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Autore: MaxB    28/03/2016    5 recensioni
Un castello abbandonato, nascosto nel bosco insieme ai suoi segreti.
Un ragazzo senza memorie.
Un gruppo di fantasmi che lo faranno sentire a casa per la prima volta dopo anni.
Ma c'è solo una cosa che Gajeel vuole più della sua memoria: Levy.
La ragazza che ama, che amava, e che sembra essere la chiave del mistero che gira intorno al castello.
Lo scopo di Gajeel è quello di salvarla, ma l'impresa potrebbe rivelarsi più oscura del previsto.
Tra ricordi riportati a galla da un lontano passato ormai dimenticato, amori e macabre scoperte, riuscirà Gajeel a salvare il suo futuro?
Genere: Mistero, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Gajil Redfox, Levy McGarden, Mirajane, Pantherlily
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Prologo
Alla fine di tutto...

 
Un vento primaverile soffiava leggero nel bosco, portando a cavallo il profumo dei fiori appena sbocciati. Il sole che penetrava nel sottobosco scaldava tronchi, foglie e aria, ma la bella stagione tardava ad arrivare e l’atmosfera frizzante dell’inverno permeava tutto.
Un uomo stava vicino ad un albero di ciliegio, appena fiorito e già pronto a perdere i candidi boccioli. Tutt’intorno a lui, petali bianchi e rosa vorticavano e danzavano in onore della primavera. I lunghi capelli neri dell’uomo sventolavano piano, come se la tenacia e la forza del loro proprietario li avesse contagiati, e loro avessero saputo resistere alle spinte del vento.
Qualche petalo dispettoso sfiorò la sua chioma corvina e vi rimase incastrato, visibile come la luna piena in una notte buia e senza stelle.
L’uomo sospirò e staccò la mano dal tronco nodoso dell’albero, allontanandosi senza più voltarsi indietro. Poi si fermò, si guardò intorno, e fissò lo sguardo su una vecchia roccia erosa dalla pioggia, levigata e pronta ad ospitare sulla sommità almeno due persone.
Aspettò con pazienza che comparisse una bambina a salutarlo, eterea come il riflesso del sole sulle foglie degli alberi, con i lunghi capelli biondi che si arricciavano e giocavano con la brezza. Aspettò un suo sorriso e un suo pollice alzato come ringraziamento. Aspettò per assicurarsi che fosse tutto reale, che fosse tutto finito anche se erano passati anni da quella strana vicenda.
Aspettò invano.
E se ne andò sorridendo, perché quello che aveva fatto non era stato affatto invano.

Quando l’uomo si avvicinò al vecchio castello che si ergeva al centro del bosco, iniziò subito a sentire le voci squillanti dei bambini che giocavano spensierati. Passò per il retro della villa e si rese conto che se l’edificio non fosse stato ristrutturato e ammodernato, le guglie tipiche dei castelli sarebbero svettate come pilastri di roccia in mezzo agli alberi.
Per sua fortuna, l’uomo vide che nessuno era in piscina e quindi, per una volta, tutti i bambini gli avevano obbedito. Era ancora troppo freddo per immergersi in acqua, e ci sarebbe voluta qualche ora di manutenzione e pulizia prima di rendere la piscina agibile e sicura.
- Papà! Papà! – urlarono in coro delle vocine piccole e agitate.
L’uomo udì una porta aprirsi e richiudersi, per poi aprirsi ancora e chiudersi nuovamente, mentre più di un bambino correva verso di lui.
- Emma! – esclamò con voce profonda e cavernosa, chinandosi all’altezza della bambina di quasi dieci anni che lo fissava con gli occhi luccicanti. I capelli neri, quasi violetti, erano tutti arruffati e la brezza che aveva cominciato ad essere un po’ troppo forte glieli spinse dentro la bocca.
La bambina li sputò fuori lamentandosi mentre due piccoli pargoli correvano, ciondolando con la loro tipica goffaggine infantile. Erano due gemelli di cinque anni, un maschio e una femmina dai capelli turchini e dagli occhi marroni-rossicci.
Occhi identici a quelli della bambina più grande, Emma.
Il maschietto sembrava prossimo alle lacrime.
- Ehi, Yaje, che succede? – lo interrogò l’uomo, brusco nonostante la preoccupazione genitoriale.
- Papà, Emma ci spaventa – piagnucolò il bimbo, allungando le braccia per farsi abbracciare.
L’uomo sospirò e accolse il figlio contro il petto, facendolo sparire a causa della sua mole imponente.
Dei tre figli, il maschietto era il più pauroso e sensibile, mentre le figlie sembravano pronte a lottare contro i draghi. Lui gonfiava il petto e diceva che avevano preso tutto da lui, ma sapeva bene che quel carattere combattivo, occultato dalla dolcezza dei loro modi, era tutto della madre.
- Emma, lo sai che non devi spaventarli con le storie che ti inventi. Sei peggio di tua mamma! – la riprese l’uomo.
- Ma papà, non sono inventate! E non ho raccontato storie! Stavamo giocando a fare i fantasmi con gli altri e io ho detto a Yaje e Shutora che i fantasmi esistono veramente e che sono cattivi. Che fanno cose brutte e se non ci comportiamo bene possono tormentarci. Adesso lui è convinto che i fantasmi gli faranno del male.
L’uomo, concentrandosi, riuscì ad udire le urla divertite dei bambini dall’altra parte della villa, che imitavano i fantasmi con i loro lunghi e bassi “uuh”. Lanciò un’occhiataccia alla figlia e poi chiese alla più piccola: - Anche tu hai paura, Shutora?
La bimba scosse la testa e lo fissò sorridendo. – No, non mi fanno paura. Ma esistono veramente i fantasmi, papà? Emma mi dice sempre le bugie.
- Non è vero! – replicò la maggiore. – Sei tu che credi a tutto! Come puoi essere convinta che di notte arrivino i topolini del formaggio a mangiarti i biscotti? È il papà che te li mangia, ma la mamma ti ha detto che sono i topolini per coprire papà!
Shutora, la più piccola, fisso con orrore il papà. – Ma io mettevo i biscotti su un piatto per i topolini. Davvero me li mangi tu?
Se l’uomo avesse avuto le mani libere, se le sarebbe schiaffate sulle guance, esasperato.
Fortunatamente arrivò suo figlio a salvarlo da una risposta scomoda.
- Papà, ma davvero esistono i fantasmi? E davvero sono cattivi? – domandò, mentre con la testa faceva capolino dalle braccia forti del papà.
- Sì, Yaje, esistono. Ma non tutti sono cattivi.
- E come fai a saperlo? Io ho paura! – esclamò il bambino tornando a nascondersi nel suo ampio petto.
L’uomo sospirò. – Che ne dite se questa sera vi racconto una storia attorno al fuoco, in mansarda? Sembra che la temperatura precipiterà a partire da oggi, e farà di nuovo freddo.
I tre bambini iniziarono a saltare e gridare di gioia. Adoravano le storie che la mamma raccontava, ma quando lo faceva papà era davvero una cosa grossa, perché non lo faceva mai.
- Shutora, andiamo a dirlo agli altri! – propose Emma, che era già corsa verso l’entrata del castello, con la sorellina che le trotterellava al seguito.
- Vestitevi altrimenti prendete freddo! E fate mettere i giubbotti anche agli altri! – gridò l’uomo.
Sapeva già, però, che non sarebbe stato ascoltato da nessuno dei venti bambini che vivevano con lui.
- Papà? – chiese poco dopo la vocina sottile di Yaje.
- Sì?
- Davvero esistono i fantasmi?
- Certo figliolo.
- E mi faranno male? Prometto che da ora in poi mi laverò i denti tuuutte le sere, e tu e la mamma non vi dovrete più arrabbiare. Ma non voglio che un fantasma mi rubi.
L’uomo sogghignò divertito di fronte alla paura infantile del proprio figlio, e si alzò prendendolo in braccio. – Non devi avere paura, perché ci sono io a proteggerti.
- Ma papà! – si ribellò il bambino, agitandosi tra le braccia paterne. – Tu non puoi combattere contro un fantasma! Loro sono imbattibili, e tu sei solo un papà!
L’uomo grugnì, offeso dalla poca fiducia che il figlio riponeva in lui. Varcò le porte della casa e attraversò in silenzio le piscine interne riscaldate, stranamente vuote. Sbucò nell’atrio e si ritrovò vicino all’ingresso del castello, in mezzo al soggiorno.
- Chiedilo alla mamma se posso battere i fantasmi. Deve ancora nascere chi può sconfiggere il tuo papà – rivelò l’uomo posando il figlio a terra e accarezzandogli i capelli turchesi.
Il bambino annuì, rincuorato, e scappò via chiamando la mamma.
L’uomo si rialzò con calma e si diresse in cucina, lanciando un’occhiata fuori dalle finestre: numerosi bambini stavano giocando con dei lenzuoli in testa, come dei fantasmi. Se erano le lenzuola che sua moglie aveva appena lavato, era sicuro che presto quelle urla divertite sarebbero state sostituite da quelle irritate della donna che amava.
- Chiedilo alla mamma se non sono in grado di salvarla anche quando è impossibile farlo – mormorò prima di varcare la soglia della sala da pranzo.

Quella sera, davanti al fuoco che crepitava nel caminetto, più di una ventina di bambini si era riunita in mansarda, mentre la pioggia batteva con insistenza sui fianchi del castello.
- Anche la pioggia vuole sentire la storia, Master! – esclamò una bambina con i capelli blu, che all’uomo seduto su una poltrona ricordava tremendamente una vecchia amica che portava il maltempo ovunque andava.
- Papà posso sedermi in braccio tuo? – chiese Shutora alzandosi per avvicinarsi al padre.
- No piccola, siediti vicino agli altri.
- Ma perché? – protestò la bambina, tornando suo malgrado verso il posto che le amiche le stavano tenendo.
- Perché in braccio mio ci sta la mamma.
- Sporcaccioni – gridò un bambino, facendo ridere tutti gli altri.
- Non è per fare gli sporcaccioni! – ribatté l’uomo, irritato. – Se becco chi è stato a commentare gli faccio passare la voglia di fare battute. Devo tenere la mamma in braccio perché quella che vi racconterò questa sera è una storia vera e lei potrebbe spaventarsi di nuovo.
Il silenzio era calato come un sudario sulle testoline dei bambini, che si guardavano l’un l’altro con una curiosità estrema. Le lingue di fuoco che illuminavano l’ambiente dal camino sembravano agitate ed irrequiete.
Chissà, forse anche loro ricordavano cos’era successo lì diversi anni prima.
E forse anche loro avevano paura di ricordare.
- Ma la mamma è forte! – ebbe il coraggio di esclamare Emma, femminista già da piccola.
Con quell’atteggiamento e la passione per le spade, anche lei ricordava all’uomo una vecchia amica.
- Non ho mai detto che la mamma è debole. Anche perché altrimenti me le dà – aggiunse bofonchiando, facendo ridere i bambini. – Ma anche la mamma ha bisogno di essere salvata da un principe come me, e anche la mamma a volte non può fare altro che inchinarsi alla mia superiorità e…
Un coppino interruppe il flusso di parole che l’uomo stava sparando fuori con vanità.
I bambini scoppiarono a ridere mentre un paio di occhi nocciola fissavano con disappunto l’oratore superbo. – A chi mi dovrei inchinare, Amore? – domandò una donna dai capelli azzurri, in piedi accanto al marito.
L’uomo deglutì a vuoto e si trascinò la moglie in braccio, facendole dimenticare il motivo per il quale lo aveva colpito.
- Non davanti ai bambini! – sibilò lei, muovendosi per mettersi più comoda e non sembrare un sacco di patate.
I pargoli fissavano la scena a bocca aperta, con la curiosità che tutti hanno di fronte ad una scena romantica data alla televisione.
Bastava che poi non la imitassero.
- Papà ci racconti la storia? – urlò Emma, che iniziava a spazientirsi.
- Che storia? – chiese la donna, all’oscuro di tutto.
- Pensavo di raccontare ai ragazzi una storia di fantasmi. La storia che abbiamo vissuto. In modo che sappiano che i fantasmi esistono, che sono pericolosi, ma che c’è sempre un modo per vincere e salvare chi amiamo. E che per evitare i guai bisogna semplicemente comportarsi bene e non fare del male a nessuno.
La donna era impallidita e fissava il marito con gli occhi sgranati. I bambini se ne accorsero e iniziarono a preoccuparsi.
- Hai paura, Levy? – domandò l’uomo a bassa voce, scrutando gli occhi della moglie alla ricerca di quella fragilità che la loro tragica storia aveva impresso nei loro cuori.
- No. Ci sei tu con me, Gajeel – rispose lei, raggomitolandosi come quel pomeriggio aveva fatto Yaje, uno dei loro tre figli.
Gajeel sospirò, fissò il fuoco per un po’ e iniziò ad accarezzare la schiena della moglie, cercando la concentrazione. I bambini stavano zitti, e il crepitare del fuoco lo riportò immediatamente indietro negli anni.
Indietro, quando aveva vissuto una storia surreale, e ancora più indietro, quando la sua vita era stata stravolta nel peggiore dei modi.
Così, con gli occhi chiusi, iniziò a raccontare.




MaxB e le sue chiacchiere stupide^^
Buonasera! Eccomi qui, come aveva accennato nell'ultimo capitolo di Fairy Tales, con una nuova long. O mini-long. Non so ancora quanti capitolo sono perché la storia è un unico grande capitolo e la dividerò una volta conclusa.
Eh sì... eheheh non l'ho ancora finita^^" Ma non manca molto. Spero di iniziare a postare regolarmente tra due, massimo tre settimane. Io mi imegnerò.
Piccole note:
- Questo prologo si svolge alla fine della storia vera, quella che racconterò dal prossimo capitolo, ma l'idea di fare un prologo che avesse poco a che fare con la storia vera mi ha intrigata e oggi l'ho scritta di getto. Doveva essere meno di una pagina Word, infatti mi sono preoccupata perché era poco, ma ne sono venute fuori tre (troppe, come sempre)-.- Quindi la vera storia comincia dal capitolo uno, ma il prologo è importante e se lo rileggerete a storia finita capirete diverse cose che ora vi sfuggono.
- Inizierò a postare regolarmente ogni lunedì solo quando finirò la storia. Quindi, quando vedrete il prossimo aggiornamento, state sicuri che questa storia si concluderà con puntualità. Oh là.
- Non ho messo violenza nell'avvertimento perché le scene violente non sono troppo violente. Spero però di spaventarvi, anche se i capitolo "brutti" sono solo quelli iniziali. Poi ovrebbe andare meglio.
- Ringrazio la mia meravigliosa EbiBeatrizP per avermi inviato delle foto di un bosco nebbioso, ordinandomi di scriverci un capitolo per Fairy Tales. La cosa è andata un pochino oltre...
- Emma, Shutora e Yaje. Penso che la maggior parte di voi sappiano chi sono. Ma lo anticipo io. Emma è la figlia inventata da RuskyBoz, l'artista che ADORO. Ma potete considerarla come la Kinana della mia storia, La nostra vita insieme. Invece i gemellini Yaje e Shutora... non lo dico o faccio spoiler. Non sono comunque importanti per la storia.

Spero di sbrigarmi a concludere la long, anzi, me ne vado a scrivere.
A presto!
MaxB
  
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