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Autore: caleidoscopio    01/04/2016    3 recensioni
Alaska si è sempre sentita troppo piccola per qualsiasi cosa, per la vita che prende il sopravvento su di lei e per le cose brutte. Alaska è una bambina di diciotto anni che non vuole crescere, che non vuole sapere che nel mondo di cose orribili ne capitano tutti i minuti, tutti i secondi, anche a lei, ogni tanto, quando si distrae o chiude gli occhi.
Genere: Malinconico, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Ashton Irwin, Nuovo personaggio
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Alaska






Alaska non riesce a muoversi. Stesa fra le lenzuola immacolate, le braccia e i fianchi doloranti, gli occhi semichiusi per la luce che filtra dalla finestra aperta, un taglio sulla guancia che ancora sanguina, Alaska non riesce a muoversi.
Alaska si è sempre sentita troppo piccola, per qualsiasi cosa, per la vita che prende il sopravvento su di lei e per le cose brutte. Alaska è una bambina di diciotto anni che non vuole crescere, che non vuole sapere che nel mondo di cose orribili ne capitano tutti i minuti, tutti i secondi, anche a lei, ogni tanto, quando si distrae o chiude gli occhi.
Sente ancora la sua voce rude che urla, le sue mani che pesano sul suo corpo, troppo piccolo, troppo fragile, sente troppo e troppe cose, nella sua testa.
Il suo cellulare vibra sul comodino, e lei trasalisce. Allunga un braccio per afferrarlo e il livido sul fianco fa male. È dolore puro, che non può essere messo da parte e che vuole essere sentito, che non vuole essere ignorato. E lei lo ignora, e prende il cellulare e risponde.
«Alaska?» È una voce preoccupata, che le arriva direttamente nel cervello e che le inumidisce gli occhi di lacrime represse.
«Ashton.» La sua voce trema, come lei, come il suo corpo l’altra notte.
«Stai bene?»
«No.»
«Sto venendo a prenderti, sai.»
«Non ce la faccio.»
«Ehi, no, tu sei forte, ce la fai. Sto arrivando.»
 
Ashton guida in silenzio, si mordicchia l’interno della guancia quasi a sangue, tiene lo sguardo fisso sulla strada e i pensieri ad Alaska, e alla coordinazione acceleratore-frizione-freno dei suoi piedi.
La sua macchina è piena di tante cose, di bottiglie d’acqua e di vestiti sporchi ammucchiati in sacchetti di plastica, di ricordi che vorrebbe cancellare per sempre, di rimpianti e di paure.
E quella macchina è piena di Alaska anche senza che Alaska sia lì, perché Alaska è ovunque, nei fiori che crescono nel parco e nella pioggia che cade dal cielo. Alaska, Alaska, Alaska.
Ashton ad Alaska pensa spesso, la notte, quando sa che lei è con lui e che lui la sta uccidendo, piano piano, come si fa con le erbacce.
Arriva davanti a casa sua, e lei è lì, in un maglione enorme che le arriva alle cosce magre e nei suoi capelli pazzescamente blu, lunghi come mai avrebbe osato immaginare, con i suoi occhi limpidi, nonostante lei sia incredibilmente triste.
Ashton rabbrividisce mentre accarezza il taglio sulla guancia di Alaska, mentre guarda il livido sul suo collo e cerca solo di immaginare il resto. Cerca delle parole, trattiene un sospiro. «Ma cosa ti ha fatto…»
«Come al solito» risponde lei, lo sguardo basso.
Ora la pioggia tamburella sulle strade e scandisce il ritmo dei loro respiri. Poi Ashton mette in moto, e riparte, nell’umidità di quella giornata di aprile che dovrebbe portare la primavera ma che porta solo tristezza.
 
Ashton e Alaska viaggiano spesso, quando Alaska sta troppo male o quando Ashton è troppo confuso per stare dietro alla sua vita, al suo lavoro e al suo cane.
L’autostrada è quasi deserta, Ashton non si schioda dalla corsia di sorpasso ma non sorpassa nessuno, neanche i suoi fantasmi, solo alberi vecchi e ingrigiti dallo smog e dal catrame.
La ragazza guarda fuori dal finestrino appannato su cui ogni tanto disegna qualcosa, un fiore o magari una frase di quella canzone che le piace tanto ascoltare quando passa in radio. Chissà perché le canzoni sono sempre più belle quando le ascoltiamo alla radio, sembrano più uniche, più rare e preziose.
«Dove andiamo?»
«A caso, come sempre.»
 
Alaska non aveva mai pensato alla morte prima di provare sulla sua stessa pelle cosa fosse davvero il dolore. Ora alla notte lei non dorme più. Aspetta la mattina, fa finta di essere profondamente addormentata mentre il suo carnefice scosta le lenzuola e si alza, va in bagno, torna e Alaska sa che quello è il momento delle lunghe occhiate, in cui lui la guarda e solo Dio sa cosa gli passa per la testa. Alaska sente il suo sguardo passarle sul corpo immobile, dolorante, ammaccato. Cerca di tenere il respiro regolare, ma ogni mattina si chiede se lui in realtà non sappia che lei è sveglia, è sempre sveglia. Alaska non sa fingere, lo sa.
Poi la porta si apre e lui esce. Quello è il momento in cui Alaska cede ad un sonno senza sogni, inganna l’attesa con un finto riposo.
Alaska non sa dove lui vada. Ma sa che prima di sera sarà tornato, e allora ricomincerà tutto da capo: i colpi, i calci. Tutto.
Ma prima di sera, c’è Ashton.
 
Ashton lei l’ha conosciuta quando ancora sia il suo corpo che la sua mente erano intatti, e quando ancora alla morte Alaska aveva rivolto solo pensieri fugaci.
Forse gli piaceva pensare di essere innamorato di quella ragazza dai capelli blu, ma, nei suoi ventidue anni, non era nemmeno sicuro di sapere cosa fosse in realtà l’amore. Quindi, nel dubbio, la va a prendere quando sa che è il momento, e la abbraccia.
Nella sua macchina piena di tante cose, Ashton l’abbraccia, la carezza con gesti leggeri, quasi solo sfiorandola, le bacia i graffi e tenta di lenire, forse troppo poco, le sue tempeste interiori.
 
Tra le sue braccia Alaska sta bene, anche se tutto il corpo le fa male, e persino pensare le costa una fatica sovrumana. Sta bene nelle braccia di Ashton e le va bene quando la bacia, si sente amata, qualsiasi cosa voglia dire.
Quando lui tenta di parlare delle sue tempeste interiori, pensa solo che queste tempeste in realtà sono solo mari prosciugati. Perché dentro di lei non c’è più nulla, niente tempeste, niente emozioni. Un dolore sordo e acuto le sta divorando gli organi, le tiene il cuore in ostaggio come in un film poliziesco. Le sta chiedendo un riscatto, le sta chiedendo di riscattare la sua vita.
E quando la paura non l’acceca e il dolore si affievolisce abbastanza da lasciarla pensare, Alaska riesce a immaginare la sua vita se scappasse via con Ashton, se abbandonasse quella casa fatta di urla e bestemmie mal contestualizzate, se aprisse la porta e se la richiudesse alle spalle e sparisse per sempre.
Poi però guarda quella macchina, con i sedili a pezzi, sporca di vite vissute e, forse, sporca di altre ragazze.
Alaska non sa che forse Ashton è innamorato di lei. Non sa che le altre ragazze quella macchina non l’hanno neppure mai vista. Per questo ritorna a quella casa macchiata di sangue, e tutto ricomincia da capo.
 
Giorno più, giorno meno, così va la vita. Alaska pensa che forse un giorno nella sua vita cambierà tutto. Quando avrà il coraggio di muoversi, o forse solo quando l’assenza di lividi le permetterà di spiegare la sua pelle. E allora avrà la forza di alzarsi in piedi, e forse anche di correre.
Intanto, lei farà finta di dormire, e Ashton continuerà a pensare che forse quello è amore. Qualsiasi cosa voglia dire.
 





 
Ehm, salve. Solo due parole, se siete arrivati fin qui (vi ringrazio): ho ritrovato un paio di settimane fa questa breve storiella nei meandri del mio PC, ancora incompleta, e, presa da un forte nostalgia, ho deciso di terminarla. Non so bene perché la sto pubblicando, non è nulla di che e non mi piace neanche tanto, ma assieme alla nostalgia per il fandom e per i 5sos ha cominciato a mancarmi anche un po' efp in generale, quindi boh, ecco.
Ne ho scritta metà circa un anno fa (quando ero presa molto bene da Ashton e mi sembrano tipo millenni fa) e metà recentemente, probabilmente non si nota neanche la differenza.
Non so bene come concludere questa specie di spazio autrice, quindi finisco di blaterare e basta. Se avete voglia di lasciarmi un parere anche piccolo mi fareste molto contenta, grazie per aver letto :)




 
  
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