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Autore: Lady Five    28/03/2016    3 recensioni
[https://it.wikipedia.org/wiki/Giorgio_Scerbanenco#Quadrilogia_di_Duca_Lamberti]
Un altro caso affidato, in via non ufficiale, a Duca Lamberti dall'ispettore Carrua, vecchio amico di suo padre: una donna scomparsa misteriosamente da una lugubre isola in mezzo al lago, i cui abitanti sembrano nascondere un inquietante segreto... Riusciranno Duca e il fido Mascaranti a risolvere l'enigma o dovranno arrendersi a una cruda verità?
Genere: Drammatico, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Duca Lamberti sentì montargli dentro un furore sordo, che lui stesso non sapeva spiegarsi. La rapidità con cui il Varrega era giunto alle conclusioni lo irritava profondamente.
“Un momento, signori! Questo non prova proprio nulla! Quella sciarpa potrebbe essersi trovata lì per mille altri motivi!”
“Sono sicuro che mia moglie indossasse quella sciarpa la sera in cui scomparve. A questo punto mi sembra evidente che si sia suicidata...”
“Non è affatto così evidente - incalzò Duca - Innanzitutto, per la difficoltà del gesto per una persona con la sua invalidità. Poi, solitamente i suicidi lasciano scritto qualcosa...”
In realtà, né lui né Mascaranti avevano ancora scartato quell'ipotesi. Ma gli sembrava assurdo che un uomo si rassegnasse così alla morte della moglie, senza altra prova che una sciarpa ributtata dal lago su una spiaggia.
Il conte si strinse nelle magre spalle.
“Lei ha qualche altra idea plausibile?”
Duca ignorò la domanda.
“Prima di dichiarare la morte di una persona bisogna almeno tentare di recuperare il corpo... solo così si può averne la certezza, e soprattutto verificare se si sia trattato di suicidio, omicidio o incidente.”
“Impossibile - intervenne il vecchio pescatore - Questo lago non ha mai restituito nulla. È troppo profondo e pieno di gorghi e correnti.”
“Farò fare tutte le ricerche del caso - promise il conte - Intanto, vi sollevo dall'incarico. Vi ringrazio per quanto avete fatto e farò presente al prefetto il vostro lodevole impegno. Renzo vi riaccompagnerà sulla terraferma.”
Duca tentò di protestare.
“Ma non abbiamo risolto il caso! Siamo esattamente allo stesso punto di quando siamo arrivati! Non so se se ne rende conto...”
Varrega si sollevò faticosamente dalla poltrona.
“Per quanto mi riguarda, il caso è risolto. Purtroppo. Credete che mi faccia piacere accettare questa conclusione? Mia moglie era giovane e bella, come avrete visto, e non si era mai rassegnata alla disgrazia che le era capitata, non accettava il fatto che non ci fosse nulla da fare. Credetemi, il suicidio è l'unica spiegazione logica. Comunque, ora la mano passa alla polizia locale, che è già stata avvertita. ”
Lamberti frustrato mise la mano in tasca, dove ancora si trovava lo specchietto. Restò per un attimo indeciso se parlare o meno al conte dell'ipotesi della fuga della donna.
Poi risolse per il no. Se lei aveva scelto di scappare da quell'uomo, non voleva in alcun modo tradirla. Non era molto ortodosso, ma non poté, o non volle, farlo.
Il conte lì congedò con una fredda stretta di mano. Non riuscirono nemmeno a porgergli le condoglianze... perché per loro, malgrado tutto, la contessa non era morta.
Si ritrovarono poco dopo sul piccolo motoscafo, diretto verso la terraferma. Il barcaiolo, come al solito, non disse una parola fino all'arrivo.
Soltanto dopo che i due furono scesi sul piccolo molo del paese, l'uomo parlò.
“So che pensate che la contessa possa essere stata uccisa. Ma vi assicuro che non è così. Tutti la adoravano, compreso il conte, e nessuno, nessuno al mondo può averle fatto del male.”
“Quindi anche lei propende per l'ipotesi del suicidio?” chiese Mascaranti.
Renzo parve esitare un istante.
“Sì, temo non ci sia altra spiegazione. Il conte può avervi dato l'impressione di essere un uomo freddo e insensibile, ma è il suo modo di reagire al dolore. Io lo conosco da anni, non manifesta mai apertamente i suoi sentimenti, tanto meno con gli estranei... Ora vi saluto, devo proprio andare.”
L'uomo strinse loro le mani e si allontanò con l'imbarcazione.
Mascaranti fece per dirigersi verso il parcheggio dove avevano lasciato l'auto al loro arrivo, ma Duca non si mosse. Fissava il lago.
“Fermiamoci ancora per un giorno.”
“Ma il conte ci ha praticamente cacciato...”
“Ci ha cacciato da casa sua, ma non può impedirci di restare in paese. Voglio vederci chiaro. Andrò a dare un'occhiata a quella spiaggia... Ma se lei deve rientrare in servizio, faccia pure. Io tornerò con il treno.”
“Carrua mi ha dato tre giorni di licenza per seguire questa storia... quindi posso restare anch'io. Anche se lo ritengo inutile.”
Prenotarono due stanze in un modesto albergo ai margini del paese, per non dare troppo nell'occhio, e nel pomeriggio si fecero indicare la spiaggia di fronte all'isola, detta, scoprirono, dei Sette Gorghi. Un nome che era tutto un programma. Già spiaggia era esagerato. Era una lingua di fanghiglia e sassi, incassata in una piccola insenatura, tra rocce scure e taglienti. Il posto, spiegarono alcuni pescatori che stavano sistemando le loro barche, era chiamato così per via dei numerosi gorghi che si creavano in quel punto del lago, per un malefico gioco di correnti, scogli e grotte sommersi. Duca e Mascaranti chiesero in prestito una di quelle barche e fecero un sopralluogo nelle acque antistanti la baia, che erano però troppo scure e profonde per scorgere qualcosa.
A cena, sconsolati, non poterono che constatare la loro impotenza.
“Temo che dovremo arrenderci - disse Duca - Una forte corrente è in grado di trascinare un corpo non troppo pesante. Ma il cadavere potrebbe essere anche rimasto incastrato sul fondo, tra le rocce. Se il luogo è come lo descrivono, sarà molto arduo recuperarlo. Possono farlo solo dei sommozzatori, e con un bel po' di fortuna. Quel pescatore poi ha detto che il lago non ha mai restituito nessuno...”
“Già, davvero inquietante.”
“Non abbiamo nessun indizio, e nemmeno dei sospetti, che la contessa sia stata uccisa, mentre tutte le circostanze sembrano sostenere la tesi del suicidio. In ogni caso, non è più affare nostro, ma della polizia locale. Quindi, domani ce ne andiamo.”
Ma Duca non si sentiva in pace con la coscienza. Gli sembrava di aver deposto le armi troppo presto, di non aver fatto tutto il possibile per scoprire la sorte della giovane e sfortunata contessa. Purtroppo quella non era un'indagine ufficiale e questo limitava molto i loro movimenti.

Il mattino dopo, però, capirono dai discorsi della gente che la notizia della probabile morte della contessa si era ormai diffusa in tutto il paese. Vennero anche a sapere che nella tarda mattinata si sarebbe svolta una piccola cerimonia presso la spiaggia dei Sette Gorghi, come era uso da quelle parti per chi moriva nel lago.
Duca strinse i pugni.
“È così che la fa cercare, quel vecchio maledetto!”
“Magari lo hanno già fatto ieri, prima che noi andassimo a quella spiaggia... o forse lo faranno dopo...” disse Mascaranti con scarsa convinzione.
Decisero di partecipare anche loro, confusi tra la folla che si accalcava sul piccolo lembo di terra, spinta dalla devozione verso la giovane donna, o forse soltanto da curiosità un po' morbosa.
Videro il conte Varrega, al centro della baia, sul suo motoscafo parato a lutto, e accanto, su un'altra barca, un sacerdote con due chierichetti, che tenevano in mano dei ceri accesi. Il prete asperse la superficie plumbea con l'acqua benedetta e il conte gettò nel lago tre corone di fiori bianchi. Molti partecipanti, dalla riva, a loro volta buttarono fiori e rami di pino, prima di andarsene mestamente. Anche Duca aveva comprato un mazzo di rose bianche, ma si avvicinò all'acqua solo quando vide allontanarsi l'imbarcazione del conte.
Mascaranti si era guardato intorno per tutta la durata del triste rito, alla ricerca... non sapeva nemmeno lui bene di che cosa. Forse di qualche faccia sospetta. Si dice che l'assassino torni sempre sul luogo del delitto...
Subito dopo, i due si rimisero in macchina e tornarono a Milano. Riferirono brevemente a Carrua l'esito della vicenda. Il loro superiore fece una telefonata informale al collega che avrebbe dovuto occuparsi delle indagini, il quale riferì che, dai loro sopralluoghi, non era emerso nulla che facesse pensare a un delitto. Il corpo.... sì, i sommozzatori lo avevano cercato per un po'... ma anche lui ripeté quanto avevano detto tutti: quel lago inghiottiva chiunque e qualunque cosa, senza pietà.
Per un po' Duca comprò il giornale con la cronaca di quella provincia, sperando, ogni volta, di trovare una notizia, una qualunque, buona o cattiva che fosse. Ma non accadde mai.
Carrua si era accorto del suo turbamento e, urlando come suo solito, gli ricordò che la sua priorità ora era mettere insieme i cocci della sua vita e occuparsi di sua sorella e sua nipote, quindi che la piantasse di perdersi dietro a questioni ormai senza più senso.
Così un giorno Duca chiuse lo specchio rotto in un cassetto e cercò di non pensare più al dolce viso della contessa sepolto per sempre in quella gelida bara di acqua e roccia.

Trascorsero due mesi, durante i quali Mascaranti continuò a inseguire ladri e assassini, e Duca ricevette da Carrua altri incarichi investigativi non ufficiali, in attesa di essere riammesso all'ordine dei medici. Anche se non era più tanto sicuro che fosse quello che voleva. Trascorreva sempre più tempo in questura, dove Carrua gli aveva perfino assegnato un minuscolo ufficio. E gli piaceva stare lì, accidenti se gli piaceva. Suo padre, eroico agente dedito al suo lavoro, si era letteralmente tolto il pane di bocca per farlo studiare, perché potesse avere una vita meno dura della sua. Ma il sangue non è acqua, e lui probabilmente non era tagliato per fare il dottore, ma il poliziotto, come suo padre.
In una nebbiosa mattina milanese, gli recapitarono una busta, con un francobollo brasiliano. Incuriosito, la aprì subito. Non era firmata, ma Duca trasalì, quando si rese conto di che cosa si trattasse. La lesse tutto d'un fiato, non credendo ai propri occhi.


 

Gentile dottor Lamberti,
ho esitato molto prima di scriverle questa lettera, ma alcune circostanze mi hanno convinto che glielo dovevo.
Sono Edoardo Varrega, il figlio di quel conte Varrega che avete avuto modo di conoscere in circostanze tragiche.
Mio padre e io non siamo mai andati molto d'accordo. Lui, come vi sarete accorti, è un tipo molto chiuso e solitario, non ama la gente e la confusione. Non è una cattiva persona, ma è assolutamente incapace di esprimere i suoi sentimenti. Finché mia madre era in vita, in qualche modo riuscivo a sopportarlo. Ma dopo la sua morte i conflitti sono esplosi. Mio padre mi ha permesso di frequentare l'università e laurearmi in medicina, ma non voleva che esercitassi la professione, perché riteneva che fosse incompatibile con il nostro titolo e il nostro rango. Retaggi di un'epoca ormai finita, ma lui non riusciva ad accettarlo.
Quando si è risposato, circa tre anni fa, io ero contento. Ludovica era giovane, ma soprattutto era una donna solare e gentile. Speravo che lo avrebbe cambiato, lo avrebbe spinto a uscire dal suo isolamento. Ma non è andata così. Anzi, è avvenuto il contrario. Mio padre pretese che la sua nuova moglie diventasse come lui, praticamente la segregò sull'isola, impedendole perfino di ricevere i suoi vecchi amici e di andare in paese. Negli ultimi tempi, prima della disgrazia, non le faceva nemmeno arrivare la posta. Credo lo facesse per gelosia, forse aveva paura che prima o poi lei, così bella e affascinante, lo lasciasse. Un vero incubo per lei.
Poi accadde l' “incidente”. Che non fu affatto un incidente. La versione ufficiale che mio padre dava a tutti era che fosse caduta malamente dalle scale. La verità è che una mattina Ludovica si svegliò e non riuscì ad alzarsi né tanto meno a camminare. Vi chiederete come sia possibile. Si tratta di un forma di paralisi di origine psicosomatica3, che può colpire soggetti fragili e sottoposti a stress emotivi molto forti. Era chiaramente il caso di Ludovica, a mio parere (ero già laureato), e io lo dissi a mio padre. Ma lui non voleva ammettere che, di fatto, fosse colpa sua. Lei avrebbe avuto bisogno di analisi e di cure adeguate in un ospedale specializzato, ma mio padre si rifiutò di farla ricoverare e perfino di chiamare un medico. Così Ludovica non sarebbe guarita mai più. Una sera litigai furiosamente con lui. Fu allora che me ne andai di casa. Mi trasferii a Milano, dove avevo studiato, e cominciai a lavorare in ospedale, come avevo sempre sognato. Ma non potevo abbandonare quella povera ragazza. Dovevo fare qualcosa. Le ho provate tutte: ho scritto a mio padre, ho inviato sull'isola dei colleghi, ma lui non volle nemmeno riceverli. È stato tutto inutile.
Intanto avevo trovato il modo di comunicare con Ludovica. Non volevo che si sentisse abbandonata.
Renzo, il giardiniere, le si era sinceramente affezionato e non è stato difficile convincerlo a portarle i miei messaggi, che io facevo arrivare a una casella postale in paese. Ed è stato lui ad aiutarmi a organizzare la sua fuga.


A quella parola Duca sobbalzò sulla sedia. Dunque lui e Mascaranti avevano ragione: la contessa era viva! Ed era riuscita a scappare da quella prigione infernale!
In preda a un'incontenibile, e anche inspiegabile (lui in fondo la contessa non la conosceva nemmeno), felicità, riprese avidamente la lettura.

 

Renzo era l'unico che guidasse il motoscafo e faceva le ronde di controllo intorno all'isola. Così la sera stabilita mi condusse sotto la finestra della stanza di Ludovica, che ci aspettava, insieme riuscimmo a portarla via di lì. Fu sempre lui a lasciare la sua sciarpa presso la spiaggia dei Sette Gorghi, in modo che tutti la credessero annegata. Sapevamo che non avrebbero cercato il corpo a lungo, perché è inutile: da quelle acque non si torna più.
So che è stata una macabra messinscena, ma purtroppo era l'unica soluzione. Ludovica è stata ricoverata in una clinica in Svizzera e sono lieto di comunicarle che ha riacquistato l'uso delle gambe. È ancora un po' debole, dopo due anni passati praticamente immobile, ma si sta riprendendo in fretta. Ora abbiamo lasciato l'Europa, non abbiamo ancora ben deciso dove ci trasferiremo definitivamente, ma ci rifaremo una vita. Insieme. Perché in questi mesi abbiamo anche scoperto di amarci.
Si chiederà perché abbiamo deciso di rivelarle ogni cosa. Renzo ci ha parlato di lei e del suo collega... di quanto vi foste presi a cuore la sorte di Ludovica. Abbiamo ritenuto giusto tranquillizzarvi. Sappiamo che non ci tradirete.
Vi auguriamo ogni bene.
Edoardo e Ludovica


 

Duca lesse e rilesse quelle parole. Sapeva che avrebbe dovuto dirlo a Carrua, in modo che lui avvisasse i colleghi del paese dove era avvenuto il fatto. Avrebbero dovuto informare anche il conte. Che non l'avrebbe presa bene, ovviamente. E poi? Che cosa sarebbe successo? Li avrebbero fatti cercare dall'Interpol? Con quale accusa?
Duca chiamò Mascaranti e gli mostrò la lettera. Anche il navigato poliziotto rimase stupito, ma anche contento, per quella storia che sembrava uscita da un romanzo d'appendice.
“Lei che cosa farebbe di questa lettera?” gli chiese Duca.
L'altro rispose senza esitazione.
“La brucerei.”
“Bene... è quello che pensavo di fare anch'io.”
Duca Lamberti si mise in fogli in tasca. A casa, al riparo da occhi indiscreti, li avrebbe distrutti. Per tutti gli altri, il segreto della contessa Varrega sarebbe rimasto sepolto per sempre nel lago.

 

 

Note dell'autrice

Scerbanenco è estremamente preciso, oltre che nel dare nomi e cognomi a tutti i suoi personaggi, anche nelle sue ambientazioni, che sono sempre luoghi reali e riconoscibili.
Qui io ho dovuto essere per forza più vaga: il lago a cui ci si riferisce potrebbe essere quello di Como, sia per la vicinanza con Milano sia per le atmosfere un po' cupe (non me ne vogliano gli abitanti di quei posti, che sono in realtà bellissimi!), sicuramente influenzate dal romanzo “Malombra” di Antonio Fogazzaro, letto in gioventù. Il problema è che in questo lago non ci sono isole private o grandi come quella descritta. A queste caratteristiche corrisponde invece l'isola Garda, sul lago di Garda, appunto, che però è molto più lontano da Milano ed è diverso da quello descritto.
In più, questa storia si ispira a un fatto realmente accaduto sull'isola Garda il 24 novembre 1924, di cui mi aveva parlato mia nonna tanto tempo fa: la principessa Anna Maria Borghese de' Ferrari, proprietaria dell'isola, uscì per una passeggiata e non fece più ritorno. Sempre mia nonna (ma questo nelle scarne cronache che ho trovato in rete non è riportato) mi raccontò che l'unica traccia trovata fu un mazzo di fiori su una scaletta di pietra che digradava nel lago. Naturalmente si suppose che fosse finita in acqua, ma, poiché il suo corpo non venne mai recuperato, non si seppe mai che cosa fosse successo: suicidio, disgrazia o omicidio? Oppure fuga, come la nostra contessa?

 

I personaggi di Duca Lamberti, Mascaranti e Luigi Carrua non appartengono alla sottoscritta, ma al loro legittimo autore, il compianto Giorgio Scerbanenco.

 

 

 

 

3Questa forma di paralisi colpì, anni fa, un mio giovane parente (fortunatamente solo per un breve periodo).

  
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