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Autore: Sakurina    31/03/2016    9 recensioni
Dopo la devastante battaglia finale contro Papillon, Ladybug scompare nel nulla, lasciando Adrien nella disperazione.
Affranto, pentito e sconsolato, Adrien si trascina di giorno in giorno, finché un giorno Marinette torna a scuola.
Ma la situazione non è quella che Adrien si aspetta...
[Basically Adrinette]
Genere: Drammatico, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Adrien Agreste/Chat Noir, Marinette Dupain-Cheng/Ladybug
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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*Can't Breathe Without You*
 
 


Quello doveva essere un incubo.
Non c’era altra spiegazione.
Era tutto così assurdo che non poteva fare a meno di… ridere.
Si era appena svegliato dopo una notte di incubi che gli pareva infinita e la prima cosa che riusciva a fare era ridere. Ma era una risata così secca, così arida, così acuta, che faceva male.
Gli faceva un male terribile.
“Lo sapevo che saresti impazzito alla fine.” Sospirò il piccolo Plagg, scrutandolo dall’alto di uno scaffale della lussuosa camera del ragazzo con sguardo amareggiato.
Adrien ricambiò la battuta lanciandogli un cuscino.
“Non sei d’aiuto.” Sibilò il ragazzo, scivolando fuori dalle coperte per dirigersi verso la sua doccia privata con passo veloce e sicuro nonostante l’oscurità. Appena le sue mani toccarono la porta fredda che separava la sua stanza dal bagno, la stessa risata isterica si fece nuovamente largo nella sua gola, naturalmente. Non poteva fare a meno di pensare a quando Ladybug gli parlava da lì, dal punto in cui si trovava lui in quel momento. La sua fedele doccia che aveva salvato la sua doppia identità da superoe felino più di una volta con Ladybug.
Ladybug.
Ladybug… non c’era più.
Una lacrima scivolò leggera sulle sue labbra ridenti, mentre la sua risata si acutizzava.
“Ahi, ahi…” sospirò Plagg, da sotto il cuscino.
 
Parigi scivolava veloce, al di là del finestrino dell’auto, davanti ai suoi occhi svuotati: un agglomerato di edifici eleganti e ricchi di storia, ormai privo di qualsiasi interesse. La sua assistente Nathalie cercava di attaccare bottone con lui più del solito, forse assalita dal senso di colpa per la scomparsa di Gabriel Agreste o semplicemente perché improvvisamente si era trovata con il peso di un adolescente orfano sulle spalle.
Ancora un anno e, raggiunta la maggiore età, se ne sarebbe potuto andare da lì. Lontano da quella casa, lontano da quella città, lontano da quei ricordi.
“So che non è un momento facile, Adrien… ma ormai sono passati quasi tre mesi dalla scomparsa di tuo padre. Cosa pensi di fare con l’azienda di famiglia?” sospirò Nathalie, ormai esasperata dai continui silenzi e dalle risposte evasive di Adrien.
“Ci penserò quando finirà la scuola.”
Andare a scuola non lo entusiasmava più ormai; si pentiva della sua scelta di qualche anno prima. Se quando aveva iniziato a frequentare la scuola avere nuovi amici lo rendeva felice, ormai vedere i volti dei suoi compagni di classe, sempre preoccupati per lui, lo nauseava. Ma anche starsene rinchiuso in quella casa solitaria gli dava il voltastomaco. Altro che gatto, pensava, si sentiva come un topo in gabbia.
 
La nausea si faceva più insopportabile quando si avvicinava alla porta della classe: vedere il suo banco vuoto, il volto malinconico di Alya e quell’insopportabile assenza alle proprie spalle erano troppo per lui. A volte doveva uscire in cortile, fare dei profondi respiri e rientrare in classe correndo, per cercare di evitare di pensare. Concentrarsi solo sul respiro lo aiutava.
All’inizio funzionava. Ora non più.
E se lo sentiva che quel giorno non ce l’avrebbe fatta a varcare la soglia: quello era il giorno in cui avrebbe mollato la scuola. A un anno dal diploma.
Stava per girare i tacchi e andarsene, se non fosse stato per Chloé che, stizzita e irritata, se ne usciva dalla porta borbottando: “Pensavo di essermi liberata sia di lei che di Lila, ma ovviamente non me ne deve mai andar bene una!”. La biondina era così fuori di sé che lo aveva brutalmente ignorato per tirare dritto verso il cortile.
Adrien rimase bloccato a riflettere qualche secondo, dopodiché sentì dei singhiozzi provenire dall’interno della classe, il chiacchiericcio allegro di Nino e dei suoi compagni, una strana vitalità animare l’interno dell’aula. Si lanciò dentro la classe come non aveva mai fatto prima e… il cuore si fermò.
Il tempo, i suoni, le persone, i profumi, i colori, tutto scomparì per lasciare spazio ad un’unica personcina.
Solo a lei.
Così piccola e graziosa tra le braccia strette di Alya. Non riusciva a vederla in faccia, perché aveva il volto appoggiato sulla spalla dell’amica e la folta chioma bruna di Alya la copriva.
Si era dimenticato come si respirava.
L’udito ovattato, il respiro affannato, la vista sfocata.
Aveva bisogno di guardarla, di vederla in faccia, perché il tempo e il dolore stavano rischiando di cancellare i suoi tratti dalla memoria.
“Marinette.”
Il suo nome gli bruciava sulle labbra. Un nome arrugginito, un nome che non sentiva da troppo tempo, un nome che non pensava di poter pronunciare ancora.
“EHI, ADRIEN, HAI VISTO?! La nostra Marinette è tornata!” esultò Nino, piazzandosi di fronte ad Adrien e bloccandogli ancora di più la visuale.
Adrien cercò di divincolarsi dalla presa di Nino, ma proprio in quel momento sentì una vocina – la sua vocina – sussurrare lentamente “Scusami Alya, devo andare assolutamente nell’ufficio del preside prima che inizi la lezione…”
Tutto ciò che riuscì a vedere fu solo un piccolo fulmine dai capelli scuri che si lanciava fuori dalla classe, senza neanche voltarsi a guardarlo.
“Ehi, cerca di non sparire di nuovo Marinette!” le urlò Alya, con gli occhi ancora ricolmi di lacrime.
“No… no!” urlò Adrien, lanciandosi immediatamente all’inseguimento della ragazza.
Di quella ragazza che non vedeva da più di 3 mesi dopo aver condiviso con lei ore, giorni, anni. La protagonista dei momenti più felici della sua vita. Non l'avrebbe lasciata scivolare via di nuovo.
Con la coda dell’occhio, Adrien riuscì a scorgere Marinette che svoltava l’angolo per dirigersi verso l’uscita di sicurezza posteriore. Il ragazzo non perse neanche un secondo e, con uno scatto felino, raggiunse la compagna proprio mentre stava aprendo la porta di sicurezza.
“Dove pensi di scappare?!” le chiese, afferrandola per il braccio e trascinandola verso di lui.
Marinette perse l’equilibrio e cadde all’indietro, incontrando il forte petto di Adrien, che prontamente la afferrò stringendola a sé.
“A-Adrien…” sospirò Marinette, chiudendo gli occhi resi lucidi dalle lacrime imminenti e respirando a fondo il suo profumo, quel profumo che solo Adrien aveva – perché non aveva mai fatto caso al profumo di Chat Noir?
“Come hai potuto farmi questo… te ne sei andata senza dirmi niente…è stato un inferno senza di te!” sussurrò Adrien con voce spezzata, affondando le labbra tra quei morbidi capelli corvini.
Con uno sforzo immane, Marinette riuscì a divincolarsi dalla stretta di Adrien con uno strattone così forte che lo fece barcollare all’indietro. La ragazza continuava a dargli le spalle, evitando lo sguardo di Adrien come se questo rischiasse di trasformarla in pietra.
“Lasciami perdere, Adrien. Lascia perdere... tutto. Dimenticati di Ladybug e di tutto quello che è successo.” Sibilò Marinette, con voce debole e tremante. Eppure non era né una voce triste né una voce spaventata: era solo una voce estremamente nervosa e arrabbiata.
Adrien rimase senza parole per qualche secondo, sorpreso dalla reazione e dalle parole della sua compagna.
“Cosa cavolo intendi dire, scusa? Dimenticare tutto?! Come diavolo faccio a dimenticare tutti questi anni insieme, si può sapere?!” la collera prese il sopravvento nel suo cuore. Dopo tutti quei mesi senza vedersi, l’unica cosa che era in grado di fare era respingerlo così?
Decise che era il caso di calmarsi se non voleva peggiorare la situazione più di così. Ma qualcuno non era della stessa idea. In quel preciso istante, infatti, Plagg saltò fuori dalla sua camicia, fluttuando vicino a Marinette.
“Buongiorno Marinette, lieto di rivederti…”
“Plagg…” sobbalzò la ragazza, fissandolo perplessa.
“Mi domandavo come stesse Tikki. Alla fine sei partita per la Cina col maestro per salvarle la vita, no? Ci siete riusciti oppure devo considerarmi ufficialmente un lavoratore autonomo?” domandò Plagg, senza dimenticare il suo solito tatto.
“Plagg!” ringhiò Adrien, infastidito dalle maniere del suo kwami.
“Tikki sta bene, si sta riprendendo, grazie” mugugnò Marinette, abbassando lo sguardo.
“E allora perché non porti gli orecchini?” insistette il piccolo kwami.
“Perché non si è ancora ripresa del tutto. E perché, comunque vada, non ho intenzione di tornare a essere Ladybug.” Asserì Marinette perentoria, abbassando lo sguardo.
“Come sarebbe a dire?!” sbottò Adrien, scosso dall’affermazione della ragazza.
“Adrien… non ho voglia di parlarne adesso. Dobbiamo tornare in classe.” Mormorò Marinette, sorpassandolo per dirigersi a lezione.
“Eh no, adesso voglio che mi parli chiaro, me lo devi!” ringhiò Adrien, afferrando la ragazza per le spalle e inchiodandola al muro. “Guardami in faccia e dimmi perché ti stai comportando così.”
“Te lo devo?! Perché mi comporto così?!” ribatté Marinette, sollevando il suo sguardo adirato e incontrando finalmente gli occhi del ragazzo che le aveva fatto girare la testa per tutti quegli anni. “Ho rischiato tutto per salvarti la vita durante la nostra ultima battaglia con Papillon! Ho sacrificato il mio potere, Tikki, ho rischiato di sacrificare quasi tutta Parigi per salvarti…e... e... tu... ma adesso basta. Non sarò più io quella che sacrifica tutti quelli che ama per fare la supereroina. Sono stanca, Adrien… sono così stanca e devastata da tutti questi mesi passati ad assistere la mia piccola Tikki, che si aggrappava la vita così tanto a fatica che—“ Marinette si interruppe, gli occhi pieni di lacrime.
“Lo so! Lo so e mi dispiace! Se solo Papillon non si fosse rivelato essere mio padre avrei sicuramente agito diversamente, avrei gestito meglio la situazione e-e-e…e lo so che è colpa mia... in quel momento avrei dovuto solo essere Chat Noir, il tuo Chat Noir, il tuo compagno di battaglia e invece... ho preferito essere il figlio di Papillon... mi dispiace, Marin—“
“Basta così, Adrien. Questa cose devi dirle a Ladybug e io... non sono più la Ladybug di cui eri tanto innamorato. Sono solo Marinette, la tua compagna di classe. Una Marinette che è in ritardo per la lezione di inglese. Scusami.”
La ragazza scivolò sotto il braccio di Adrien, che rimase immobile, atterrito dai fiumi di lacrime cristalline che bagnavano le guance di Marinette.
Avrebbe dovuto piangere e invece... di nuovo quella stupida, stridula, maledetta risata.
“Ho rovinato tutto... tutto! Ah ah ah!”
 
“Adrien, cosa ci fai già a casa?!” sussultò Nathalie, vedendo il ragazzo rientrare a casa dopo solo un’ora a scuola.
“Scusami Nathalie...” sussurrò Adrien, ansimando.
“Cosa succede Adrien?!”
“Nulla di grave, Nathalie... ho solo... un po’ di asma... vado a... riposarmi...” e, liquidando l’assistente che lo pregava di andare dal medico, il ragazzo si chiuse a chiave in camera.
Si concentrava più che poteva per cercare di controllare il respiro, ma non c’era verso di far funzionare i suoi polmoni a dovere. L’ansia e il nervoso stavano distruggendo il suo autocontrollo e Adrien non riusciva più a sentirsi padrone del proprio corpo.
Si sdraiò sul letto, chiudendo gli occhi, respirando a fondo e contando ogni fiato.
1...
“Papillon, ridammi Adrien! Chat Noir, dobbiamo assolutamente liberare Adrien!”
2...
“Ladybug, dammi i tuoi Miraculous e riavrai Adrien sano e salvo...”
“Non scenderò mai a patti con te, Papillon!”
3...
“Ladybug, forse dovresti fare... come dice...”
“Cosa stai dicendo, Chat Noir?! Sei impazzito?!”
“Lui... lui ha promesso... di usare i Miraculous solo per riportare in vita la madre di Adrien... è una cosa buona, no? Noi... potremmo provare a fidarci... solo questa volta...”
4.
“Chat Noir... perché mi stai facendo questo... perché?”
“Ladybug, ti prego...”
“Io... io non scenderò a patti col male, Chat Noir... se la madre di Adrien è morta, non c’è nulla che possiamo fare per riportarla indietro... fa male, lo so, ma non possiamo giocare a fare Dio...”
“Chat Noir, prendi i suoi Miraculous, ORA!”
5.
 
Adrien riaprì gli occhi, il petto pesante, come se fosse schiacciato da un macigno.
Ricordava tutto così nitidamente. Come un incubo dal quale ci si è appena svegliati e le cui terribili immagini non riusciamo a levarci dalla testa.
Ladybug che attaccava Papillon sfruttando al massimo la sua energia, portando il suo piccolo kwami fino allo stremo.
Papillon che crollava, sfinito, sconfitto dal potere della fortuna.
Lui, il grande eroe Chat Noir, ancora scioccato dal potente attacco di Ladybug e paralizzato davanti all’incombente sconfitta del padre.
E poi quella scena che Adrien non riusciva a levarsi dagli occhi, che si ripeteva ossessivamente nella sua mente: il costume di Ladybug che svaniva nell’aria come piccoli granelli di sabbia rossa, rivelando il corpo di colei che mai e poi mai avrebbe pensato celarsi dietro quella maschera a pois.
“Marinette...” sussurrò sottovoce, sofferente, coprendosi il volto con  il cuscino. “...come ho fatto a non capirlo... dopo tutti questi anni... come ho fatto a non capire che il sorriso di Ladybug era lo stesso di Marinette? Sono proprio un idiota...” sospirò Adrien, sofferente, girandosi a pancia in giù sul letto e affondando il volto tra le lenzuola. “Ora le ho perse tutte e due...”
Questa volta, però, nessuna risata uscì dalle labbra di Adrien.

 

Ciao popolo di EFP. Non odiatemi. Sono in crisi di astinenza da Miraculous Ladybug. HO BISOGNO DI SAPERE COME FINISCE !"$$%$&%/&$ quindi me lo sono inventata. Pateticamente. Adrien e Marinette sono tristi perché lo sono anche io. 
Continuerò, spero, se l'astinenza non mi uccide prima. À bientôt 
<3
 
  
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