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Autore: NonnaPapera    31/03/2016    0 recensioni
Una donna solitaria e muta viene ritrovata ai margini di una strada... le mani sporche di sangue
Genere: Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shoujo-ai
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Di lei non si sapeva nulla. Niente che la potesse identificare, nessun documento, nessun indizio e, ovviamente, nessun nome.
L’avevano portata lì solo perché non sapevano dove altro parcheggiarla. In fondo, le mani le aveva sporche di sangue e l’unica cosa certa, di tutta quella faccenda, era che non fosse il suo.
I soliti esperti erano arrivati e, come al solito, avevano espresso i loro illuminati pareri creando ancora più domande e non risolvendo nessun quesito.
Fingeva di non ricordare? Era muta? Era sotto shock? Era innocente? Forse colpevole…
Insomma, di lei si sapeva solo che era comparsa un giorno sul ciglio della strada statale 44, scalza e con un vestito di lino bianco a fiori che le svolazzava leggero addosso… e ovviamente completamente sporca di sangue rappreso.
Sangue umano, questo era certo, di tipo B positivo, la particolarità era che apparteneva ad una persona fortemente anemica, ma di chi fosse era impossibile saperlo.
Ormai nel carcere femminile da più di un mese e mezzo, non aveva mai aperto bocca, si limitava a camminare tranquilla sorridendo di tanto in tanto tra sé e sé.
Non era pericolosa, per lo meno non lo era stata per tutto il periodo trascorso lì dentro. Sempre calma, sempre arrendevole, non protestava mai e non creava problemi alle secondine.
Sinceramente nessuno credeva fosse il caso di tenerla in quel luogo di tristezza e perdizione ancora per lungo tempo. In fondo, per quel che ne sapevano, poteva benissimo essere innocente.
Nessuno aveva denunciato omicidi o aggressioni violente nella loro zona e non c’erano motivi per collegarla ad un crimine violento, se si escludeva il “piccolo” dettaglio del sangue che aveva addosso.
Le altre carcerate le avevano dato un soprannome strano, e se ci si soffermava a riflettere anche inquietante, la chiamavano tutte Velluto.
Nessuno sapeva bene come fosse nato quel soprannome. Forse derivava da quel suo strano modo di passeggiare, sempre morbido, sempre sinuoso e silenzioso. Magari l’avevano ribattezzata così per via dei capelli di quel colore tanto particolare, neri, ma che al sole avevano degli strani riflessi rossi.
Oppure era tutto dovuto all’essenza che emanava, quando le si stava troppo vicini era come se la sua impassibile calma fermasse il tempo, era come se i suoni si ovattassero e ci si sentisse risucchiati in un bozzolo caldo e morbido, e quel senso di calore ti faceva sentire di amarla, di volerla tutta per te, ma poi se ci si allontanava la sensazione svaniva come per incanto… Velluto; era semplicemente un soprannome che le calzava a pennello.
A volete se la si osservava bene e a lungo si aveva come la sensazione che fosse in attesa, o in cerca di qualcosa. Non era mai esplicita, non si aggirava furtiva in mezzo alle altre carcerate, ma i suoi occhi erano molto più vigili e attenti di quanto ci si aspettasse da una “pazza” come lei.
Ma un mese e mezzo era trascorso e Velluto era stata una detenuta modello, benché non si sapesse nulla di lei, era un’ingiustizia tenerla rinchiusa lì dentro.
Quando le diedero la notizia della sua imminente scarcerazione per un attimo ai presenti parve che lei ne fosse scocciata, come se le stessero rovinando i piani e la decisione non fosse di suo gradimento, ma fu solo un secondo e nessuno osò approfondire quella reazione.
Velluto sarebbe stata rilasciata e affidata alle cure di un manicomio, perché dato che non parlava di certo non avrebbe avuto modo di provvedere a se stessa.
Fu la notte precedente la sua scarcerazione che avvenne tutto.
Da quella notte infausta iniziarono a girare storie e leggende tra le carcerate.
L’oscurità della tarda sera coprì tutta la vicenda, ma c’è chi spergiura di averla sentita cantilenare una strana preghiera, chi assicura di averla vista di sfuggita sollevare con una sola mano una secondina da terra e sbatterla contro il muro senza fatica, altre invece dicono di averla vista baciare con passione quella stessa secondina, chi ancora afferma che in quel momento i capelli di Velluto erano molto più rossi di quanto fossero mai stati… ma nessuna versione fu mai considerata attendibile neppure nel momento delle indagini.
La realtà è che non ci furono prove a conferma che a consumare quello scempio fosse stata lei… si sa solo che la mattina dopo Velluto non era più nel carcere e che una secondina era morta dissanguata nella sala video.
Nessuna prova, niente impronte, nessun sospetto se non la strana e coincidente scomparsa di Velluto dalla sua cella.
Quando il corner fece l’autopsia alla povera vittima non riuscì neppure a identificare una possibile arma del delitto. Il corpo era stato squarciato, ma da cosa era impossibile stabilirlo.
L’unica certezza,  che risultò essere una coincidenza inquietante, era che anche la secondina soffriva di una forte anemia; il medico legale affermò addirittura che non si spiegava come fosse possibile che, con quel tasso così basso di emoglobina, potesse lavorare senza risentirne. Le ricerche di Velluto continuarono per mesi, ma di lei era scomparsa ogni traccia.
Così come era arrivata se ne era andata.
Alcuni insinuarono che si fosse fatta trovare e incarcerare solo per poter uccidere quella secondina, ma era inverosimile visto che le due non si conoscevano e anche nel periodo in cui Velluto era stata detenuta non si erano mai parlate.
Il caso venne archiviato senza colpevole e senza soluzione.
***
“Sceriffo, sceriffo” il giovane vice entrò con il fiato corto, correndo.
“Che cosa c’è?”
“Abbiamo ricevuto una segnalazione, una giovane donna con i capelli scuri che cammina sul ciglio della strada… dicono che a prima vista pare abbia le mani sporche di sangue”
Lo sceriffo sollevò la testa e fissò il suo secondo con sguardo perplesso.
“Non sono in vena di scherzi ragazzino!”
“Non è uno scherzo.”
“Che Velluto sia tornata?”
“Cosa? La conosce?”
Lo sceriffo scosse la testa ridendo allegro: “No no, mi riferivo ad una strana leggenda che risale e più di ottant’anni fa, me la raccontava mio nonno quando ero un bambino, diceva che avvenne nel carcere in cui lavorava sua madre, è solo una sciocchezza… Forza in marcia, andiamo a vedere di che si tratta”
   
 
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