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Autore: BlueWhatsername    22/03/2016    1 recensioni
" [...] Liam sospirò, divertito. E scosse il capo, senza proferire risposta; sorseggiò ancora il vino, facendosi scorrere sulle labbra l’acre sapore fruttato che faceva da retrogusto. Perché spiegarglielo? L’avrebbe capito da sola, prima o poi.
Tanto valeva aspettare che quella luce bruciasse anche lei: calda come il fuoco, incandescente come il Sole. "
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With true love and affection xxx
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Liam Payne, Nuovo personaggio
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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N.B. PREQUEL DI ‘SUN’, anche se postata dopo lol
 
 
 
 
 
 
Liam respirò a fondo, non riuscendo ad aprire gli occhi.
Era seduto su quella sedia da chissà quanto tempo e ormai il conto dei secondi lo aveva perso.
Tic. Tic.
L’orologio che aveva occhiato sulla parete quando erano entrati solo qualche ora prima scandiva i secondi che il suo corpo pareva regolare con le gocce di sudore freddo che gli stavano scendendo lungo la schiena.
Tic. Tic.
Si mise una mano sulla fronte, avvertendo al tatto la pelle madida e ghiacciata. Aveva la febbre, forse, e ancora non lo sapeva.
Non gliene sarebbe importato un cazzo comunque.
Aprì finalmente gli occhi, sbattendo le palpebre un paio di volte per mettere a fuoco il pavimento asettico ed immacolato dell’ospedale: le piastrelle perfettamente squadrate, col bordo azzurro e regolare, ricamavano un disegno preciso e monotono.
Sollevò il collo, sgranchendo i muscoli e ritrovando vigore nelle braccia addormentate.
Lentamente afferrò il caffè freddo che l’infermiera gli aveva offerto dopo che era quasi svenuto nella sala parto e avevano dovuto accompagnarlo fuori.
Imbecille.
Tic. Tic.
Se lo portò alle labbra: era senza sapore, sgradevole. Lo ripose sulla sedia accanto a sé, mentre tentava di darsi una sistemata ai capelli con le mani.
Respirò a fondo, chiuse gli occhi.
Tic. Tic.
Aveva fatto una pessima figura, ne era consapevole.
Quando a Charlie si erano rotte le acque nemmeno lo aveva creduto possibile. Ritrovarsela in corridoio con le mani tra le gambe era stato divertente – almeno all’inizio – fin quando non aveva notato quella pozza strana che le si andava formando attorno ai piedi.
A nulla erano valsi gli ‘Amore, respira’ perché ‘Ti sbrighi, diamine?!’  e ‘Ci siamo quasi, non ti preoccupare’.
Era stato un susseguirsi di immagini, colori, persone. Volti, mani.
Quando gliel’avevano presa dalle braccia avrebbe voluto gridare, Liam, che quella era la donna della sua vita e che quello lì nella pancia, era il loro figlio.
Loro.
Tic. Tic.
I secondi del tempo che passava non gli lasciavano tregua, rifletté alzandosi.
Erano andato tutto troppo di fretta, ricordò.
Eppure c’era stata l’attesa, quell’interminabile mezz’ora in cui si era diviso tra l’ansia e le telefonate, tra qualche lacrima che era sembrata voler scendere a tutti i costi – preoccupazione? Commozione? Amore? – e le parolacce che gli erano uscite quando aveva lasciato cadere gli spicci del portafogli per tutto il corridoio.
L’infermiera – quella bassina, con la voce melodiosa, quasi timida – lo aveva chiamato, dicendogli che poteva entrare.
Se lo voleva.
Gli era venuto da ridere, ma non lo aveva fatto. Aveva emesso un sospiro profondo da uomo maturo, si era infilato tutina asettica e guanti ed era entrato in quella stanza particolare che – ora sapeva perché – ogni uomo temeva più di qualsiasi altra.
Vedere Charlie stesa e con la fronte madida di sudore, il volto contratto e sofferente gli aveva provocato un dolore così intenso al centro del petto che aveva abbandonato le convenzioni e gli si era subito diretto contro, per prenderle la mano madida e tremante.
Si erano guardati, senza dire nulla.
Liam non avrebbe mai dimenticato la donna ossuta che con sguardo critico osservava in mezzo alle gambe aperte di Charlie dando disposizioni – ordini – a destra e manca: era sicura di sé, i suoi occhi non tradivano alcuna incertezza.
E la odiò, invidiandola.
Avrebbe voluto essere sicuro anche lui come lo era lei, trasmettere quella forza a Charlie che gli era sembrata stremata e dolorante.
‘Vuol dare un’occhiata?’
La donna ossuta aveva parlato proprio con lui, ricordò Liam scuotendo il capo.
E lui aveva detto sì, avvicinandosi dove lei gli indicava.
Poi non aveva visto più niente, solo un senso di nausea alla bocca e quando aveva aperto gli occhi si era ritrovato seduto con un caffè schifoso in mano.
Imbecille.
Mosse qualche passo verso la sala parto. Chiusa.
Si gettò un’occhiata intorno, il cuore che gli martellava tanto forte nella gabbia toracica da rimandargli una forte eco in tutta la testa.
Sarebbe diventato padre.
Suo figlio stava per venire al mondo.
Si deterse la fronte sudata con un polso, mordendosi un labbro a sangue.
Non sentì arrivare la lacrima che gli rigò la guancia lievemente ispida di barba.
 
 
 
 
La prima ecografia.
Charlie è talmente nervosa che nemmeno averle preparato i pancake con la spremuta di albicocca sembra averle dato un po’ di pace. Si muove frenetica da stamattina, non sta un attimo ferma.
Chiacchiera, canticchia, balla per il corridoio tenendo in mano dei panni da stendere.
La guardo e mi meraviglio del suo cambiamento.
Da quando ha scoperto di essere incinta pare quasi che una nuova persona stia crescendo in lei – non solo fisicamente, ma anche spiritualmente. A volte ha sbalzi d’umore senza precedenti, roba da volermi far prendere a testate il muro, ma è adorabile quando solo il secondo dopo si ricrede e viene da me in cerca di un abbraccio.
Un bacio.
Una carezza.
Guardo l’orologio, sorseggiando il mio caffè amaro.
Abbiamo appuntamento tra un’ora in ospedale e Charlie sembra ancora troppo intenta nelle sue cose. Ma dopotutto, ho imparato che se è presa in qualcosa, è meglio che io la lasci stare, che le dia il suo spazio, i suoi tempi. Che la lasci libera.
“Tesoro?” dico soltanto, per tastare il terreno “Ti spiace se prendiamo la tua macchina, oggi? La mia ha qualcosa di strano, forse devo portarla dal meccanico”
La sua testolina curiosa sbuca dalla porta della cucina, un calzino bagnato oscilla tra pollice ed indice gocciolando ovunque.
“No, affatto!” scuote il capo, il viso le si illumina di un sorriso pieno “Dammi venti minuti e sarò pronta!” e scompare nuovamente.
Mi infilo la giacca, allento il polsino troppo stretto dell’orologio, sistemo i capelli allo specchio dell’ingresso.
La prima ecografia.
Che dovrei aspettarmi?
Che dovrei pensare.
Da quando abbiamo iniziato questa nuova avventura, non ho ben capito esattamente come sentirmi.
Se felice – ma quella era scontato.
Se frastornato – come fa un bambino a passarci, lì in mezzo?
Se impaurito – santo Dio, ma che significa che abbiamo avuto il potere di creare la vita?
A volte mi fermo a pensarci e mi rendo conto di quanto sia assurdo. Io, che nella mia vita non ho fatto molto, se non trovare un lavoro dignitoso e costruire una famiglia, proprio io, ho mandato uno spermatozoo a ‘cercare casa’ e, bam!, nasce un bambino. Ho anche io dei rimasugli di biologia, so come funziona la faccenda, ma non è assurdo come siamo fatti noi esseri umani? Da una cosa così minuscola nasce una nuova vita… Come può un minuscolo grumo di cellule diventare un essere umano? Con tutti i sentimenti, le emozioni, le capacità, le parole.
Lo trovo straordinario. Ed esaltante.
Ho già detto a Charlie che ne voglio altri sei o sette, ma lei dice sempre che forse parlo così perché non so cosa siano le nausee mattutine.
Solo tredici settimane – stando ai nostri calcoli - e già si alza col mal di stomaco o mal di testa, nausea. Non sempre, ma ogni tanto la trovo in bagno che respira affannosamente sul lavandino.
Si tiene la pancia. Mi dà l’idea che voglia proteggere cosa ha lì, che non voglia lasciarlo scappare.
E allora io mi avvicino a lei e le accarezzo la schiena, i capelli, le bacio una guancia.
Come ora, che mi passa accanto con un’aria sbarazzina e felice. Infila il cappotto rosso, si dà un’ultima occhiata allo specchio e cattura il mio sguardo con il suo prima di porgermi le chiavi della macchina ed uscire.
Il viaggio verso l’ospedale è breve, conciso. Qualche canzone in macchina, di quelle che piacciono a lei – guido io – e tante risate. Lei canta meglio di me, pure se non gliel’ho mai detto.
La stanza che ci accoglie è asettica, informale. Sedie verdi e un lettino bianco attaccato a dei fili ed un macchinario.
Il dottore che ci accoglie ha l’aria stanca ma tranquilla, ci sorride e ci fa qualche domanda che credo appartenga al suo registro da anni.
Charlie si stende con un sorriso, mi fa un occhiolino quando si alza la maglia e abbassa di poco il livello dei pantaloni.
Istintivamente porto una mano alla sua pelle, con l’indice scorro intorno al suo ombelico facendola ridacchiare.
Mi piace quando lo fa, e adoro anche quando mi manda parole silenziose con lo sguardo, proprio come ora: ti amo anche io, rispondo in silenzio, baciandole la nocca di una mano.
‘Cos’è?’ chiedo poi quando il giovane medico mette una strana sostanza trasparente slla pelle di Charlie .
Lei mi stringe più forte la mano, intrecciando le dita alle mie. I palmi collidono, il sudore si mescola.
“Gel. Forse è un po’ freddo, ma la sensazione svanisce subito…” risponde con calma lui, sorridendo a Charlie e posizionando uno strano affare sulla sua pancia. Immediatamente il monitor a cui è collegato si illumina, rimandando immagini in bianco e nero che non riesco bene a distinguere.
Lo ammetto, non sono uno informato su queste cose, non ne so un accidenti di bambini ed ecografie, per quanto mi riguarda questo tizio potrebbe anche parlarmi di banalità e tanto non lo capirei.
Mi sento un po’ in ansia.
Charlie allunga il collo per vedere, ce la fa ad appoggiarsi sui gomiti e si tira via una ciocca di capelli dagli occhi.
Lascia la mia mano, solo per lisciarmi una guancia. Sorrido, serrandole di nuovo le dita tra le mie.
Ho paura, tra poco avrò un infarto.
Non posso morire senza essere diventato padre, andiamo. Senza aver cambiato nemmeno un pannolino.
Il medico scruta il monitor, muovendo in continuazione quell’affare sul ventre di Charlie: se ne sta in silenzio, assottiglia gli occhi, si mordicchia il labbro.
‘Allora?’ chiedo dopo un po’, col cuore in gola e i polmoni a fuoco.
‘Direi che siamo alla tredicesima settimana’ risponde lui, regalandoci un sorriso radioso ‘Ora se osservate qua potete vedere…’ indica un punto imprecisato dello schermo in cui io non distinguo niente – Charlie è così affascinata dalla cosa che mi sta quasi privando della circolazione per quanto mi tiene forte la mano ‘Un bebè in miniatura, esattamente. E poi…’
La sua voce mi risuona lontana come un’eco distante anni luce.
Mio figlio, allora c’è davvero. Non me lo sono solo sognato.
Quel cosettino minuscolo e tondo – almeno pare a me – diventerà un bambino a tutti gli effetti.
Io do per scontato sia un maschietto, ma chi lo sa. Le scommesse sono ancora aperte, in famiglia.
Avrà due gambette belle cicciotte – spero – e magari la forma degli occhi di Charlie, grandi ed espressivi; spero abbia i capelli del mio colore – sono un po’ narcisista, ma che male fa – e le manine morbide in cui affondare le labbra per un bacio. Non vedo l’ora di conoscere questa nuova vita che sta crescendo e che ci ha già scombussolati anche senza essere presente: che magia è?
Guardo Charlie e mi pare splendida come un raggio di sole che fugge nell’aria.
Ascolta attentamente quello che il medico sta spiegando – tanto me lo ripeterà a casa, lo so – ed i suoi occhi scintillano, vibrano.
E mi asciugo una guancia, mesto.
 
 
 
 
‘Posso aiutarla?’
Liam sobbalzò, portandosi una mano al petto. Deglutì, fissando l’infermiera che lo guardava dubbiosa con un sopracciglio scuro teso verso l’alto: non doveva avere la faccia di un quasi padre, era più plausibile somigliasse a qualche malato terminale, con le occhiaie e la faccia smunta.
‘Io…’ tossicchiò, Liam, facendosi forza ‘Io… Mia moglie sta partorendo, e…’
Un urlo lo riscosse. Un urlo di dolore tanto forte che pareva impensabile qualcuno potesse sopportarlo ed essere ancora vivo.
‘Vuole entrare?’ domandò gentilmente l’infermiera, con fare clinico.
Forse lo credeva pazzo. Come darle torto.
‘Io… ’ dichiarò poi, deciso, accantonando la paura e infilandosi il camice che la donna gli stava porgendo.
Quando si aprì la porta, la prima cosa che vide fu Charlie, il viso contratto di dolore come qualche ora prima ed il sudore che le imperlava la fronte ed il collo, fino allo scollo del camice che stava indossando. Aveva la stessa posizione in cui l’aveva lasciata e due infermieri le stavano tenendo le mani, ai due lati del letto.
Ebbe un tuffo al cuore a vederla tanto sofferente.
I muscoli si mossero in maniera involontaria, le labbra articolare di loro sponte quei suoni che lo guidarono da lei, al suo viso stanco. Al suo respiro affannato.
‘Tuo figlio ci sta mettendo troppo…’ gli ansimò sulle labbra, lasciandosi andare ad un altro gemito intenso di dolore.
Quando Liam la vide gettare la testa all’indietro, la sorresse per i capelli umidi, lisciandole la fronte e sorridendole.
‘Si direbbe un tipetto tosto…’ tentò di scherzare, ridacchiando.
Tosto.
Ora sanno che è un maschietto.
Charlie sbuffò, digrignando i denti e respirando con affanno.
‘Spero non sia stronzo come suo padre’ sbuffò poi con un ansito doloroso ‘O glielo ricorderò non appena mi farà arrabbiare’
Liam le strinse la mano, mormorandole parole all’orecchio di cui nemmeno capiva più il senso: sentiva lo stomaco contrarsi e tendersi ad ogni respiro di lei, ad ogni gemito, ad ogni urlo. Quando la vide piangere, si sentì impotente davvero.
‘Stai andando bene, amore’ le disse allora, seguendo gli incitamenti dell’ostetrica – quella donna ossuta dalle mani velocissime – e guadandola speranzoso.
‘Vaffanculo, Liam’ scandì lei, con un urlo ancora più forte.
Poi si tese, fu come se la sua schiena si fosse allungata troppo per poi adagiarsi di nuovo sul lettino. Charlie chiuse gli occhi, con le lacrime che le rigavano il volto.
Liam si lasciò sfuggire un singhiozzo, e poi un altro ed un altro ancora mentre un pianto nuovo si levava nella stanza. Era un pianto forte, solido, di qualcuno che ha voglia di farsi sentire.
Avrà una bella voce canterina, non poté non pensarlo mentre guardava le infermiere sollevare quel piccolo corpicino per avvolgerlo in un panno e poi passarlo a Charlie, sul suo seno ancora ansimante.
La vide osservarlo con sorpresa, ammirazione. Il faccino piccolo e raggrinzito, il naso tondo, gli occhi chiusi. Le manine serrate, e quel pianto liberatorio che gli stava facendo arrivare chissà quanta aria nei polmoni.
‘Che nome metto?’ chiese qualcuno.
‘Christopher Tobias Payne’ rispose Charlie a quel punto, precedendolo di un soffio.
E solo in quel momento sollevò gli occhi su di lui, scrutandolo con un’intensità che gli fece venire voglia di piangere ancora più forte di come stesse già facendo.
Si chinò su di loro, mentre poggiava la fronte contro la tempia di lei. Chiuse gli occhi, respirando: per un secondo immaginò che non ci fosse nessuno a disturbarli, che fossero solo loro tre. Tre cuori che battono insieme e si promettono amore eterno.
‘Pensavo di morire…’ soffiò poi, tirando su col naso e baciandole la fronte.
Charlie rise, cercando la sua guancia tiepida.
‘Sarà un bell’aneddoto da raccontare, quello dello svenimento in sala parto…’ e lo baciò, delicata. Stanca.
Liam sorrise, asciugandole le ultime lacrime sul volto e sul collo.
Poi si fissò in quel piccolo fagottino ancora raggrinzito e sporco che le infermiere stavano sollevando per lavare e sistemare.
‘Torniamo subito, promesso’ disse una di loro, sorridendo.
Charlie annuì, cercando la mano salda di lui e baciandola.
Liam annuì, a nulla in particolare. Forse all’amore. Forse alla vita.
 
 
 
 
 
 
 
NOTE D’AUTRICE.
Non chiedetemi come mi sia uscita.
Ormai questo ‘bambino orsetto’ è entrato nella mia testa e non se ne vuole andare ed ho talmente tanti prompt per lui che la metà basta :3
So che è una cosa piccola e concentrata, ma spero comunque vi piaccia. Si tratta di una semplice scenetta, di un istante, di un attimo catturato. Ma mi andava proprio di scriverla, e quindi ecco qua. Sfornata in poche ore :3
Con affetto, Blue xxx
 
 


Questa gif è un bonus :3
Per la mia dolce metà <3
 
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