Questa
ff è da
considerarsi un piccolo proseguimento
dell’episodio
numero 110 “Il fidanzato rubato”,
altrimenti
del
volume 17 del manga.
Making up with you
Non
sapeva se le rose fossero in buone condizioni -
anche se credeva di no, erano state sbatacchiate abbastanza. A dire il
vero non
sapeva neanche se Ranma le avesse comprate sul serio per mettere alle
strette
Nabiki, come affermava. Al tempo stesso Akane in fondo sapeva che Ranma
a lei
diceva spesso la verità, e sebbene fosse uno sbruffoncello
su cui si trovavano
mille modi per metterlo in discussione, alla fine meritava di essere
creduto.
Non
aveva opposto resistenza quando lei con quella
sottile e finta noncuranza gli aveva intimato di fare questo
appuntamento.
Anzi, si era persino offerto di sfilarle le foglie via dai capelli. Ed
era un
buon segno, specie perché Ranma non era proprio il tipo da
certe carinerie.
“Io...
non so precisamente dove si va in questi
casi.”
Con
la sua solita faccia vergognosa, con il suo
immancabile acume in fatto di
ragazze, Ranma ora era seriamente in difficoltà.
Difficoltà con un argomento di
cui di norma si vantava tanto. E poi non lo si doveva chiamare stupido!
“Ma
come? Sei andato ad un sacco di appuntamenti con
le tue fidanzate, ora non dirmi che non sai dove si porta una
ragazza!”
“Un
maschiaccio, vorrai dire.”
“Ehi!
Non mi costringere a colpirti in testa con i
fiori!”
“È
diverso, adesso” si giustificò.
Diverso.
Akane
lo osservò avvampare, evitare il suo sguardo come se questo
avesse il potere di
incenerirlo ed infine azzardarsi ad avvicinarsi a lei in un impacciato
tentativo di porgerle il braccio. Per loro toccarsi era sempre stato un
tabù da
interrompere solo da momenti in cui era in gioco
l’incolumità dell’altro; e ora
Ranma lo stava infrangendo di sua iniziativa, senza che ce ne fosse una
necessità immediata.
Akane
preferì non indagare oltre. Infilò
delicatamente la mano nell’incavo del braccio, per poi posare
la mano sulla sua
pelle tesa da anni di allenamento, senza stringerlo o tirarlo. Sarebbe
stato inutile
e stupido farlo. Voleva che Ranma la considerasse diversa dalle altre
ragazze,
voleva che la valutasse per ciò che era: un po’
inesperta e tanto timida, che
non farebbe mai un passo nel vuoto. Voleva che la amasse nonostante gli
screzi,
come lei amava lui.
Ranma
doveva essersi accorto della sua discrezione,
perché dopo pochi passi coprì il dorso della mano
della fidanzata con la sua,
gesto che bastò ad accelerare il battito cardiaco di Akane.
Ovviamente senza
incrociare i suoi occhi.
“A
me non importa dove andiamo” disse Akane. “Se
vuoi andare al solito bar per me va benissimo.”
Non
voleva metterlo in difficoltà. Era già
tremendamente confuso in quel momento - sembrava suo padre quando era
ubriaco
fradicio - che non le sembrava il caso di rendergli la situazione
ingestibile.
A lei non importava dove l’avesse portata - poteva anche
portarla semplicemente
al parco, perfino solo camminare: non avrebbe trovato frivole
resistenze - ma
pensava che un luogo familiare lo avrebbe fatto calmare, che gli
avrebbe reso
le cose più facili. A dirla tutta, sarebbe stato semplice
anche per lei.
Rise
quando, intercettando la sua faccia
eccessivamente girata dalla parte opposta la sua, lo scoprì
paonazzo. Al
contrario di ciò che si aspettava Akane però,
invece di sbraitarle contro per
negare l’evidenza Ranma provò a nascondersi ancora
di più. Questo la indusse a
gettare lo sguardo a terra ad ammirare le sue scarpe, ricordando
l’entusiasmo
con cui si era vestita apposta per lui. Un po’ le dispiaceva
che fosse stata
tutta una messinscena - l’invito e tutto il resto - ma il
fatto che Ranma non
fosse scappato a casa la rincuorava.
Erano
arrivati alla via commerciale, a pochi passi
dal cinema, ed Akane ricordò che dopo qualcosa come quindici
o venti passi
c’era il negozio di vestiti davanti al quale si era fermata
pochi giorni prima
a riflettere sulla possibilità di evitare di andare a casa
per quanto
possibile.
Nel
frattempo Ranma e Akane camminavano, finché arrivarono
davanti alla tanto famosa vetrina - per lei - e ne vide la sua immagine
riflessa, facendo stranamente attenzione al suo viso, rispetto agli
abiti.
Osservò il lieve rossore che le inondava le guance - non
rossore di imbarazzo,
quanto un rossore di felicità - e i suoi occhi liquidi che
senza uno specchio
avrebbe definito piuttosto spiritati tanto le bruciavano. I suoi
lineamenti da
bambina stavano lasciando il posto a quelli più idonei ad
una ragazza prossima
alla fine dell’adolescenza, pur conservandone la fresca
giovinezza. Niente a
che vedere con la piccola Akane di qualche giorno prima, quella
affranta, che
si piangeva addosso per una serie di eventi che le avevano strappato
via il
fidanzato - già, proprio quel fidanzato che lei amava e
detestava al tempo
stesso, lo stesso imposto da suo padre, lo stesso di cui voleva
liberarsene
fino a poco tempo prima - per farlo piombare fra le braccia di sua
sorella
Nabiki.
Non
poté continuare a guardarsi, perché la vetrina
era larga solo un paio di metri e il passo di Ranma troppo veloce. Non
voleva
che Ranma si accorgesse dell’attimo in cui tutta quella
consapevolezza di prima
maturità le era passata per la testa. Si chiese se anche
Ranma avesse subìto
quei piccoli cambiamenti nel corso di quella strana pausa.
La risposta le arrivò non appena posò gli occhi
su di lui:
no, non c’era niente che facesse supporre che Ranma fosse
cambiato, che in
qualche modo avesse imparato qualcosa da quel tipo di esperienza,
tranne per
l’espressione pensosa - mantenuta davvero a lungo, da
sbaragliare ogni record
per lui - e... le braccia. Akane non ricordava fossero così
grandi. Forse era a
causa del fatto che lei aveva
evitato di guardarlo e di parlargli in quei giorni per sottrarre la sua
vista
alla scena impietosa di Nabiki appiccicata a lui, oppure per la
conseguente
distanza provocata dalla rottura del fidanzamento - distanza che non
aveva
niente a che vedere con quella spaziale - e che l’aveva
letteralmente
deteriorata l’anima. Chissà se anche lui si era
sentito come lei. Fatto stava
che apparivano più forti di quanto ricordava.
Ti
sono mancata?
Per
un attimo Akane credette di averlo detto
davvero, ma tirò un sospiro di sollievo quando lo vide
esattamente nelle stesse
condizioni di prima, né meglio né peggio.
Doveva
distrarlo, e per farlo poteva soltanto concentrare
la sua attenzione su qualcos’altro. Su una sfida, per
esempio. Ranma si
accendeva come una torcia quando c’era una sfida da portare a
termine.
“Perché
non prendiamo un gelato ciascuno e tu provi
a mangiarlo da uomo?”
Ranma
finalmente la guardò, restando visibilmente sorpreso
da quella proposta. “Non posso mangiare del gelato in
pubblico da uomo! È poco
virile.”
“Sei
proprio un idiota! Non c'è niente di male se un
uomo mangia un gelato!”
“Sì,
invece! Non se ne parla, Akane.”
Akane
artigliò il suo braccio fino a dargli una
strattonata. Sul suo viso comparve un sorriso sornione. Per quanto lei
non
facesse caso al fatto che lui mangiasse il gelato in veste di ragazza o
meno -
gli piaceva in ogni caso, non era il tipo da considerare queste
sottigliezze - non
le piaceva che Ranma fosse preda di un simile condizionamento. Non
poteva
crederci: quindi ci stava sempre a pensare quando programmavano di
comprarsi
dei dolci!
“Sappi
che è una sfida, Ranma.”
Doveva
ammetterlo, quella cosa in cui l’aveva
trascinato stava prendendo anche lei.
Ranma
aggrottò le sopracciglia, la faccia ancora
pericolosamente arrossata. A giudicare dalla sua faccia stava
seriamente
valutando di accogliere la sfida. E di vincerla, anche.
“Visto?
Non è difficile, e nessuno ha fatto caso a
te.”
“È
così che le ragazze dalla forza erculea vedono un
appuntamento? Come una sfida?”
A
cosa valeva sprecarsi per spiegargli che lo aveva
fatto per toglierlo dall’impiccio di dover fare il fidanzato
con annessi e
connessi? Per non farlo innervosire più del dovuto e
allentargli la tensione? A
niente. Se era così intelligente come si reputava, che
l’avesse trovata da solo
la risposta!
Era
pomeriggio inoltrato, e neanche si erano accorti
che il sole stava tramontando. Usciti dal bar avevano subito preso la
via verso
casa. Non c’era motivo di scorrazzare in giro, tanto meno
Akane voleva far
preoccupare Kasumi e gli altri.
“No.
Solo, io non pretendo sia romantico. Era solo
per far pace.”
“Non
chiedevo altro, infatti. Men che meno da una
che ha ben poco di romantico, fredda come sei.”
“Fredda
io?” Akane gli diede un colpetto sul petto
con il mazzo di rose.
“Un
pezzo di ghiaccio.”
“Scemo
che non sei altro!”
“Mi
hai detto scemo, per caso?”
Dalla
cadenza della sua voce era evidente che avesse
ripreso il suo normale atteggiamento sfacciato. Eccolo ritrovato il
Ranma
ragazzino! Akane sorrise, ma tentò di non darlo a vedere.
Stuzzicarsi come al
solito era il loro modo di fare la pace, di far capire
all’altro che le cose
erano tornate al loro posto, come in fondo doveva essere. Andava bene
così.
“Sì,
o non ci senti?”
Ranma
diede prova di non essere più rigido nel
momento in cui allargò le labbra con le dita, mostrando la
lingua.
“Se
io sono scemo tu sei la fidanzata dello scemo!”
Akane
lo fissò esterrefatta, poi sorrise lasciandolo
completamente interdetto. Si sentì avvolta da una nuova
carica di quei vecchi
amore e protezione che sapevano dei continui schiamazzi e prese in giro
tipici
di Ranma. Dai suoi occhi cadde una piccola lacrima che Ranma
prontamente
asciugò con un pollice.
“Ti
ho offesa?” chiese, stavolta con velata
preoccupazione. “Non volevo, sul serio.”
Akane
scosse la testa. Per una volta che non l’aveva
offesa affatto, anzi, che la considerava nuovamente la sua fidanzata -
forse
l’unica, ma per ora non era importante - Akane si sentiva
come nata una seconda
volta.
“No,
Ranma. Sono soltanto contenta.”
“Lunatica.”