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Autore: Hnos    21/03/2016    4 recensioni
SPOILER LADY MIDNIGHT
Emma ha sigillato il suo patto con Mark nella speranza di allontanare Julian. Questo è solo il racconto di una loro notte insieme.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Emma Carstairs, Mark Blackthorn
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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FUORI DA QUESTO MONDO 

 
Io conosco
Una piccola fata triste
Che dimora in un oceano
E suona il suo cuore in un flauto di legno
Dolcemente, dolcemente.
Una piccola fata triste
Che, al tramonto, di un bacio muore
E, all’alba, di un bacio rinasce.

Forugh Farrokhzad
 
 
 
 
C’era silenzio. Emma non riusciva a ricordare da quanto tempo non regnasse quella strana calma immobile tra i corridoi dell’Istituto. Nell’aria aleggiava la quiete assordante che precede il rombo di un tuono.
“La tempesta chiama anche te come fa con me, vero?”
Pensare a Mark fu come una secchiata di acqua gelida. Incapace di dormire si tirò su a sedere, tra le lenzuola stropicciate e sudate.
C’erano state molte altre volte con Mark, dopo la prima volta che si erano ritrovati in camera sua, ed Emma gli aveva chiesto di fingere che si stessero frequentando. Inaspettatamente, non c’era stato niente di forzato, nulla di non voluto.
I loro erano stati i baci voraci di chi cerca di scaricare il proprio dolore sulla pelle dell’altro. Eppure, quando si erano ritrovati a fremere di piacere, Emma aveva pensato che i loro corpi avessero un bel modo di aderire. Pelle contro pelle, il costato di lui che premeva contro il suo, le sue mani a coppa sopra il seno di lei. In un modo completamente diverso da lei e Julian.
Julian.
Non voleva pensare a Julian. Era come sentire una scheggia di vetro conficcata sotto il cuore. Un dolore che si espandeva sempre di più, ogni volta che si ritrovava a gravitare intorno a Mark e a sentire un brivido correrle lungo la schiena, per poi trovare lo sguardo consapevole di Julian che seguiva i loro movimenti. Era in quegli istanti che la scheggia di vetro affondava inesorabilmente dentro il cuore di Emma, lasciandola senza fiato.
Si alzò in piedi e si diresse verso la porta della camera, uscendo in corridoio. L’aria fresca, che odorava di salsedine e deserto, fu una benedizione sulla sua pelle accaldata.
Camminò in silenzio con un senso di stordimento e vuoto nello stomaco, come una ladra in casa propria, e la sensazione che i suoi piedi scalzi lasciassero dietro di sé le impronte sopra il marmo freddo. Erano passi nella neve.
 
Mark la sentì arrivare. Dentro il letto, aspettava.
Nel corridoio, avanti e indietro come un animale in gabbia, sentiva Emma inspirare ed espirare, quasi affaticata.
Mark non si mosse dal letto, ma era vigile, consapevole di ogni sua terminazione nervosa, ogni muscolo.
C’era attesa. La consapevolezza del leone. Lo scatto della leonessa. Due bestie selvatiche, pronte a lanciarsi in una strana lotta.
La maniglia della porta si abbassò e lei entrò. Lo sguardo dorato di lei incontrò immediatamente quello di Mark.
Emma si richiuse la porta alla spalle senza smettere di guardarlo. Nessuno dei due parlò.
Erano secondi lenti e pesanti, carichi di aspettative.
Emma era splendente. Con le lunghe gambe lasciate scoperte grazie ai pantaloncini e una semplice canotta, teneva gli occhi piantati su Mark, sdraiato nel letto a petto nudo in una posizione scomposta. Vecchi marchi sbiaditi si intravedevano sulla sua pelle.
La guardava con gli occhi implacabili di chi non teme nulla, la linea della bocca sottile, distesa nel sorriso vago delle statue. La luce della luna si gettava su di lui, illuminandogli i capelli chiari e gli occhi, uno dorato e l’altro azzurro, e sembrava riuscire a tirar fuori la natura selvaggia delle Fate che giorno per giorno scompariva un po’ più. Era bellissimo.
Tutto accadde velocemente.
Senza mai parlare, Mark si tirò su e si sedette sul bordo del letto, i piedi poggiati sul pavimento e le porse una mano. Una richiesta ed un’offerta.
Emma sentiva il cuore pulsare dentro la cassa toracica in un battito sordo ma veloce, come quello di un tamburo. Si sentì quasi ondeggiare, un albero scosso dal vento, prima di fare un passo verso Mark.
Mark si alzò in piedi, senza smettere di tenere la mano tesa verso di lei.
Emma fece un altro passo.
Mark un altro.
Si scontrarono senza aver mai smesso di guardarsi.
Sentire le lingue l’una contro l’altra fu una gioia. Una esplosione di sensi.
Le mani di Mark si posarono sul collo di Emma, per poi scivolare sulla sua pelle tracciando un percorso infuocato.
Premette le dita sulle clavicole della ragazza con una leggere pressione ed Emma sentì un vuoto nel basso ventre. Infilò le dita nei capelli morbidi di Mark e lo avvicinò ancora di più a sé. Gli succhiò la lingua, mentre le mani del ragazzo si posavano sulle sue spalle e gli abbassavano le spalline della canotta. Da lì, le mani scivolarono sul suo petto, creando grinze sopra il leggero tessuto di cotone. Strinse delicatamente tra le mani i piccoli seni di lei, che si staccò da lui, ansante.
Emma buttò la testa all’indietro, nel tentativo di riprendere fiato e Mark approfittò del suo collo scoperto per tempestarlo di baci. Vi fece scorrere la lingua, fino alla mandibola.
- Siamo fuori da questo mondo – le sussurrò all’orecchio.
Emma ne ebbe quasi paura. Aveva la voce implacabile. Non c’era nulla di suadente o allettante. Con tono roco Mark sembrava sussurrargli segreti che appartenevano ad un tempo in cui era nella Caccia Selvaggia. Di un mondo spietato, selvaggio e arcano.
Si allontanò leggermente da lui. La presa di Mark sulle sue braccia si fece leggermente più stretta, come se fosse rimasto sorpreso da quell’improvviso cambiamento, ma assecondò il suo gesto.
Emma lo guardò dritto in faccia e gli posò una mano sulla guancia. Gli sfiorò leggera lo zigomo affilato e Mark sembrò bearsi di quel tocco perché inclinò leggermente la testa.
Emma avvicinò il viso al suo e gli sfiorò leggera le labbra. Si guardarono, respirando l’aria dell’altro.
Emma poggiò anche l’altra mano sul viso di Mark, stringendolo delicatamente. - Noi siamo qui – disse. Nei suoi occhi c’era la bramosa volontà di farsi capire.
Mark emise un verso di disperata gratitudine e si sporse verso di lei. Ciò che aveva vissuto durante gli anni di prigionia insieme ai Cacciatori, ad Emma sembrava importare come qualcosa di distante, simile ai moti delle stelle. Qualcosa di certo e inesorabile e misterioso che però non poteva precludere lo scorrere della vita. La Caccia Selvaggia era oramai lontana. Lui era salvo.
 Si baciarono di nuovo. Con una foga diversa, quasi animalesca. Era un miscuglio di lingua, denti e saliva. Nonostante Mark indossasse solo i pantaloni del pigiama fu Emma e ritrovarsi nuda per prima. Nelle sue vene c’era fuoco vivo.
Mark le strinse i fianchi con due mani, poi poggiò la mano destra dietro la sua schiena, tra le fossette di Venere e avvicinò il suo bacino a quello di Emma. Iniziò a camminare all’indietro verso il letto trascinandosi dietro la ragazza.
Si ritrovò seduto sul bordo del letto con Emma a cavalcioni sopra di lui. Lei si sfregò sopra di lui, poi incapace di resistere ancora gli infilò i due pollici sul bordo del pantalone e tirò giù.
Finalmente non ci fu più nulla tra di loro, solo carne viva. Affondarono insieme con i respiri rotti, le movenze lente e profonde. Era come cadere nel vuoto.
Mark baciava il petto di Emma, aggrappata alle sue spalle.
Quando entrambi si sentirono esplodere, Emma abbassò la sua bocca contro la spalla di Mark, soffocando i gemiti e respirando l’odore buono della sua pelle, un misto tra sudore e vaniglia. Mark doveva essere molto più esperto di Emma nel nascondere il piacere, perché fece un verso profondo e rauco.
Ripresero fiato lentamente, le mani che sfioravano ogni muscolo, ogni cicatrice, delicate e veloci.
Mark non toccò mai i capelli di Emma, e lei ne fu felice.
Sempre senza parlare, dopo un tempo che parve infinito, Mark adagiò Emma sul letto, sdraiandosi su di lei. Le sfiorò con le labbra il profilo del naso, gli occhi, le sopracciglia, facendole scorrere le dita sulle costole. Quando le posò delicatamente una mano sulla spalla sollevandola e spingendo leggermente, lei si voltò, sdraiandosi prona sul materasso. Si sentiva le ginocchia molli.
Mark espirò e la voce gli si incrinò. - Non muoverti – disse malinconico.
Lei non si mosse. Chiuse semplicemente gli occhi, e quando Mark iniziò a baciargli piano e lentamente la schiena, lungo le cicatrici semi sbiadite procuratele da Iarlath, fu felice di poter nascondere il viso nel cuscino, perché gli occhi le si riempirono di lacrime.
Quelle cicatrici non facevano altro che ricordarle Julian, ed il suo amore per lui. Tutto ciò che aveva fatto era cercare di risparmiargli un dolore che lei non poteva permettersi di fargli patire. Ed ora era lei stessa la carnefice. Vedeva trasformarsi in Iarlath ogni volta che con un gesto, uno sguardo, un tocco, Julian guardava lei e Mark.
Mark.
Che con quei baci assomigliava ad un torrente in piena che scorreva su di lei, acqua che purificava e guariva. Ogni bacio sembrava parlarle, invocando il suo perdono.
- Emma – sussurrò Mark, contro il suo orecchio. Poggiò la bocca sulla guancia della ragazza, e per un momento Emma credette che si trattasse di un semplice e casto segno di affetto, prima di rendersi conto che Mark le aveva poggiato le labbra sulle lacrime.
- Emma – ripeté di nuovo Mark. – Noi siamo qui. 


   
 
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