Libri > Harry Potter
Ricorda la storia  |      
Autore: Mary Black    21/03/2016    14 recensioni
La prima volta che Tom sente parlare di Gellert Grindelwald ha quattordici anni e un’anima ancora intatta.
Tom non ha mai provato interesse per nessuno, ma, mentre Silente viene coinvolto suo malgrado in una discussione di politica estera con il professor Lumacorno, manda di proposito in frantumi l’ampolla di Veleno d’Acromantula e si ferma ad ascoltare – la sua mente in bianco e nero si squarcia e per la prima volta nei suoi pensieri colano i colori, ruggine scuro per la terra arsa dal fuoco, bianco ghiaccio per un esercito di Inferi.
Genere: Dark, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Gellert Grindelwald, Tom O. Riddle
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dai Fondatori alla I guerra
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Questa storia è dedicata a Ladyriddle, che ieri ha compiuto gli anni!
Auguri, tesoro!

 

In bianco e nero

 

La prima volta che Tom sente parlare di Gellert Grindelwald ha quattordici anni e un’anima ancora intatta.
Tom non ha mai provato interesse per nessuno, ma, mentre Silente viene coinvolto suo malgrado in una discussione di politica estera con il professor Lumacorno, manda di proposito in frantumi l’ampolla di Veleno d’Acromantula e si ferma ad ascoltare – la sua mente in bianco e nero si squarcia e per la prima volta nei suoi pensieri colano i colori, ruggine scuro per la terra arsa dal fuoco, bianco ghiaccio per un esercito di Inferi.
Quando si congeda, Tom ha un sorriso sottile cesellato in viso.
Quella notte sognerà Babbani che bruciano e un mondo pulito, nuovo, in bianco e nero.


*

Dopo la strage di Dresda, Grindelwald è sulla bocca di tutti – gli insegnanti, i giornali, il Ministero, Silente, Silente che, a ogni domanda su di lui, chiude un attimo gli occhi prima di rispondere.
Tom colleziona articoli e pensieri, trascrive le conversazioni che coglie, cerca notizie di Grindelwald nei libri, nelle riviste, nei quotidiani, ovunque.
Non trova nessuna fotografia, però.
Tom è ossessionato dall’idea di morire, accarezza sogni di una vita senza fine e cerca di immaginare che aspetto lui possa avere.
Tom ha imparato da tempo a dissimulare quando desidera qualcosa, così sfoggia indifferenza ogni volta che gli domandano di cos’abbia paura, una beneducata incredulità ogni volta che si parla di lui – nei suoi sogni in bianco e nero, Gellert è una figura slanciata che irradia potere, un volto senza lineamenti e una mano tesa verso di lui.


*

Dopo mesi di ricerca, Tom sa tutto quello che gli serve sapere su Grindelwald – l’espulsione da Durmstrang, i folli progetti, le idee innovative, il terrore, gli incendi che illuminano le città sempre poco prima dell’alba.
Tom non ha mai provato affetto per nessuno, ma è solo grazie a quello sconosciuto senza volto che non impazzisce di rabbia e delusione quando scopre la verità sulle sue origini – la madre strega che si è lasciata morire, il padre Babbano di cui non sa nulla.
Grindelwald mette un freno alla sua furia, lo seduce con le sue idee grandiose. Il mondo non l’avrebbe mai capito e così lui ora cerca di costruirne uno a sua misura – è il sogno di Tom, niente più deboli a infestare la sua vita, niente più madri dissanguate in un tugurio Babbano, niente più orfani abbandonati, niente più feccia.
Forse potrebbe aiutarlo, forse potrebbe far parte di quel nuovo mondo. Forse in futuro lo farà, ma non prima di essersi liberato della sua umanità, non prima di aver trovato la risposta alla domanda che lo assilla da settimane.
Quanto può osare?
Tom sfoglia libri oscuri con delusione crescente. Forse rinuncerebbe, se là fuori non ci fosse Grindelwald a ricordargli che la grandezza si conquista con l’audacia.
Tom passa le ore nel Reparto Proibito e ne accarezza le atrocità senza più sentirsi solo.
Anche Gellert avrà paura di morire?


*

La prima volta che apre la Camera dei Segreti, Tom porta con sé tutto ciò che ha collezionato su Grindelwald e lo analizza mentre il Basilisco affamato gli scivola attorno.
I suoi pensieri appena screziati di colore fremono di compiacimento, di scherno, d’eccitazione. Quando manda a caccia la Regina dei Serpenti, pensa con un sorriso beffardo che a Hogwarts hanno paura delle persone sbagliate.
Tom scatena una guerra e scopre il piacere di terrorizzare un’intera scuola – Grindelwald sentirà lo stesso fremito, mentre sottomette al suo volere una città dopo l’altra?
Tom capisce che è arrivato il momento quando entrando nel bagno del secondo piano sente quei singhiozzi sommessi. Tom accarezza la testa del suo Basilisco mentre la ragazza apre la porta del cunicolo e incontra lo sguardo d’oro zecchino della belva.
Tom si concede un sorriso prima di strapparsi l’anima – i suoi pensieri sono straziati da un’ondata di dolore incandescente, il rosso cola dappertutto e qualcosa va in frantumi come vetro, ma lui ride di trionfo quando crolla a terra, cosparso di sudore freddo e finalmente immortale.


*

Tom uccide suo padre per ultimo, per lasciargli il tempo di provare l’ebrezza del puro terrore.
Tom fa saltare la porta dietro la quale si era rifugiato e lo ammazza senza alcun rimpianto, sorride persino un po’.
Non sa ancora se il suo esperimento riuscirà, ma il suo sguardo cade sull’anello che porta al dito, l’anello dei Gaunt, il suo retaggio, e d’improvviso ripensa a Grindelwald e alla sua grandezza, così squarcia la propria umanità ancora una volta.
Rinviene sul tappeto persiano, ha il corpo ghiacciato e le gambe instabili, le ombre attorno ai suoi occhi nere come abissi – ma la sua mente ora è di nuovo calma, niente più stridii di furia, niente più lampi di luce verde smeraldo, solo una calma inumana che ronza di soddisfazione.
Tom si chiede se anche Gellert abbia distrutto il suo passato per avere un futuro.

*


Tom si infila nell’accampamento appena prima dell’alba, danzando tra le ombre senza fretta. Inganna le guardie con un sussurro e scivola, scivola come un serpente – il Basilisco, a volte, gli manca, gli manca sedere tra le sue spire accarezzando con la punta delle dita quel diario che mormora fioco, con costanza, l’inflessione vuota della sua rabbia.
Quando Tom viene catturato, si arrende senza una parola. Ha un sorriso freddo inciso in viso e le guardie non capiscono che non l’avrebbero mai visto, se lui non lo avesse voluto.
In piedi nel vento gelido, Tom osserva la grande tenda rosso rubino. Attende celando l’impazienza dietro un sorriso cortese, ma i suoi pensieri appena screziati di colore si mischiano, si inarcano d’aspettativa, febbrili, irrequieti, onde di nero cobalto che circondano fiamme danzanti.
Dall’interno della tenda, sente il raschiare di una piuma, i mormorii incerti del soldato, improvvisamente spaventato – la belva nel suo cuore esplode di gioia, Tom ha il petto invaso dal tepore e vorrebbe ridere fino a non avere più fiato.
Una nota cristallina si leva, autoritaria. È la sua voce, nessun dubbio.
Una sedia raspa il terreno brullo, passi misurati, fruscii di stoffa. La tenda si apre e sulla soglia si staglia Gellert Grindelwald.
Tom ha sempre desiderato dargli un volto, così beve i suoi lineamenti con un’insistenza che sfocia nella scortesia.
La vecchiaia l’ha toccato ben poco, Grindelwald ha la pelle d’alabastro e tratti taglienti e diritti che formano un viso da cui è impossibile distogliere lo sguardo. Gli occhi sono verdi come quelli di un gatto, le labbra morbide ne fanno risaltare la bellezza affilata come un coltello. Il tempo ha avuto la meglio soltanto sui suoi capelli, riccioli candidi come la neve gli crollano fino alle spalle.
Tom lo guarderebbe per mesi, ma cerca di riacquistare un briciolo di controllo per sfuggire al pericolo – ma Tom non ha paura, Tom non ha più paura da tanto tempo, non dopo aver dormito tra le spire di un Basilisco, non dopo aver visto il corpo della ragazza cadere a terra con un tonfo sordo che sembrava musica, non dopo aver massacrato la sua famiglia, non dopo essersi spezzato l’anima, non ora che ha una vita immortale davanti.
Tom sorride del suo sorriso senza inflessioni e i suoi colori suonano gli accordi di qualcosa che forse potrebbe essere definito felicità.
Gellert gli rivolge un’occhiata fredda.
“Der
Störenfried, ist er ein Knabe?”
La sua voce gronda biasimo, i pensieri di Tom vibrano di miele e veleno in una sinfonia assordante.
“Le tue guardie non si sarebbero nemmeno accorte di me, se io non lo avessi gradito.”
Gli occhi verdi di Grindelwald scattano nei suoi con rinnovato interesse. Abbandona la soglia della tenda e gli si para davanti.
Profuma di menta.
“Non sento parlare inglese da tanto tempo... Tu saresti?”
Tom sfoggia la sua espressione di trionfo e studia Grindelwald mentre il silenzio si dilata, carico d’elettricità – lo guarda e gli sembra di ritrovare un vecchio amico, il suo conforto nei momenti più bui, la sua fonte di ispirazione, il genio senza volto che lo ha condotto verso strade inesplorate, verso mondi in bianco e nero nemmeno mai immaginati, il tiranno che ha screziato i suoi pensieri di colore.
Tom sbatte le ciglia una sola volta, mentre affila un sorriso.
“I nomi sono qualcosa di importante, Grindelwald” la sua voce è appena più bassa del normale, “Vengo da lontano. Vengo per imparare.”
Gellert lo osserva col capo inclinato, i riccioli appena smossi dal vento, e Tom si rende conto all’improvviso di aver sbagliato ogni cosa, quando quegli occhi verdi lo scavalcano con freddezza.
“Questa non è una scuola, straniero” calca quella parola con forza, l’inflessione tedesca gli conferisce un suono quasi brutale, “Nehmen ihn heraus.”
Tom strattona il braccio dalla presa del soldato, soffiando a denti stretti. Grindelwald si concede un breve sorriso di divertimento, e Tom pensa con rabbia e una punta di nostalgia al Basilisco, al terrore sul volto di suo padre, alla diffidenza dello straccione Gaunt – ma Tom non è più a scuola, dove bastava una sua parola per suscitare timore e rispetto in egual misura, Tom è solo un ragazzo con l’anima a brandelli al centro di una guerra non sua, sogni che bruciano e mondi in bianco e nero che entrano in collisione con la realtà.
“Se avessi voluto una scuola, sarei rimasto a Hogwarts” sibila, nel tentativo di prolungare la conversazione – e Tom si ritrova d’improvviso a odiarlo, perché Tom non ha mai dovuto faticare per sedurre nessuno, Tom non ha mai nemmeno dovuto chiedere.
Gellert si immobilizza quando è già sulla soglia della tenda, le sue spalle si irrigidiscono e le sue dita si serrano ad artiglio. Si volta a guardarlo come se non potesse credere a chi ha davanti, con un gesto secco ordina ai suoi soldati di lasciarlo andare.
Il sorriso è sfiorito sul suo volto, chiude un istante gli occhi prima di parlare.
“Puoi restare.”


*

Tom segue la campagna militare senza troppo interesse, sono giorni piatti, scontri insignificanti con la resistenza, nulla di troppo avvincente – niente città rase al suolo dal fuoco mentre l’alba squarcia il cielo, nessun esercito di Inferi.
Tutta la sua attenzione è concentrata su Grindelwald, sulla sua figura slanciata, inconfondibile col mantello nero drappeggiato sulle spalle e i capelli candidi sempre smossi dal vento.
Tom segue i suoi movimenti come un gatto e misura la propria pazienza luna dopo luna.
Grindelwald non gli ha più rivolto la parola da quel mattino, ma ogni volta che Tom compare nel suo campo visivo il suo volto senza tempo si contrae in una smorfia rabbiosa.
Tom non ha fretta, si è appena diplomato ed è senza un futuro – i suoi pensieri in bianco e nero esplodono di colori ogni volta che assiste ad un’esecuzione, ogni volta che la voce di Gellert frana ordini e sentenze in quel tedesco così sferzante, ogni volta che il sangue di qualche traditore schizza sul terreno cosparso di brina in un silenzio surreale da altro mondo.
Tom cammina per l’accampamento come un fantasma nel regno dei morti, solo che Tom non può più morire.


*

Grindelwald lo invita nella sua tenda una sera di un giorno qualunque.
I pensieri di Tom arpeggiano soddisfazione e curiosità, spirali cremisi su uno sfondo di ombre.
L’arredamento è essenziale, un letto in un angolo, un divano di broccato rosso sangue, una scrivania d’ebano, diverse piante di menta e qualche candela a mezz’aria, Tom lo liquida con la sua solita indifferenza e si avvia senza aspettare un invito verso Gellert, abbandonato sui cuscini.
Quegli occhi verdi lo studiano con una punta di divertimento, un ampio sorriso gli spunta sulle labbra.
“Il mio giovane straniero desideroso di imparare... accomodati.”
Tom si siede senza levargli un attimo gli occhi di dosso.
Ricorda la sua vita quando ancora non si era fatto a pezzi l’anima e pensa a Gellert, Gellert senza volto che gli faceva compagnia mentre sfogliava un libro dopo l’altro alla ricerca del segreto per vivere per sempre.
Tom sorride di rimando.
“Sono lieto di essere qua.”
Grindelwald si raddrizza sul divano, ha una luce irriverente negli occhi e d’improvviso non sembra affatto il mago straordinario che ha rovesciato una nazione in nome di ideali di perfezione – “Per il Bene Superiore”, Tom ne è affascinato, cambierebbe soltanto una parola.
“Ma davvero?”
“Potresti insegnarmi molto.”
Tom è sopra un terreno cosparso di mine e mente perché non è disposto a cedere la verità – Tom ha attraversato il mare e una terra devastata dalla guerra non per imparare, Tom ha abbandonato i suoi pochi progetti soltanto per dare a Grindelwald un volto, ed è una debolezza che non è disposto ad ammettere nemmeno in quei suoi pensieri che fremono di nostalgia.
Gellert si lascia sfuggire una risata con un filo di malizia.
“Non mi hai nemmeno detto come ti chiami.”
“Tom.”
La risposta è ghiacciata – Tom odia usare il nome di suo padre, Tom riesce a sopportarlo soltanto pensando a come lo ha ucciso.
Grindelwald inclina il capo verso sinistra mentre lo studia, si sfiora lentamente le labbra con un dito.
“Hogwarts, quindi? Silente dev’essere stato un tuo insegnante. Il salvatore che tutti invocano, per certi versi...”
Il riferimento al suo vecchio docente stupisce Tom, si ritrova a fissare Gellert alla ricerca di una trappola, di una bugia, eppure trova soltanto quel sorriso così ampio, così candido.
Tom si irrigidisce nell’improvvisa consapevolezza di aver abbandonato ogni circospezione – ma Tom dovrebbe ricordare di conoscere soltanto il tiranno dei ritagli di giornale che incendia le città appena prima dell’alba e fa sorgere i cadaveri dei suoi avversari per trionfare, Tom dovrebbe ricordare che non sa niente del Gellert dai riccioli bianchi come la neve e il sorriso insinuante.
“Silente è un grande mago. Così dicono” concede con cortesia, studiando le pareti di stoffa scarlatta della tenda.
Con la coda dell’occhio gli sembra di vederlo trattenere una risata.
“Ritieni che dovrei temerlo?”
C’è un inspiegabile divertimento nella voce di Grindelwald – i pensieri di Tom colano inchiostro nero e veleno cangiante, arde di curiosità, frena le parole di comando appena prima che gli scivolino via dalle labbra.
“No. Silente è un debole. Silente non sarebbe mai stato in grado di arrivare dove sei tu ora.”
Contro ogni previsione Grindelwald scoppia in una risata scomposta, una mano dalle dita pallide a nascondere la crocchia dei denti, il capo crollato all’indietro.
Tom non si muove di un millimetro, gli occhi blu come lividi fissi sul suo volto. I suoi pensieri sono muti, una distesa immensa di nero, di tenebra.


*

Tom preferisce quando Gellert gli chiede di accompagnarlo in giro per l’accampamento che non le serate passate nella tenda rossa – in pubblico Gellert ha l’espressione altera, gli occhi freddi e parla in quel tedesco spietato che lui non comprende.
Tom lo ascolta quando tiene i suoi discorsi e, anche se non ne capisce neanche una parola, percepisce il fascino, l’innovazione, la necessità di trasformare i suoi sogni in realtà. Tom ha pensato tante volte che il Mondo Magico avesse bisogno di essere epurato, Gellert vorrebbe rovesciare lo Statuto di Segretezza in favore di chi possiede la magia – l’unico difetto di Gellert è che non ha realizzato che anche il loro mondo è intaccato dal marciume, ma Tom è disposto a perdonarglielo, Tom è disposto persino ad aprirgli gli occhi.
Gellert non è come lui lo immaginava, ma quando sono in pubblico Tom quasi se ne dimentica. Gellert tortura e uccide senza piacere, ma per Tom quelle grida che si spengono sono musica.


*

Tom si è chiesto tante volte quanto lui e Grindelwald siano simili, così una sera si volta a guardarlo dritto negli occhi e glielo chiede.
“Hai mai avuto paura di morire?”
È la prima volta che Gellert pare a disagio, Tom prova un piacere sottile nel vedere le parole spezzarsi sulle sue labbra morbide, nell’osservare quel volto così autoritario preda dell’angoscia – da un po’ di tempo teme che Gellert non sia ciò che pensava, i suoi pensieri soffiano cautela e un preludio di delusione.
“Non c’è niente da temere nella morte. Un tempo, forse, io...”
La voce di Grindelwald è incerta, sembra perso in ricordi lontani.
Tom schiude le palpebre color lavanda e sospira piano per scacciare il veleno.
“Non hai mai desiderato di non morire mai?”
Gellert gli lancia un’occhiata indefinibile, la linea della sua mascella si contrae all’improvviso per uno spasmo di rabbia, Tom nota i tendini della mano in rilievo e sfodera il suo sorriso più seducente, come se volesse fargli indovinare il vuoto dentro di sé.
“Un tempo.”
Un tempo è già qualcosa, mormorano i colori di Tom.


*

Una notte di luglio i ribelli attaccano a sorpresa, Tom scivola fuori dalla sua tenda e rimane seduto su una collina poco distante ad osservare gli uomini morire. Non è la sua guerra e non intende combattere, ma non può fare a meno di studiare la crudeltà di Gellert da vicino – ogni volta che Gellert uccide è la schiena di Tom a essere artigliata dai brividi, sono le sue dita che fremono per la smania di stringere quelle mani da assassino.
La battaglia infuria per ore, Tom assiste immobile, i pensieri vibranti di rosso e viola, scoppi di luce dietro le sue palpebre socchiuse.
Ascolta le grida, guarda il fuoco mordere il profilo della città poco distante, belve incandescenti devastano i palazzi e le persone, cumuli di macerie arroventate attraversano il cielo come meteore.
Tom cerca Gellert in quell’inferno di fiamme e gli si avvicina, quando persino i suoi luogotenenti sono troppo terrorizzati anche solamente per guardare.
Gellert ha la furia stampata in viso e dalla sua bacchetta guizzano sfingi e Basilischi dagli occhi di brace, un incendio mortale.
Tom guarda il suo profilo affilato come una lama, la sua pelle sfumata di rame alla luce delle fiamme, e sorride di autentico piacere, brividi sfrenati lungo la schiena.
“Uccidili tutti, tutti quanti.”
Gellert distoglie di scatto lo sguardo dalle belve maledette e lo guarda come se non l’avesse mai visto, lo sconcerto della sua espressione produce una nota dissonante nei pensieri soffusi di languore di Tom.
Richiama l’Ardemonio in pochi attimi, lasciando una devastazione di braci e cenere, spirali di fumo che si inarcano verso il cielo d’oro pallido dell’aurora.
Tom sorride al terreno sterile e a quegli occhi verdi sgranati.
“Mi insegnerai a evocarlo?”


*

Il volto di Tom si fa più scavato, i capelli neri crescono e gli sfiorano le guance scarne. Le ombre attorno ai suoi occhi bui si addensano, ma lo rendono soltanto più attraente.
Tom siede sul divano rosso sangue e ascolta il ticchettare della pioggia sul terreno ghiacciato, mentre aspetta che Gellert ritorni con vaga apprensione.
Un sorriso senza inflessioni gli si inarca in viso quando lo vede entrare, il mantello nero che ne sottolinea la figura slanciata, i capelli fradici e l’espressione fredda che Gellert non ha mai quando sono soli – i pensieri di Tom si tingono di piacere, sa di preferire all’uomo che ride troppo per mascherare i rimpianti il dittatore che trascina le folle con il suo carisma, che convince le persone a morire per i suoi ideali senza dover nemmeno chiedere, che condanna a morte i disertori e se ne occupa di persona.
“Trovato l’intruso?” mormora, osservando Gellert che si leva gli indumenti bagnati senza un briciolo di pudore, la pelle bianca appena umida – Tom pensa a come sarebbe passare la lingua su quelle scapole affilate e a come sarebbe insegnargli a non temere la violenza nel suo cuore.
“Sì. Nulla di preoccupante, l’ho lasciato andare.”
La sinfonia nella testa di Tom si arresta con stridii di disapprovazione, rabbia, insoddisfazione, disprezzo – debole, frusciano i suoi pensieri, e Tom non lo può sopportare.
“Avresti dovuto massacrarlo.”
Gellert si volta udendo la veemenza nella sua voce, ha sulle labbra quel sorriso divertito che Tom sinceramente detesta.
“Non era una minaccia.”
“La compassione è per i deboli!”
Grindelwald inclina il capo come fa sempre quando vuole guardarlo meglio, mentre finisce con calma di vestirsi.
“E la crudeltà la apprezzano soltanto gli idioti. Suvvia, Tom, sei un ragazzo intelligente... Una volta che avrò vinto, questa terra dovrò governarla, e mi odiano già in troppi.”
Tom scatta in piedi, è accecato dalla rabbia – Gellert non è quello che pensava, Gellert non è altro che una persona debole che ha avuto le intuizioni giuste, e Tom lo odia, lo odia smisuratamente, perché ha appena fatto a brandelli l’unico amico che lui abbia mai avuto.
Quegli occhi verdi lo deridono appena, il sorriso si fa più ampio.
“Perché sei venuto qui, Tom? Non mi hai mai chiesto di insegnarti niente. Una piccola magia, d’accordo... Ma nient’altro, nessuna ideologia... Stai imparando qualcosa, qui con me?”
Tom ha imparato che la realtà non regge mai il confronto con la fantasia, ma resta in silenzio.
Tom lo vorrebbe fare a pezzi perché ha fatto crollare tutti i suoi sogni – sogni di un mondo in bianco e nero, di un mondo nuovo, sogni di immortalità condivisa, sogni di unghie conficcate in quelle spalle aguzze, sogni di baci rabbiosi nella luce ardente di una città arsa dal fuoco.
Tom ha sempre saputo che è meglio essere soli.
“Credo che tu non mi abbia mai detto ciò che volevi veramente, Tom.”
Tom si conficca i denti nelle labbra per contenere la rabbia, ma le sue allusioni lo riportano indietro, a un altro grande mago che non l’ha mai apprezzato davvero, che ha sempre diffidato di lui, e Tom si chiede come, come, abbia potuto considerare Grindelwald uno spirito affine.
“Parli proprio come Silente!”
Gellert gli rivolge un’occhiata glaciale, i suoi occhi verdi si affilano.
“Forse dovrei torturarti, questo Albus lo farebbe?”
Tom si immobilizza al centro della tenda, folgorato, mentre Grindelwald si lascia sfuggire un sospiro di rabbia per aver parlato troppo – i pensieri di Tom sono neri come abissi e sibilano sospetto, furia, tradimento.
Tom si rende conto all’improvviso che non hanno mai parlato davvero, erano tutte bugie e trappole e omissioni, e nessuno dei due si è mai mostrato fino in fondo, si sono solamente accerchiati e studiati come potrebbero fare due predatori di specie diverse, così Tom perde la testa per la prima volta in vita sua e gli si avventa contro.
Gli artiglia il collo con le unghie e gli frana addosso, Gellert scoppia in una risata sfrenata mentre crollano a terra. Tom lo vorrebbe ammazzare a mani nude, ma si limita a spaccargli un labbro con i denti nel tentativo di soffocare quella risata così forte, così piena.
Le labbra di Grindelwald sono morbide e sanno di pioggia e menta e sangue, e Tom per un attimo ha nostalgia del tiranno senza volto con cui una volta, tanto tempo prima, ha desiderato creare e distruggere mondi in bianco e nero.
Tom si scosta da Gellert mentre sta ancora ridendo, riverso sul terreno brullo, la luce delle candele che disegna strane ombre sul suo volto – ma Tom sa che lo ricorderà sempre col viso stravolto dalle fiamme del fuoco maledetto, gli occhi verdi consumati dalla rabbia e nessun sorriso.
Tom gli volta le spalle di scatto.
“Ich habe die Liebe gekostet, und nun mir bleibt nichts” gli grida dietro Grindelwald, la voce
spezzata dalle risate.


*

Tom guarda per l’ultima volta l’accampamento lontano, la grande tenda rosso rubino.
L’estate è finita e lui tornerà a casa meno umano che mai – Gellert ha seviziato quel poco che restava, quel Gellert dagli occhi verdi e dalle ciglia lunghe così diverso dal tiranno in bianco e nero dei suoi pensieri, quel Gellert fatto di risate e bugie.
Tom intende dimenticare cosa voglia dire avere un amico, Tom vuole cancellare ogni sbavatura di colore dalla sua mente densa di ombre.
Tom torna a Londra e persevera nei suoi sogni d’immortalità – ci aveva quasi ripensato, guardando la cenere nei capelli di Gellert, sentendolo parlare di dominio, sottomissione, un mondo nuovo.
Tom non pensa quasi più a quell’estate in Germania.
Alcuni mesi dopo, viene a sapere che Silente l’ha sconfitto – la musica dei suoi pensieri è un mormorio di sottofondo, appena un lampo di colore in un universo di tenebra.
Si chiede se l’abbia ucciso.
Tom si guarda nello specchio con gli occhi vuoti di sempre e non sorride. Si sistema il colletto della tunica ed esce per andare dalla signorina Smith.
Non farà lo stesso errore di Grindelwald.


*

Quando trova quella fotografia tra le rovine, Lord Voldemort quasi non crede ai suoi occhi. La rabbia per essersi lasciato sfuggire Potter si dissolve in un istante, sostituita dall’esaltazione per aver finalmente scovato il ladro di cui conosceva soltanto il volto dai ricordi sottratti a Gregorovich – quegli occhi, quella risata, tra le dita la bacchetta più potente al mondo rubata, un balzo giù dalla finestra per fuggire.
In piedi nella stanza squarciata dalla magia, con la neve che fiocca attorno a lui, Lord Voldemort fissa la cornice rotta con la stessa intensità che cinquant’anni prima riservava a Grindelwald durante i suoi discorsi.
Come ha potuto non riconoscerlo?
Aveva sempre pensato che il tempo non lo avesse scalfito di molto, ma guardando l’immagine animata si rende conto di essersi sbagliato. Il Gellert ragazzo non aveva lineamenti così taglienti, i suoi capelli erano più lunghi e ancora dorati, l’espressione indolente non aveva niente del sorriso freddo del Mago Oscuro che ha conosciuto.
Gli occhi però sono gli stessi e Lord Voldemort non si capacita di non averlo intuito prima.
Non ricorda nulla della Bacchetta di Sambuco, eppure deve averla vista – ma Tom non vedeva altro che quelle dita pallide, l’Ardemonio che ne scaturiva.
Nella fotografia, Grindelwald sorride con malizia. Con un gesto pieno di rabbia, Lord Voldemort la scaraventa nella neve e si solleva in volo alla volta di Nurmengard.
Sa che se Gellert dovesse ridere anche una sola volta lo ucciderà.



Note dell’Autrice

Allora, se devo essere del tutto sincera con voi lettori ho l’impressione di non aver proprio dato il meglio di me, ma questo mi capita sempre quando scrivo una storia di getto, quindi lascio il giudizio a voi.
Penso che la perplessità più grande si possa avere riguardo a Tom. Io ho immaginato che fosse in un certo senso ossessionato da Gellert, ne sente parlare fin da ragazzino e si immedesima in lui. La sua delusione non è dovuta al fatto che non potrà restare con Gellert e costruire un “mondo in bianco e nero” (se anche fosse rimasto, la sua natura solitaria avrebbe presto prevalso e se ne sarebbe andato), ma al fatto che Gellert non è ciò che pensava, non è simile a lui, e Tom si sente tradito da se stesso: non l’ho specificato volutamente perché Tom non ha questo livello di consapevolezza emozionale. Durante tutta la storia, Tom si fa trascinare dal richiamo di quest’ossessione, ma appena si rende conto che Gellert non è affatto come lui credeva l’illusione si spezza.
Spero si capisca anche che Tom rimane deluso da Gellert perché quest’ultimo non è crudele, è troppo “umano”, non è come lui. E infatti è Tom stesso ad ammettere di preferire il Gellert che si mostra in pubblico, freddo e spietato. Allo stesso modo, quando verso il finale pensa che non farà lo stesso errore di Gellert, prende le distanze da lui andando a corteggiare la signorina Smith per ottenere la Coppa di Tassorosso (sapendo benissimo che, dopo averla ottenuta, la ucciderà).
Per quanto riguarda Gellert, invece, spero sia chiaro che all’inizio ha permesso a Tom di restare soltanto perché attirato dal fatto che abbia studiato a Hogwarts e quindi conosca Albus, infatti ne parlano spesso. In ogni caso, ne è incuriosito, ma tra i due non si instaura mai un vero rapporto perché manca la fiducia e perché, be’, Tom è un sociopatico (di fatti non parlano né di Doni né di Horcrux, che sono un po’ i rispettivi segreti).
Chi mi conosce noterà che Gellert non è esattamente il tipo frizzante che descrivo sempre, questo perché è cambiato ed è adulto – ma soprattutto senza Albus è perduto, feels everywhere. Mi scuso anche se non ho approfondito molto la ‘campagna militare’ di Gellert, ammetto che questa storia vuole essere più simbolica che altro e infatti va molto ad immagini.
Qualche precisazione di carattere temporale: la storia è ambientata nel 1945, subito dopo che Tom ha finito la scuola, e prima del duello tra Gellert e Silente. Il passo finale si svolge durante ‘Harry Potter e i Doni della Morte’.
Sicuramente sembrerà un po’ forzato che Voldemort non abbia riconosciuto Gellert fin dal principio, dai ricordi strappati a Gregorovich, ma solo quando si ritrova la fotografia tra le mani, ma sono passati quasi cinquant’anni e Gellert faceva parte di quel poco di umanità che Voldemort ha insistentemente distrutto per tutta la sua esistenza.
Per le frasi in tedesco (fatte tradurre da una mia amica perché io non ne capisco niente), ecco le traduzioni:
“Der
Störenfried, ist er ein Knabe?”: “È un ragazzino, l’intruso?”
“Nehmen ihn heraus”: “Portatelo via.”
“Ich habe die Liebe gekostet, und nun mir bleibt nichts”: “Ho già assaggiato l’amore e non mi è rimasto niente.”
Le prime due le ho scritte in tedesco perché Gellert con i suoi luogotenenti sicuramente parla in quella lingua e l’ultima perché Gellert ha il gusto del dramma, ma abbastanza buon senso da desiderare di non farsi capire.
Bene, spero vi piaccia!

Un bacio,
Mary

 

  
Leggi le 14 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Harry Potter / Vai alla pagina dell'autore: Mary Black