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Autore: Serpentina    22/03/2016    3 recensioni
Ewan Ellis è convinto che per poter ritenere la sua vita davvero perfetta, gli manchi solo una fidanzata. Riassume le caratteristiche della sua donna ideale in un decalogo e non esita a lanciarsi in una serie di appuntamenti ai limiti del surreale, pur di trovarla. Ben presto, grazie anche all'aiuto di una vecchia amica, capirà che ordine e metodo non vanno tanto d'accordo con l'amore!
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Eccoci giunti all’epilogo di questa storia. Spero che vi siate divertiti a leggerla almeno la metà di quanto mi sono divertita io a scriverla. ;-)
Sottofondo musicale: Dani California, Bootylicious e The Zephyr Song(da ascoltare in quest’ordine. Per il gran finale ho voluto strafare).

 

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Epilogo
Di rado va come ci aspettiamo che vada. Per la precisione, mai

Innamoratevi almeno una volta nella vita. Non importa per quanto, come o di chi, ma innamoratevi. È tutto un gran casino, ed è bellissimo.
Charles Bukowski

Il nuovo giorno vide Philip Gage sfiancato da una notte brava (meno di quelle che avevano caratterizzato gli anni newyorkesi, ma pur sempre sfrenata). Come da abitudine, allungò una mano alla sua sinistra per dare uno speciale buongiorno a Sarah; adorava sentirla sussultare dallo stupore, prima di arrendersi al suo tocco e sospirare di piacere quando si insinuava sotto il pigiama e l’intimo. Dopo pochi secondi, tuttavia, si accorse che qualcosa non quadrava: Sarah non era una maggiorata, ma neppure piatta e dotata di tartaruga addominale… per non parlare della strana escrescenza a livello del bacino. La stava tastando per comprenderne la natura, quando una voce maschile biascicò, nel tono tipico di chi ha bevuto troppo e dormito male –Non conoscevo questo lato di te!
Allarmato, il rosso spalancò gli occhi e rimase pietrificato: era sdraiato sul pavimento della nuova casa di Ewan, di fianco a un divertito - e un po’ intontito - Jonathan, e, nota imbarazzante da morire, aveva una mano poggiata sul suo inguine. Inorridito, avvampò e si ritrasse, strillando stridulamente –Oddio! Cosa ci fai qui? Dov’è Sarah? Ma, soprattutto… perché non mi hai fermato prima?
–Perché ero anch’io rincoglionito dal sonno- rispose sbadigliando l’altro. –E, lo confesso… volevo scoprire fin dove ti saresti spinto! Come hai potuto confondermi con Sarah?- aggiunse poi, irritato da quell’involontario vilipendio alla sua virilità.
Philip sbuffò –Bah! Vado a disinfettarmi- si alzò, scavalcò Albert e un tizio biondo dalla corporatura da quarterback, infine, mentre si lavava, replicò ai versacci di disappunto di Jonathan. –Inutile che borbotti: considerato il tuo stile di vita post-Carrie, dovrei sterilizzare la mano in autoclave!
–Esagerato! Manco avessi la sifilide!- protestò l’amico, offeso.
–Potresti. La lesione primaria è una piccola ulcera indolente che scompare spontaneamente in una settimana circa, perciò, se in una zona poco visibile, può passare inosservata- sciorinò  Philip col contegno che usualmente riservava ai pazienti. –Oggi è un giorno importantissimo per Ewan. Ti prego, tienilo nei pantaloni!
–Tenterò, ma non è colpa mia se il gentil sesso ha altri desideri- replicò ammiccando Jonathan. –Non garantisco castità totale, accontentati della solenne promessa che starò alla larga dalle parenti femmine dei miei amici. Parola di scout! Vade retro, tentatrici!
Albert, stiracchiandosi, annunciò di essere sveglio con mugolii molesti, quindi chiese l’ora. Il presunto quarterback - Connor, cugino di Ewan - apparentemente stordito quanto loro, accasciò un avambraccio sulla pancia del fisico, in modo che potesse vedere da solo.
–Cazzo! È mezzogiorno!- esclamò, tutto a un tratto pieno di energie.
–Mezzogiorno? Uffa! Avremmo potuto dormire ancora un paio d’ore, tanto siamo maschi, ci mettiamo poco a prepararci- gnaulò scocciato Jonathan, coprendosi gli occhi, feriti dai raggi del caldo sole di giugno. –Dio, che mal di testa! Mai più sbronze, giuro! Non ho più l’età per reggere il dopo-sbornia.
Albert, terminato di esaminare il proprio aspetto e lo stato degli occhiali, si guardò intorno e aggiunse –Manca all’appello Mr. Ordine&Metodo. Dov’è?
Lo chiamarono a gran voce, aggirandosi per la villetta a due piani; arrivarono, tanta la disperazione, a cercarlo nella serra sul retro della casa. Niente. Svanito nel nulla. Preoccupati, provarono a telefonargli, invano: risultava non raggiungibile. Stufi di dannarsi per lui, presero alla lettera l’espressione “fate come foste a casa vostra”: si svaccarono in mutande sui divani, ingaggiando una lotta all’ultimo sangue con i giochi più divertenti della Wii nuova di zecca, trangugiando gelato e cibo spazzatura. Dopotutto, tecnicamente era ora di pranzo. Intorno alle tre del pomeriggio, in piena pennichella, udirono scattare la serratura della porta d’ingresso e un esterrefatto Ewan esclamare –Ma… ma… siete ancora in questo stato?
–Rilassati, El, mancano due ore!- tentò di tranquillizzarlo Albert.
–Rilassarmi? Arrivo a casa, stanco per la levataccia e il viaggio fino dai miei per ritirare il vestito, e vi trovo a ingozzarvi e cazzeggiare quasi nudi!
–Potremmo presentarci in mutande- propose Connor, suscitando l’ilarità generale. –Le signore apprezzerebbero di sicuro!
Nessuno si aspettava una reazione simile da parte del normalmente mite botanico: si imporporò e ruggì, agitando i pugni –Statemi a sentire, scimmie antropomorfe: se in dieci minuti non vi ritrovo qui lavati e ben vestiti, vi riduco in poltiglia e vi uso per fertilizzare le piante! Non permetterò alle vostre stronzate di rovinare questo giorno! Avanti, scattare! Sbrigatevi!
Calò il gelo. Nessuno osò fiatare. Gli insetti in giardino smisero di ronzare. Perché sprecare soldi andando al cinema a vedere film horror? Ewan Ellis infuriato era uno spettacolo - gratuito - molto più terrificante!

 
***

Il risveglio della controparte femminile fu decisamente meno turbolento: avevano impostato un orario di sveglia che mediava alla perfezione tra il bisogno di sonno ristoratore - il divertimento senza freni non è appannaggio esclusivo del sesso maschile - e la necessità di farsi (più) belle con tutta calma. Sarah aprì gli occhi prima del trillo della sveglia, e lottò strenuamente contro i conati per raggiungere il bagno senza destare le altre. Peccato che al suo ritorno le trovò tutte sveglie, stampata in volto la stessa, identica aria apprensiva.
–Tutto bene?- domandò Jane, mezza rintanata in un sacco a pelo.
–Pensa positivo, tesoro: meglio fuori che dentro!- ironizzò Ingrid, accoccolata tra le braccia della sua compagna. –Anche se mi pare strano che proprio tu abbia vomitato… non hai toccato un goccio d’alcol! Il culo dello spogliarellista mulatto sì, abbondantemente, ma alcolici no!
Sarah avrebbe voluto ridere - lo spettacolo, effettivamente, era stato esaltante. Perfino Ingrid, che prediligeva il gentil sesso, aveva infilato un verdone nel perizoma di un ragazzo particolarmente muscoloso - ma un secondo conato glielo impedì: si chiuse nuovamente in bagno, pregando che la nausea passasse in fretta. Quando uscì si trovò davanti Marion, che le porse una tazza fumante di liquido profumato.
–Bevi, ti aiuterà- chiocciò, sorridendole dolcemente. –Philip sarà al settimo cielo.
–Ancora non lo sa- rispose la bionda con voce flebile. –Grazie.
–Cosa non sa il dottorino sexy?- chiesero in coro Jane, Paula e Ingrid (quest’ultima reggendosi a una stampella, a causa del piede ingessato), facendo capolino dal salotto di casa Carr.
Le due non ebbero il tempo di riflettere sul livello di pettegolume del trio che apparve Jodie, in tutto il suo assonnato splendore, e celiò –Non è ovvio? Ha fatto strike!
Travolta dalle manifestazioni di stupore e felicità, Sarah riuscì soltanto ad esalare –Lo so da pochissimo. Come l’hai capito, Jo?
–La tisana. È un rimedio naturale contro la nausea gravidica che ho insegnato a Marion. Allora, quando pensi di dargli la lieta novella?
–Sicuramente non oggi- ridacchiò la futura mamma, carezzandosi il ventre ancora piatto che accoglieva il frutto dell’unione casuale di due cellule, un frutto cui avrebbero messo nome Iris. –È il tuo giorno.
–Mi sposo, non facciamone un affare di stato!- sputò sprezzante Jodie. –Con permesso, gradirei lavarmi. Qualcuno, per favore, mi passi la lingerie- la rimirò con sguardo amorevole –Qualcosa di blu…
–E da infarto- commentò Ingrid. –Rischi di rimanere subito vedova!
–Mancano vecchio, nuovo e prestato- osservò Jane.
La risposta di Jodie arrivò attutita dalla porta chiusa.
–Le perle di nonna Ellis, le mie meravigliose scarpe e la giarrettiera prestata dalla cugina di Ewan. Cosa credete? Ho pensato a tutto! Se non sono diventata una spozilla è soltanto perché Ewan mi ha fatto la grazia di essere abbastanza isterico per entrambi!

 
***

Sotto il getto scrosciante della doccia - cullata dal ritmo di ‘Dani California’ - si congratulò mentalmente col suo quasi-marito per esser stato capace di dissolvere, in soli due anni, le sbarre della sua gabbia, ovvero i timori accumulati nel corso di una vita intera.
“Stava gustando un succulento cupcake mentre curiosava nella sua libreria preferita, quando si sentì afferrare da dietro e avvertì delle labbra posarsi delicatamente sul suo collo. La presa era talmente salda che ridacchiò –Ewan Ellis, quale audacia! Scandalizzeremo i bambini!
–Credo che i più scandalizzati sarebbero i genitori- ribatté lui, per poi baciarla di nuovo, sulla guancia. –Fatto acquisti?
–Ho passato al vaglio alcuni volumi che potrebbero invogliarmi a separarmi dal mio denaro- rispose lei, imitando la sensuale voce gutturale e il contegno manierato della madre di lui. –Tu, piuttosto, hai qualcosa in tasca o sei veramente intenzionato a dare scandalo?
–Ho qualcosa in tasca.
–Oh!- pigolò Jodie, delusa: non era il genere di donna che gode nell’attizzare le fantasie volgari di qualsiasi maschio di passaggio, però le attenzioni del suo uomo le pretendeva. –Ok. Avrei dovuto immaginarlo: dare spettacolo non è da te.
–Ti stupirò- replicò Ewan, ammiccando, la prese per mano e la fece spostare di pochi passi. –So che ti sembrerà stupido, ma ti volevo nel punto esatto in cui ci siamo conosciuti. Ricordi? A presentarci fu…
–Pennywise. Come dimenticarlo?- sibilò Jodie, livida. –Non sai chi è? Leggi ‘It’, ignorante! Comunque preferirei dimenticare l’esistenza di quella…
–Serpe?- suggerì titubante il botanico. –Non ti consento di peggio, si tratta pur sempre di una donna che ho amato.
Furibonda, Jodie ululò, strattonandolo –Dillo che vuoi che ti stacchi a morsi le palle!
–Complimenti, sei riuscita nell’intento di scandalizzare i bambini!- trillò Ewan indicando un gruppetto di pargoli sconcertati. –Lascia perdere Penny, sei tu che conti adesso. Solo e soltanto tu. Ora, se permetti, vorrei fare le cose con ordine e… ehm, per bene- incurante della sua evidente perplessità si inginocchiò ed estrasse dai pantaloni una scatolina rossa. –Deduco dalla tua espressione che hai capito cosa contiene, ma non togliermi la gioia di chiedertelo e tormentarmi in attesa del responso: Jodie Carr, vuoi sposarmi?
–Secondo te?
–Non funziona così, Jo! Tocca a te rispondere sì o… sì!
–Volevo movimentare un po’ la classica proposta!- sbottò indignata Jodie, a braccia conserte. –Uff! Non so se mi conviene accettare un tale rompiscatole… Sto scherzando, Ewan! Riprendi a respirare, sei cianotico! Certo che ti sposo!”
Avrebbe mai potuto dirgli di no?

 
***

–Ehi! Fate attenzione: indossate shantung di seta, non tela di sacco!- sbraitò Albert, dardeggiando con occhiatacce disapprovanti Ewan e gli altri suoi testimoni durante una sessione di foto buffe per passare il tempo in allegria e scongiurare eventuali contatti prematuri con Jodie.
–Si sente: è una piuma sulla pelle!- commentò Connor, pentendosene quando quattro paia di occhi si posarono rapaci su di lui. “Se si fosse limitata a tre damigelle”, pensò, “Non ci sarebbe stato bisogno di me”. Si era divertito all’addio al celibato, gli amici di Ewan sapevano scatenarsi alla grande e si erano prodigati affinché non si sentisse a disagio, ma era difficile, quasi impossibile, non sentirsi un intruso in un gruppo tanto affiatato, e la consapevolezza di essere pressappoco un ripiego non faceva che accrescere il nervosismo.
–Meno male che qualcuno apprezza il lusso pagato coi miei soldi!- sbottò il fisico.
–La prossima volta ci penserai due volte, prima di scommettere contro di me- lo punzecchiò lo sposo, scosso da impercettibili tremiti. Ad ogni movimento delle lancette sull’orologio avvertiva un’ondata d’ansia senza precedenti; niente ripensamenti dell’ultimo minuto, piuttosto timore che fosse lei ad averne.
–Al, accetti lezioni da uno che trema al pensiero di mettere l’anello al dito?
–Lo spirito più indomito se la fa sotto al pensiero di ingabbiarsi a vita- asserì l’interessato, ignaro che Marion e i bambini erano in ascolto. –El non è il primo e non sarà l’ultimo che davanti alle grazie di una danzatrice del ventre si chiederà se sta facendo la cosa giusta… se è davvero disposto a rinunciare a tutte le occasioni che gli si presenteranno…
–Ah, è questo che pensi!- sbraitò Marion, irata, ritraendosi dal tentativo del fisico di calmarla con l’imposizione delle mani. –Per te le donne sono occasioni! Merce in saldo! Gran bel pensiero maschilista, complimenti!
–Dai, Marion, stavo…
–No, Albert, stavolta non ti permetto di giustificarti dicendo che è uno scherzo!- tuonò, prima di girare sui tacchi e allontanarsi quasi di corsa. –Manuel ha bisogno del tuo aiuto.
–Fermo dove sei, vice-padre!- gli ordinò il bambino, insolitamente risoluto per i suoi otto anni. Albert obbedì, non senza sbuffare. –Fidati, se non la lasci sbollire prima di scusarti rischi la vita. Mari è uguale. Ora aiutami con la cravatta.
–Parola d’ordine, prego- insistette il fisico: sebbene non fossero figli suoi, riteneva suo dovere inculcargli le buone maniere.
Manuel sembrò sul punto di replicare in malo modo, ma ci ripensò; riformulò la richiesta in termini più educati –Per favore, Al, mi annoderesti la cravatta che io non sono capace?
Addolcito, annuì –Meglio ancora: ti insegnerò! Fare da sé dà molta più soddisfazione, e poi hai l'aria di uno che impara in fretta. Dopo, però, corro dietro a tua madre; non voglio dormire sul divano, è scomodissimo!

 
***

Era fuggito non appena aveva avvertito puzza di lite tra innamorati. Camminava con gli auricolari nelle orecchie, fischiettando il ritornello di un successo delle Destiny’s Child, in cerca di un posto dove fumare in santa pace. Salutò Ingrid e divise con lei musica e sigarette. Delle amiche di Jo era quella che gli andava più a genio: diretta (anche troppo), latrice di sgradevoli quanto veritiere perle di saggezza, fumatrice incallita con una passione sfegatata per i film di Woody Allen e il vezzo di appellare tutti, più o meno sarcasticamente, come “tesoro”. Dopo la rottura traumatica con Caroline era stata l’unica a rimproverarlo apertamente per la svolta sregolata che aveva dato alla propria vita. “Odiare l’intero genere femminile per il torto di una stronza, vendicarti su povere innocenti per la sofferenza che ti ha inferto quella troia… un comportamento maturo, da vero uomo! Diventerai come lei, se non peggio. Se è questo che vuoi, fa’ pure.”
–Grazie- soffiò la rossa, espellendo nuvolette di fumo grigio.
–Sempre lieto di aiutare una damigella, specialmente colei che accompagnerò verso l’altare. Starò attento a non farti cadere!
–Non ti hanno avvisato, tesoro? Sono stata sostituita. Sembrerei un fenomeno da baraccone se arrancassi sulle stampelle col gesso in bella mostra!
–Non posso credere che Jo sia tanto stro… superficiale da “licenziarti” per una ragione così stupida!- abbaiò lui, tossicchiando: dallo stupore aveva inalato il fumo, anziché espirarlo.
–Ritira gli artigli, tigre: mi sono dimessa. Jo ha buon cuore, motivo ulteriore per cedere il posto a una damigella integra e non rovinare il suo giorno speciale- lo zittì Ingrid. –Colgo una nota delusa nel tuo sguardo, tesoro. Ne hai tutte le ragioni: temo anch’io per il contenuto delle tue mutande, la “gemella diversa di Jo” è… eccola!
Da una sgargiante auto sportiva - sogno di qualsiasi uomo appassionato di motori e/o in piena crisi di mezza età - era scesa quella che Sabrina, sfoggiando la sua vasta cultura artistica, avrebbe definito una bellezza rubensiana. Jonathan, privato di salivazione e facoltà di parola, la osservò chinarsi per recuperare una borsa caduta dal sedile posteriore; nell’ammirare le generose semisfere che costituivano il suo didietro, il sangue migrò rapidamente dal cervello verso una zona più declive. Represse l’irritante voce della coscienza (guarda caso, la voce di Philip), che caldeggiava un freddo distacco, e le andò incontro.
La sentì esalare, compiaciuta –Philly-Boston in tre ore e mezza. Un’impresa da record! Pazienza se sono in ritardo, inizieranno senza di me!
–Sei puntualissima, invece- celiò stringendole la mano. –Jonathan, incantato testimone dello sposo. Forse avrai sentito parlare di me per il programma di cucina…
–Mi spiace, guardo poco la tv. Piacere di conoscerti, comunque. Io sono Paris.
–Dunque, se ricordo bene, Sarah va con Phil, Marion con Al, Jane con Connor, perciò… tu sei la mia ragazza! Splendido! Faresti meglio a cambiarti, manca davvero poco.
–Mi dai una mano?
–A spogliarti? È la mia specialità!- rispose senza riflettere, e l’espressione di lei confermò che stavolta aveva ragione la sua coscienza: risposta sbagliata.
Ricevette un’occhiataccia, seguita dall’acerrimo –Sai quanti piacioni consumati che hanno usato questa battutaccia scontata per rimorchiarmi hanno avuto successo? Zero! Ora, se cortesemente potessi tenermi la borsa e mostrarmi dove indossare i panni della damigella… possibilmente senza commenti idioti…
Impalato davanti alla stanzetta in cui Paris si stava vestendo (senza che se ne accorgesse, aveva schiuso la porta il tanto che bastava a rifarsi gli occhi), maledisse Ewan quando gli corse incontro, blaterando isterico –Johnny, dove ti eri cacciato? Mancano cinque minuti! Cinque! È tutto pronto? Io sono pronto? Oddio! E se… e se lei… non si presentasse? E se mi mollasse all’altare? Oddio! Chi me l’ha fatto fare?
La porta si spalancò all’improvviso e il rumore di uno schiaffo echeggiò nel corridoio, seguito dal secco –Tu, deficiente! Te la sei cercata! Perciò rinsavisci e piantala di piagnucolare, Jodie vuole diventare Mrs. Ewan Ellis, non Mrs. Annaffiatoio Umano! Ora portami da Connor, esigo un sordido resoconto dello squallido rituale maschilista meglio noto come addio al celibato!
Il botanico scosse la testa, le cinse la vita e ridacchiò –Adorabile come sempre, Perry. Vero, Johnny, che la mia cuginetta è adorabile?
“Cugina? Ma porca…!”

 
***

Jodie era sempre stata convinta che le donne che non immaginano il proprio matrimonio sin dall’infanzia partano avvantaggiate: non avendo irrealistici sogni di bambina da realizzare, il rischio di delusioni e psicosi nuziale è minimo. Il suo obiettivo, fin dal principio, era stato impedire a sua madre di organizzare le nozze al suo posto. Ricordava con orrore il matrimonio di Marion, interamente pianificato dalla loro dispotica genitrice; ignorando completamente i desideri della figlia - una cerimonia intima, primaverile o estiva, in campagna - aveva montato una scenografia da regno di ghiaccio in uno sfarzoso hotel di Seattle (aveva addirittura obbligato Marion ad escludere lei, sua sorella, dalle damigelle per futili motivi estetici: il suo corpo burroso avrebbe stonato con le loro figure longilinee). Il peggio di sé lo aveva dato in atelier: Marion, all’epoca ventitreenne, non ebbe la forza necessaria a tenerle testa, finendo col comprare un abito di dubbio gusto che la inghiottiva. Jodie tremava al pensiero di quale orrendo vestito sua madre avrebbe scelto per lei, se non glielo avesse impedito: la fotocopia di quello di Marion, probabilmente - condito di commenti sull’infinitamente superiore avvenenza della sua bellissima sorella minore - un pomposo incubo di tulle, pizzi, merletti e balze che sarebbe risultato ridicolo in un film in costume, figurarsi addosso a una sposa del ventunesimo secolo. Invece l’aveva spuntata: avendo optato per una originale location a Boston - manco a dirlo, disapprovata con tutto cuore da Mrs. Carr - l’intromissione materna era stata arginata; l’unico aspetto nel quale si era vista costretta a coinvolgerla fu la scelta dell’abito. Per fortuna in quell’occasione aveva potuto contare su un’alleata d’eccezione.
“L’appuntamento aveva preso una piega talmente brutta - sua madre si ostinava a bocciare tutte le sue scelte, giudicandole insulse, proponendole invece modelli rivoltanti che non avrebbe indossato nemmeno se fosse stato l’atelier a pagare lei - che credeva non potesse peggiorare. Errore: un’ochetta viziata aveva iniziato a strepitare che non poteva assolutamente comprare l’abito che aveva in dosso - che comunque non avrebbe mai scelto - perché se ne era innamorata, per poi aggredirla quando aveva appreso che il suo futuro marito era Ewan Ellis. Erano dovuti intervenire due assistenti e il fidanzato della psicopatica - più d’intralcio che d’aiuto: era rimasto in un angolo a piagnucolare ‘Loretta, mio fiore, calmati!’ - per domarla.
Voltata di spalle, sentì la porta del camerino aprirsi; convinta fosse sua madre, sibilò  –Sei gentile a voler sborsare per il mio vestito da sposa, ma se deve significare sottostare alle tue assurde pretese, allora no grazie! Eleganza e sobrietà sono ancora comprese nel MIO vocabolario!
–Accondiscenderesti alle mie, di pretese?
Jodie si girò, sollevata: Audrey Ellis doveva essere la reincarnazione della sua omonima Hepburn e di Grace Kelly, o non si sarebbe spiegato tanto innato charme. Protetta dalla sua raffinata egida, ce l’avrebbe fatta a non sembrare una mongolfiera travestita da meringa.
–Sono più ragionevoli di quelle di mia madre?
–Non essere dura con lei! Ti vuole bene, a modo suo. Ha esagerato, contrapponendo alla tua mania di semplicità l’estremo opposto, però il concetto di fondo è giusto: avrai tante occasioni per mettere un abito bianco, Jodie, tantissime, ma, si spera, solamente una per mettere l’abito da sposa. Deve notarsi la differenza!”
–Cavolo, se aveva ragione!- esclamò al proprio riflesso, carezzando il pizzo color avorio. Si vedeva e sentiva bellissima.
–Toc toc- ridacchiò Wes Carr, facendo capolino sulla soglia. –Domando scusa se interrompo le tue riflessioni, ma la sposa è attesa all’altare. Il tuo quasi marito è particolarmente ansioso di accertarsi che non te la sia svignata.
Jodie rise di rimando, lievemente esasperata dalle paranoie di Ewan, quindi chiese –Beh? Nessuna predica da papà geloso? Niente “Puoi ancora ripensarci”, “Ti capirei se decidessi di mandare tutto a monte” e simili? Se fossi suscettibile, potrei pensare che anche tu pecchi di parzialità verso Marion!
Da divertita, l’espressione di Mr. Carr mutò in teneramente mesta.
–Tua sorella ha sposato l’uomo sbagliato per le ragioni sbagliate; lo intuii già all’annuncio del fidanzamento, ma non potei impedirlo. Per te, invece, non potrei desiderare di meglio: Ewan è l’uomo della tua vita, lo sento. Chiamalo istinto paterno, se vuoi- la baciò sulla fronte e le strizzò l’occhio con fare complice, dopodiché le porse il braccio e aggiunse, solenne –Allora, sei pronta… o vuoi far penare quel poveretto ancora un po’?

 
***

Nonostante la stretta rassicurante di Ewan, Jodie si sentiva frastornata. Era stato tutto talmente veloce che in futuro avrebbe dovuto fare affidamento su fotografie e video per ricavare dei ricordi dal turbinio di immagini confuse che le vorticavano nella mente: dall’ingresso senza intoppi (aveva barcollato, sì, ma non era caduta) alle promesse - sentite e personali: concordando entrambi sull’assurdità della formula canonica  (non sapevano cosa avrebbero mangiato a pranzo il giorno dopo, figurarsi se sarebbero stati tenacemente uniti finché morte non li avesse separati! Eventualità, questa, che avrebbe potuto benissimo verificarsi al termine della cerimonia) avevano preferito promettersi “di impegnarsi a rispettarsi e scegliersi l’un l’altra giorno dopo giorno” - dal tanto atteso sì al primo bacio da marito e moglie (più o meno: Ewan aveva stupito tutti, lei per prima, fiondandosi sulle sue labbra senza aspettare il convenzionale “Puoi baciare la sposa”).
–Attenta a non cadere, Jo, la vedovanza non mi si addice!- la rimproverò Ewan, serrando la presa. Sebbene solitamente restio a posare, in quell’occasione si era lasciato andare, concedendosi ai classici scatti da coppia felice… sempre che farsi immortalare all’interno della ricostruzione di un formicaio, nella doppia elica di DNA e a cavallo di un tirannosauro si possa definire “classico”.
L’unico punto sul quale il botanico si era fatto valere, infatti, era che il loro matrimonio avrebbe dovuto rispecchiarli, perciò bando a location inflazionate perché scelte da tutti per fare bella figura, più che per gusto personale. E quale luogo migliore per una coppia di nerd del Museo di Storia Naturale di Boston?
–Lieta di sapere che non vuoi liberarti di me!- replicò lei, regalandogli un bacio da censura appena toccarono terra. –Ti do un ulteriore incentivo a tenermi come moglie: sotto il vestito… non porto nulla!
Conoscendola, avrebbe potuto essere vero, per cui Ewan, ringalluzzito, le sussurrò –Ok, mando tutti a casa e tanti saluti!
Jodie, lusingata da quella reazione, soffocò le risatine nella sua giacca e rispose –Ewan Ellis, che credulone! Raffredda i bollenti spiriti, ho promesso di non renderti mai le cose facili: se vorrai vedermi nuda, dovrai spogliarmi tu stesso!
–Prometto di farlo con vero piacere… quando saremo soli.
–Ovvio! Il porno a tema nuziale è dannatamente trash!
Scuotendo il capo divertito dallo sconcerto del fotografo, Ewan sospirò –Pazza donna che ho sposato, mi concedi l’onore di posare insieme a me nel planetario?
–No, è di una noia mortale! Meglio lo spermatozoo gigante!
–Chissà perché, lo immaginavo- ridacchiò il botanico. –Folle, meravigliosa Jo. Ti amo da morire!

 
***

Paris sorrideva, sinceramente felice per Ewan, radioso come non mai, e per se stessa: la cover band dei Red Hot Chili Peppers ingaggiata per l’occasione stava suonando ‘The Zephyr Song’, dandole modo di gustare in santa pace il dolce, lontano dalle occhiate di disapprovazione di sua madre - convinta fosse disdicevole per una signora, specie se in carne, come lei, consumare per intero la porzione nel piatto - sparita insieme al marito sulla pista da ballo improvvisata nella sala dedicata ai viaggi nello spazio. Racchiusa da una bolla di placido isolamento, sussultò violentemente quando venne riportata alla realtà.
–Ave, damigella in pericolo!
Incuriosita dallo strano saluto, mise temporaneamente da parte l’irritazione nei confronti dell’amico dongiovanni di suo cugino e, al posto del commento al vetriolo sul fatto che le stava fissando spudoratamente il seno, pose una domanda.
–Che genere di pericolo?
–Il grave pericolo… di annoiarti a morte!- rispose lui, tendendole la mano. –Ma tranquilla, sono accorso in tuo aiuto con la richiesta di un ballo.
–Anche ammesso che non si tratti di un pretesto per palpeggiarmi… no, grazie. Non mi metterò in imbarazzo mostrando in pubblico la mia inabilità nella danza!- sibilò Paris, paonazza, tormentando tra le dita l’orlo dell’abito verde smeraldo.
–Non sai ballare? Perfetto! Nemmeno io! Ho il senso del ritmo di un paracarro!- trillò Jonathan, per poi agguantarla prima che potesse ribattere e trascinarla quasi di peso tra la folla danzante. –Hai indovinato al cinquanta per cento, prima: cercavo un pretesto, sì, ma non per palparti, anche se ammetto che non mi dispiacerebbe. Ti devo delle scuse: sei qui per rilassarti, non per subire apprezzamenti non richiesti da chi conosci appena.
–Scuse accettate… se accetti le mie- replicò lei, lasciandosi scostare dal viso una ciocca della folta chioma bionda, unico indizio di parentela con Ewan. –Sono stata acida e maleducata, me ne dispiaccio. A mia discolpa posso soltanto dire che sono reduce da una giornata di merda.
Lui scrollò le spalle e obiettò –Philadelphia-Boston in tre ore e mezza senza una multa, cibo e bevande gratis, buona musica, ottima compagnia… non mi pare una giornata da buttar via.
–Ti prego- esalò Paris, gettando il capo all’indietro. –Dimmi che non sei uno di quegli insopportabili ottimisti perennemente sorridenti.
–Non sorrido sempre- “Anzi, non mi capitava da parecchio” –Però sono ottimista. Posso farti una domanda?
–Un’altra, intendi?
Niente affatto divertito da quell’uscita sarcastica, Jonathan sbuffò, prima di parlare.
–Come mai ti chiamano Perry?
Gli parve di cogliere un lampo omicida nel suo sguardo, ma lo attribuì a un gioco di luci; un attimo dopo era nuovamente limpido.
–Il mio cognome è  Mason, sono avvocato e ho l’abitudine di non perdere mai una causa- dichiarò con notevole autocompiacimento. –Una delle idee stupide di Ewan, e Connor, come al solito, lo imita.
–Paris Mason… Perry… Perry Mason! In effetti, è veramente comico!
–No, non lo è!- ringhiò irata Paris, salvo poi cambiare espressione - aprendosi in un sorriso stentato - e parere. –Ok, forse un pochino… pochissimo! Il problema è che, nonostante i miei sforzi, questo irritante soprannome si è diffuso nell’ambiente; perfino i giudici mi chiamano Perry, ormai.
–Guarda il lato positivo: hai la certezza che si ricorderanno di te! Io di sicuro!
Paris si finse seccata e lo colpì ripetutamente, latrando –Non ci posso credere. Continui a provarci!
–Ogni lasciata è persa- si difese Jonathan, ostentando innocenza, omettendo di essere il primo sorpreso da tanto interesse nei confronti di una donna diametralmente opposta a colei che tanto aveva amato, o meglio, amava. Caroline era esile, pallida, delicata, quasi una creatura dell’oltretomba; al contrario, Paris era… la gemella diversa di Jodie, rosea e florida, forse eccessivamente compassata, ma viva. Eppure, nonostante avesse, fino a quel momento, cercato Caroline in ogni avventura priva di significato, aveva risparmiato a Paris il confronto; troppo bruciante bisogno di accarezzare quella pelle vellutata, affondare le unghie nella carne e farla sua. –Adesso che ti conosco, ho un motivo in più per visitare la città dell’amore fraterno. Mia sorella subirà uno shock: in quattro anni non sono mai andato a trovarla!
Paris emise uno sbuffo di incredulità e soffiò –Oh, certo, la fantomatica sorella che, guarda caso, vive nella mia stessa città!
–È vero! Chiedi a chi vuoi! Si è trasferita quattro anni fa e gestisce MixArt, la…
–Galleria dei Noble, su Chestnut Street- esalò lei, impallidendo di colpo. –Se si chiama Sabrina, allora la conosco.
–Come seleziona gli studenti Harvard, tirando a sorte? Non credo sia necessario un gran cervello per capire che non puoi venire a letto con me se esci con un’altra!
–Perché no? Sai perfettamente che dall’innegabile alchimia che c’è tra noi non potrà nascere niente, mentre lei è un’incognita. Sono ancora… in fase di studio, per così dire, quindi perché non divertirci in attesa dei risultati?
–Ringrazia che non vada da questa Sabrina a spifferarle tutto. Non fare quella faccia, Keiron, sei ridicolo! Davvero ti illudevi di tenerlo nascosto a me? Io ho occhi e orecchie ovunque, anche per questo sono la migliore. Ora basta discutere, è ora di entrare in aula. Se ci riesci, perdi la causa entro mezzogiorno: ho un matrimonio a cui presenziare!”
–Dove vi siete incontrate? Senza offesa, dubito frequentiate gli stessi ambienti.
–Abbiamo un amico in comune.

 
***

Sbigottito dall’inspiegata riapertura delle ostilità, non perse di vista la bionda cugina dello sposo finché non venne colpito da due possenti gomitate al costato da Philip e Albert, i quali esclamarono, rispettivamente – Il tuo è un vizio! Proprio non ti riesce di tenerlo nei pantaloni! Fatti visitare da uno bravo- e –Ti consiglio di andarci cauto con la cuginetta di El: io ti diedi qualche pugno in amicizia, suo fratello sarebbe capace di ridurti a un budino!
–Guarda chi è arrivato: Cip e Ciop!- biascicò scocciato. –Se vi do una ghianda sparite?
–Molto spiritoso. Davvero. Mi sto scompisciando- sibilò Philip a braccia conserte. –Sul serio, sono d’accordo con Al: Connor è il doppio di te, non ti conviene provarci con sua sorella!
–A meno che non sia proprio questo ad attizzarti- insinuò il fisico. –È così? Celi un animo masochista?
–Noto che hai ritrovato il buonumore, Al. Merito di Marion?
–Ormai il nostro è un copione rodato: uno dei due - quasi sempre io - fa una cazzata, litighiamo di brutto, ci teniamo il muso, poi chi ha sbagliato - quindi quasi sempre io - chiede scusa e facciamo pace in modi che lascio alla vostra immaginazione.
–La patta aperta parla da sé. Spero abbiate usato le debite precauzioni, o tra qualche mese un Al in miniatura sgambetterà per casa!- rincarò Jonathan, che ritrattò di fronte al pallore funereo dell’amico, che sembrava sul punto di svenire. –Sto scherzando!
–Un giorno commetterai una cazzata di troppo e quella santa donna perderà la pazienza- profetizzò Philip, per poi ingollare il resto di un Martini. –Dovresti stendere il tappeto rosso ovunque poggi i piedi per il solo fatto di essersi innamorata di te.
–Il rosso ha ragione: da quando è entrata nella tua vita sei nettamente migliorato. Sempre un po’ cazzone, ma meno. Molto meno. Chi non ti conosce potrebbe persino pensare che sei una persona seria!- lo derise bonariamente Ewan, comparso alle loro spalle senza dolce metà al seguito.
–Quale onore, lo sposo!
–Brindiamo, ragazzi!- propose il botanico. –Semel in anno licet insanire, dicevano i latini, e per noi quel giorno è oggi!
–Giusto! Folleggiamo! Fanculo il test alcolemico!
Quattro bicchieri si levarono ripetutamente verso l’alto, tintinnarono scontrandosi tra loro e si vuotarono in silenzio. Il primo a riprendere la parola fu Ewan, chiaramente provato dalla bevuta.
–Non vi sconvolge quanto poco potere abbiano a questo mondo ordine e metodo? La nostra intera esistenza è semplicemente una serie di coincidenze, il risultato di un numero infinito di entanglement. Mi vengono i brividi al solo pensiero! Pensateci: saremmo qui oggi se avessimo preso strade diverse? Ero convinto, anzi, certo, che tu- indicò Philip –Saresti stato il primo a sposarti, e che tu- indicò Albert –Saresti rimasto solo e/o avresti ingravidato una scopata a caso. Invece…
–Invece tocca a voi?- trillò gaio il medico. –Al si sposa e Jo è incinta?
–L’alcol gli ha fottuto il cervello- commentò Albert. –Stiamo parlando di te e Sarah.
–Ehi, l’intenzione c’era tutta! Saremmo già sposati se l’universo non avesse congiurato contro di noi: prima la scoperta della morte di Pierce, poi mio zio, poi mia nonna… poi Attila…
–Tutto molto triste- intervenne Albert, ammiccando. –Ma non è alle nozze mancate che ci riferiamo, se finalmente capisci cosa intendo…
Philip all’iniziò faticò a comprendere l’allusione, la cui portata gli si rovesciò addosso come uno tsunami.
–Veramente no...oh. Oh! Oh, cacchio!
–Oh, andiamo!- lo rimbeccò Jonathan. –Dovresti essere contento!
–Una pasqua!- aggiunse il fisico. –Un Phil in miniatura che sgambetta per casa. Non ti riempie il cuore di gioia? Su, su, datti un contegno! Non puoi svenire: sei tu il dottore, se svieni chi ti soccorre?
 
THE END?
 
Note dell’autrice:
Chiedo umilmente perdono per il mostruoso ritardo con cui pubblico, ma ho avuto moltissimi impegni in questo periodo, e altri ancora sono da venire, perciò siate comprensivi e, per favore, non smettete di seguire le mie storie solo perché c’è da aspettare. Ho promesso di portare a termine tutti i miei progetti e intendo seriamente farlo.
Avrete notato che la parola fine ha il punto interrogativo. Non è un caso: questa storia è conclusa, ma non è detto che, sotto forma di extra o di un sequel, i personaggi di LQ non possano in futuro tornare alla ribalta. ;-)
Alla fine non ho resistito alla mia vena di bontà e ho aperto anche a Jonathan le porte di un eventuale lieto fine. Carrie è ancora nei suoi pensieri, sta a lui trovare la forza di voltare definitivamente pagina e rendersi felice. Che dire di Phil e Al (Cip e Ciop)? I cambiamenti sono inevitabili e salutari, ma certe cose è bene rimangano le stesse.
Spero abbiate apprezzato il cameo di Loretta. Come escludere dall’epilogo la più schizzata delle uscite di Ewan? Meritava un’uscita di scena “col botto”!
Spendo volentieri due parole sulla location delle nozze dei nostri beniamini: cercavo un luogo adatto a loro, fuori dal comune. Insomma, non me li figuravo nella classica chiesa, o in un vigneto, o in uno dei posti strani che piacciono agli americani. Sono due scienziati (pazzi), quindi un museo di storia naturale faceva al caso loro. Mi sono documentata, ed effettivamente è consentito sposarsi lì, come anche farsi ritrarre nelle varie aree espositive (incluso il tirannosauro).
Un altro piccolo appunto: se mai avrete la voglia/possibilità di percorrere il tragitto Philadelphia (Philly per i residenti), sappiate che ci vogliono almeno cinque ore. Tanto per darvi un’idea della folle velocità a cui ha viaggiato Paris (Rubens amava ritrarre donne molto prosperose, da qui "bellezza rubensiana" e "gemella di Jo"). La rivedremo? Chi lo sa!
Chiudo ringraziando tutti, uno per uno, i lettori silenziosi, ma numerosi, e Calliope S, elev, LittleDreamer90, marioasi e sunburn1985, che con le loro recensioni mi hanno spronata a non mollare. Grazie di cuore!
Serpentina
 
 
   
 
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