detenuto, riferendosi evidentemente al tipo smilzo che mi aveva arpionata. – E’ il suo primo giorno, lasciala respirare.

Guardai davanti a me per capire chi avesse parlato e mi accorsi che si trattava di un ragazzo dalla pelle color caffelatte e dal tono di voce fermo e sicuro. Accanto a lui, un altro tipo, alto quanto lui ma più pallido.

-          Amico, non vedi che io e la ragazzina stiamo parlando? – sbottò l’uomo senza decidersi a lasciarmi il braccio.

-          T-Bag togliti dai piedi. Non te lo ripeterò un’altra volta. – fu la minaccia del ragazzo caffelatte che riuscì a guadagnare un punto simpatia nella mia lista.

Con mia grande sorpresa, il tipo smilzo fece un sorriso conciliante e si alzò dalla panca, liberandomi. Prima di andarsene però non dimenticò di salutarmi e, mentre mi lanciava un sorriso ambiguo, sibilò tra i denti:

-          Ci vediamo presto bambolina.

Chissà perché avevo la sensazione che avrebbe mantenuto la promessa.

-          Hai scelto proprio l’individuo più infimo per cominciare a costruire la fascia dei nemici, io al tuo posto avrei iniziato con qualcuno alla mia portata. – esclamò sarcastico il ragazzo di fronte a me, dopo che la serpe velenosa si fu dileguata.

Increspai le labbra nel tentativo di formulare un sorriso, ma ero appena incappata nel primo di una lunga serie di problemi che avrebbero reso la mia vita a Fox River un inferno, e non avevo molta voglia di ridere.

Decisi di concentrarmi sui due nuovi arrivati e di capire che tipi fossero. Il ragazzo che mi aveva salvata dalle grinfie del viscido aveva la carnagione bruna che ricordava vagamente tonalità esotiche. Era un uomo slanciato e ben fatto, con occhi e capelli scuri che lasciavano scoperta un’ampia fronte. Aveva un’espressione amichevole, franca e grave insieme. Nel complesso lo si sarebbe potuto definire un tipo attraente.

-          Ti consiglio di stare alla larga da quel tipo e di guardarti sempre le spalle quando c’è lui nei paraggi. Quello è un…

-          Assassino? – dissi precedendolo. – So chi è. Un uomo con seri problemi ossessivi, stupratore di bambini in Alabama, nonché loro assassino. Dentro da quattro anni, condannato a scontare due ergastoli. Il caso di Theodore Bagwell, in arte T-Bag, ha avuto un grande riscontro sul pubblico nazionale all’epoca in cui venne arrestato.

-          Lo avevi riconosciuto?

-          Certo.

Il che non era proprio vero. In realtà non ero ancora arrivata in America quando era scoppiato il caso Bagwell. Ne conoscevo le vicende solo a livello generale, ma non avevo mai visto una sua foto, per questo quando mi si era avvicinato non lo avevo riconosciuto. Quando “il mio amico caffelatte” aveva nominato il nome T-Bag però avevo ricollegato il tutto. Per fortuna il mio istinto mi aveva avvertita all’istante di quale mostro mi si fosse appena avvicinato.

-          Comunque io sono Fernando, Fernando Sucre e questo è il mio compagno di cella Michael Scofield.

Appena udii quel nome, Michael Scofield, una lampadina mi si accese all’improvviso nel cervello e da quel momento non riuscii ad impedirmi di guardare più attentamente quel ragazzo rimasto muto fino ad allora. Sembrava un tipo ordinario, alto quanto il suo amico, ma più magrolino e meno pompato. Aveva il classico aspetto di uno che porta sulle spalle il peso del mondo con quell’espressione distaccata, consapevole, il volto in ombra e lo sguardo diretto.
Fu a quel punto che incontrai i suoi occhi restandone immediatamente abbagliata.
Erano occhi espressivi in grado di nascondere la verità quanto di svelarla, occhi meravigliosamente azzurri e penetranti in modo strano. Non ambiguo e fastidioso come lo sguardo che mi aveva lanciato T-Bag un momento prima. Il suo era uno sguardo che metteva a nudo, attento. Se ne stava immobile, con entrambe le mani infilate nelle tasche della felpa e mi vagliava con quella sua espressione, gli occhi semichiusi in una fessura, una piega sul sopracciglio destro, segno di profonda concentrazione. Un’incredibile colpo di fortuna averlo incontrato senza neanche cercarlo.

-          Tu ti chiami Scofield? – chiesi fingendomi solo curiosa. – Michael Scofield?

-          Cos’è, hai sentito parlare anche di lui? – mi chiese divertito il tizio sulla sinistra che si era presentato come Fernando Sucre.

-          No io…in realtà ho sentito parlare di suo fratello. – e rivolgendomi espressamente ad “occhi penetranti” continuai decisa – Lincoln Burrows. Ho sentito dire che anche lui è rinchiuso in questo carcere, è vero?

-          E’ così. – rispose finalmente il ragazzo parlando per la prima volta.

-          Però non l’ho visto da nessuna parte, credo che l’avrei riconosciuto se l’avessi incrociato. Sapete dove lo tengono?

-          Chi, Burrows? E’ stato condannato a morte e i tipi come lui di solito vengono tenuti isolati rispetto ai detenuti comuni, al di là della…

-          Perché sei così interessata a mio fratello? – mi domandò all’improvviso Scofield, interrompendo la spiegazione dell’altro che cominciava ad interessarmi.

-          E’ solo curiosità.

Il ragazzo continuò a vagliarmi attento. Mi chiesi cosa trovasse di così interessante. Cominciavo a sentirmi a disagio.

-          Hai un viso familiare. Ci siamo per caso già conosciuti?

-          Non penso proprio. – mi affrettai a rispondere.

Per un attimo il ragazzo era riuscito a spiazzarmi. Credeva davvero di avermi già vista da qualche parte o se l’era inventato? Io comunque non mi ricordavo di averlo mai visto, un viso del genere difficilmente mi sarebbe passato di mente. Era possibile che avesse dei sospetti sulla mia identità? Per questo mi fissava con tanto interesse? No impossibile, avevo falsificato il mio nome per proteggere la mia privacy. Sicuramente si era sbagliato.

-          Posso farti una domanda che probabilmente ti suonerà molto strana? - intervenì caffelatte – alias Fernando, ridestandomi dai miei dubbi. – Ma tu…sei veramente una ragazza?

Ecco cosa intendeva per domanda strana. Io e il suo amico lo guardammo sorpresi prima che mi scappasse da ridere notando il suo imbarazzo.

-          Si, immagino che fino a prova contraria io possa considerarmi una ragazza.

-          Scusa, è solo che…cioè, che ci fa una ragazza a Fox River?

Per un po’ mi sarei dovuta abituare a sentirmi rivolgere quella domanda scontata.

-          Mi dispiace, non ho il permesso di parlarne.

-          Il permesso? – ribatté occhi penetranti, alias Michael. – Si tratto di un segreto di stato che non puoi rivelare?

Ammiccai. – Una cosa del genere.

-          Ed è un segreto di stato anche il tuo nome o almeno quello puoi dircelo?

Curioso il ragazzo. Decisi di mostrarmi amichevole con quei due solo perché uno di loro era il fratello di Burrows e sarebbe potuto tornarmi utile, quindi scesi dalla panca e gli andai incontro.

-          Mi chiamo Gwen Sawyer. Piacere di conoscervi ragazzi. 
 
 
   
 
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