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Autore: 9Pepe4    02/04/2009    8 recensioni
Sirius a Grimmauld Place. Il suo fratellino e il suo migliore amico.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Sirius Black
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7
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Stanotte… Vorrei piangere

Percorro il corridoio tenendo le dita della mano destra tese a sfiorare il muro polveroso. E così eccomi in questa casa, dove tutto è così familiare ed al contempo così terribilmente estraneo.
Osservo l’ambiente lugubre con uno strano nodo alla gola. Non credevo mi sarei mai ritrovato qui; dopo aver sceso di corsa questi gradini trascinando una valigia dietro di me non pensavo che li avrei mai risaliti.
Cerco di non pensare a Silente, ai suoi occhi azzurri che mi scrutavano mentre, con voce pacata, mi chiedeva di restare in casa. Devo restare qua dentro.
Cammino in silenzio, distrutto da questo silenzio così assoluto che fa sembrare tutto così tetro, che mi fa sentire così solo. Mi avvicino lentamente ad una finestra, appoggiando prima il palmo delle mani sul vetro per poi accostarvi anche la guancia. È freddo.
Osservo il buio della notte, vedendo il mio riflesso sovrapporsi ad esso in uno strano effetto che mi fa desiderare come non mai di poter uscire di qua.
Non si vedono stelle. Ero così abituato, mentre ero latitante, a cercare Sirio con lo sguardo per dirmi che dopotutto, dopo quel che mi era successo, stavo ancora brillando, che ora, guardando questo cielo così scuro, mi sento vuoto. Ha quella specie di morbidezza dovuta alle nubi che lo avvolgono, ma resta pur sempre un pozzo d’inchiostro nel quale la mia anima si sente in agonia.
Mi scosto e lascio scivolare la mano sul vetro. Ricordo dolorosamente le grida isteriche di mia madre quando mi scopriva a lasciare impronte sulle finestre impeccabili di casa.
Mi allontano dalla finestra, camminando distrattamente, e comunque non conosco la mia meta.
Mi fermo quando entro in uno stretto salotto disadorno. L’unico arredamento che vi posso trovare è una poltrona malmessa. Cammino sino ad essa e mi ci siedo sopra, attirando le ginocchia contro il petto.
È come se Azkaban, oltre agli incubi, mi avesse lasciato una sensazione di soffocamento che si fa sentire ogni qualvolta che mi ritrovo in un luogo chiuso nel quale non vorrei stare.
E questa casa mi opprime, mi fa sentire prigioniero come non mai.
Come gli uccelli che vendevano in quella bottega di Diagon Alley…

Regulus indica frenetico i pennuti che si agitano dentro le gabbie. Con pochi, rapidi passi lo raggiungo. «Che c’è, adesso?» chiedo, spazientito.
«Guarda, Sirius, non ti sembrano tristi?» domanda lui di rimando.
Mi irrita quando dice certe cose. Stupido moccioso. Comunque guardo, e, mio malgrado, mi sento in vena di concordare. Più che tristi, sembrano disperati. «Tristi?! Ma che idea ridicola, Reg, sono solo uccelli!» esclamo.
Il mio fratellino annuisce rapidamente e si volta verso di me. Improvvisamente, sorride.
«Che c’è?» domando seccato.
«Secondo me ti somigliano» dice lui serenamente.
Rimango perplesso. «Vorresti dirmi che sono piumato?» chiedo, sarcastico.
Lui scuote la testa ridendo, come se avessi fatto la battuta del secolo. «Ma no! È perché hanno quell’aria…»
«Quale aria?» domando. A me non sembra proprio che abbiano alcuna aria. Sembrano solo stupidi, di quella dolce ottusità animale.
«Ma sì!» Regulus sembra sinceramente stupito. «Sembra che stiano decidendo di uscire… e che lo faranno davvero, prima o poi». Sorride. «Anche tu sei così, no? Quando vuoi fare una cosa ti impegni finché non riesci a farla».
Non so cosa dire, perciò sbotto: «Muoviamoci, Regulus. Se mamma e papà non ci vedono arrivare entro mezzora dove ci eravamo messi d’accordo sono fregato».
Lui annuisce e si appresta a seguirmi docilmente.
All’ultimo istante mi volto verso gli uccelli.
Spero che riescano a fuggire…


Sorrido amaramente in ricordo di quel pomeriggio. Gli uccelli fuggono, alla fine, ma poi qualcos’altro arriva a bloccargli le ali di nuovo.
Non lo ammetterei mai, ma in questo momento mi sento così solo da aver quasi paura. So che da qualche parte si aggira Kreacher borbottando maledizioni al mio indirizzo, ma lui è come se per me non contasse.
Quando uno è così prigioniero, fatica ad accorgersi dei suoi compagni di cella.
E quelli che contano sono i liberi, coloro che possono portare un po’ di ossigeno con racconti su come il mondo continui fuori di qui.
E così solo, come si fa a tenere lontano il rimorso? L’ho fuggito per così tanto tempo, ma, mentre soffoco un singhiozzo, sento che mi ha raggiunto in queste stanza spoglie.
E allora vorrei solo chiedere scusa.
Dev’esserci un modo per chiedere scusa.
Ma, se una parte di me si dice ancora e ancora che è così, un’altra sa che qualunque cosa farò quel maledetto giorno resterà tale e quale a quello che è stato.

«Ahia!»
«Che ti dicevo, Felpato, ho un vero talento nello stappare champagne».
Mi massaggio la fronte. «Più che altro, Ramoso, hai talento nel colpirmi con il tappo» replico.
Lui si volta per sorridermi. «Di cosa ti lamenti? Così anche tu presto ti sposerai!» esclama, scherzoso.
«Ma non potrei mai essere una coppietta love-love come te e Lily» commento, ironico.
«Chi potrebbe mai dirlo…» mormora James. «Oh, dovresti vedere Harry! Oggi ha scoperto come tirare la coda al gatto!» esclama poi, con entusiasmo.
«Meraviglioso» commento. A dire il vero, anche io la trovo una notizia che valga la pena di riferire, ma non mi impegno a mostrarlo.
James mi fissa scherzoso, poi il suo sorriso svanisce, sostituito da un’espressione seria. «Comunque… Questa tua idea…»
«Il Custode Segreto potrebbe essere Peter, sì». Mi guardo attorno, poi riporto gli occhi sul mio migliore amico. «Pensaci. Insomma, chi sceglierebbe Peter come Custode Segreto? Sicuramente Voldemort crederà invece che sia io, quindi darà a me la caccia e tadan!» Il mio goffo tentativo di alleggerire l’atmosfera è mandato a monte dal mio stesso tono. Troppo lugubre.
«Sei sicuro?» domanda James.
Lo fisso nei suoi occhi nocciola. «Sì» affermo. «Sono sicuro».


E lui s’è fidato di me, ha accolto la mia proposta, e ora è morto, ed è tutta colpa mia.
Il nodo alla gola si stringe tanto da farmi male. Mi sembra ieri quando ci rincorrevamo per i corridoi di Hogwarts, quando combinavamo guai e mi sgolavo a forza di fare il tifo per lui alle partite di Quidditch.
Mi sembra ieri che rideva al suo matrimonio. Ieri che mi decantava le imprese di suo figlio.
Ieri. Un giorno così vicino ed al contempo così lontano. Perché è solo un giorno di distanza, ma io sono intrappolato nell’oggi e non posso raggiungerlo.
È colpa mia.
Chiudo gli occhi per un istante, e dopo non oso più aprirli, perché sento che loro sono dietro di me, ad un soffio dalla mia pelle.
Nonostante il buio e le palpebre abbassate, posso vederli chiaramente.
Un giovane dagli arruffati capelli neri e gli allegri occhi nocciola, un sorriso enorme stampato in volto, affiancato da un ragazzino dai capelli corvini e il viso magro, gli occhi scuri ma brillanti come stelle. Come la stella della quale porta il nome.
James e Regulus.
Il mio migliore amico e il mio fratellino minore.
Uno morto per un mio sciocco suggerimento, l’altro morto per la mancanza di qualsiasi mio suggerimento. In entrambi i casi, è stata colpa mia.
In entrambi i casi, loro non ci sono più.
E stanotte, una notte nera e senza stelle, una notte in questa casa soffocante… Stanotte ho voglia di piangere.
  
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