Crossover
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Autore: Registe    31/03/2016    4 recensioni
Terza storia della serie "Il Ramingo e lo Stregone".
"L’esercito del Grande Satana colpì in modo violento l’Impero Galattico. Non vi furono preavvisi, minacce o dialoghi alla ricerca di una condizione di pace. I demoni riversarono i loro poteri in maniera indiscriminata, non facendo differenza tra soldati e civili, guidati solo da un ancestrale istinto di distruzione. Soltanto la previdente politica bellica dell’Imperatore Palpatine riuscì ad impedire un massacro in larga scala.
-“Cronistoria dell’Impero Galattico, dalla fondazione ai nostri giorni” di Tahiro Gantu, sesta edizione.-"
[dal primo capitolo].
E mentre nella Galassia divampa la guerra, qualcun altro dovra' fare i conti con il passato e affrontare i propri demoni interiori...
Genere: Avventura, Fantasy, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Anime/Manga, Film, Libri, Telefilm, Videogiochi
Note: Cross-over, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Il Ramingo e lo Stregone'
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Capitolo 31 - Accusa e difesa





Roxas




La Verità è perfezione, perché essa è e non può essere diversa. È nella natura degli uomini cercare di nasconderla, perché il suo peso schiaccia la mente e acceca gli occhi di chi non ha il coraggio.
Se gli uomini possedessero la Verità forse sarebbero simili agli dèi.
Dai diari del Gran Sacerdote Camus.




L’aula per il processo fu allestita nella sala del trono di Minas Tirith, portando sedie da tutto il palazzo e persino un paio di banchi da messa dalle stanze dei preti. La sala andava riempiendosi poco a poco, un calderone ribollente di brusii e mormorii incuriositi. Pareva che l’intera Alleanza non vedesse l’ora di dare un’occhiata al membro dell’Organizzazione di cui si chiacchierava tanto nelle ultime ore, e Vexen si sentiva un animale da baraccone, il centro degli sguardi di chiunque facesse il suo ingresso nella sala. Dal canto suo, cercava di non incontrare gli occhi di nessuno.
I testimoni erano già tutti seduti al banco a loro riservato, alla destra di quello dell’imputato: Mu, entrambe le Invocatrici, la Jedi dai capelli rossi amica di una di loro. Più o meno metà delle persone che un tempo Vexen aveva condizionato al Castello dell’Oblio. Quante probabilità c’erano di ritrovarle tutte insieme nello stesso posto a tre anni di distanza? Quando si dice la fortuna.
A sorpresa, in mezzo alle due Invocatrici sedeva Roxas. Il ragazzo indossava ancora la tunica Ramas logorata dalla battaglia nel Baan Palace, e sembrava l’unico in tutta l’assemblea ad avere uno sguardo amichevole per Vexen. Lo scienziato si sforzò di ricambiarlo con un sorriso tremolante.
“Parlerà in suo favore, padron Vexen. Si è offerto volontario prima ancora che lo pregassi di farlo.”
L’ennesimo tentativo di rassicurarlo da parte di Camus che andava miseramente a vuoto. Troppe persone in quella sala volevano vederlo morto. E lui stesso non riusciva a biasimarle del tutto.
“Non basta! Dobbiamo elaborare una strategia, inventare qualcosa di efficace.”
“La strategia più sicura è sempre la verità, padron Vexen.”
“E da quando gli avvocati dicono la verità?!”
Nell’Alleanza non esistevano avvocati di professione. Ad ogni nuovo processo era tradizione dei Ribelli assegnare i ruoli di accusatore e difensore su base volontaria, così che chiunque, se lo desiderava, poteva ricoprirli. Allo stesso modo, qualunque membro dell’Alleanza aveva la facoltà di esprimere il proprio voto per il verdetto finale.
“Abbia fede, padron Vexen. Gli dèi non l’hanno salvata dall’ira del Generale Baran e dall’esplosione del Baan Palace per farla condannare a morte qui oggi. Sono certo che hanno altri piani per lei.”
Era talmente agitato da non avere neppure la forza di rispondere al sacerdote per le rime. Il brusio della folla si era fatto più intenso, premeva contro le orecchie e si insinuava come un plotone di insetti tra le pareti del cranio. Una voce rimbombava su tutte, il ricordo della minaccia sprezzante che Auron gli aveva sibilato in faccia appena un paio di ore prima: “Mi sono offerto come avvocato dell’accusa, bastardo… ma solo per poter fare il boia quando questa farsa sarà finita.”
Era consapevole dello sguardo di fuoco del mercenario puntato su di lui come la canna di un fucile. Il banco dell’accusa si trovava alla loro sinistra, e Auron era stato uno dei primissimi ad entrare nella sala e ad accomodarsi con il sorriso sfrontato di chi è convinto di avere già la vittoria in pugno.
Lo sguardo fisso su una macchia di umidità sul muro, Vexen si accorse dell’ingresso dei capi dell’Alleanza solo dal cessare dei mormorii e dal tocco leggero di Camus sul braccio. Erano presenti entrambe le principesse, oltre ad Aragorn e Gandalf, una donna di mezza età dai corti capelli rossi e un mago della Resistenza piuttosto anziano ma dall’aria coriacea. Il gruppo sfilò dietro al tavolo di quercia collocato nella parte rialzata della sala, accanto al trono del re, e prese posto accompagnato da un caloroso applauso del pubblico.
Quando il silenzio tornò a posarsi sull’assemblea, la principessa Leona prese la parola:
“Vexen del Castello dell’Oblio. Sei qui davanti a noi oggi per rispondere di gravi accuse formulate da diversi membri dell’Alleanza Ribelle e della Resistenza, e per essere giudicato di conseguenza. Ti sono imputati i seguenti crimini: rapimento, associazione a delinquere, condizionamento mentale, tentato omicidio, cooperazione con la famiglia demoniaca e costruzione di armi da distruzione di massa.”
Ogni parola della principessa era un macigno scagliato nel silenzio assordante. L’assemblea tratteneva il respiro, e Vexen serrò le dita attorno al legno del banco per resistere all’impulso di gettare la dignità al vento e correre via lontano da tutto e da tutti.
“Come ti dichiari rispetto a queste accuse?”
La strategia più sicura è sempre la verità.
Le parole di Camus gli balenarono come un lampo nella mente, e in qualche modo lo aiutarono a tornare presente a se stesso, a concentrarsi sul problema più vicino. Forse il sacerdote non aveva tutti i torti, una volta tanto. Convincere i Ribelli della sua innocenza era pura utopia con tutti quei testimoni pronti ad azzannarlo alla gola al primo passo falso. Doveva trovare un altro modo.
“Credo che sappiate tutti come sono andate le cose.”
“Significa che ammetti la tua colpevolezza?”
Con un’occhiata valutò la principessa. Era poco più che una bambina, ma il tono e il portamento sicuri parlavano di un’esperienza forgiata precocemente e di un’attitudine al comando naturale e mai messa in discussione. Eppure non c’era crudeltà nei suoi occhi nocciola, né compiacimento nell’esercitare la propria autorità: faceva semplicemente quello che riteneva il suo dovere. Non lo odiava, né voleva vederlo morto. Lo avrebbe giudicato con equità.
“Sarebbe folle da parte mia mentire. Ma ho servito il Grande Satana e costruito per lui i Nuclei Neri sotto minaccia della vita.”
“E gli altri crimini? Anche nel Castello dell’Oblio eri costretto da qualcuno?”
“Macché costretto e costretto!” tuonò Auron dal banco dell’accusa. “Era lui il capo, insieme a quel bastardo figlio di puttana di Marluxia!”
“Auron, ti prego!” alla destra di Leona, il vecchio mago della Resistenza invitò il mercenario alla calma con un gesto conciliante. “Avrai tutto il tempo di dire la tua tra poco. Adesso lascialo rispondere.” Si voltò di nuovo nella sua direzione. “Allora: eri costretto o minacciato da qualcuno al Castello dell’Oblio?”
“No.”
“Molto bene” riprese Leona. “Più tardi avrai la possibilità di parlare e di spiegare le tue motivazioni. Prima però ascoltiamo cosa hanno da dirci i testimoni.”
Ebbe inizio lo stillicidio. Uno ad uno, Mu, Mara Jade, Daala e Zachar esposero la loro versione dei fatti, raccontando con dovizia di particolari gli eventi del Castello dell’Oblio: il loro rapimento, il condizionamento da parte dei membri dell’Organizzazione, l’ordalia delle Stanze della Memoria, la lotta e la fuga contro il tempo per scampare all’esplosione dei Nuclei Neri. Durante tutti gli interventi il pubblico rimase in silenzio quasi completo. Solo ogni tanto si levava qualche mormorio indignato, e Vexen riusciva a captare parole come “assassino”, “infame”, “vigliacco”, insieme ad altri termini più coloriti. Ad ogni nuovo insulto lo sguardo di Auron si accendeva di una soddisfazione che rasentava la ferocia.
Durante l’ultima testimonianza, Camus posò una mano sul braccio di Vexen e lo strinse con delicatezza.
“.. e anche se Kaspar al momento è un nostro nemico, a quel tempo era l’uomo che amavo. Vexen e i suoi complici volevano costringermi a ucciderlo con le mie mani solo per ottenere la loro preziosa Invocazione Suprema. Questo vigliacco qui si è mostrato solo una volta in tutto il percorso, verso la fine: non aveva nemmeno il coraggio di agire in prima persona, ci ha manipolati per tutto il tempo attraverso i suoi compagni o le altre sue vittime come Auron e Mu. Ha giocato a fare il dio con le nostre vite, ci ha trattati come oggetti senza valore!”
Zachar era cambiata: la ragazzina perennemente in lacrime del Castello dell’Oblio aveva lasciato il posto a una donna decisa, che non abbassava lo sguardo e non aveva paura a dichiarare il suo amore per uno dei nemici pubblici numero uno della galassia sotto gli occhi dell’Alleanza e della Resistenza al gran completo. Ironia della sorte, erano stati proprio i suoi esperimenti con il condizionamento a rendere possibile quella crescita.
In un certo senso dovresti ringraziarmi, Invocatrice.
“Grazie, Zachar” con un cenno del capo e un sorriso Leona indicò alla maga che poteva riaccomodarsi. “Rimane adesso un solo testimone da ascoltare: Chiave del Destino, apprendista del Monastero Ramas. Alzati pure e parla liberamente.”
“Grazie.” Roxas sembrava leggermente intimidito all’idea di parlare in pubblico, ma dopo una breve pausa per raccogliere le idee la sua voce acquistò una sfumatura più salda. Gettò un’altra occhiata incoraggiante nella sua direzione prima di lanciarsi nella testimonianza.
“Vorrei dirvi subito che io non posso pronunciarmi sugli avvenimenti di cui hanno parlato gli altri testimoni, perché non ero presente. Ma ho conosciuto Vexen prima che tutta questa storia del condizionamento iniziasse, e posso dirvi che tipo di persona era allora. Non so quanti di voi lo sappiano, ma anch’io, tanto tempo fa, sono stato un membro dell’Organizzazione.”
A giudicare dai brusii contrariati, era chiaro che la notizia era nuova per molti. È un bene, si disse Vexen. Fino a quel momento, per i Ribelli la nozione di “Organizzazione XIII” era sempre stata collegata a qualcosa di oscuro e minaccioso; ora invece scoprivano che uno dei loro stessi alleati ne aveva fatto parte, e questo poteva portare l’Organizzazione in una luce più umana, cambiare la percezione dell’intera faccenda. O almeno così Vexen sperava.
“L’Organizzazione era strutturata secondo una gerarchia rigida, in cui il rango di ciascuno corrispondeva a un numero. Vexen era il numero IV, quindi molto alto di rango, ma non abusava mai del suo potere. Lo stesso non si poteva certo dire di altri. Era una persona tranquilla, riservata, non dava fastidio a nessuno, e non era tirannico con noi ultimi arrivati. Era anche il nostro medico: senza di lui probabilmente avrei perso la vista per via della febbre cinerea che mi sono preso esplorando una palude su un mondo che neanche ricordo come si chiama. Per questo gli sarò grato per sempre.”
“E questo cosa c’entra con le accuse in esame?” Auron non avrebbe permesso che una testimonianza positiva gli rovinasse la piazza. Solo agli avvocati era consentito interrompere i testimoni di parte avversa con domande e obiezioni; Camus non aveva fatto uso di questa possibilità, ma Vexen era pronto a scommettere che Auron non attendeva altro. Non desiderava semplicemente sconfiggerlo: voleva farlo a pezzi.
Fortunatamente Roxas non si lasciò scoraggiare: “Voglio solo dire che Vexen non è soltanto il mostro che voi dipingete. Io ho conosciuto una persona ben diversa, e questa stessa persona l’ho ritrovata oggi sul Baan Palace. Durante la battaglia ci ha salvato la vita contro i mostri di olihargon del Grande Satana, il mio maestro e re Aragorn mi sono testimoni. Senza la sua alchimia saremmo morti tutti. Ma noi Ribelli non siamo gli unici a dovergli la vita. Vexen con la sua arte medica ha salvato molte più vite di quante non ne abbia distrutte con il condizionamento di cui voi lo accusate. Tutti al Castello dell’Oblio sapevano delle sue gesta prima di entrare nell’Organizzazione. Era uno dei pochi medici del nostro mondo ad accettare di curare certe categorie di emarginati, come le persone con i capelli rossi ad esempio” la sua voce ebbe un tremito impercettibile, e il giovane Ramas fissò lo sguardo dritto in quello di Leona: “Non tutti i regnanti erano illuminati come lei, principessa.”
E improvvisamente Vexen capì. Capì perché Roxas si ostinava a difenderlo malgrado ormai sapesse del condizionamento e di tutto ciò che lui e gli altri avevano fatto al Castello dell’Oblio. Capì perché non aveva difficoltà a perdonarlo, perché non si era tirato indietro nemmeno dopo le testimonianze cruciali delle Invocatrici e di Mu.
Accusare Vexen equivaleva ad accusare Axel. I loro crimini erano gli stessi, e il numero XIII non era ancora pronto a riconoscere l’amico di un tempo nel ritratto spietato dipinto da Auron e dagli altri testimoni. Ascoltare quelle parole doveva essere stata una tortura indicibile per lui.
“E tu lo hai mai visto curare tutte queste persone?” tornò alla carica Auron. “A parte i membri dell’Organizzazione, intendo. Lo hai mai visto con i tuoi occhi?”
“No, ma tutti quanti dicevano che… “
“Allora sono solo chiacchiere. Conoscendolo, avrà condizionato anche gli altri membri dell’Organizzazione.”
“Questo non puoi dirlo!”
“E va bene, forse no. Ma tu invece puoi dirmi perché hai lasciato l’Organizzazione?”
Il ghigno di Auron si allargò da un orecchio all’altro quando vide Roxas spalancare la bocca e poi richiuderla senza spiccicare parola, preso in contropiede dalla domanda spiazzante. Vexen fece per saltare in piedi, ma Camus lo trattenne con una mano sul braccio: “Non è ancora il momento giusto, padron Vexen” sussurrò.
“Non c’entra nulla con quello di cui stiamo parlando” Roxas si era ripreso, e il tono della sua voce ora era tagliente come l’acciaio. “E soprattutto non ha assolutamente niente a che fare con Vexen.”
La risposta non soddisfò Auron. Proteso sul banco come un uccello del malaugurio, avrebbe continuato a bombardare il povero numero XIII di domande se il mago anziano della Resistenza – Matoriv, gli pareva si chiamasse - non avesse alzato una mano per fermarlo: “Basta così Auron. Stiamo deviando dalla questione principale. Chiave del Destino, grazie per la tua testimonianza. Andiamo avanti.”
Auron non si diede per vinto: “Allora permettetemi almeno di testimoniare a mia volta. Ho anch’io un paio di cosette da dire sul Castello dell’Oblio.”
Il racconto del mercenario non fu diverso da quelli di Mu o delle Invocatrici. Cambiava solo la scelta delle parole: più dure, più spietate, più veementi. Una testimonianza che aveva già il sapore dell’arringa finale. Una promessa di vendetta, sottolineata dallo sguardo omicida che Auron gli lanciò al momento di sedersi di nuovo. Vexen non aveva mai provato su di sé un odio così profondo e viscerale, neanche quando tremava al cospetto del Grande Satana. Neanche quando aveva litigato con Zexion.
Fu in quel momento che Camus si alzò in piedi, chiedendo per la prima volta il permesso di parlare.
“Visto che Auron ha testimoniato mi sembra giusto che lo faccia anch’io. Ho vissuto per quattro anni insieme a padron Vexen, sono la persona che meglio…”
“OBIEZIONE!”
“Auron… “ fu di nuovo Matoriv a frenare con impazienza il mercenario. “Lo so che ti scoccia, ma devi capire che anche la difesa ha diritto di parlare…”
“Obiezione!” ripeté Auron, granitico. “La difesa ha diritto di parlare, certo, ma l’avvocato della difesa qui presente non può essere considerato una testimonianza affidabile… perché è palesemente condizionato!”
La folla rumoreggiò, percorsa da un’ondata di sdegno e incredulità. Vexen vide Mu sbiancare e stringere tra le dita un rosario. Spostò lo sguardo su Camus al suo fianco, ma il sacerdote appariva sereno, per nulla turbato dalle insinuazioni del mercenario. Vexen sperò che avesse una strategia per uscire da una situazione che peggiorava di minuto in minuto. Improvvisamente il banco degli imputati pareva imbottito di carboni ardenti.
Certo di aver conquistato l’attenzione di tutti, Auron continuò: “Nessun uomo libero e sano di mente chiamerebbe mai un altro uomo padrone. Solo gli schiavi sono costretti a parlare così. O i condizionati. Noi ci rivolgevamo sempre in questo modo ai membri dell’Organizzazione quando eravamo sotto il loro controllo. Se Camus non ha smesso di farlo, vuol dire che è ancora condizionato!”
Camus voleva ribattere, ma Vexen esplose prima: “È assurdo! Anche se fosse vero, dopo tutto quello che è stato detto in questa stanza solo nei primi cinque minuti, il condizionamento sarebbe saltato! Sapete benissimo anche voi che basta poco, lo avete provato! E poi Camus nel Baan Palace ha fatto la spia per voi a mia insaputa, come potete pensare che sia condizionato?”
“Conoscendoti potrebbe benissimo essere tutto un tuo piano! Anzi, sono certo che lo sia. Ma se pensi che ci faremo ingannare un’altra volta…”
“Se avessi avuto un piano a quest’ora sarei libero da qualche altra parte piuttosto che qui a subire il vostro processo!”
“E allora come spieghi il tono servile con cui Camus si rivolge a te, sentiamo?!”
Vexen esitò, incapace di rispondere. Non ne aveva idea. Era talmente abituato ad essere chiamato “padrone” dal suo assistente che non si era mai reso conto…
“È una mia scelta” fu la semplice risposta di Camus. “Il mio modo di mostrare rispetto verso una persona che mi ha insegnato molto e che ammiro... nonché, temo, la forza dell’abitudine” sorrise. “Mi dispiace che la cosa vi abbia offeso.”
“RISPETTO? AMMIRAZIONE? Ma lo sentite? E queste secondo voi sarebbero le parole di una persona libera? Dopo tutto quello che questo scienziato infame gli ha fatto, come può ancora parlare di rispetto? È condizionato, non c’è dubbio!”
“SE NE SEI CONVINTO ALLORA FAMMI VEDERE LE PROVE!” urlò Vexen alzandosi. La sua reazione fu una miccia che si propagò per tutta la sala, riaccendendo i brusii, i commenti indignati, gli insulti, i mormorii. Sembrava che ciascuno dei presenti sentisse l’insopprimibile bisogno di dire la sua.
Matoriv sollevò una mano ed evocò una piccola scintilla che volò fino al soffitto e lampeggiò tre volte, attirando l’attenzione di tutti. Calò di nuovo il silenzio. “Vi prego, mantenete la calma!”
Una mano emerse dalla folla, e da un posto al centro dell’assemblea si alzò un giovane biondo che indossava semplici abiti di panno di varie tonalità di grigio e marrone. Vexen era certo di averlo già visto da qualche parte, ma non ricordava dove.
“Credo di conoscere un modo per risolvere la controversia. Potrei sondare la mente dell’avvocato difensore con la Forza e scoprire se ci sono anomalie. In caso di problemi dovrei essere in grado di rimuovere un condizionamento di entità non troppo potente.”
“È un’ottima idea, Luke.” Aragorn fece cenno al giovane di venire avanti, e Vexen finalmente ricordò. Il ragazzo biondo era comparso nei ricordi di Mara Jade al Castello dell’Oblio, nell’ultima Stanza della Memoria. Era il suo compagno, o il suo amante, o forse solo una cotta non corrisposta, ma non aveva importanza. Ciò che contava era che questo Luke era un Cavaliere Jedi, e dunque possedeva un certo potere sulle menti degli esseri viventi. Ricordava di aver visto Mara Jade usare una sorta di suggestione mentale proprio su uno dei mostri generati dalla sua Stanza della Memoria. Allora si era fatto un appunto mentale di studiare i Jedi in modo più approfondito, ma la fuga repentina dal Castello aveva mandato all’aria ogni progetto di ricerca.
Camus si alzò e andò ad avvicinarsi a Luke, fermandosi di fronte a lui con gli occhi chiusi.
“Sono pronto.”
Furono secondi interminabili. Il Cavaliere Jedi chiuse gli occhi a sua volta, e con le punte delle dita sfiorò appena la fronte del sacerdote. Il silenzio si trascinò denso e pesante, i respiri sospesi, compreso quello di Vexen che pur conoscendo già l’esito non riusciva a smettere di dondolare una gamba in modo nervoso. Aggrappato al rosario, Mu pregava.
“La sua mente è libera. Non è condizionato.”
Fu come se il pubblico riemergesse da una lunga apnea. Da più parti della sala sbocciarono spontanei dei timidi applausi, mentre Auron si limitava a borbottare un “Non ci crederò mai.” Ma sapeva di non poter più vincere quella battaglia. Il verdetto del Cavaliere Jedi era definitivo.
“Grazie” Camus chinò leggermente la testa davanti allo Jedi e tornò al proprio posto. Ora nessuno poteva più impedirgli di parlare.
“Vedete, sono perfettamente in grado di intendere e di volere. Padron Vexen non mi ha più condizionato, e non lo rifarebbe mai. In passato potrà aver commesso gravi crimini, ma ora è cambiato. Ha accolto dentro di sé la luce degli dèi e l’ha seguita fino a ritrovare la via del bene. È pentito di ciò che ha fatto, è una persona nuova, migliore. Merita che gli sia concessa una seconda possibilità.”
Camus proseguì raccontando qualche aneddoto dei loro anni da medici girovaghi, confermando la testimonianza di Roxas sulle vite salvate, le cure ai poveri e agli emarginati, e tutte le solfe buoniste annesse e connesse.
“E anche se a quel tempo ero ancora condizionato, non è mai stato crudele con me. Mi ha trattato come un allievo, non come uno schiavo. Non gli sarò mai abbastanza grato per tutto ciò che mi ha insegnato. Da lui ho imparato che che la scienza non è malvagia in sé, ma può essere usata per aiutare il prossimo e fare del bene. E penso che questo mi abbia fatto diventare una persona migliore.”
Sul banco dell’accusa, Auron sbuffava infastidito. A Vexen pareva di vedere la parola “obiezione” formicolargli impaziente sulle labbra, ansiosa di precipitarsi fuori. Ma Camus non gli stava offrendo nessuna apertura, e Vexen per la prima volta dall’inizio del processo si consentì di nutrire qualche vaga speranza. Magari lo avrebbero solo imprigionato, e dalle prigioni si può sempre scappare…
“Ma è stato mentre eravamo sul Baan Palace che padron Vexen ha dimostrato davvero di aver intrapreso la via del bene. Perché dovete sapere che ha commesso un atto eroico e coraggioso di cui ben pochi sarebbero stati capaci. Ha messo a rischio la propria vita per salvare quella di un’altra persona, e questo malgrado lui e questa persona in passato avessero litigato e si fossero fatti del male a vicenda. Ma nel suo cuore l’amore ha prevalso sul risentimento e sul desiderio di vendetta, e lui ha saputo compiere la scelta giusta, arrivando a sfidare persino il Ryumajin in persona.”
Ora il pubblico pendeva dalle labbra del sacerdote. La parola “Ryumajin” aveva di nuovo congelato i respiri nelle gole degli astanti, e il silenzio era assoluto.
“Dovete sapere infatti che padron Vexen ha un nipote; lo ha adottato quando era solo un bambino, e l’ha cresciuto con tutto l’amore e la dolcezza di un vero padre. Il ragazzo era finito prigioniero nel Baan Palace, e il Grande Satana voleva utilizzarlo come esplosivo umano…”
Man mano che il racconto proseguiva, Vexen percepì qualcosa cambiare nell’assemblea. Gli insulti non erano più tanto frequenti: ora i Ribelli sussurravano se sentivano il bisogno di fare un commento, quasi provassero vergogna nel disturbare la testimonianza. Da severi gli sguardi si fecero increduli prima, curiosi poi; e su qualche viso, qua e là tra la folla, balenarono ombre sincere di ammirazione.
Solo Vexen si sentiva sempre più a disagio. La comparsa di Zexion al Baan Palace, il confronto con il Generale Baran… erano ricordi che ancora faticava a riordinare. Aveva un timore irrazionale di riaprire il cassetto della mente in cui li teneva rinchiusi. Sapeva che quelli gli sarebbero saltati alla gola senza pietà non appena avesse concesso loro anche il minimo spiraglio. Aveva bisogno di tempo e di quiete per srotolarli uno ad uno, per ricomporne il mosaico. Per trovare loro un senso e un significato.
Ascoltare la sua storia spiattellata davanti a un pubblico era come essere costretto a camminare nudo per le strade di una città gremita. Vide Camus reprimere un brivido, e si rese conto di aver cominciato ad emanare freddo.
“… il suo atto di coraggio ha commosso lo stesso Ryumajin, una creatura dell’esercito demoniaco! E io so che la riconciliazione con suo nipote ha cambiato profondamente l’animo di padron Vexen, gli ha fatto ritrovare i suoi sentimenti migliori. Era perché aveva perduto il suo amatissimo figlio che il suo cuore si era indurito e ricoperto di ghiaccio, ma adesso è rinato nella luce degli dèi.”
Diverse persone annuirono, qualcuno provò di nuovo a far partire un applauso. Al tavolo dei capi, Aragorn e Gandalf si scambiarono un’occhiata soddisfatta. Ma i Ribelli avevano fatto i conti senza Auron. Le parole del mercenario calarono come una mannaia sulla folla, riportandola bruscamente alla realtà: “Bella storia, non c’è che dire. Peccato che senza una prova vale esattamente come se avessi raccontato una favola, Camus.”
“La prova è la mia parola, Auron, ed è già stato dimostrato che non sono condizionato. Nemmeno tu hai fornito prove della tua testimonianza.”
“Io però so per certo che quel bastardo non ha mai avuto nipoti. Chi sarebbe questo fantomatico ragazzo?”
“Lo conosci anche tu. È padron Zexion.”
“Ma se non si parlavano mai!”
“Come ho detto avevano litigato.”
“Ne avremmo saputo qualcosa! Io non ho mai sentito…”
“Questo posso confermarlo anch’io.” Con sorpresa di tutti Roxas si era alzato di nuovo. Attese il cenno affermativo della principessa Leona prima di continuare: “Quando vivevo al Castello dell’Oblio Vexen si prendeva cura di Zexion come un padre. Vivevano insieme nel laboratorio e Zexion gli era affezionatissimo” si volse verso Auron, non senza una certa soddisfazione: “E questo, signor avvocato, l’ho visto con i miei occhi.”
Vexen ebbe la fortuna di dover parlare nel momento in cui il pubblico era più propizio nei suoi confronti. Quando Leona lo invitò ad alzarsi e ad esporre la propria versione dei fatti non si levarono né grida né insulti.
Fece correre rapidamente gli occhi tra la folla, evitando accuratamente Auron, poi scelse di fissare lo sguardo su una crepa particolarmente ramificata che serpeggiava tutt’intorno al fusto di una colonna. Prese un bel respiro.
“Non nego nessuna delle accuse. Ma anche ciò che ha raccontato Camus è vero. Un’altra certezza è che il Castello dell’Oblio non esiste più, e i suoi poteri sono per sempre fuori della mia portata, così come di quella di chiunque altro. Perciò non sono assolutamente in grado di nuocervi in alcun modo” meglio calcare l’enfasi su quel punto. “Nemmeno se lo volessi. E che lo crediate o no, non lo voglio. Tutto ciò che desidero è poter vivere in pace. Io…” esitò qualche secondo, arrancando con la scelta delle parole. “Non posso nuocervi” ripeté. “Sparirei. Non mi farei più rivedere. Non sentirete più parlare di me. Ma prima posso offrirvi alcune informazioni importanti. Qualcosa che vi sarà utile nella lotta contro l’Impero. Posso farlo qui, ora. Spero che questo conti qualcosa per voi.”
“Tutte balle” borbottò Auron. Ma Vexen intuì subito di aver toccato un tasto giusto: la principessa Leia, che fino a quel momento era rimasta in silenzio, quasi annoiata, improvvisamente si protese in avanti, gli occhi scuri animati da uno scintillio d’interesse.
“Di che si tratta?”
Se la strategia di Camus era muovere gli animi, la sua sarebbe stata la logica dello scambio equivalente. Informazioni in cambio di un trattamento dignitoso. E le informazioni in suo possesso valevano oro.
“Del segreto di Mistobaan.”
“Se ti riferisci al fatto che è un demone maggiore lo sappiamo già” intervenne Matoriv. “Sappiamo anche che diventa incredibilmente più forte quando si toglie il cappuccio. L’abbiamo scoperto giusto nell’ultima battaglia… a nostre spese. Aban è ancora in infermeria per causa sua.”
“Non si tratta solo di questo. Quello che avete visto non è il vero Mistobaan. L’ho scoperto quando l’ho condizionato e ho letto nella sua mente. Quel corpo di demone maggiore... non appartiene a lui.”
Li aveva in pugno. La curiosità scintillava sfacciata sui loro volti. I capi confabularono tra loro, nessuno prestava attenzione ad Auron che, unica voce fuori dal coro, gridava alla menzogna e al raggiro. L’ennesima occhiata spazientita della principessa Leona lo mise definitivamente a tacere.
“Ci dica tutto quello che sa” esortò infine Leia. “Ha la mia parola che ognuno di noi ne terrà conto al momento di esprimere il suo voto.”
Calò un silenzio senza precedenti. Vexen si inumidì le labbra, pensando alle parole da usare come alle rune di un cerchio alchemico. Tutto ciò che occorreva era disegnare quelle giuste, e mantenere il controllo necessario per portare a termine la trasmutazione.
“Mistobaan, anzi, Misto, come si chiamava in origine, non è un demone. Appartiene a una razza rara e poco conosciuta della famiglia demoniaca, i vajkal. Tradotto dalla lingua dei demoni, significa ‘nebbie’.”
Non gli sfuggì l’occhiata di stupore che sfrecciò come una corrente elettrica tra Mu e Mara Jade.
“Le Nebbie sono evanescenti, ma sono in grado di pensare, di ragionare come un essere umano. Sono parassiti. Si innestano nel sistema nervoso di altre creature e le controllano. Ma non sono abbastanza forti da soggiogare un umano o un demone. Devono accontentarsi di possedere i corpi di creature più semplici, come uccelli, roditori o… “
“… o ragni” concluse Mara Jade a denti stretti. Allo sguardo interrogativo di Leia rispose con una smorfia: “Ne abbiamo incontrata qualcuna in una palude durante la missione di soccorso ai villaggi, tutto qui.”
“Tutto qui? Hanno preso il mio cavallo quelle infami!” gridò qualcuno tra la folla. Una seconda scintilla dalle mani di Matoriv riportò la quiete nell’assemblea.
“Misto ha avuto una grande fortuna rispetto agli altri esponenti della sua specie. Il Grande Satana in persona ha voluto fargli un dono unico: il suo stesso corpo.”
“Vuoi dire…” dalle prime file, un ragazzino che esibiva una serie di vistose fasciature saltò in piedi come una molla. “Vuoi dire che Misto e il Grande Satana sono in realtà la stessa persona?”
“No. Non esattamente. La questione è un po’ più complicata. Qualcuno di voi ha mai sentito parlare dell’Incantesimo del Tempo Congelato?”
Sguardi confusi corsero da un mago all’altro. Nevius si strinse nelle spalle. Lavok si accarezzava il mento, pensieroso. Infine fu Matoriv a parlare: “In teoria permette di bloccare lo scorrere del tempo… permanentemente, o almeno finché qualcosa non spezza l’incantesimo. Funziona su un’area ridotta, su un oggetto, su una persona. Ma è superiore al nono livello… superiore persino alla Medroa.”
“Stiamo parlando del Grande Satana” lo interruppe Vexen. “E comunque io non sarei così stupito. È un principio simile a quello dello Scettro dell’Immortalità, anche se poi vi sono delle sostanziali differenze. Il vostro tempo personale non è forse immobile? Bloccato? Mentre quello attorno a voi continua a scorrere normalmente.”
“Ma cosa c’entra questo con Mistobaan?”
“Ci sto arrivando. Saprete già che il Grande Satana è l’ultimo esponente della sua razza. L’ultimo demone maggiore. I ricordi di Misto non erano molto chiari su questo punto, ma pare si siano tutti estinti durante una catastrofe avvenuta millenni fa. Capirete che per questo motivo la vita del Grande Satana ha la priorità assoluta per i demoni, è diventata un patrimonio da difendere a qualsiasi costo. Ma nemmeno un demone maggiore è immortale, malgrado tutti i suoi poteri. Ecco perché il Grande Satana ha usato l’Incantesimo del Tempo Congelato su se stesso… o meglio, su una parte di se stesso, perché altrimenti avrebbe finito per limitare troppo i suoi poteri. Ha congelato la parte di sé che conteneva la giovinezza e la forza fisica. Il risultato di quest’uso dell’incantesimo è stato che il suo corpo si è scisso in due: una parte ha continuato ad invecchiare ed accumulare saggezza e conoscenza, ed è il corpo del Grande Satana stesso, mentre l’altra è rimasta in uno stato di semi-ibernazione. Ma quest’ultima parte era priva di anima. Come un cadavere. Per proteggerla e per nasconderla, il Grande Satana l’ha affidata al suo servitore Misto, che ne ha fatto il suo corpo. È per questo che Misto è… o meglio era, così fedele al suo signore. Il Grande Satana l’ha elevato ad un rango che quelli della sua specie non riuscirebbero nemmeno a sognarsi. Gli ha dato un potere immenso. Ma la forza che Mistobaan usa non è che la punta di un iceberg. La catena del suo mantello è il sigillo dell’Incantesimo del Tempo Congelato: quando la rimuove tutto il suo potere ibernato si risveglia, ma in quel momento il corpo riprende ad invecchiare, finché la catena non viene riallacciata di nuovo. Ecco perché Mistobaan cerca di utilizzare questa risorsa il meno possibile.”
“Ora capisco...” mormorò lo stesso ragazzino di prima. “Il Dono dell’Imperatore…”
“Già, perché adesso Mistobaan crede che sia stato Palpatine a donargli quel corpo e i suoi poteri. E l’Imperatore lo sa. Capite adesso la vera ragione di questa guerra? Non è stato un semplice capriccio del Grande Satana. Lui sapeva che senza Mistobaan non sarebbe più riuscito a tornare alla propria forma completa e perfetta. Aveva bisogno di lui.”
Vexen tornò a sedersi nell’attonito silenzio generale. Constatò con piacere che la sua rivelazione aveva prodotto un certo effetto sui Ribelli. I capi continuavano a parlottare fitto, la principessa Leia si era alzata e aveva cominciato un colloquio serrato con la donna dai capelli rossi. Era chiaro che aveva completamente dimenticato imputato, avvocati e testimoni, la mente già proiettata verso strategie e battaglie future.
Intanto erano giunti all’ultima fase del processo: le arringhe finali. Auron contro Camus in una battaglia di pura oratoria.
La cosa peggiore fu che il discorso di Auron gli parve estremamente logico e convincente. Se non fosse stato l’imputato, gli avrebbe quasi dato ragione lui stesso. Il condizionamento, tuonava l’avvocato dell’accusa, era una colpa più grave dell’omicidio, perché privava l’individuo non solo della vita (quella dei condizionati non si poteva definire vera vita, tutt’al più una forma di esistenza), ma anche della libertà, della dignità, dei sentimenti, degli ideali. La morte sarebbe preferibile ad uno stato simile; nel momento della morte un uomo rimane pur sempre se stesso, anzi, spesso è proprio quel momento a dare un senso alla sua vita. Ma il condizionamento non era altro che degradazione e abbrutimento. Per questo, concludeva Auron, la punizione minima che si poteva dare ad un abominio del genere era la morte. Ed era un trattamento magnanimo.
Riguardo l’arringa di Camus, Vexen smise di ascoltarla dopo il primo minuto. Cosa poteva quel sermone religioso infarcito di buonismi e luoghi comuni sulla redenzione e le seconde possibilità contro la logica ferrea di Auron? In qualità di giudice, Vexen si sarebbe condannato da solo.
“So che nessuno di voi si fiderebbe a lasciarlo libero, e questo posso capirlo” concluse Camus. “Ma penso anche che non meriti la morte, e che la prigionia sia uno spreco delle sue capacità e un ostacolo per il suo percorso di redenzione. Pertanto propongo che lavori come medico per l’Alleanza: con tutti i feriti e i profughi della guerra c’è bisogno di una persona abile come lui.”
“E tu vorresti mettere un bisturi in mano a una persona come lui? Gliene basta uno per crearsi un esercito di condizionati!”
“Sono pronto a garantire per lui, Auron. E lo sorveglierò di persona se lo riterrete necessario, giorno e notte.”
“Molto bene. Le due proposte ci sono chiare” sentenziò Matoriv, prima che Auron potesse protestare ancora. Fece un cenno a un giovane hobbit, che raccolse da dietro il tavolo una cesta colma di foglietti bianchi e avanzò caracollando verso l’assemblea. “Distribuite le schede e votate. Il SÌ è per la condanna a morte. Se invece vince il NO sarà accolta la proposta dell’avvocato della difesa. Scegliete con saggezza.”
“Andrà tutto bene, padron Vexen” Camus scrisse un bel NO a grandi lettere sulla propria scheda e la depose ripiegata nell’urna che un secondo hobbit stava facendo girare tra il pubblico. “Ne sono certo.”
“Beato te.”
Medico per l’Alleanza. Non sarebbe stato tanto male, in fondo. Un certo margine di libertà, un lavoro che aveva sempre amato. Dopo tanti mesi sotto il gioco dei demoni sembrava quasi una prospettiva felice. Ma la sua meta finale non era la Terra II. Aveva priorità più importanti dello stupido “percorso di redenzione” di Camus.
Certo, se avesse vinto il SÌ niente di tutto questo avrebbe più avuto importanza.
“E se anche le cose andassero male…” Camus doveva aver notato la sua angoscia, e la sua voce si ridusse ad un sussurro appena percepibile mentre gli si avvicinava al orecchio. “…in un modo o nell’altro la tirerò fuori di qui comunque. Glielo prometto.”
Il “grazie” gli restò strozzato nella gola insieme alle paure e alle speranze.
Fece vagare lo sguardo tra la folla. Auron scavava solchi con la penna in quello che era palesemente un SÌ a caratteri cubitali. Mara Jade e Zachar incidevano la scheda con la stessa determinazione di Auron. Chi invece lo sorprese fu Mu: si rigirava la scheda tra le mani, la stropicciava, guardava in tutte le direzioni mordicchiando la penna. Lo sguardo da predatore di Auron era puntato su di lui: “Che c’è da riflettere, Mu? Sai cosa DEVI votare!”
“Sì… sì Auron, certo…” Vexen vide il prete nascondere il foglio con entrambe le braccia e fare un gesto con la penna, ma non riuscì a capire cosa avesse scritto. Poi Mu si alzò e corse a consegnare la scheda prima che Auron facesse in tempo ad intercettarlo.
Le operazioni di votazione e spoglio non durarono più di mezzora in tutto, ma quando la principessa Leona lo esortò ad alzarsi per ascoltare il verdetto Vexen si sentì invecchiare di anni in un colpo solo.
“L’assemblea riunita della Resistenza e dell’Alleanza Ribelle ha così deciso. Con 273 voti favorevoli, 57 contrari e una scheda bianca, Vexen del Castello dell’Oblio, ex membro dell’Organizzazione XIII, sei condannato a servire l’Alleanza in qualità di medico fino a che non dimostrerai con la tua buona condotta di meritare la libertà. Camus dell’Acquario, sacerdote delle Dodici Case, sei incaricato di affiancarlo nel lavoro e vigilare sul suo operato. Se mancherà in qualcosa, la responsabilità sarà anche tua.”
Il sangue che gli pulsava nelle orecchie, Vexen si lasciò ricadere sulla panca completamente svuotato di ogni forza. La stanchezza della battaglia e delle lunghe ore senza mangiare né dormire gli precipitò tutta insieme sulle spalle, ma riuscì a raggranellare un ultimo briciolo di energia per evocare sulle labbra un debole sorriso.
La sequela di bestemmie lanciata da Auron era la musica migliore che avesse mai sentito da anni.


Narratore: “Non posso crederci, il raccomandato delle Registe si è salvato ancora. Vita grama. Comunque amici lettori, riuscite a immaginare di chi sia la scheda bianca?”


Tarkin aveva faticato a riconoscerlo.
Barba incolta di settimane, la divisa ridotta a un cencio informe, i gradi irriconoscibili. Solchi scuri scavati come trincee sotto gli occhi. Negli occhi si scorgeva ancora il riflesso di una paura elevata al rango di condizione di vita, quando l’orizzonte si riduce ai pochi, basilari bisogni primari e all’istinto disperato di sopravvivere. Anche l’odore non era dei migliori, ma Tarkin non era mai stato un tipo schizzinoso.
“I miei complimenti, viceammiraglio Kratas. La missione è stata un successo.”
Gli aveva concesso di sedersi, e persino di sorseggiare una bevanda calda in sua presenza. Il protocollo e la disciplina erano valori cardine nella visione di Tarkin, ma di quando in quando uno strappo alla regola poteva essere tollerato, soprattutto se funzionale a uno scopo preciso. L’accademia di Carida non sfornava tutti i giorni soldati valorosi e leali come Kratas. Simili rarità andavano coltivate e valorizzate con cura particolare.
Lo Star Destroyer Invictus aveva captato il segnale di Kratas appena una mezzora prima nel settore Alfa-89 dell’Orlo Esterno. Pericolosamente vicino allo spazio ribelle, ma abbastanza lontano da poterlo recuperare senza essere costretti a ingaggiare battaglia con le pattuglie di vedetta dell’Alleanza. Quando lo avevano portato a bordo con il raggio traente dello Star Destroyer, Kratas era alla guida di una navetta per trasporti a corto raggio che doveva aver visto tempi migliori, priva di insegne e sicuramente rubata.
“Ho fatto solo il mio dovere. Per la sicurezza dell’Impero. Per mettere fine a questa guerra inutile.”
Soldati come Kratas erano la prova dell’efficacia dei metodi di indottrinamento imperiali. Il che rappresentava una soddisfazione particolare per Tarkin, dato che molti di quei metodi erano frutto del suo ingegno. Kratas probabilmente sarebbe rimasto convinto per l’intera durata della sua vita di essersi offerto volontario per quella missione di importanza cruciale. La verità era che Tarkin lo aveva già scelto ancora prima di rendergli noti i dettagli, aveva elaborato l’intera operazione ritagliandola specificamente su di lui, sulle sue caratteristiche e capacità. Avrebbe potuto ordinarglielo, certo. I risultati sarebbero stati gli stessi. Ma appunto, le rarità andavano coltivate. E persino l’Impero aveva bisogno di eroi.
“Mi sarei messo in contatto con lei prima, governatore, ma il comlink ha smesso di funzionare durante la prigionia. Forse qualche interferenza con la magia del Baan Palace.”
Era bastato un trucco così semplice per ingannare i demoni. Potevano essere maestri di magia, ma nessun incantesimo era in grado di rintracciare una microtrasmittente installata direttamente nell’apparato uditivo di un individuo. La disponibilità a rivelare informazioni strategiche era stata scambiata per codardia e desiderio di sopravvivere, e per settimane l’Impero aveva manipolato le azioni del Grande Satana per bocca dell’insospettabile Kratas. Dapprima le informazioni erano vere, per creare un’impressione di fiducia. Bersagli di poco conto in ogni caso, vittorie inconsistenti, perdine che Tarkin aveva sacrificato volentieri in nome della vittoria finale. Poi le trappole avevano iniziato a scattare, implacabili. Per un soffio non era riuscito anche il colpo più grande, far saltare in aria il Ryumajin in persona; ma in quel caso era mancata la fortuna, non la strategia. E comunque avevano ottenuto altre importanti vittorie grazie a Kratas, limitando notevolmente le perdite. Era certo che l’Imperatore avrebbe ratificato senza esitazioni la sua proposta di promuoverlo al grado di ammiraglio.
“A maggior ragione è un piacere rivederti sano e salvo. Anche se devo ammettere che le modalità della tua fuga sono state alquanto… inaspettate.”
Il racconto del viceammiraglio aveva dell’incredibile. L’Imperatore aveva già indetto una riunione con i Signori Oscuri al completo per fare il punto della situazione e pianificare le mosse successive. L’intervento dei Ribelli, l’esplosione del Baan Palace, gli eventi di Kamino… in un battito di ciglia le sorti della guerra si erano ribaltate, la situazione galattica aveva mutato completamente volto.
Eppure, in quel preciso momento persino l’idea che Kaspar fosse nuovamente a piede libero sbiadiva sullo sfondo dei pensieri di Tarkin. Kratas dovette decifrare qualcosa nella sua espressione, perché sorrise: “Non ce l’avrei mai fatta senza l’ammiraglio Daala. Convincere i Ribelli a portarmi via dal Baan Palace è stato semplice, ma se lei non mi avesse nascosto una volta sulla Terra II avrebbero processato anche me.” Erano nei quartieri personali del governatore, circondati da tecnologie anti-intercettazione e uomini di comprovata fedeltà. Potevano permettersi di parlare di Daala. Kratas era uno dei pochissimi, all’infuori del Trio Destroyer, a conoscere la verità su di lei e sulla sua ubicazione. “È stata sempre lei a procurarmi la navetta su cui mi avete trovato.”
Da quando erano stati costretti a separarsi, Tarkin cercava di pensare a Daala il meno possibile. Non perché la distanza avesse attutito i suoi sentimenti per lei; la amava ancora come il giorno in cui si erano sposati. Semplicemente, indugiare nei ricordi e nella nostalgia non era produttivo. Distraeva dagli obiettivi a portata di mano, e non portava a nulla. Nelle presenti condizioni, non c’era niente che potesse fare per cambiare le cose. Il suo compito era proteggere Shandra al meglio delle sue possibilità e tenere gli occhi aperti in vista di un’opportunità per ribaltare le carte in tavola. Fino ad allora mantenere la testa sulle spalle era di importanza cruciale.
Non vedeva né sentiva Daala dall’avventura nel Castello dell’Oblio.
Per questo motivo lo emozionò ricevere la busta dalle mani di Kratas. Carta, un materiale preistorico che nessuno usava più per la comunicazione da secoli. Ma era stata tra le mani di lei, e questo bastava per renderla il più prezioso dei tesori agli occhi di Tarkin.
Piegò la lettera con cura e la nascose in una tasca interna della divisa. Aveva atteso anni, poteva aspettare ancora qualche ora. Quella sera, dopo la riunione con l’Imperatore, l’avrebbe assaporata nella calma e nella segretezza dei suoi alloggi.
“Non è cambiata, governatore” il sussurro di Kratas interruppe le sue riflessioni, e Tarkin fu talmente colpito da perdonargli la confidenza indebita che aveva osato prendersi. “Continua ad aspettarla. E anche lei vigila in attesa dell’occasione per tornare da noi.”
  
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