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Autore: Hudders_Umbrella    02/04/2016    4 recensioni
Sherlock ha sempre adorato stare al centro dell'attenzione e sminuire il prossimo. Stavolta, tuttavia, ha veramente superato il limite e Mycroft ne ha avuto abbastanza: è giunto il momento di ricordare al suo fratellino che non è il solo a saper giocare. Londra si prepari, la battaglia ha inizio.
Genere: Comico, Commedia, Demenziale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Lestrade, Mycroft Holmes, Quasi tutti, Sherlock Holmes, Sig.ra Hudson
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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N/A: questa fanfiction-raccolta nasce da una nostra esigenza personale ovvero portare un po' di humour disimpegnato in questo fandom. Da qui, l'idea di postare una serie dedicata ai due fratelli Holmes e ad una loro particolare... contesa. Chi la spunterà? Ai posteri l'ardua sentenza, a voi... buona lettura.

Hudders&Umbrella

VOI VI RENDETE CONTO CHE QUESTO SIGNIFICA GUERRA

Le ombre della sera erano ormai calate su Londra, portando via un’altra giornata di quel freddo e umido Febbraio. Mycroft Holmes se ne stava seduto nel suo salotto di Pall Mall, un bicchiere con due dita di Scotch posato su un tavolino alla sua destra e “I Miserabili” tra le mani – un libro deprecabile quanto il musical (decisamente troppi sentimenti), ma non poteva non considerare affascinante la parte riguardante la battaglia di Waterloo.

La pendola sopra il caminetto batté le sette, facendogli sollevare lo sguardo e inarcare un sopracciglio: sapeva che gli orari di Gregory potevano oscillare a seconda di ciò che accadeva a New Scotland Yard, ma quel giorno non era successo niente di particolare – Anthea glielo avrebbe comunicato subito – e quindi non c’erano ragioni per cui il suo compagno si dovesse trattenere al lavoro. Il suo ritardo era dunque oltremodo sospetto, nonché frustrante, dal momento che quella sera avevano deciso di ritagliarsi un po’ di tempo da passare nella tranquilla compagnia reciproca. Proprio mentre cominciava a vagliare le varie ipotesi e a chiedersi se non fosse il caso di andare a controllare le sue telecamere, sentì la porta dell’ingresso aprirsi: finalmente Gregory era tornato. Il sorriso che aveva cominciato ad arricciargli le labbra fu però gelato dal suono dei passi strascicati e stanchi dell’Ispettore. C’era una certa spossatezza nell’incedere dell’uomo, nel suo togliersi il cappotto e la sciarpa e lasciarli sull’attaccapanni dell’ingresso. I suoi sospetti furono confermati quando lo vide entrare in salotto, stanco e stravolto, l’espressione di chi vorrebbe semplicemente scomparire, anche solo per un giorno, dalla faccia della Terra. Seguì Gregory con lo sguardo, osservandolo gettarsi sul divano e rilasciare un respiro di sollievo, prima di portarsi le mani sul volto.

“Buonasera Gregory, vedo che hai avuto una giornata alquanto pesante.” Esordì, posando il libro sul tavolino e prendendo il bicchiere di Scotch prima di alzarsi per raggiungere l’uomo sul divano e prendere posto accanto a lui.

“Ah, puoi dirlo forte Myc!” rispose Gregory, prendendo lo Scotch che l’altro gli stava offrendo e bevendone un sorso generoso. “Ho passato la giornata a stilare rapporti per i miei casi e per i miei colleghi e tutto per quella stupida foto” Borbottò, sbuffando infastidito e guadagnandosi un’occhiata incuriosita da parte del politico.

“Quale foto?” chiese infatti quest’ultimo, accomodandosi meglio sul divano, scrutando il volto del compagno. Gregory prese un altro sorso di Scotch, finendo il suo bicchiere e passandosi una mano tra i corti capelli grigi, prima di parlare.

“Una che è stata scattata al matrimonio di John. Tu non c’eri, mi annoiavo e, sì, lo ammetto, avevo già bevuto un po’… insomma, la signora Hudson aveva quel cappello che…” l’Ispettore si interruppe e sbuffò, sempre più esasperato, perfettamente conscio del fatto che Mycroft lo stava ancora fissando e stava facendo le sue deduzioni.

“Te lo sei messo e qualcuno ha scattato una foto in quel momento” concluse infatti l’uomo poco dopo “e, dato che hai sottolineato di essere un po’ su di giri al momento dell’accaduto, probabilmente ti sei fatto riprendere con un’espressione… vogliamo dire particolare?” aggiunse, con un sorrisetto, facendo sbuffare l’altro.

“Esatto. Tempo fa ero a Baker Street e, mentre aspettavo Sherlock, la signora Hudson mi ha fatto vedere la foto. Ci siamo fatti due risate, poi però è arrivato tuo fratello, l’ha notata e stamani ho saputo che l’aveva messa sul suo blog, in un articolo nel quale parlava dei travestimenti, citando la mia immagine come un esempio da non seguire. Il capo ha preso alla lettera queste sue ultime parole e mi ha detto che per un po’ sarebbe stato il caso che non mi facessi vedere in giro, per non, cito testualmente, ‘infangare il nome di Scotland Yard’. Risultato? Lavoro d’ufficio a tempo indeterminato, per adesso.”

Gregory concluse la sua spiegazione, passandosi sul viso la mano con cui non stringeva il bicchiere. “Alla centrale i colleghi non fanno che ridermi alle spalle e temo che presto possa uscire un articolo al riguardo sul Times. Sai che non perdono occasione per darmi addosso, quei bastardi.” Borbottò poi, prendendo un sorso.

“E Sherlock non vuole togliere l’immagine dal suo blog.” Commentò Mycroft, cominciando ad innervosirsi: fintantoché suo fratello si divertiva a fare la Primadonna durante le indagini poteva anche chiudere un occhio, fintantoché si ostinava a fare il bambino quando lui provava a parlarci poteva chiuderne due, ma andare a danneggiare la carriera dell’unico uomo di Scotland Yard che lo supportava (e sopportava)… beh, era giunto il momento che quel piccolo bastardo ingrato avesse una bella lezione. Mise una mano sulla spalla di Gregory che, nel frattempo, continuava a lamentarsi:

“Non posso nemmeno denunciarlo per oltraggio a pubblico ufficiale senza trovarmi tutta la stampa addosso, e comunque servirebbe a poco, e… sì, dimmi.” Concluse l’Ispettore, fermandosi e voltandosi a guardare il compagno.

“Stavolta, se permetti, voglio pensarci io.” Gli disse quest’ultimo. Sembrava stargli offrendo una scelta ma, e questo Gregory lo sapeva, di scelte ce n’erano ben poche.

“Cosa… cosa pensi di fare?” gli chiese infatti, un po’ preoccupato. Sherlock sapeva essere terribile, ma non osava né riusciva ad immaginare cosa avrebbe potuto combinare il maggiore degli Holmes in una situazione del genere. “Insomma, pensi che sia necessario rispondere ad una stupidaggine simile?”

“Gregory” cominciò Mycroft, la voce molto calma “Sherlock ha sempre fatto il bambino per attirare l’attenzione. Gli abbiamo perdonato di tutto in questi anni, lo sai anche tu, ma ci sono dei limiti che non deve permettersi di varcare. Mettere a repentaglio la tua carriera è uno di questi e avrò cura che se ne renda conto.”

L’Ispettore era sempre più preoccupato e più conscio del fatto che, con ogni probabilità, si stava per scatenare una guerra le cui proporzioni non era così sicuro di voler sapere. Né il sorriso, né le parole che il compagno gli rivolse subito dopo servirono a fargli passare la sensazione che Londra stava per vivere dei tempi molto, molto bui.

“Ora però dimentichiamoci di mio fratello e cerchiamo di passare al meglio questa serata. Altro Scotch?”

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Qualche giorno dopo…

Non era stata dura per Mycroft convincere alcuni degli addetti ad uno dei suoi laboratori a produrre per lui il contenuto del flaconcino che aveva tra le mani. Alcuni di loro gli erano parsi fin troppo entusiasti di mettere al suo servizio le loro conoscenze, ma poco importava: sapeva che nessuno di loro avrebbe rischiato troppo, in fondo si trattava di una piccola vendetta, non di commissionare un…

Distolse la mente da quella linea di pensiero quando si accorse che la macchina si fermava davanti al 221/b. Sapeva bene, grazie ad alcune intercettazioni, che quel giorno né suo fratello, né il dottore sarebbero stati all’appartamento per qualche ora, lasciandogli il tempo di agire nella calma più assoluta. Nascose il flacone nella borsa, scese dalla vettura e andò a suonare il campanello, salutando la signora Hudson che lo accolse con un sorriso.

“Oh, signor Holmes, è un piacere vederla! Prego, entri, entri pure. Temo che Sherlock non sia in casa però, povero caro. Si sta annoiando molto in questo periodo. Ha portato qualcosa per lui, vero?”

Mycroft la lasciò parlare, rivolgendole poi un sorriso. “Sì, è esatto, ma temo di non potermi trattenere molto. Se non le dispiace, posso salire e lasciare tutto nel salotto?”

“Ah, certo, se crede di non restarci intrappolato, c’è una tale confusione…” borbottò la signora. “Faccia, faccia pure, caro.” Concluse poi con un gesto della mano, canticchiando qualcosa che sembrava una vecchia canzone dei cabaret Anni Cinquanta. Ridendo tra sé, Mycroft salì al piano superiore. Sapeva che Sherlock non era in casa, ma non sapeva quando sarebbe rientrato, quindi avrebbe dovuto agire velocemente. Inoltre, se fosse rimasto a lungo, la padrona di casa avrebbe potuto porsi delle domande, magari farlo notare a suo fratello e farlo di conseguenza insospettire.

Giunto all’appartamento, si tolse il cappotto e posò la valigetta a terra, aprendola. Ne tirò fuori due copri-scarpe di plastica e un paio di guanti in lattice e prese il flacone, insieme ad una cartelletta. Rialzatosi, andò verso il salotto e posò la cartelletta sul tavolino da caffè, già assai ingombro di fogli e tazze di caffè e del tè sporche – cosa che gli fece arricciare il naso: possibile che non sapessero nemmeno mantenere un po’ d’ordine, quei due scellerati?

No, non doveva distrarsi. Si infilò prima i copri-scarpe, poi i guanti e infine si diresse verso il bagno. Era un po’ più ordinato rispetto al salotto e per questo non ebbe difficoltà ad individuare ciò che cercava: il flacone di shampoo di suo fratello. Lo prese e lo aprì, posandolo sul lavandino, prima di aprire anche quello che aveva portato lui e versarne il contenuto, incolore e inodore, in quello che Sherlock avrebbe usato, prima o poi. Richiuse entrambi i flaconi, scuotendo quello del fratello per mischiare i due fluidi, poi mise tutto a posto e tornò in salotto. Si tolse i guanti e i copri-scarpe, li ripose nella valigetta insieme al flacone vuoto, si rimise il cappotto e lasciò l’appartamento, un ghigno stampato sulla faccia.

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Gregory sbuffò quando, entrato in ufficio, trovò la solita montagna di scartoffie: quando si sarebbe placato il suo capo? Con fare stanco, andò alla sua scrivania e si sedette, sospirando e passandosi una mano sul viso, prima di prendere il dossier che si trovava in cima al mucchio e cominciare a lavorare. Nonostante ciò che Mycroft gli aveva detto qualche giorno prima, non era successo niente e tutto continuava a procedere come al solito. Scriveva rapporti da quasi due ore, quando il suo telefono vibrò. Lo prese e sorrise prima di aprirlo, notando che c’era un messaggio e che il mittente era Mycroft. Senza esitare oltre, scorse la tastiera e lesse il testo:

Tra cinque minuti esatti dovrebbe arrivare la tua rivincita.

La tua giornata migliorerà notevolmente.

MH

Il cuore dell’Ispettore sobbalzò: aveva una vaga idea di quello che sarebbe accaduto, o quantomeno di chi sarebbe stato il diretto interessato e si sentì pervaso da una forte euforia. Con un sorriso sornione, si rimise a lavorare e, esattamente cinque minuti dopo, sentì la porta aprirsi e qualcuno entrare.

“Inutile dirti che devi bussare, Sherlock. Ma accomodati, fa come se fossi a casa tua.” Disse, prima di alzare lo sguardo e inarcare un sopracciglio: nel suo ufficio c’era effettivamente Sherlock, ma aveva la testa coperta dal cappuccio di una felpa. Strano, non l’aveva mai visto abbigliato a quella maniera a Scotland Yard. Lo guardò con fare interrogativo, guadagnandosi una sbuffata da parte del consulente.

“Hai vinto, non è ovvio?” gli disse seccamente, la stizza palese sui suoi lineamenti spigolosi.

“Ho vinto… cosa?” chiese Gregory, decidendo di fare finta di niente per il momento.

“Ma sei proprio ottuso, Lestrade!” sbottò Sherlock, così forte, pensò l’Ispettore, che metà divisione doveva averlo sentito alla perfezione e l’altra metà doveva aver colto l’eco. “Toglierò la foto e la parte che ti riguarda dal mio blog, contento? Ora però digli che mi faccia avere qualcosa che risolva il mio problema.”

Gregory avrebbe voluto continuare a fare lo gnorri, ma non riuscì più a trattenersi dal ridere al vedere l’espressione frustrata del giovane di fronte a lui. Riuscì a riprendere un contegno dopo qualche minuto e stava per rispondergli quando Sally entrò nell’ufficio.

“Ah, geniaccio, sei tu, mi pareva di aver sentito la tua voce. Cosa vuoi?” chiese, rimanendo sulla porta.

“Non sono affari che ti riguardano, Donovan, perché non torni a cercare di fare il tuo lavoro?” replicò Sherlock, senza voltarsi a guardarla.

“Ma sentilo, e oltretutto più irrispettoso del solito! Levati questo… Oh mio Dio!” esclamò la donna, che si era avvicinata ed aveva tolto il cappuccio. Ci fu un momento di silenzio, poi sia lei che Gregory scoppiarono a ridere in modo quasi isterico: al posto dei riccioli neri, Sherlock aveva una vivace chioma fucsia. L’Ispettore avrebbe voluto scattargli una foto, ma non riusciva a smettere di ridere e sentiva le lacrime che gli scendevano dagli occhi. Guardò il consulente che era rimasto paralizzato nel mezzo della stanza, la bocca che si apriva come quella di un pesce, senza emettere alcun suono. Sally era piegata in due dalle risate, poco distante. Dopo alcuni istanti, Sherlock voltò i tacchi e fece per uscire, solo per trovarsi davanti il cellulare dell’Ispettore Dimmock, un sorriso trionfante sul volto.

“Ehi, Greg, questa la mettiamo in gigantografia nella sala riunioni, eh? Magari mentre parliamo dei travestimenti!” commentò l’uomo, mentre Sherlock lo spintonava via ed usciva dall’ufficio, inseguito dalle risate dei tre e poi da quelle di tutta Scotland Yard, mentre lasciava l’edificio, gridando qualcosa come “Digli che non finisce qui, Gavin!”

Quando si fu ripreso, Gregory uscì a sua volta dall’ufficio, tra le risate e gli applausi dei colleghi.

“Ragazzi, propongo una pausa. Ciambelle per tutti, offro io!” dichiarò, guadagnandosi un’altra ondata di applausi, prima di rientrare nel suo studio e prendere il telefono per chiamare l’artefice di tutto quello.

“Ne deduco che Sherlock sia appena uscito. Come ridono, i tuoi colleghi.” Gli disse Mycroft quando rispose dopo due squilli.

“Avresti riso anche tu. È stato geniale, Myc. Grazie, grazie davvero.” Replicò Gregory, senza riuscire a togliersi il sorriso dalla faccia.

“Ah, figurati. Gli servirà da lezione.”

“Dici? Ne dubito fortemente. Preparati piuttosto alla sua vendetta. Temo che possa arrivare molto presto.”

“Sarò lì ad attenderla. Stasera che programmi ha, Ispettore?”

“Il mio programma, signor Holmes, è ringraziarla a dovere, portandola fuori a cena e niente discussioni.”

È una proposta oltremodo allettante. Accetto con piacere.”

“Ne sono lieto. Grazie ancora Myc, è stato spettacolare. Vorrei che ci fossi stato anche tu.”

“In un certo senso c’ero e ti prego di non chiedere altro. A stasera Gregory.”

“A stasera Mycroft. Ti amo.” Disse Gregory, concludendo la chiamata.

Qualche chilometro più in là, a White Hall, Mycroft Holmes abbassò il telefono, un sorriso sul volto e il video di Sherlock a Scotland Yard in riproduzione sul monitor del suo computer. Doveva ammetterlo, al di là dell’aver fatto felice Gregory si era divertito molto. Sapeva che suo fratello avrebbe risposto, ma sapeva anche che poteva batterlo sul tempo.

Insomma, dei due era lui quello intelligente, fino a prova contraria.

FINE

   
 
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