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Autore: Alsha    22/03/2016    6 recensioni
[A silent voice]
| A silent voice / Koe no katachi | Ishida Shoya!Centric | Shoya x Shoko |
Con il passare del tempo, Shoya ha guardato casa sua cambiare significato ai suoi occhi.
°°°°°
La storia partecipa al contest "Segui il sentiero dorato" indetto sul forum di EFP da Shizue Asahi
Genere: Malinconico, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Partecipante al contest "Segui il sentiero dorato" indetto da Shizue Asahi sul forum di efp.

 
(SWEET) HOME
 
 
“Non c’è nessun posto come la propria casa.”
_da “Il mago di Oz”_
 
 
Shoya ha sei anni, e la sua casa equivale un po’ ad un parco giochi: ci sono le scale da fare di corsa, e tutti i mobili per lui altissimi su cui arrampicarsi. Ci sono lo specchio per esercitarsi con le boccacce da mostro per poi spaventare la mamma nascosto nell’armadio e il parquet levigato dove scivolare; c’è il negozio di mamma e papà, dove può andare a farsi riempire di complimenti dai clienti e…
 
La scivolata lungo il corridoio si interrompe bruscamente, i piedini da bambino nei calzettoni troppo grandi incespicano.
 
La mamma è ferma davanti alla porta chiusa del salone, dalla sua posizione si intuisce che le mani le coprono il volto.
 
-Ah, ti ho preso! – Shoya viene sollevato dalle braccia della sorella che lo stringono al petto per fargli il solletico, ma che si bloccano subito. Anche lei deve aver visto la madre ferma davanti alla porta e la macchina di papà passare davanti alla vetrina per sparire nel buio della sera.
 
-Dove sta andando papà? – la voce di sua sorella arriva da vicino al suo orecchio e gli fa pizzicare la pelle, ma Shoya non si gratta. Anzi, non si muove proprio, resta lì, sospeso come una bambola di pezza a fissare quella porta chiusa, e la mamma tanto fragile che sembra di vetro.
 
-To-Torna presto. – gracchia mamma, senza voltarsi – Voi n-non preoccupatevi. Pre-pariamo la c-cena.
 
Shoya ubbidiente scalcia per farsi mettere a terra, prende la mano della sorella e la trascina via verso la cucina.
 
La sua casa non gli è mai sembrata tanto triste.
 
[Non tornerà mai. La mamma continuerà a piangere in silenzio la sera ancora per qualche mese, sua sorella farà lo stesso. E suo padre non tornerà mai più.]
 
 
 
È rientrato a casa tutto sbucciato e sporco di sangue, ed è rientrato solo.
 
Lo hanno picchiato, Shimada e Hirose, quei due bastardi maledetti. Credono forse che riempirlo di botte faccia svanire le loro colpe?
 
Maledetti.
 
Non entreranno più nella sua camera, possono dire addio ai suoi fumetti e ai suoi videogiochi.
 
E i dolci, tutti quei dolci, solo per lui. Se li caccia in bocca uno dopo l’altro, sbriciolando sui libri e i quaderni di scuola, sulle assi di legno, li ingoia tutti uno dopo l’altro. Lo sguardo è rivolto al soffitto della sua tana, poi alle pareti e al pavimento colmo di oggetti.
 
Lo hanno tradito quei bastardi, ma a lui non importa. Non gli importa più di niente.
 
Trangugia ancora i dolci, tutti per lui, tutti, finché lo stomaco non gli fa male, gli occhi gli bruciano per il dolore e cerca di ripetersi ancora che sta meglio senza quegli idioti traditori.
 
Sua madre lo chiama, chiama anche Hirose e Shimada pensando che siano lì con lui.
 
Si rannicchia sul pavimento, scavandosi una tana tra gli oggetti abbandonati e scoppia a piangere.
 
Umiliante, per qualcuno come lui, estremamente umiliante. Ma può permetterselo, è a casa adesso.
 
[Sua mamma lo troverà così dopo ore, con il viso congestionato dal pianto e gli occhi chiusi dal sonno. Non gli chiederà mai il perché.]
 
 
 
Rientrando a casa dalla scuola ha trovato sua sorella rannicchiata sul suo futon con il viso nascosto contro le ginocchia.
 
-Sho-chan, Sho-chan! – pigola.
 
Non la vedeva così fragile da quando hanno visto la macchina di papà allontanarsi nella notte, e non sa cosa fare.
 
Fosse stato il bambino di qualche mese prima avrebbe trovato una scusa e sarebbe scappato via, ma quel vecchio Shoya è nascosto da qualche parte, e adesso lui si può permettere di sedersi accanto alla sorella come un tempo, spalla a spalla, aspettando la sua confessione.
 
-Pe-Pedro se n’è and-dato! – singhiozza, e Shoya si stupisce, perché sua sorella non si è mai lamentata per la sparizione di un fidanzato, figuriamoci piangere – Se n’è andato! – strilla ancora – È tornato in Brasile! Mi ha lasciato sola appena ha saputo del bambino!
 
Si richiude su sé stessa e tace, dando il tempo a Shoya di metabolizzare la notizia.
 
Sua sorella è incinta.
 
Di Pedro.
 
Che se n’è andato.
 
Un altro bastardo traditore, come suo padre, come i suoi compagni di scuola, pensa.
 
La stringe in una abbraccio un po’ goffo.
 
-Cosa ce ne facciamo di lui? Ci sono io, che sarò lo zio migliore del mondo! – affonda il naso contro il suo collo proprio come quando erano piccoli e andava ancora tutto bene – Questa sarà anche casa sua, va bene?
 
[Quasi nove mesi dopo si troverà in ospedale a calmare la madre pallida per la tensione, tanto nervosa che il primo a prendere in braccio una bimba dalla pelle color caramello sarà lui, come sarà lui a insegnarle a camminare, e a prenderla dall’asilo quando sua sorella non potrà.]
 
 
 
Casa sua non è mai stata così piena di gente. È claustrofobico, quasi.
 
Nagatsuga, Ueno, Mashiba e Kawai… Sono tutti lì, a casa sua, e lui si accorge di non volerceli.
 
Shoya sorride teso, li osserva discutere, pianificare, muoversi come se quella fosse casa loro, come se ci fossero sempre vissuti… Mashiba prende in braccio Maria come se nulla fosse e fa domande, come se fosse affar suo.
 
E invece quella è la sua nipotina, la sua Maria, in casa sua, nella sua cucina.
 
E quelli continuano a parlare, e vorrebbe vomitare perché è come se lui non contasse più. E non conta, non conta davvero, perché se Shoya avesse qualche importanza avrebbero almeno considerato la proposta di far entrare Nishimiya nel film, no?
 
No?
 
-Per Nishimiya c’è qualcosa?
 
No.
 
Lo guardano come se fosse lui l’estraneo.
 
[Si sentirà fuori luogo tutto il pomeriggio, e la sensazione di essere fuori posto non svanirà per tutto il giorno successivo. Anche il suo ultimo rifugio è crollato.]
 
 
 
Gli era mancata casa sua, gli era mancata tantissimo.
 
È tornata ad essere il suo rifugio, dopo l’ospedale. Le ferite fanno ancora male, ma almeno può stare nella sua camera (“sua” per davvero, non come quella asettica e piena di macchinari in cui lo hanno tenuto fino a poco prima), pranzare nella sua cucina ad un tavolo vero, prendere un po’ d’aria nel suo giardino.
 
Che bello ribadire continuamente che quello che lo attornia è “suo”. Se non in senso materiale in senso affettivo, ovviamente, ma tutta quella familiarità lo fa sentire tanto bene che deve ribadire costantemente che ciò che lo attornia è suo.
 
Suo il libro di scuola, sua la tazza per la colazione, sua la sorella che abita nella camera di sotto.
 
Dà assuefazione.
 
Sua la stanza, suo il futon che vi sta dentro, sua la nipotina che ci sta stesa con lui.
 
Sua la madre che lo chiama al piano di sotto.
 
Già sua madre che…!
 
Si tira in piedi prendendo Maria in spalla, scende con uno zombie per le scale (sue! Sue anche quelle!) e si trova casa invasa dalla famiglia Nishimiya.
 
E va bene.
 
Anche loro sono sue in qualche modo, ora.
 
[Passerà una delle serate più strane della sua vita, mancherebbe solo sua sorella per sentirsi a casa veramente. Ma starà bene, anche quando si troverà davanti a sua madre e alla signora Nishimiya mezze ubriache a inveire contro i rispettivi ex mariti, anche quando sarà costretto a mettere con la forza la signora Nishimiya sull’auto della vicina di casa venuta a prenderla, anche quando chiamerà Shoko per nome dandole la buonanotte e lei in risposta gli indicherà la luna.]
 
 
 
C’è Shoko sveglia seduta al tavolo della cucina, un bicchiere d’acqua fresca alle labbra.
 
Ha una mano ferma sul pancione. Il bambino che ancora deve nascere si agita spesso, è impaziente di conoscere la sua stupenda madre.
 
C’è Shoya che è fermo sullo stipite della porta, tutto stropicciato, in attesa di vedere quando sua moglie si accorgerà di lui.
 
Ma è lui che non si accorge dello sguardo intenerito di Shoko, perché è troppo preso a pensare a quel bambino (o bambina, magari sarà una splendida bambina!) che correrà nei suoi stessi corridoi, inseguendo magari un fratello o una sorella.
 
E non vedrà nessun padre sparire oltre la porta del salone da parrucchiere che ora è dei suoi genitori, non rientrerà fiero di qualche bravata inutile e pericolosa, non avrà nessuna piccola nipotina di cui prendersi cura come fosse già adulto, ma al massimo con la spensieratezza della sua età quando una delle sue zie dalla pelle ambrata presenterà loro un cuginetto.
 
Sarà un bambino felice, che parlerà con il linguaggio dei segni e avrà una madre bellissima e dolce ed un padre un po’ preoccupato che possa passare quello che hanno passato i suoi genitori.
 
O una bambina, pensa mentre Shoko lo bacia teneramente guidando la sua mano verso un piedino che scalcia, magari sarà una bambina.
 
 
 
 
RIFERIMENTI AL MANGA:

 
  • II frammento: vol. 1 – capitolo 3
  • IV frammento: vol. 5 – capitolo 33
  • V frammento: vol. 7 – capitolo 55
  • Shoko che indica la luna nell’ultima postilla in corsivo è un rimando al capitolo 23 (vol. 3), in cui Shoko tenta di dire “mi piaci” a Ishida (suki in giapponese) e lui capisce “luna” (tsuki in giapponese) per i problemi di pronuncia di Shoko.


La storia è basata, secondo i termini del contest, sulla citazione dal libro "Il mago di Oz" che trovate all'inizio. Spero renda onore al bellissimo manga su cui l'ho scritta.
  
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