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Autore: bluerose95    23/03/2016    2 recensioni
Killian, con un sorriso malizioso, si diresse verso Emma, afferrandola per i fianchi e facendola trasalire. «Quello è il mio posto, tesoro,» disse spostandola appena per poter passare e andare a sedersi al pianoforte.
Emma Swan è sempre stata trasferita da una famiglia affidataria all'altra, non ha mai conosciuto la stabilità, l'amore di una famiglia vera. Questo, almeno, fino a quando non una certa Ingrid Frost non la prende in affidamento, facendola arrivare a Storybrooke, Maine.
Emma non avrebbe mai pensato che in una cittadina piccola come quella potessero trovarsi persone incantevoli, persone che le vogliono bene e che la fanno sentire a casa, persone che non vorrebbe mai abbandonare e anche persone che vorrebbe amare con tutta se stessa.
Ma può davvero una ragazzina sperduta come lei amare qualcuno? E lei, lei è davvero meritevole di tanto affetto o una volta diventato troppo quella famiglia in cui si trova così tanto bene, quel ragazzo che ha iniziato ad amare con tutta se stessa la manderanno via, come fanno tutti?
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Emma Swan, Killian Jones/Capitan Uncino, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 1
 
Emma Swan aveva paura.
Non era una sensazione nuova per lei, ormai erano anni che veniva sballottata da una famiglia affidataria all’altra, ma ogni volta questa sensazione la braccava come un cacciatore braccava la propria preda, tormentandola fino allo sfinimento.
Nella macchina dell’assistente sociale, mentre questa parlava con la donna che l’avrebbe presa in affidamento, Emma si rigirava tra le dita il ciondolo che portava al collo. L’aveva sempre avuto con sé, era un semplice pendente d’argento con al centro un cigno in rilievo. Era per quello che l’avevano chiamata Emma Swan, una stupidaggine, a suo parere, ma almeno aveva un cognome, anche se non era il suo, e non era solo un’altra anonima Emma.
Prese un profondo respiro, affondando sempre di più nella giacca di pelle rossa. Nel Maine faceva freddissimo, più che a Boston o a New York. Aveva con sé solo una valigia con pochi vestiti e uno zaino con le cose dalle quali non amava separarsi, come il suo diario.
Qualcuno tamburellò sul vetro del finestrino e la ragazza sobbalzò, gli occhi sgranati e il cuore che batteva all’impazzata. Quando alzò lo sguardo, vide l’assistente sociale che le faceva cenno di scendere e, dietro di lei, una donna bionda dai profondi occhi azzurri le sorrideva con calore.
Era una bella donna, piuttosto alta e non doveva avere più di quarant’anni, capelli biondi legati in una coda di cavallo ma, soprattutto, un’espressione fiduciosa, diversa da quella che le sua altre famiglie affidatarie le avevano rivolto quando gli era stata presentata. Non che tutte fossero state pessime, solo la maggior parte.
Dopo aver cercato invano di calmare il martellare del proprio cuore, Emma strinse le dita attorno a una spallina dello zaino e scese lentamente dall’auto.
Una zaffata d’aria gelida le scompigliò i capelli e le sue guance si arrossarono mentre si stringeva ancor di più nella giacca di una taglia più grande di lei. Si mordicchiò il labbro inferiore e tenne lo sguardo basso per un istante prima di alzarlo sul volto dolce della donna di cui conosceva solo il nome: Ingrid Frost.
«Emma, questa è Ingrid,» disse l’assistente sociale, Hilary, mentre guardava l’orologio. Emma sapeva che doveva sbrigarsi, doveva assolutamente prendere il prossimo aereo altrimenti sarebbe rimasta nel Maine fino all’indomani, e il lavoro chiamava. «Mi dispiace non avere abbastanza tempo, ma tutto è a norma e penso ti troverai bene qui,» aggiunse, ma entrambe sapevano che, sebbene lo dicesse davanti alla casa di ogni famiglia affidataria, Emma non si era mai sentita davvero a casa.
«È un piacere conoscerti, Emma,» disse Ingrid, tendendole la mano, gli occhi accesi. Dal canto suo, Emma la guardò circospetta prima di tentare di rispondere al suo sorriso con quella che risultò una smorfia. Le strinse la mano, sentendola gelida ma in qualche modo confortevole.
«Tornerò tra tre mesi, Emma, ti prego di fare la brava e ti auguro il meglio,» riprese Hilary mentre scaricava la valigia di Emma e l’appoggiava sul marciapiede, le due frasi estremamente in contrasto messe nella stessa frase.
«Grazie,» borbottò mentre Hilary le stringeva una spalla e saliva sulla macchina presa a nolo, ripartendo con un rombo scoppiettante. Emma non sapeva dove guardare, perciò si perse con lo sguardo sulla trama della valigia, un semplice blu con degli intrecci bianchi che richiamavano le onde del mare.
«Beh, su, coraggio, entriamo, questo freddo entra nelle ossa e presumo tu non ne sia abituata,» disse Ingrid allungando una mano per prendere la sua valigia. Davanti a quel gesto Emma sobbalzò, sorpresa, nessuno l’aveva mai aiutata, non spontaneamente e non fin da subito. Quasi le venne da piangere, ma riuscì a mandare giù il nodo che aveva in gola senza versare nemmeno una lacrima.
Seguì Ingrid lungo il breve vialetto che dal marciapiede portava all’enorme casa in stile vittoriano, completamente azzurra se non per la veranda e gli infissi bianchi. Il giardino era modesto, c’era qualche aiuola con violette e calendule. Era tutto sommato un insieme accogliente, tutti sarebbero stati fieri di chiamarlo casa.
L’entrata era calda e ospitale, ed Emma sentì subito la punta delle dita dei piedi ritornare in vita. Quasi sorrise per quel tepore mentre si guardava attorno. I mobili erano ornati da tovagliette in pizzo sopra i quali erano appoggiati statuette o vasi di fiori, tutto era in armonia e automaticamente si veniva avvolti da una sensazione di calore famigliare. Sul mobile sotto lo specchio rettangolare, c’erano delle foto di quelle che dovevano essere le nipoti Ingrid, Elsa e Anna, e dei loro genitori.
Emma sapeva che, dopo la morte della sorella e del cognato, Ingrid aveva preso in custodia le due ragazze, gemelle, le quali dovevano avere la sua stessa età. Con tutta probabilità, in quel momento erano a scuola, il che per Emma era un bene, voleva conoscere Ingrid con calma, sapere se potesse, in qualche modo, fidarsi di lei.
Da quel che aveva visto finora era tutto perfetto, ed era proprio questo il problema. Ingrid era gentile, più di tutte le sue altre madri affidatarie messe insieme, e non l’aveva trattata con freddezza, tutt’altro, non sembrava nemmeno un obbligo, quanto più un desiderio che si avverava. Emma frenò la propria immaginazione, nonostante le sarebbe piaciuto credere che fosse così era meglio non illudersi.
«Vieni, Emma,» la esortò Ingrid dolcemente, lasciando la valigia accanto alla piccola credenza dell’entrata, «devi essere gelata. Ti va una cioccolata calda?»
Emma sobbalzò davanti a quell’insolita proposta, di norma gli altri genitori affidatari la mandavano nella sua camera a sistemarsi mentre facevano altro, così che non li intralciasse. Si concesse un debole sorriso. «Posso avere un po’ di panna e cannella, per favore?» azzardò incerta, dondolandosi sui talloni, non era sicura di potersi permettere certe confidenze.
Contrariamente a ogni sua previsione, il sorriso sul volto della donna si allargò. «Certamente, anche se devo dire è piuttosto insolito. Cannella, dici? Beh, vale la pena provare,» replicò allegramente precedendola in cucina, guidandola attraverso quella che doveva essere la sala da pranzo.
Tutto profumava di menta, sembrava un qualcosa che spingeva subito a pensare al freddo, tuttavia era pure accogliente, un po’ come il pensiero di starsene in famiglia davanti al caminetto acceso la vigilia di Natale.
La cucina era spaziosa, i mobili bianco neve e completamente immacolati all’inizio diedero quasi fastidio a Emma, ma si limitò a guardarsi attorno in silenzio. C’era ordine, ma era come se tutto fosse fuori posto, come se in quella cucina fosse destinato a regnare il caos. Era comunque un pensiero premuroso quello di aver tentato di riordinare quell’angolo della casa – e forse anche il resto – solo per lei. Non che si sentisse poi così speciale, ma in qualche modo sapeva che era così.
Si sedette allora sulla panca addossata al muro davanti al tavolo della cucina, anch’esso bianco, lo zaino accanto a sé, mentre Ingrid iniziava a preparare la cioccolata. Lanciò un’occhiata all’orologio appeso al muro, una curiosa pendola a forma di castello di ghiaccio, doveva essere molto costoso e non osò immaginare cosa sarebbe successo se il gancio si fosse allentato.
«Anna ed Elsa sono a scuola, quindi abbiamo un po’ di tempo per sistemare le tue cose nella tua nuova camera. Vuoi che ti dia una mano?»
Emma alzò lo sguardo sulla donna e nei suoi occhi vide desiderio di aiutarla, una sensazione che nessun altro aveva mai manifestato nei suoi confronti e si sentì per un attimo spaesata. Era… piacevole, tuttavia, e sentì un nodo in gola mentre, silenziosamente, annuiva. Normalmente avrebbe detto che non aveva bisogno dell’aiuto di nessuno, ma con Ingrid… con Ingrid era diverso, perché sapeva che voleva davvero aiutarla. Si domandò se, finiti i tre mesi, Ingrid l’avrebbe tenuta con sé.
Una volta che Ingrid ebbe versato la cioccolata in due tazze, ne decorò una con panna e cannella, e l’altra solo con panna, ma con una spruzzata di quella che sembrava menta. E poi era Emma quella che aveva dei gusti strani, eh?
Con un sorriso riconoscente sul volto, benché timido, Emma accettò la tazza di cioccolata, il calore della bevanda la riscaldò fin da subito, le sembrava di essere stata sotterrata nella neve per un’infinità di tempo.
«Se per te va bene, lunedì dovresti iniziare ad andare a scuola anche tu, mi è stato detto che hai perso un paio di lezioni, ma ho visto i tuoi voti e tutto sommato sono sicura che riuscirai a metterti in pari con il programma.»
Emma annuì, nonostante non fosse sempre un modello di ragazza nella vita, a scuola era tutt’altra cosa. Non le piaceva più di tanto studiare, ma si applicava e tentava di stare il più attenta possibile in classe, come se fosse una sorta di redenzione, come se almeno nello studio dimostrasse di essere una brava ragazza.
Ingrid le tese un foglio sul quale era stato stampato l’orario delle sue lezioni. «Ti ho inserita negli stessi corsi delle mie nipoti, ma puoi sempre cambiare, se vuoi…»
«No,» la fermò Emma, a disagio. Non era abituata a tutte quelle premure, anzi, e se anche lo fosse stata, sarebbe stata incapace di ricambiare il gesto, non si sentiva pronta. Forse, col tempo, lo sarebbe stata.
Diede un’occhiata alle varie lezioni, le stesse che aveva sempre frequentato, tranne musica. Si irrigidì appena, sembrava che Ingrid avesse scavato nel suo passato, in tutto ciò che non era stato scritto nei suoi fascicoli, e avesse tirato fuori ciò che più faceva male.
Ingrid, dal canto suo, si accorse dell’espressione di Emma e, dopo aver bevuto un sorso di cioccolata, disse: «Ti ho inserita nella classe di musica perché ognuna di noi ne è appassionata. Io suono il violoncello, Elsa l’arpa e Anna il flauto traverso. Tu hai mai imparato a suonare qualche strumento? »
Emma avrebbe voluto mettersi a urlare, nessuno aveva scoperto il suo piccolo, sporco segreto, né glielo aveva mai sbattuto in faccia a quel modo. Non dava la colpa a Ingrid, anzi, non era proprio colpa di nessuno, tutto era però fin troppo casuale, e a lei non piacevano le sorprese. Tuttavia, inaspettatamente, si ritrovò ad annuire. «Sì, ma… è da molto che non faccio pratica. »
«Fammi indovinare,» disse Ingrid, guardandola con occhi socchiusi da sopra la tazza, studiando il suo volto e poi le sue mani, «violino.»
La ragazza non riuscì a non trattenere un’esclamazione sorpresa e quasi le andò di traverso la cioccolata. Tossicchiò, un po’ di cannella le era finita nel naso. «Come hai fatto?» domandò con un filo di voce mentre Ingrid si allungava a darle dei colpetti forti tra le scapole.
«Le dita di un artista sono diverse, sfiorano tutto con delicatezza, come se fosse la corda di un’arpa o una porcellana preziosa, anche quando stringono qualcosa con forza sono in un qualche modo delicate, attente. Inoltre, tendi a tenere il capo inclinato verso sinistra, una cosa automatica che non ti accorgi nemmeno di fare. Io, per esempio, non mi accorgo quasi mai di tenere le gambe allargate, e quando me ne accorgo, beh, è un po’ imbarazzante, a dire il vero.»
Emma ridacchiò, ma capì dove voleva arrivare, e in qualche modo si sentì felice. Eppure, non poté impedirsi di rattristarsi. Era da molto che non suonava più, da quando Lily l’aveva tradita. Guardò automaticamente il proprio polso, a volte vedeva ancora il fantasma della stella nera che si era disegnata per lei come simbolo della loro amicizia.
Turbata, finì in pochi sorsi la propria cioccolata scottandosi anche la lingua, ma non le importava, quasi non sentiva il dolore.
«Credo sia meglio sistemare le tue cose, ora. Anna ed Elsa sono brave a tenere in ostaggio le persone, soprattutto Anna,» ridacchiò Ingrid con un sorriso dolce pensando alla nipote. Alzò lo sguardo su Emma senza che quel sorriso si spegnesse. «Inoltre, non voglio toccare le tue cose senza il tuo permesso.»
Quel senso di commozione fece quasi male a Emma mentre seguiva Ingrid fuori dalla cucina. Non era abituata a venire trattata con rispetto, e sapeva che non era solo una facciata, Ingrid era davvero amorevole e premurosa, proprio come una vera mamma.
Emma, però, non sapeva come fosse una vera madre, nonostante dentro di sé desiderasse scoprirlo più di qualsiasi altra cosa al mondo e, mentre saliva le scale, si ritrovò a voler scoprire tutto ciò con Ingrid.

 
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Odiatemi voi che potete xD
Sì, lo so, non dovrei iniziare una nuova storia, non quando ne ho in cantiere altre tremila - non quando non ho passato il mio ultimo esame, poi, ma quella è un'altra storia - non quando non ho ancora fatto colazione, non quando oggi devo andare all'università - perché fare lezione di pomeriggio, perché?! - non quando fuori dalle mie finestre ci sono gli imbianchini che mettono la malta sulla casa.
Okay, non che questa fanfiction sia "appena iniziata" sono piuttosto avanti, e spero di poter continuare anche le altre due mie storie principali - A Little Piece of Heaven e The light that guides you home (questa, se riesco a finire il capitolo, forse lo posto in settimana, ALPOH devo rivedere il capitolo che ho già scritto e finire l'altro, ma spero di aggiornarla presto).
Tornando alla fanfiction, questo capitolo non dice molto, lo so, anche se credo introduca piuttosto bene, anche se non accuratamente, ciò che sente Emma, sentimento che ovviamente esplorerò nei capitoli successivi. Non incontrerete prestissimo Killian - lui ama le entrate a effetto, lo sapete v.v - ma sentirete parlare di lui, e spero che quando accadrà non imbraccerete i fucili xD
Spero che questo primo capitolo vi sia piaciuto - avevo pensato di unirlo al secondo, ma ho pensato che sganciare una bomba addosso a Emma per capitolo fosse abbastanza. Il prossimo vedrà protagoniste Anna ed Elsa, quindi preparatevi, l'inverno sta arrivando. Ops.
Ah, capirete anche perché ho dato questo titolo alla storia, le me non lascia mai nulla al caso. Quasi mai. Raramente.
Spero di sentirvi in molti, ora vado a scongelarmi le dita dei piedi che a contatto con le piastrelle si sono ghiacciate - Ingrid, tu camminavi tranquillamente nella tua grotta di ghiaccio a piedi nudi, perché non passi anche a me questo tuo potere?
Un bacio a tutti,
bluerose
   
 
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