Videogiochi > Assassin's Creed
Segui la storia  |       
Autore: O n i c e    24/03/2016    0 recensioni
Regnava l’oscurità, ma non per lui. Regnava il silenzio, ma non per lei. Gli occhi e le orecchie della Setta erano lì, insieme.
«Non finirà oggi. Non per gli Assassini.» disse Altair con voce profonda.
«Ma per noi sì, vero?» si stupì nel sentire nuovamente la sua stessa voce.
«Conosci già la risposta». Le sollevò il cappuccio sorridendo mestamente.
La Mela. Essa li avrebbe distrutti, se già non l’aveva fatto.
Genere: Avventura, Sentimentale, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altaïr Ibn-La Ahad , Malik Al-Sayf , Nuovo personaggio
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
XVII
Il Sicario
 
 
 
 
 
 
 
Vedeva Altair che le stava parlando, ma non lo sentiva. Non riusciva a capire cosa le stesse dicendo, le fischiavano le orecchie e tutto intorno a lei sembrava girare...
Tradire il proprio sangue è peccato.
Così recitava lo stralcio di pergamena che in quel momento stringeva convulsamente tra le dita.
 
«È scritta nella tua lingua. Traduci.» le aveva ringhiato il Maestro, mettendole tra le mani quel pezzo di carta macchiato di sangue, trattenendo a stento l’ira che gli deformava i lineamenti.
Per un attimo Nadirah non aveva reagito, impietrita dal capo mozzato adagiato con cura appena oltre l’enorme portone d’ingresso. Le orbite dell’uomo erano vuote, due pozzi di dolore affacciati sull’inferno, e la ragazza per un attimo aveva sentito il terrore serrarle lo stomaco. Aveva la croce templare marchiata a fuoco sulla fronte, come ultimo oltraggio prima di essere strappato al mondo dei vivi.
Non era riuscita a staccare gli occhi da quel volto sconvolto da chissà quali torture e, nella sua mente, quei tratti mutavano e rivedeva il proprio viso, in un’alternanza che le aveva messo i brividi.
Solo quando Altair le aveva sfiorato le mani tremanti, si era riscossa e aveva tradotto ad alta voce il contenuto del messaggio. La voce le era uscita atona, lo sguardo fisso nel vuoto. Tutto ciò che le stava intorno era apparso sfocato, come le voci della piccola folla di assassini che si era radunata lì intorno.
Parlava di lei, ne era sicura.
Quel messaggio era stato vergato da Corrado in persona, probabilmente. Per gli assassini e per lei
La voce di Jawad era arrivata confusa alle sue orecchie, sovrastata da un sibilo continuo. Troppo sconvolta non aveva neppure cercato di afferrare le disposizioni del Maestro e quasi non si era resa conto di essere stata condotta all'esterno, nel cortile di allenamento.
 
È tua la colpa…
Nella sua testa c’era spazio solo per la testa decapitata di quell’uomo.
E poi, all’improvviso, quel volto mutò di nuovo. Ma i tratti che vi scorgeva non appartenevano più a lei…
Altair
Fu come un pugno allo stomaco…
“Colpevole” le diceva. E lei avrebbe voluto urlare.
Si strinse la testa fra le mani.
«Nadirah?» la voce dell'assassino le giunse ovattata e mal celava una nota di preoccupazione. Lei si sforzò di alzare lo sguardo su di lui. «Nadirah, dannazione, riprenditi!» insisté scuotendola dalle spalle.
«Chi... Chi era?» fu l'unica cosa che riuscì a domandare, mentre sentiva il gelo di gennaio insinuarsi nelle ossa e risvegliarla lentamente da quel limbo in cui era scivolata.
«Una delle nostre spie di Gerusalemme.» le rispose guardandosi intorno. «Ora però ho bisogno che torni in te.» Aggiunse lanciandole una rapida occhiata.
Una moltitudine di uomini sfrecciava frenetica tutt'intorno a loro e anche con l'oscurità della notte Nadirah riusciva a scorgere le iridi scure dell'assassino saettare su chiunque, illuminate dal sinistro alone rossastro delle poche torce che vi si riflettevano.
«Maestro Altair, noi cosa possiamo fare?» dal nulla si erano avvicinati un paio di novizi. Erano giovani, constatò la ragazza, tredici, forse quattordici anni, eppure erano determinati mentre stringevano in pugno delle spade che a malapena riuscivano a sollevare.
Altair li squadrò con una rapida occhiata, innervosito dalla distrazione. «Tu.» indicò il più robusto dei due, «da' una mano ai tuoi fratelli. Non deve uscire nessuno dalla fortezza!».
Nadirah sgranò gli occhi a quelle parole: le aveva già sentite, le stesse, in un altra lingua, in un altro luogo, in un altro tempo...
Le ricordarono quel fiero e imponente comandante che le ripeteva sempre quanto lei fosse speciale.
Sii forte bambina mia...
Padre…
Sei sangue del mio sangue, qualsiasi cosa tu faccia.
Quel padre che, in quel momento, le mancava così tanto.
«... portala alla torre...» stava continuando l'assassino, rivolto all'altro.
L'avrebbe stretta in un abbraccio giurando di proteggerla. Sì, l'avrebbe fatto, ma suo padre era morto -da molto tempo ormai- e lei non era più la bambina che, spaventata dagli incubi, si rifugiava tra le sue possenti braccia nelle notti in cui fuori infuriava il temporale.
Qualcosa stonò nella frenesia che li circondava e un rapido luccichio catturò il suo sguardo. Intercettò una figura muoversi a testa bassa oltre il portone, intenta a calare un pugnale nelle carni di un giovane novizio che gli ostacolava la via. L’uomo si voltò e per un istante la luce di una torcia illuminò il suo volto, Nadirah lo riconobbe: Ludovico di Acqui, il miglior sicario di Corrado. Questi ricambiò il suo sguardo e ghignò prima di riprendere la fuga.
Nadirah riprese completamente lucidità e, mossa dall’istinto, sfilò rapida la spada corta di Altair e si lanciò al suo inseguimento un attimo prima che l’assassino potesse trattenerla.
«Fermatelo!» sentì gridare qualcuno alle sue spalle dopo qualche attimo, ma il sicario era dannatamente veloce, Nadirah cercò comunque di stargli dietro, nonostante fosse ostacolata dalla veste che aveva addosso dalla cerimonia, e imprecò tra sé quando sentì alle sue spalle dei passi avvicinarsi. Altair, ne era certa.
Raggiunsero la piazzetta del villaggio in pochi secondi, ma un uomo a cavallo aspettava il sicario che, con impressionante velocità, montò sul secondo palafreno ed entrambi si lanciarono al galoppo verso le porte del villaggio. Altair gli stette dietro per qualche passo, per poi tentare di colpirli con i pochi pugnali da lancio che in quel momento aveva con sé. Non ci riuscì, erano fuori portata.
Nadirah allora, in un moto di frustrazione, sottrasse l’arco e una freccia a un giovane assassino che le si era appena affiancato e tentò il tutto per tutto. Non erano ancora fuori gittata… poteva farcela.
Incoccò la freccia.
“Diventerai un buon arciere, Virginia, ne sono certo.”
Tese l’arco.
“No padre…”
Prese la mira.
“Diventerò la migliore.”
Scoccò.
Seguì la traiettoria. Andò quasi a segno.
La freccia colpì Ludovico di Acqui di striscio, sul volto, per poi conficcarsi nel collo del cavallo del suo complice, che gli cavalcava a fianco. L’animale cadde in un nitrito di dolore, trascinando a terra l’uomo che lo montava. Urla di approvazione si sollevarono alle sue spalle, ma lei aveva mancato il vero bersaglio, che proprio in quel momento superava le porte del villaggio e si allontanava nella notte.
«Le sentinelle di guardia dove accidenti sono! Perché non l’hanno fermato?» gridò qualcuno.
«Svelti, catturate l’infedele!» urlò qualcun altro, e subito diversi assassini si precipitarono verso il complice del Templare.
«L’ho mancato.» disse Nadirah in un sussurro quando Altair le si affiancò. «Mi dispiace.» aggiunse consegnandogli la spada corta che gli aveva sottratto.
L’assassino la osservò per qualche istante in silenzio. «Dannazione, Nadirah…» iniziò, costringendola a guardarlo. 
La ragazza socchiuse gli occhi e sospirò.
La voce di un veterano li raggiunse: «Gli uomini di guardia sono stati uccisi!».
Altair imprecò e la scansò malamente di lato. «Portate qui il templare.» ordinò.
«Altair…» lo chiamò la ragazza afferrandolo per un braccio.
«Resta dove sei.»
 Rayhan trascinò il templare ai suoi piedi. Aveva già un sopracciglio spaccato e sanguinante e una gamba piegata in modo innaturale, rotta probabilmente nella caduta.
Due assassini trattenevano l’uomo per le braccia e Altair lo afferrò per il bavero; gli si parò a una spanna dal viso. «Allora templare, cos’hai da dirci?»
L’uomo lo fissò tremante. «Je… je ne vous comprends pas… Est-ce que vous voulez?… »
«Come? Credo di non aver capito…» disse prima di sferrargli un pugno dritto in faccia. «Vediamo se sarai più chiaro.»
L’uomo urlò dal dolore, mentre il naso grondava sangue, e Altair continuò a infierire su di lui.
Nadirah indietreggiò, ma qualcuno l’afferrò per le spalle e la trattenne, facendola sussultare. «Calma, Altair. Non vorrai mica ammazzarlo, il Maestro sai che non approverebbe.» disse l’uomo, sarcastico, mollando la presa su di lei.
Alec.
Nadirah strinse i pugni allontanandosi da lui.
«Cedo a te l’onore, allora. Magari sarai più persuasivo.» rispose con un sorrisetto allargando le braccia e lasciandogli il posto.
«Con piacere.» accettò il biondo facendosi avanti e riprendendo da dove Altair si era interrotto.
«Credete che riuscirete a sapere qualcosa da lui?» domandò Nadirah quando l’assassino le fu di nuovo a fianco.
Lui la guardò serio: era ancora adirato con lei. «Non lo so,» ammise, «ma quanto è successo stasera ha scosso gli uomini, e non sarà un bene per lui.» aggiunse indicando con un cenno il templare che gemeva sotto i colpi di Alec.
«Forse potrei…» azzardò, e si sentì il suo sguardo addosso. Non si voltò.
«No. Hai già fatto abbastanza per stasera.» ribatté, duro.
Provò a replicare, ma sentì il templare rivolgersi direttamente a lei.
«Aidez-moi,» la supplicò. «S’il vuos plaît, Madame, aidez-moi…»
La ragazza tentò di fare un passo avanti, ma Altair la bloccò. «Sta’ ferma.»
Lo ignorò. «Parle, ou tu mourras.»
Gli assassini presenti la osservarono.
L’uomo sgranò gli occhi, poco prima che Alec lo colpì nuovamente, per poi voltarsi verso di lei. «Ma che…» esclamò stupito, «tu capisci quello che dice questo stronzo?»
Nadirah annuì. Alec ghignò
«Non se ne parla». Altair anticipò i pensieri di entrambi.
In quel momento dalla fortezza giunse un novizio. «Il Maestro ordina di rientrare al castello e di portare nelle segrete il prigioniero. Vi attenderà lì.»
Alec si alzò soddisfatto e li superò, dirigendosi verso la fortezza. «È un vero peccato che tu non la voglia con noi, Altair, stava iniziando a piacermi.» disse lanciando uno sguardo enigmatico alla ragazza.
Fulmineo, Altair lo trattenne puntandogli contro la lama celata. «Attento a te» sibilò, prima di abbassare il braccio e lasciarlo passare, per poi rivolgersi a Nadirah. «Tu vieni con me.»
 
Sbatté la porta e si apprestò a chiuderla a chiave.
Uno…
Due…
«Maledizione, Altair!»
Eccola.
«Apri questa dannata porta!» le grida di Nadirah arrivavano leggermente attutite dal legno che li divideva. «Giuro che ti uccido! Fammi uscire!»
L’assassino sospirò, allontanandosi nel corridoio, diretto alle segrete.
Non avrebbe voluto farlo, ma Nadirah non gli aveva lasciato altra scelta: testarda com’era aveva insistito per fare la sua parte e rendersi utile, così Altair si era visto costretto a chiuderla dentro la propria stanza, trascinandosela a spalla, mentre lei continuava a riempirlo di insulti e pugni.
Non aveva intenzione di lasciarla girovagare per la fortezza con metà degli assassini assuefatti dal troppo vino e l’altra metà assetata di vendetta per gli uomini uccisi dal sicario di Corrado.
Strinse i pugni, pervaso dalla rabbia. Come diavolo aveva fatto quel maledetto templare a infiltrarsi nella fortezza?
Sicuramente i preparativi per l’iniziazione avevano attirato l’attenzione quantomeno dei villaggi vicini, visto l’andirivieni di mercanti e commercianti degli ultimi giorni, ed era anche possibile che il Maestro l’avesse comunicato anche alle varie dimore.
Ad ogni modo era certo che la spia di Gerusalemme, sotto tortura, avesse parlato.
Era quasi giunto alle prigioni quando vide il Maestro venirgli incontro.
Altair lo salutò, chinando il capo.
L’uomo rispose con un cenno, fermandoglisi di fronte. «Ho mandato degli uomini all’inseguimento del sicario, voglio che vada anche tu. Ho già dato ordine di sellare il tuo cavallo.»
Si stupì, ma non disse nulla. Jawad era ancora visibilmente furioso per tutto ciò che era accaduto, e non era il caso di obiettare.
«Certo Maestro.» accettò congedandosi.
Raggiunse le scuderie di corsa e, nel tragitto, notò dei novizi riportare alla fortezza i corpi martoriati delle due sentinelle uccise.
Ludovico di Acqui l’avrebbe pagata.
Con agilità montò in groppa al suo stallone, spronandolo al galoppo, diretto verso il cuore del regno. La lieve luce della luna illuminava il sentiero tra le montagne e gli permetteva di vedere le tracce lasciate dagli inseguitori del sicario. Cavalcò per un bel pezzo prima che riuscisse ad avvistare due degli assassini mandati dal Maestro, nei pressi di alcune rovine romane. Si avvicinò rallentando l’animale.
«Cos’è successo qui?» domandò, guardandosi intorno.
I due iniziati si guardarono, poi uno prese la parola: «un cavallo si è azzoppato, ci siamo dovuti fermare. Solo Jalil ha proseguito.»
«Da solo?!» tuonò Altair.
L’altro annuì, arretrando, ma l’assassino era già ripartito.
Dopo poche miglia in piano il sentiero iniziava a inerpicarsi tra le montagne e la luna, dapprima alta nel cielo, iniziò la sua discesa verso l’orizzonte svanendo dietro i costoni di roccia. Altair fu costretto a rallentare l’andatura, procedendo al passo per un lungo tratto, fino a che colse dei rumori in lontananza.
Decise allora di smontare da cavallo e, conducendolo per le redini, proseguì tenendosi il più vicino possibile alla roccia, fino a che, dall’oscurità, notò quello che doveva essere il cavallo di Jalil. Il giovane doveva essere lì vicino e, infatti, non ci mise molto a individuarlo poco distante acquattato tra i cespugli. Si avvicinò di soppiatto e senza il minimo rumore estrasse la spada, puntandogliela alla nuca. Jalil si irrigidì.
«Se fossi un crociato saresti già morto.» gli sibilò chinandosi al suo fianco.
Il ragazzo si voltò nella sua direzione, spaesato. «Altair, mi hai fatto prendere un colpo.» confessò rilassandosi.
«Ritieniti fortunato.» disse, per poi volgere lo sguardo al piccolo accampamento nella valle sotto di loro.
«È un avamposto di Corrado, ne sono certo, si riconoscono dalle casacche. E credo che il sicario li abbia raggiunti qui.»
«Credi?» chiese Altair.
Jalil annuì. «Già, gli sono stato dietro seguendo le tracce lasciate dal suo cavallo, e mi hanno condotto fino a qui.»
«Non ti ha visto nessuno?»
«Non ho visto guardie qui intorno.»
«Non vederle non vuol dire che non ci siano.» fece presente Altair guardandosi attorno. «Hai notato qualcosa di strano da quando sei qui?»
Il ragazzo scosse la testa. «Nulla. Gli unici movimenti che ci sono stati erano per il cambio della guardia, poco prima che arrivassi tu.» spiegò.
Altair tacque, riflettendo sul da farsi. Poteva tentare di introdursi nel campo, ma si sarebbe potuto rivelare uno spreco di tempo e di energie: da quella posizione non aveva molta visuale e non riusciva, nonostante i suoi finissimi sensi, a vedere il sicario. Poteva già essersi dileguato.
Dopo qualche minuto di silenzio l’assassino si tirò in piedi. «Torniamo alla fortezza» ordinò.
Arrivarono al castello proprio mentre a est iniziavano a vedersi i primi bagliori del mattino e Altair, nonostante sperasse di potersi ritirare per riposare, dovette prima fare rapporto al Maestro, il quale gli comunicò anche che il prigioniero non era sopravvissuto alla notte, morto in preda di atroci dolori.
Veleno.
«Ora va’» lo congedò infine, e Altair poté finalmente trarre un sospiro di sollievo, rincuorato dal fatto che, nonostante tutto, Jawad fosse meno adirato rispetto a come l’aveva lasciato.
Solo quando si ritrovò di fronte alla sua stanza, si ricordò di un altro problema: Nadirah. Era sicuro che non avrebbe retto un confronto con lei in quel momento, per questo decise prima di bussare leggermente. Nessun rumore dall’altra parte: buon segno.
Aprì il chiavistello cercando di fare meno rumore possibile ed entrò, richiudendosi la porta alle spalle. La stanza era appena rischiarata dalle prime luce dell’alba, e l’assassino notò la ragazza profondamente addormentata sulla sua branda; gli dava le spalle e Altair la osservò a lungo, mentre con cura si spogliava delle armi e della tunica. Non poté resistere dall’avvicinarsi. Percepiva il suo respiro regolare e il dolce profumo che emanava la sua pelle: era tentato, dannatamente tentato, ma si limitò ad osservarla, adagiato sui cuscini dall’altra parte della stanza, fino a che il sonno s’impossessò di lui.
 
«Il messaggio è stato recapitato, Signore.» esordì l’uomo non appena si ritrovò al cospetto del suo re.
Corrado sorrise, maligno. «Ce ne hai messo di tempo»
«Vi chiedo perdono, ma sono stato rallentato.»
«E l’uomo che avevi portato con te? Hai fatto come d’accordo?» indagò avvicinandosi alla vetrata che dava sul porto di Tiro.
«Sì signore. Ormai sarà morto da giorni.» confermò.
«Molto bene.» fece una pausa. «Che hai fatto al volto?» domandò indicandolo.
Ludovico si portò la mano alla guancia, sfregiata dallo zigomo all’angolo della bocca. «Niente di grave.» rispose.
Corrado lo congedò.
Niente di grave. Certo.
Ma gliel’avrebbe fatta pagare, eccome, alla cara nipote del suo re.














 
  
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Videogiochi > Assassin's Creed / Vai alla pagina dell'autore: O n i c e