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Autore: FloxWeasley    29/03/2016    11 recensioni
“Avevo sette anni. Me l'ha insegnato sul retro della casa, vicino al garage. Mi teneva il sellino e io pedalavo, pedalavo... avevo una paura matta ma lui mi teneva e io continuavo a pedalare”
“E poi?” sussurrò Audrey, infilandosi a letto accanto a lui in un fruscio di lenzuola.
“E poi mi ha lasciato. Io ho continuato da solo, ma quasi subito mi sono accorto che non mi teneva più e ho smesso di pedalare. E sono caduto”
“Succede a tutti i bambini, Perce”.
Genere: Generale, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Arthur Weasley, Audrey, Percy Weasley | Coppie: Audrey/Percy
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7
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La bicicletta


“A cosa pensi?”

Percy era rimasto immobile, disteso sopra le lenzuola nel buio della camera da letto, le braccia incrociate sotto la nuca e lo sguardo incollato al soffitto, anche quando la voce gentile di Audrey aveva fatto capolino nel silenzio della notte.
Non aveva bisogno di guardarla: sapeva che se ne stava appoggiata allo stipite della porta, la luce accesa del corridoio che proiettava la sua ombra sul letto disfatto.
Sapeva che, come ogni volta che staccava a mezzanotte, aveva ancora addosso il camice del San Mungo, stropicciato per le lunghe ore passate in reparto, e sapeva che si stava sciogliendo la treccia arruffata, le dita esperte che scorrevano svelte tra le ciocche scure.

“Mio padre mi ha insegnato ad andare in bicicletta” confessò il mago in un soffio, senza dar cenno di volersi muovere.

“Non lo sapevo” replicò solo lei, piano, avvicinandosi al letto mentre si liberava delle scarpe.

Percy non si apriva spesso.
Non parlava volentieri del suo passato e non era il genere di uomo che rivela ogni particolare della propria storia ma qualche volta, inaspettatamente, se ne usciva con una confessione.
In quei casi Audrey aveva imparato che non voleva gli si mettesse fretta: bisognava lasciare che si prendesse il suo tempo e avrebbe continuato da sé.

Passarono lunghi istanti, in cui nel silenzio della camera da letto risuonarono il fruscio soffocato del camice che cadeva a terra e lo schiocco morbido dell'elastico dei pantaloncini sulla pelle. Poi, mentre la testa di Audrey sbucava dallo scollo di una vecchia maglia dei Cannoni di Chudley di Percy, quello parlò ancora:

“Avevo sette anni. Me l'ha insegnato sul retro della casa, vicino al garage. Mi teneva il sellino e io pedalavo, pedalavo... avevo una paura matta ma lui mi teneva e io continuavo a pedalare”
“E poi?” sussurrò Audrey, infilandosi a letto accanto a lui in un fruscio di lenzuola.
“E poi mi ha lasciato. Io ho continuato da solo, ma quasi subito mi sono accorto che non mi teneva più e ho smesso di pedalare. E sono caduto”
“Succede a tutti i bambini, Perce”.
Le dita gentili della giovane gli sfilarono gli occhiali e li posarono sul comodino, dopodiché la testa di lei gli si abbandonò in grembo.

“Lui ha lasciato la bici” continuò Percy, ostinato. “Mi aveva detto che mi avrebbe tenuto e non l'ha fatto”
“Perché eri in grado di andare da solo” mormorò lei con lo stesso tono che si usa per spiegare qualcosa ad un bambino molto piccolo.
“Non lo ero”.

Silenzio.

Poi, piano, Audrey:
“Non lo si è mai”.


Un altro silenzio, più lungo del precedente.
La strega avrebbe potuto pensare che il compagno si fosse addormentato, se non avesse sentito la tensione dei suoi muscoli sotto di sé: no, Percy era ancora sveglio e come sempre troppo pensieroso per quell'ora della notte.
Audrey si sistemò meglio contro il suo petto e con un dito prese a tracciare lentamente il profilo delle sue vene lungo le braccia, alla cieca, finché quello non sembrò rilassarsi un poco.

“Pensi che vorrà tenermi di nuovo?” domandò infine il mago in un soffio, abbassando finalmente il mento per cercare il viso di lei con i suoi occhi miopi.

Non parlava di biciclette.
Non parlava di biciclette da un pezzo.

Nella semioscurità della camera da letto Audrey ricambiò il suo sguardo, allungando una mano per accarezzargli dolcemente una guancia.
“Sì, Perce. Io penso di sì”.


E per quella notte nessuno dei due parlò più.
Percy strinse la compagna tra le braccia e quella sospirò piano, piombando quasi subito in un sonno profondo, esausta.
Lui invece restò sveglio ancora a lungo, gli occhi chiusi a rievocare il pomeriggio estivo di tanti anni prima: ricordava ancora la sensazione del sole che gli batteva sul collo e del bruciore al ginocchio quando se lo era sbucciato cadendo sul selciato, ma più di tutto ricordava la paura matta che scompariva sotto la consapevolezza che suo padre fosse lì, a tenerlo con le sue mani grandi.
Infine scivolò nel sonno anche lui, sereno per la prima volta da settimane, e sognò di tornare a pedalare dietro la Tana, adulto, mentre suo padre gli teneva il sellino della bicicletta.

  
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