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Autore: LordSidious    02/04/2016    0 recensioni
E se la realtà stessa dell'universo nascondesse qualcosa di oscuro e indecifrabile? E se la realtà stessa fosse solo un gioco delle nostre menti? Cosa è realtà e cosa è finzione?
"Kalindar is here, Kalindar awaits you, Kalindar will bring peace upon all of us"
Genere: Guerra, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Kalindar

“Maledetti debiti scolastici… un giorno o l’altro, darò fuoco a quella scuola!”.
Era appena uscito da casa e avanzava, sospirando e sbuffando, verso il suo liceo alla ricerca di una valida motivazione che potesse spronarlo. Avrebbe volentieri fatto a meno della sua istruzione, ma sua madre piuttosto che avere un figlio ignorante, lo avrebbe abbandonato per l’autostrada come un cane.
“Dannata scuola! Ma poi perché a quest’ora?! Far riposare le persone è così ridicolo?”.
Sbuffò ancora. Con il morale a pezzi e una forza di volontà pari a quella di un bradipo, prese i cuffioni della Sony che aveva comprato su Amazon qualche giorno prima e cercò di immergersi nella musica, in quelle dolci note che gli permettevano di sognare, di estraniarsi da quel mondo tanto crudele.
Quando lo vide stagliarsi davanti a sé, subito dopo aver voltato l’angolo, pensò seriamente di tornare indietro, entrare in casa, prendere i suoi effetti personali e poi fuggire il più lontano possibile ma si trattenne. Per un attimo dovette anche resistere al delizioso profumo di cornetto caldo che proveniva dal bar lì di fronte.
Non cedette e così alla fine si trovò nell’atrio, silenzioso e spettrale. Sembrava che nemmeno i bidelli fossero presenti ma ne dubitava; chi mai avrebbe potuto aprire quell’orrendo istituto?
“Forse Marco si sta divertendo con la professoressa di matematica. Cosa ci troverà in quella donna… Bah!”.
Ad ogni modo, non perse tempo e si diresse subito verso la sua classe al secondo piano. Non che avesse fretta, ma ormai, visto che si trovava lì, voleva almeno prendere il posto vicino al termosifone. Ci mancava solo che dovesse soffrire il freddo in quella dannatissima scuola.
Arrivato in classe e trovato il posto desiderato, si voltò ad osservare il cortile e il cielo grigiastro di quella giornata.
“Solo la mia scuola poteva pensare di far recuperare i debiti mentre il resto della classe è in gita scolastica… maledizione!”.
A causa della musica che stava ascoltando, un melodioso testo dei Sigur Ros, non si accorse nemmeno dei tre compagni che poco alla volta entravano e si sistemavano nella classe. D’altronde non era mai andato a genio a molte persone e lui non aveva mai fatto nulla per avvicinarsi a qualcuno o per aprirsi verso qualcuno. Da tempo non gli interessava relazionarsi con gli altri, da quando lei…
Fece un lungo sospiro e allontanò quei pensieri. Non voleva ricordare. Non in quel momento. Improvvisamente, un movimento attirò la sua attenzione. Si voltò e, notando che la professoressa stava entrando in aula, prese il suo smartphone, fermò la musica e lo mise in silenzioso, poi con estrema calma si tolse le cuffie e appoggiò il tutto nel sottobanco.
“Che schifo! E’ mai possibile che dobbiamo avere banchi pieni di gomme da masticare decennali?!”.
Quella giornata stava peggiorando e, ma questo ancora non lo sapeva, il peggio doveva ancora arrivare.
«Bene. Noto che ci siete tutti. Ora vi distribuirò il compito. Non temete, sarà semplice e avrete ben due ore per completarlo, quindi fate il tutto con calma. Ah, e niente calcolatrici e cellulari».
La professoressa di matematica passò tra i banchi e lasciò sui banchi tre fogli per ognuno dei tre studenti. Il ragazzo abbassò lo sguardo e per un attimo ebbe un conato di vomito. Se c’era una cosa che non sopportava era la matematica, ma soprattutto quella algebrica.
“Pure le lettere ci dovevano mettere! E per fortuna che siamo indietro nel programma di qualche anno, altrimenti chissà cosa staremmo facendo… Meno male che era semplice semplice, stronza!”.
Fece un lungo respiro e iniziò a lambiccarsi su quei tre fogli. Passata un’ora, verso le 9.33 del mattino, cominciò a perdere la pazienza: era riuscito a malapena a completare tre delle operazioni del primo foglio e non era nemmeno sicuro di ciò che aveva scritto.
«Maledizione…» borbottò sovrappensiero.
Maledisse la sua linguaccia e sollevò il volto, cercando l’ovvio sguardo di disapprovazione della sua professoressa ma nessuno si era accorto di nulla. A quanto pare era stato fortunato.
«Fortunato?».
La voce proruppe nell’aula silenziosa come un martello su un’incudine. Alzò nuovamente lo sguardo e cercò l’origine di quel rumore. Rimase sorpreso nello scoprire che nessuno aveva sentito. I suoi tre compagni di classe e l’insegnante di matematica erano tutti e quattro concentrati nei propri affari.
«Loro non posso sentirci. Loro sono sospesi in un altro luogo, al momento».
Con estremo stupore una figura femminile si materializzò lentamente vicino alla lavagna, alla destra della cattedra. La “ragazza” era sospesa in aria ed era nuda, coperta solo da strani simboli che scendevano lungo il corpo e coprivano le sue forme e i suoi genitali; aveva lunghi capelli corvini e un corpo snello e slanciato. Ciò che, però, lo colpirono di più furono gli occhi, quegli occhi freddi e distanti, di un nero scuro e tenebroso.
«Sembri sorpreso? Non ti ricordi di me?».
No, non si ricordava di lei. Anzi, non l’aveva nemmeno mai vista e soprattutto sembrava che nessuno a parte lui riuscisse a vederla.
“Credo che mia madre debba stare più attenta allo zucchero che compra dal bengalese sotto casa…”.
«Che sciocco che sei. Non sono una tua allucinazione. Sono più… reale di quanto immagini. Non so se posso dire lo stesso dei tuoi compagni».
Improvvisamente i suoi tre compagni iniziarono a sfavillare, come se delle onde elettromagnetiche oltrepassassero i loro corpi e facessero scomparire per alcuni istanti parti di loro stessi. Cosa gli stava succedendo? Cosa voleva dire tutto quello?!
«Ancora fingi di non ricordare. Eppure sei tu che hai cercato Valarddarn. Kalindar ti aspetta, Kalindar attende, Kalindar desidera riunire i suoi Figli».
Rabbrividì. Non poteva essere. Era solo un gioco, nulla di più. Un passatempo che aveva trovato su internet e su cui, sebbene non lo ammettesse, stava cominciando a passare sempre più tempo.
«Tu… Cosa sei?!» sussurrò, senza nemmeno sapere perché lo stesse chiedendo, convinto ancora di avere davanti un’allucinazione.
«Io sono Naurissa, la Messaggera, Colei che cerca i Figli di Kalindar».
«Impossibile… quello è solo un gioco virtuale, un passatempo. Tu… non puoi esistere».
«Davvero? E dimmi cosa vuol dire esistere? Sai definire questo termine e le sue caratteristiche? Esistenza è un vocabolo vacuo e indefinito. Guarda per esempio loro quattro: la loro esistenza in questo momento è legata ad un filo. Potrebbero sparire dal continuum spazio-temporale in questo stesso istante e nessuno ricorderebbe nemmeno la loro nascita. Già, solo Dio può comprendere l’essere e l’esistere, solo Valarddarn può carpire i segreti del duraturo e del caduco. Ne vuoi una prova?».
Rabbrividì ed era certo che non fosse a causa del freddo. Deglutì a forza e cominciò a ragionare, ma comprese che non c’era nulla di razionale in quella situazione. Nulla a cui aggrapparsi. Gli scappò solo un buffo e nervoso sorrisetto. E chissà forse fu proprio quello oppure era già sua intenzione, ma in ogni caso, in un battito di ciglia, uno dei suoi tre compagni, Roberto, scomparve.
“Aspetta… chi? Roberto? No… non c’è mai stato un Roberto nella nostra classe… ma allora, perché io… cosa…?!”.
Sentiva la testa esplodergli, arroventarsi su ragionamenti senza capo né coda. Era mai esistito un Roberto Gramaglia?
«Tracce della sua esistenza sono ancora qui. Tu riesci a ricordarlo perché sei uno dei suoi Figli. La tua coscienza è superiore ai flussi del continuum spazio-temporale e dei suoi turbamenti. Tu SAI cosa è successo. E adesso, sai anche che tutto ciò non è un’allucinazione».
Avrebbe voluto urlare, ma non ne ebbe la forza. Semplicemente scattò in piedi e si schiantò contro il termosifone e poi contro il muro, muovendosi lentamente e tenendo le distanza dalla figura femminile, stranamente luminescente in quel momento.
«Non hai alcun bisogno di aver paura. Non ti verrà fatto alcun male. Sono qui solo per condurti con me. Accetta il tuo Destino, Matthias».
Cominciò a tremare come una foglia e quando anche l’aula e il mondo esterno iniziarono a sfavillare, la sua paura divenne orrore. Quella giornata non fu semplicemente la peggiore della sua vita. Fu semplicemente l’ultima nella sua Forma Terrena e Mutabile.
Valarddarn aveva accanto a sé un altro dei suoi Figli, ma la sua ricerca continuava imperterrita. Altri dovevano ancora unirsi a lui. E solo allora la sua Crociata sarebbe iniziata.

Kalindar is here, Kalindar awaits you, Kalindar will bring peace upon all of us

 

Spazio Autore: ed eccomi qui con una folle storia, partorita dalla mia mente malata (capirete meglio in seguito cosa voglio dire). Sono stato a lungo indeciso se inserirla nel sezione del Fantasy o della Fantascienza, ma alla fine ho puntato sulla prima scelta.
Avverto chiunque decida di seguire questa storia, che il prossimo capitolo potrebbe rivoltare completamente le vostre considerazioni su tale racconto e avverto anche che, al momento, faccio un po' fatica a portarla avanti (anche se ho, se non sbaglio, già cinque capitoli da parte belli pronti).
Allora, detto ciò, ringrazio in anticipo chiunque abbia deciso di leggere questo delirio e chiunque decida di rencesirla :)
   
 
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