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Autore: SandFrost    03/04/2016    1 recensioni
Quando tutto quello che si ama si spegne. Quando la ragione viene offuscata e resta solo il vuoto del silenzio. Cosa saresti disposto a fare?
"Le loro mani si sciolgono e il primo brivido di freddo lo colpisce dritto al cuore, cadendo sulle ginocchia, detestando quel marmo freddo. Solo un soffocato “Ti amo Blaine” e un “Kurt” a raschiare la sua gola resta. E' finita, è tutto finito, e lo sa."
Genere: Angst, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Blaine Anderson, Kurt Hummel | Coppie: Blaine/Kurt
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Alla mia ancora che ha betato l'intera storia
Al mio raggio di sole che ha creato un banner bellissimo
Al mio urgano di colori che si è beccata tutti gli scleri, come sempre
Al mio insegnamento di vita che mi ha ricordato che devo ripartire da me


       





If I risk it all
Could you break my fall?

 
How do I live? How do I breathe?
When you’re not here I’m suffocating
I want to feel love, run through my blood
Tell me is this where I give it all up?
For you I have to risk it all
Cause the writing’s on the wall
 


C’è confusione, luci che lampeggiano danno colore al suono dell’allarme che li stordisce, gente urla in aiuto. Le ruote della barella corrono veloci nel corridoio vuoto; non lo ricordava così lungo, non ricordava così fastidiosi i colori delle pareti. Aumenta la velocità della sua falcata, cercando di mantenere il passo e non inciampare. Il cervello spento non aiuta il coordinamento del suo corpo; il suo fianco continua a sbattere contro il metallo freddo. La sua vista appannata lo fa sentire perso, si muove ma è come restare fermo. Tutto sfugge via, come la sua voglia di essere da un’altra parte, di essere al sicuro. Di far sentire al sicuro il ragazzo meraviglioso che continua a stringergli la mano, a sorridergli, anche se vorrebbe piangere.

“Fate attenzione” qualcuno urla alle sue spalle “Fate più attenzione o per lui sarà troppo tardi” continua la voce a parlare e se solo fosse stato un tantino più in sé, gli avrebbe urlato di fare silenzio ma in quel momento, l’unico silenzio che desidera è nel suo cuore. Quel suo stupido cuore che continua a battere quando quello dell’amore della sua vita si sta lentamente spegnendo, lasciandolo solo, perso, confuso. A metà. Se solo avesse immaginato, lo avrebbe impedito. Lo avrebbe fermato.

La porta alla fine del corridoio si spalanca, quando la barella era ormai pronta a schiantarlesi contro. Deve fermare il tempo, deve tornare indietro, deve salvarlo. Sa che ci sarebbe riuscito se solo avesse avuto un altro po’ di tempo. Non deve, non può star succedendo realmente. Non può e non deve permetterlo-- “Ti stai dando colpe che non hai piccolo, lo vedo” una voce dolce, delicata, gentile, parla portandolo in salvo. Mandando via ogni ostacolo, persino la morte.

Abbassa lo sguardo e lo vede sorridere; il dolore non ha raggiunto i suoi bellissimi occhi, la morte non ha toccato il suo sorriso. E si stanno proteggendo con il loro amore, uno scudo contro tutto quello che sarebbe arrivato. Rendendoli una cosa sola anche se una forza maggiore li sta già per dividere, spingendoli a terra senza forza. Si sarebbero resi eterni e per sempre prima della fine di quella lunga corsa verso una vita diversa e vuota. “Mio piccolo eroe, non essere triste, manda via il dolore e trovami. Trovami così che io possa trovare te e ripetere tutto di nuovo”.

Tossisce e una macchia di sangue sporca le sue piccole mani pallide ma sorride lo stesso. “Sei sempre stato tu, piccolo. Quando mi hai visto, so che mi stavi attendendo, lo sentivo e ti ho aspettato per così tanto tempo piccolo, prendendo la strada più lunga, aspettando il momento adatto. E adesso ti chiedo quello che tu hai chiesto a me; trovami, sono la fuori, da qualche parte. Cambiami la vita piccolo. Dammi uno scopo Blaine Anderson, o continuerò a cercare qualcosa che non posso vedere” delira e dice un sacco di frasi che non riesce a capire ma lo ascolta. Si bea della sua voce e del suo calore, prima del lungo inverno.

Le loro mani si sciolgono e il primo brivido di freddo lo colpisce dritto al cuore, cadendo sulle ginocchia, detestando quel marmo freddo. Solo un soffocato “Ti amo Blaine” e un “Kurt” a raschiare la sua gola resta. E' finita, è tutto finito, e lo sa.

Resta a respirare, appoggia le sue mani sul pavimento lucido, chiude gli occhi. Lacrime percorrono le sue guancie, cadendo poi nel vuoto. Dentro sa che non smetterà mai di piangere e in qualche modo, quell’idea, gli va bene. Magari, spera, potrà piangere così tanto da annegare nelle sue stesse lacrime... eppure il suo corpo scatta in piedi, riprendendo il controllo della sua mente, ora fin troppo lucida. Corre in quello stesso corridoio, ma questa volta nella direzione opposta. E si ferma solo quando intravede la stanza che ha dato via a quella loro caduta senza freno. Chiude la porta alle sue spalle e quasi urla per il bruciore che i suoi polmoni stanno provando in quel momento.

Il suo sguardo si sposta lungo la stanza, esaminando ogni oggetto, mentre il corpo resta appoggiato contro la porta, inerme e senza forza. Sente le gambe tremare sotto il suo stesso peso ma sa che deve fare in fretta: prima che qualcuno lo possa fermare, prima che la ragione abbia il sopravvento sull’istinto. Sente le lancette scattare come un eco nella sua mente ogni secondo in cui non agisce. Deve restare calmo o impazzirà, ammesso che non sia già successo.

Finalmente l’oggetto che stava cercando finisce sotto il suo radar visivo e vi si precipita, senza pensare, senza neanche guardare dove mette i piedi e quasi perdendo l’equilibrio in un filo di corrente sul pavimento. Sospira, afferrando l’orologio, rigirandoselo tra le mani, respirando come se potesse ancora averlo al suo fianco. Cerca di fare mente locale, ricordando tutto quello che Kurt gli aveva detto su come farlo funzionare. Le mani che tremano, le lancette che continuano a muoversi. Imposta in fretta una data e fissa al braccio l’orologio.

Il volto di Kurt così concentrato sul quel esperimento così importante per lui, gli fa versare un’altra lacrima. “Troppo presto” esclama la sua voce, facendo tremare così le sue corde vocali e il suo cuore. Il pensiero di Kurt non lo sta aiutando a fare più fretta e sente la tristezza raggelargli le ossa. Fa un respiro profondo, provando a calmare la tempesta nel suo petto. Ma il volto di Kurt è ancora lì, ancora così concentrato e così bello.

Certo poteva comprenderlo; ideare un prototipo così piccolo per il teletrasporto era qualcosa a cui tutti ambivano, in cui tutti fallivano ma era molto di più per Kurt Hummel. Era come se la sua vita dipendesse da esso. E lo aveva sempre trovato interessante ma non aveva mai detto niente o fatto domande. Non glielo aveva mai confessato, ma la sua anima viveva per quel viso così concentrato, soprattutto quando sbagliava una formula o un prototipo finiva per esplodere una volta attivato, nelle sue mani. Come il suo viso concentrato si accigliava e poi lo guardava e quando lo vedeva sorridere, ricambiava subito prima di rimboccarsi le maniche e “Il prossimo non esploderà, me lo sento”.

Quando gli aveva proposto quell'assurda idea, aveva accettato senza pensarci due volte.

Il prototipo era stato finito ma mai testato, non ce n’era mai stato il tempo, quindi potrebbe funzionare o farlo perdere in milioni di molecole nell'aria ma aveva già perso tutto, perdersi sarebbe stato una fine più dolce di una vita a metà. Tuttavia, si muove nella stanza e infila nella tasca posteriore dei suoi pantaloni un collage di foto che Kurt aveva fatto per il loro primo anniversario. Se questa è destinata a essere la sua fine, se ci sarà solo il nulla una volta attivato il teletrasporto, allora andrà via con qualcosa di loro. Sorride e, in un'azione abituale, bacia il medaglione che porta da sempre al collo, prima di azionare il dispositivo e sperare per il meglio.
 
E non succede niente, è ancora nello stesso punto, il dispositivo non ha funzionato. Avrebbe potuto salvarlo, se solo la fortuna fosse stata dalla sua parte, avrebbe potuto tornare indietro di qualcosa mese e salvarlo. Impedirgli di buttarsi in quella missione suicida e portarlo lontano, come aveva promesso di fare spesso, nei loro giorni liberi. Magari al mare o in montagna, non importava. Non aveva nessuna importanza e, invece adesso, avrebbe dovuto piangere per la sua morte senza poter fare niente e non riusciva, non poteva, non doveva andare così.

“Kurt” esclama stanco, lasciandosi cadere, toccando con le ginocchia il pavimento duro. “Amore mio, ho fallito. Volevo salvarti ma ho fallito. Perdonami” piange ma si sente spento, portando le mani al petto e trovando il medaglione a metà strada, come se lo stesse aspettando. Per confortarlo forse o per ricordargli quanto avesse perso in pochi secondi. Ma non importa più e lo stringe con tutte le sue forze e “Volevo solo vederti ancora una volta ma una volta non mi sarebbe mai bastata. E fa male perché ti troverò ovunque ma non ti avrò mai realmente”.

Una lacrima bagna le sue dita contratte e il suo prezioso ciondolo, sentendo la disperazione mandare a puttane la fretta, la ragione e il suo poco autocontrollo. “Che cosa devo fare Kurt? Devi aiutarmi amore o non saprò mai come trovarti. Devi aiutarmi a trovarti piccolo. Devi tornare da me e aiutarmi perché non so che devo fare”. Qualcosa trema e inizia a pensare che sia il suo cuore, che ha deciso di aver sofferto già abbastanza e che non ha alcuna intenzione di restare nel suo petto e soffrire per un altro secondo ancora.

Distratto, non nota una luce lampeggiare ma quando lo fa – boom - non è più lì.

Lo stomaco è sotto sopra, sente il cranio che sta per esplodere, strizza gli occhi, cerca di mandare via il dolore che sta provando. Stringe le dita con più forza intorno alla collana che non lascia mai il suo collo, pensando a Kurt e a quando gliene fece dono. Sorride, dimenticando l’agonia per qualche secondo, ed è forse pace fino a quando i suoi occhi non si riaprono per il dolore e un “Ouch” esce dalla sua bocca.

Si sente confuso, si sente smarrito, pensa che forse vomiterà. Si china in avanti con tutta l'intenzione di farlo ma c’è troppo verde in torno a lui, così tanto che non può essere solo un’allucinazione del suo corpo stanco. Non è svenuto, no? Non ricorda di essere venuto. Si può ricordare di essere svenuti? Passa una mano sull’erba ed è leggermente bagnata, la può sentire chiaramente sotto i suoi polpastrelli. È reale ma come può esserlo? E scatta in piedi sentendosi più stordito di prima.

Ed è una manciata di secondi, quando dimentica che potrebbe essere un sogno, solo un’allucinazione e che magari si trova steso sul pavimento del suo laboratorio, con il viso bagnato di lacrime e il cuore spezzato, perché lo vede. Lo vede camminare nel piccolo sentiero che divide due pezzi di prato. Sembra diverso ma tutto è diverso e comunque, lui neanche dovrebbe essere lì eppure, sente i suoi pantaloni umidi e sicuramente sporchi di terra. Kurt si arrabbierà sicuramente con lui, “La terra è difficile da lavare Blaine”, ride e poi corre.

E correndo sente già il suo cuore malandato guarire, lo sente lavorare nel suo petto alla ricerca dei pezzi persi e ricostruire la metà che non doveva mancare per forza, le mani tremanti dall’emozione, e quando è a pochi passi di distanza si lancia, agganciando le sue braccia al suo collo e lo stringe, come se non avesse potuto farlo per anni e anni. E se questo fosse un sogno o solo un’allucinazione causata da uno svenimento o solo lui che si disperdeva come polvere nell’aria, gli andrebbe bene lo stesso. Non vuole restare solo e, almeno in quel modo, non lo sarebbe stato.
 
“Mi scusi ci conosciamo? Non le sembra inappropriato saltare sulle persone in questo modo? Sto per usare lo spray al peperoncino se non si sposta immediatamente e mi creda, sto cercando di fare il gentile e di non urlare, facendo cosi accorrere qui un agente di polizia. Ho menzionato che mio padre è uno di loro?” la voce è acuta, irritata, scontrosa. Non può essere quella del suo Kurt ma fa un passo indietro – anche se le sue braccia non hanno la forza di lasciare quel corpo, non ancora almeno.

Il ragazzo che ha di fronte ha i capelli più corti e il colore è di un castano più scuro. Indossa una giacca di velluto opaco nero, che nasconde sotto una camicia dello stesso colore. Sulla giacca vi è posata una spilla a forma di rinoceronte. Indossa degli skinny neri dentro degli stivali. La tracolla gli ricade su una spalla. Un cipiglio regna sul suo viso pallido e i suoi occhi sono attenti. Incrocia le braccia al petto e solleva un sopracciglio, aspettando forse una sua reazione o giustificazione. Ma come si può spiegare che è l’amore della sua vita solo che lui ancora non lo sa? “Troppo presto” esclama di nuovo per la seconda volta in quella giornata.

“Scusa” esclama in un sospiro, costringendo le braccia a scivolare e a cadere penzoloni al lato del suo corpo, “Scusami io–io ti ho scambiato p-per una persona che ho perso. Non ho pensato e ho agito d’istinto. Mi dispiace, forse adesso è meglio che io vada cosi tu puoi continuare la tua passeggiata o qualsiasi cosa stessi facendo” lontano da me, pensa ma lo tiene solo per se. Sorride ma i suoi occhi sono già più lucidi. Come si può  lasciare andare la persona che si ama, scusandosi per averla scambiata per qualcun altro e andare via? Qualcuno può spiegarglielo perché gli sembra assurdo. Tutto uno scherzo di cattivo gusto.

Muoversi per lasciarlo alle sue spalle è come morire un milione di volte nello stesso momento. Si assicura di non voltarsi neanche un volta e quando crede di essere abbastanza lontano, si concede di piangere. Il suo cuore ha perso un parte di sé, che non riuscirà mai a ritrovare di nuovo, se non nei suoi occhi. Cammina fino al calare del sole, si ferma solo quando realizza che è bloccato in quella realtà e non solo non sa come tornare indietro, ma neanche dove poter passare la notte.

Vorrebbe gettarsi a terra dato che cadere sulle ginocchia è quello che gli riesce meglio. Quasi ride ma alla fine è solo uno sbuffo stanco. Si guarda intorno ed è sicuro di esserci già stato in quel posto. È una sensazione che aveva provato anche mentre camminava. Come se il suo corpo si fosse mosso con il pilota automatico. C’è un gruppo di case che è sicuro di non aver mai visto eppure “Non può essere vero”. Si passa una mano sugli occhi stanchi e inizia a correre distratto, perdendo il controllo del suo corpo e delle sue azioni ma con lo sguardo puntato in un'unica direzione.

Ed eccola lì; esattamente come la ricorda la prima che Kurt vi ci ha portato entrambi, dicendogli che aveva una cosa da mostrargli e poi proponendogli di andare a vivere insieme. La loro casa, bhe non ancora la loro casa. La zona intorno è cambiata con il tempo ma non avrebbe mai potuto dimenticare. Fa il giro della casa e se ricorda bene, ci sarebbe stata una finestra rotta da cui sarebbe stato possibile entrare. Kurt l’ha coperta con della plastica, aspettando l’inizio dei lavori. Ride al ricordo di quel “Dannati vandali”, ma quando è ormai di fronte la finestra, il vetro è intero, neanche una piccola crepa.

Sospira prima di prendere una decisione; si avvolge un pugno nella stoffa della maglietta e, pregando di non farsi male, colpisce il vetro con forza. Il vetro si sgretola in un suono dolce, come lo stesso suono che continua a sentire nella propria testa e molte delle schegge finiscono in casa. “Scusami piccolo” esclama, togliendo i pezzi più taglienti ancora attaccanti alle estremità ed entra in casa con un salto, stando ben attento ai vetri sul pavimento. Dalla finestra si ha accesso al loro studio, anche se adesso è solo una stanza spoglia, se si esclude la piccola scrivania. L’aria sa di chiuso e polvere.

Si spazzola i pantaloni e fa un giro della casa, scoprendo che niente è stato toccato nel tempo. C’è ancora il piccolo materasso posato su delle molle rotte, come il frigo che non funziona da chissà quanto tempo. Si siede sul materasso spoglio e decide che gli va bene, almeno fino a quando non riuscirà a scoprire come tornare indietro. Si sente stanco e il suo corpo ricade facendo cigolare le molle. Si copre il volto con un braccio e sospira. È stata la giornata più lunga e stancante della sua vita e inizia ad avere paura che sia solo l’inizio.

Forse dovrebbe scriverci una storia, o qualcosa del genere. Una lacrima viene assorbita dalla stoffa della sua maglietta, bagnando leggermente la manica. È tutto così assurdo, così dannatamente irreale eppure lui era lì, di fronte a lui e non riesce sopportare un abbandono due volte. Semplicemente non ce la può fare. L'ha amato troppo per sprecare quella opportunità, per lasciar correre e andare via. Si chiede quanto abbia cambiato del suo futuro, interferendo con il passato. Si chiede come può mai vivere senza Kurt nella sua vita e allora manda tutto all’aria e decide di restare. Di vivere quel Kurt, di amarlo, di essere di nuovo completo, anche se sarà diverso.

Ormai troppo stanco chiude gli occhi, si addormenta e le lacrime che non hanno più peso nei sogni lo fanno sorridere e dimenticare.
 
 



Una luce fastidiosa colpisce i suoi occhi, prova a ignorarla voltandosi dall’altra parte ma una nuova giornata ha inizio e quando scende a patti col fatto che non può fare nulla per impedirlo, apre gli occhi sorridendo. Si passa una mano sul viso e gli occhi, mandando via le ultime tracce di sonno. Si stiracchia e si siede appoggiando la schiena contro il muro. Il suo cervello ci mette esattamente 8 secondi prima di ricordare. Una serie di immagini gli passano d’avanti; il laboratorio, l’esplosione, Kurt ferito, la barella che corre dall’altra parte della struttura, le ultime parole di Kurt, le porte che si chiudono negandogli un ultimo saluto.

E ancora la sua corsa, il teletrasporto che non funziona, la sua disperazione, confusione, erba bagnata a sporcargli i pantaloni, Kurt che cammina, ancora una corsa ma questa volta verso di lui ma non è il suo Kurt, non ancora. La realizzazione, il suo voltargli le spalle e camminare dalla parte opposta, la loro casa, il vetro rotto, il materasso posato sulle molle cigolati e dopo una lunga notte che ha portato via tutto prima che il mattino lo schiacciasse con la realizzazione che niente di tutto quello è stato solo un sogno.

Nella valanga di ricordi che lo ricopre fino a farlo sparire, lacrime iniziano a scendere, senza che ne abbia il controllo, prima che possa realizzare, prima che le possa fermare. Diventando più disperate, diventando forse anche arrabbiate. Fino a odiare il sole che quella mattina ha deciso di splendere e rendere tutto felice, anche se il suo cuore è avvolto da una nube di un nero intenso e si chiede se mai andrà via. Il corpo senza vita scivola, tornando a stendersi su quel letto spoglio come la sua anima. Si raggomitola su se stesso, sentendo le lacrime annegarlo.

Si morde le labbra per non urlare, per fare silenzio, per non disturbare la quiete e quel sole cosi caldo. E forse si nasconde con la paura di essere notato, di essere catapultato in una realtà che non è ancora pronto ad affrontare, che non vuole affrontare. Perché non può essere la fine. E magari, se resta immobile, sarà salvo.

Una sensazione lo colpisce e sente che avrebbe pianto per sempre, che le lacrime non si sarebbero mai asciugate sul viso e che i fazzoletti del mondo non sarebbero bastati per mandarle via. Sente nel petto una voragine che lo sta risucchiando per lasciare solo il suo scheletro.

E non può arrendersi così e non per la cazzata che lui è ancora lì da qualche parte a vegliare su di lui o che il tempo avrebbe rimarginato la sua cicatrice che è il suo cuore ma perché, in qualche modo, e di questo ne sarà grato per tutta la sua esistenza, qualcuno gli ha dato una seconda opportunità e non ha nessuna intenzione di sprecarla a piangere e disperarsi.

Sarebbe uscito là fuori a fronteggiare quel sole caldo, si sarebbe nutrito di lui fino a sentire una qualche forma di calore e lo avrebbe cercato. Si sarebbero conosciuti di nuovo e lo avrebbe fatto innamorare di lui ancora o per la prima volta. Gli avrebbe mostrato la bellezza del loro amore e fanculo se il suo futuro sta cambiando per questo. Non ha nessuna voglia di tornare se significa vivere un'intera esistenza senza l’altra parte della sua anima, sapendo che è da qualche parte alla ricerca di lui.

Tutto questo lo rende un egoista? È un fottuto egoista per il non volerlo lasciare andare una seconda volta? Allora avrebbe vissuto con quel marchio sulla pelle per quanto il tempo lo avrebbe permesso. Apre e chiude gli occhi, mandando via le lacrime rimaste e sa, che anche se gli occhi non saranno più bagnati, il suo cuore sarà allagato fino al ritrovo delle sue labbra contro le proprie. Vivendo di nuovo dei suoi respiri contro la pelle e la sensazione di essere completo.

Si alza dal letto appoggiando i piedi sul suolo con una forza che non gli appartiene. Finge un sorriso anche se nessuno sta guardando, si muove a scatti ma alla fine è fuori da quella casa che è stata Casa del loro amore. Il sole è più caldo e accecante di quanto riesce a ricordare. Sospira e si guarda intorno. Non ricorda più che giorno è o ha una minima idea di che ore siano ma decide di muoversi lo stesso e di andare in città. Da lì sarà tutto più facile, pensa, camminando con le mani nelle tasche e la testa bassa.

Baciato ancora una volta da quello scherzo del destino, non deve cercare molto, dato che lo trova nella loro caffetteria. È seduto al tavolo vicino alla finestra più lontana dalla porta, sorseggiando un caffè e fingendo di leggere il menù, con l’unico scopo di essere lasciato in pace ancora per un po’. Sorride per la prima volta e fa qualche passo verso la porta per entrare e ordinare qualcosa. Magari fare la prima mossa e scusarsi per l’equivoco del giorno prima. Gli sembra un ottimo modo per iniziare una conversazione, eppure…

Una volta nella locanda scopre che tutti i tavoli sono occuparti ed è costretto a prende posto al bancone e, fingendo di guardarsi intorno, lo osserva di nascosto. È bellissimo, pensa, passandosi una mano dietro al collo. Il medaglione a scontrarsi contro la sua mano a pugno posata sul bancone di legno. “Cosa posso offriti, straniero? Sembra che tu abbia passato la più brutta notte della tua vita, direi che iniziare da un caffè sia il minimo”, la sua attenzione viene attirata da una donna bionda e un sorriso gentile.

Deve avere un aspetto orrendo, per non parlare degli abiti del giorno prima che ha ancora addosso... bhe, non che abbia pensato o avuto il tempo di portare con se degli abiti puliti. Ignora la donna e torna a osservare Kurt. Può anche non essere ancora il ragazzo magnifico che lo ha fatto innamorare ma lo conosce, e non può andargli a parlare in quelle condizioni. Nasconde il viso nelle mani e vorrebbe urlare, o forse lanciare qualcosa contro il muro. Togliersi il cuore dal petto e gettarlo nella spazzatura. “Dannazione” sussurra in un nuovo sospiro.

“Ecco a te, offre la casa”, l’odore del caffè invade le sue narici e non ha il tempo di sorridere in modo cordiale alla donna che la piacevole sensazione finisce in un “Allora io vado Beth, ci  vediamo domani mattina okay?”. Certo, il suono di quella voce è tutto quello che il suo intero essere desidera ma quella frase significava solo una cosa. Un campanello d’allarme inizia a lampeggiare e suonare, facendo scattare i suoi nervi sull’attenti. Ha bisogno di più tempo e il suo cervello sottopressione è intorpidito come il suo corpo. “Non stancare troppo i tuoi bellissimi occhi tra quei libri piccolo Hummel”.

E dopo quelle parole, l’unico suono da campanello che riesce a sentire è quello appeso sopra la porta, che si è svegliato quando la porta è stata aperta e poi chiusa. Aspetta e conta, quando i secondi iniziano a diventare troppi, scatta in piedi e si precipita fuori dalla porta, camminando a passo svelto verso la biblioteca. Kurt gliene ha parlato una volta, durante uno dei loro primi appuntamenti. Della sua testardaggine nel volersi pagare gli studi da solo e di come, per convenienza dato che ci passava già tanto tempo, era finito a lavorare nella biblioteca, amando i silenzi e i libri.

La biblioteca è silenziosa e il cigolare della porta rimbomba contro le pareti ma nessuno solleva lo sguardo verso di lui cercando di capire chi stesse rovinando il loro momento di pace. Cammina quasi in punta di piedi, cercando un tavolo abbastanza isolato e lontano. La voglia di parlargli gli fa sudare le mani e tremare le gambe. Arriva quasi alla fine della grande sala prima di sedersi, sicuro fosse il posto migliore. Si ricorda di prendere anche un libro da uno scaffale, aprendolo di fronte a se e fingendo di leggere. Ma i suoi occhi non sfiorano neanche una lettera, troppo presi a memorizzare qualcosa di più interessante.

Anche scegliendo il tavolo più distante non è riuscito ad allontanarglisi. Si trova infatti a qualche metro da lui, alle prese con il sistemare uno scaffale ma sembra non averlo notato e in qualche modo quella realizzazione lo rassicura, anche se non capisce il perché. Vorrebbe parlagli, conoscerlo di nuovo ma in qualche modo sa che non sarà mai il suo Kurt. Non perché diverso in qualche modo ma per quello che hanno condiviso, il tempo che hanno trascorso insieme. Non può accettare un mondo senza di Kurt ma allo stesso tempo si chiede se troverà mai il coraggio per fare il primo passo.

Resta seduto su quella sedia nascosto dallo stesso ignorato libro per quasi tutta la mattina, guardando Kurt muoversi da uno scaffale e l’altro, non parlando quasi mai con nessuno eccetto la libraia che gli assegna dei compiti, come cercare qualche libro o sistemare degli altri. Le persone non sembrano neanche notarlo, come se fosse invisibile eppure lui riesce a vederlo. Il modo in cui si sposta i capelli dalla fronte o in cui si morde le labbra quando è indeciso. La polvere che lo fa starnutire e come si copre la bocca. Non riesce a smettere di notarlo, incantato, ammaliato.

 


 
E non può credere di averlo seguito anche all’allenamento dei pulcini. Ricorda che Burt Hummel gliene aveva parlato una volta, di quando suo figlio passava i pomeriggi ad aiutarlo con la squadra di football dei più piccoli. E si sente uno stalker seduto sulle gradinate, trattenendo le urla da stadio mentre lo guarda incitare i bambini a fare del loro meglio. Si sorprende per non essere stato scoperto ancora, in fondo non è mai stato molto delicato in quel genere di cose ed era sempre stato colto in fragrante, soprattutto quando aveva tentato di organizzare una qualche festa a sorpresa per Kurt o mentre stava cercando un posto migliore per nascondere l’anello di fidanzamento.

Appoggia i gomiti sulle ginocchia e si sporge in avanti, osservandolo sorride. E magari non sarà mai il suo Kurt ma almeno ha avuto l’opportunità di vedere un Kurt che ha conosciuto attraverso i pochi ricordi che riusciva a estrapolare da Burt. Ed è distratto, come sempre se si tratta di Kurt e non nota lo sguardo accigliato del ragazzo né tanto meno il modo in cui cammina verso la sua direzione. Quando finalmente riesce a notarlo scatta in piedi e, con camminata disinvolta - almeno secondo il suo parere - scende dalle gradinate e cammina a passo svelto verso casa. Un solo secondo e avrebbe mandato tutto all’aria ma ovviamente è solo l’inizio per lui.

La porta si apre dietro di lui e sa che non può fare molto per evitarlo quindi resta in ascolto da dietro una porta. Spera che restando nascosto tutto possa correre più velocemente ma ovviamente non è mai attento e quando lo vede con la loro foto insieme, può solo passare una mano sulla tasca posteriore dei pantaloni e capire che tutto quello che può succedere da quel momento in poi può essere l’inizio di qualcosa o la fine di tutto. Fa un respiro profondo ed esce dal suo nascondiglio fingendosi sorpreso. “Oh” esclama.

Il ragazzo meraviglioso che lo aveva seguito è appoggiato al frigo spento con in mano il collage di foto che aveva deciso di portare con se. Si chiede perché ha scelto di portare quella foto ma trovare la risposta in quel momento non è facile, soprattutto con gli occhi di Kurt puntati contro i propri, forse a chiedersi che cosa significa tutto quello, vittima di quello scherzo del destino che lui ha messo in atto senza prima leggere il copione. “Che cosa significa questa foto? Perché abbiamo queste foto insieme, ci conosciamo già?”.

Mentire porterebbe solo ad altre bugie e non ce la può più fare. È troppo stanco di correre indietro in una strada che va solo in avanti. Deve prendere quello che viene ma soprattutto, deve iniziare a dire la verità. “Ti racconterò tutto, promesso” parla sollevando le mani in segno di resa “ma credo che sia meglio se prima ci sedessimo da qualche parte, magari alla caffetteria dato che non ho sedie qui” quasi ride ma si ferma giusto in tempo. “Quello che ho da dire non è facile e non è facile per nessuno dei due, credimi”.
 



 
“Quindi tu vieni dal futuro” ripete più confuso che incredulo, almeno è un passo avanti. La caffetteria è quasi deserta, considerato che la maggior parte delle persone è a seguire la partita. Ci sono due tazze fumanti di caffè di fronte i loro visi, gentilmente offerti da Mrs Beth anche se neanche una singola goccia è stata bevuta, troppo impegnati in un silenzio di confusione e pensieri che cercano i loro posti nelle loro menti. “Già” esclama giocando con il cucchiaio. Deve dire qualcosa se non lo vuole vederlo correre come un fulmine fuori da quella caffetteria e dalla sua vita.

“So che può sembrare tutto cosi assurdo al momento ed è forse il motivo per cui ho preferito osservarti di nascosto, senza trovare il coraggio di parlarti. Tutto questo è irreale ma è la mia realtà. Sono reale e questa è la mia storia” fa un respiro profondo e continua a parlare “Ho conosciuto Kurt proprio in questa stessa caffetteria. È difficile dire quando considerato che non so neanche in che anno siamo ma va bene così, meno cose so e meno cose rischierò di cambiare, anche se sarà già cambiato tutto”.

Il pensiero lo rattrista e i suoi occhi si spengono.

“Ricordo che se ne stava nascosto dietro un foglio aperto del menù” sorrise scuotendo il capo al ricordo, facendo sorridere anche Kurt con lui “Mi avvicinai solo per chiedergli il perché, dopo averlo osservato per un intera ora e la sua risposta è stata: mi rende invisibile” è Kurt a terminare la frase per lui aggiungendo un “In fondo io sono lui, no?” sorride annuendo con il capo “Dopo aver risposto, in un secondo momento, mi ha guardato spiegando che funzionava sempre almeno prima di me; la prima persona che lo ha visto”, sorride nostalgico.

“Sono tornato alla caffetteria ogni mattina, sperando di poterlo vedere ancora e una cosa che mi fa ancora battere il cuore e mi sorprende è che sembrava aspettarmi. Ogni giorno lui sembrava aspettarmi fino a quando non ha più avuto il bisogno di nascondersi, mostrandosi completamente. Abbiamo Iniziato a passare sempre più tempo insieme e siamo stati insieme per così tanto tempo da farmi credere di essere destinato a quel incontro, anzi che lui fosse a essere lì per una ragione e che quella ragione fossi io” sorride ancora passandosi una mano dietro al collo.

“Sembri così triste al suo ricordo, mi è successo qualcosa non è cosi?” chiede Kurt, sporgendosi in avanti, attento a ogni parola. Ci pensa per qualche secondo e non sa quanto può raccontare ma in fondo ha decido di raccontargli tutta la verità e comunque non ha nessuna intenzione di tornare indietro e di non potergli parlare più. “Non so come tutto questo funziona, so che non bisogna interferire nel tempo ma ora mai il danno è fatto no?” si convince e “Stavamo lavorando a questo progetto nel nostro laboratorio e qualcosa è andato storto. Kurt è riuscito a metterci in salvo ma non è riuscito a fermare l’esplosione e altri cinque scienziati sono stati colpiti da queste schegge impazzite”.

Scuote la testa negando quello che sa che sta per aggiungere “Hanno cercato di salvarlo ma lo sapevamo entrambi. Mentre ci guardavamo correre contro il tempo lo sapevamo entrambi. E non avrei mai voluto lasciarlo, non avrei dovuto ma qualcosa è scattato dentro di me. Dovevo riportarlo indietro e.. ma è andato tutto storto. Si dice che ci sono avvenimenti nella storia che sono punti fermi e detesto pensare che la sua morte sia uno di quei punti fermi, mi toglie il fiato” e ha iniziato a piangere senza rendersene conto. Da qualche parte, da lì al passare di molti anni, Kurt ha chiuso i suoi bellissimi occhi prima di addormentarsi e fa male non poter essere lì.

Ed è crudele da parte sua raccontare qualcosa di cosi vivido nella sua memoria ma che non è ancora successo, soprattutto quando la persona protagonista di quella tragedia è proprio al suo fianco e sta piangendo, stringendolo in un abbraccio e ripetendogli che andrà tutto bene. Non può fargli questo ma ha aspettato quell'abbraccio e ha bisogno di sapere come affrontare tutto ciò perché sente che non può farcela da solo. Ha bisogno di Kurt per affrontare la sua morte, questo lo rende egoista?
 
 



“Non posso credere che tu l’abbia detto sul serio!” e lo osserva ridere con una mano sullo stomaco, mandando via una lacrima non caduta al lato dell’occhio con all’altra. E lo guarda incantato, trattenendo le risate cosi da non coprire quel suono di cui già sente la mancanza. È buio intorno a loro ma poco importa, non dopo una bellissima giornata insieme alla scoperta e alla conoscenza di loro. E per un secondo è tutto come l’ha lasciato, forse le loro mani non sono intrecciate e non lo può baciare ma farlo ridere, farlo stare bene, sentirsi bene quello è esattamente come lo ricorda. Una sensazione di calore in tutto il suo essere.

Sorride mentre la consapevolezza corre per tutto il suo corpo, lasciando campanelli d’allarme, che finge di non ascoltare ma con cui deve fare i conti da lì a poco. Che c’è di male a fingere che niente sia successo e che c’è ancora una possibilità? Perché quella non può essere l’unica realtà per sempre? Perché– “Terra chiama Blaine, torna da me” apre e chiude gli occhi, mandando via tutte le domande e quando le parole superano la superficie che si è creato intorno a lui, è troppo tardi per rimandarle indietro. “Scusa io... volevo solo attirare la tua attenzione e invece ti ho solo fatto male”.

Non può fare quello a Kurt, questa è l’unica risposta che quel campanello d’allarme continua a urlare. Ed è un colpo allo stomaco, e fa troppo male e lo sente urlare dentro prima di rendersi conto che conosce quella voce, che i suoi occhi sono chiusi e il dolore allo stomaco ha toccato qualche costola. Spalanca gli occhi ed è per terra, del sangue sta fuori uscendo dal naso e lo asciuga subito con la mano. Sposta lo sguardo e Kurt gli sta di fronte, facendogli scudo contro qualcosa che non riesce a vedere da quella posizione. Con orrore lo sente urlare di nuovo.

Scatta in piedi ma i suoi movimenti sono lenti e perde di nuovo contatto con la realtà; il suo corpo torna in modalità pilota automatico e sa solo che deve proteggerlo. Una volta in piedi nota un gruppo di ragazzi che ghignano, mentre uno è per terra e si tocca una guancia arrossata. Respira e la scena rallenta e può vedere qualcosa scintillare nella mano del ragazzo più vicino e Kurt è troppo distratto a urlare di stare a distanza da loro per notarlo. E torna a essere egoista, torna a sentire quel marchio che ha accettato sotto la pelle; non può perderlo ancora una volta, non ce la può fare di nuovo.

Il suo corpo è stordito, le costole stanno protestando e il suo cervello sta urlando di fare piano ma nella confusione di arti e pulsazione, lo sente. Un leggero sussurro che riesce a fare tacere ogni cosa intorno a lui, a dargli la forza di muoversi in avanti e bloccare quel metallo freddo nella sua pelle, contro il suo fianco. Ed è il suo cuore che lo supplica di salvarlo, di non lasciarlo andare e di proteggerlo ancora una volta, anche se per l’ultima volta. Urla sentendolo ovunque e ricade ma questa volta nelle braccia della persona amata e va bene. Ed è salvo.

“Dannazione Blaine, cosa ti è saltato in mente, eh?”. Pronta a esclamare un “Volevo salvarti” ma non è sicuro di averlo pronunciato o solo pensato così forte da stordirlo. Nella sua bocca un sapore metallico che non riesce a sopportare. “Forse non mi avrebbe colpito, forse voleva solo spaventarci, ci hai pensato prima di agire, piccolo eroe?” chiede e la voce trema ed è paura, ed è protezione, ed è affetto. E vorrebbe ridere ma ne esce fuori un suono che raschia i suoi polmoni e “Ci sono troppi forse in quella frase, piccolo Hummel” sorride mentre cerca di rimettersi in piedi. “Andiamo mio piccolo eroe, casa non è così lontana e dobbiamo medicare questa brutta ferita”.

E vorrebbe dirgli che "casa" è distante anni da lì e che sta piangendo mentre lo aiuta a camminare, cercando di avere un passo svelto, almeno fino a quanto la ferita sanguinante glielo permette. Kurt ha mentito, la casa non è cosi vicina e si stanca prima ancora di arrivare ma ci riesce. Entrano in casa e non importa quanto sembri piacevole quel materasso consumato, decide che il pavimento va più che bene. Si stende con l’aiuto di Kurt ma resta vicino al ragazzo, tra i suoi odore e i suoi colori. Non è ancora pronto a quello che sta per arrivare, che non può evitare.

“Stai fermo lì” e la voce di Kurt è seria e vorrebbe fargli notare l’assurdità di quel ordine ma ubbidisce e fa perno con le braccia, per appoggiarsi sui gomiti. Può sentire Kurt cercare qualcosa nella stanza, forse qualcosa per fermare il sangue che gli sta bagnando e sporcando la maglietta. Quando lo vede ritornare ha uno strofinaccio tra le mani con dell’acqua. Si lascia sollevare la maglietta ma non abbassa lo sguardo per dare un’occhiata, il viso contratto di Kurt gli basta per capire che non è messo bene. Prova a togliere un po’ di sangue per controllare quanto sia grave ma “C’è troppo sangue Blaine e non so come fermarlo e non posso portati neanche in ospedale” e la sua voce è disperata e quando lo capisce la sua espressione cambia forma.

“N-non puoi morire qui Blaine, questo non è il tuo tempo” dice in fretta nella realizzazione di quello che succederà dopo. “Ci sei già in questo tempo e non puoi morire qui perché se lo fai lui semplicemente smetterà di esistere e non avrò mai la possibilità di incontrarlo e non puoi farmi questo” e le sue parole sono un miscuglio di lettere ed emozioni. “Non puoi privarmi del mio Blaine perché è questo quello che succederà. Non avrò la possibilità di incontrarlo e di vivere la nostra storia e non puoi farmi questo Blaine, lui mi sta aspettando."

“Perché quello che siamo destinati a fare, no?” dice con tono dolce, con lo stesso tono di voce con cui si convince un bambino a fare qualcosa di cui ha paura “Noi ci cerchiamo e ci aspettiamo ed è il mio turno adesso e non puoi scegliere per tutti e due, non te lo permetto” e mentre lo guarda piangere e disperarsi, colpendo l’aria di parole, decide che non può essere più egoista, non in quel momento. Su un punto Kurt ha ragione ed è che è il suo turno adesso, di essere egoista, di cercarlo, di salvarlo, di amarlo e non può fargli questo. Si guarda il braccio, sollevando la manica e l’orologio è ancora lì. “Devi tornare indietro Blaine dove sarà tutto come un sogno e la ferita non sarà reale”.

Lo osserva e i suoi occhi sono piedi di speranza ma è questo il problema, quello che lui non può ancora vedere e che si troverà a fronteggiare tra molti anni; non vuole che sia solo un sogno, non è ancora pronto a dirgli addio perché è quello che succederà attivando il teletrasporto. E vorrebbe ridere del ironia del momento, il modo in cui il suo ultimo incontro con Kurt in realtà è un inizio a cui lui ha già partecipato e che non può rivivere una seconda volta. E continueranno a trovarsi per poi perdersi e ricominciare tutto da capo.

“So che non sei il mio Kurt, il ragazzo meraviglioso che era semplicemente destinato sul mio cammino, o almeno non ancora ma ti amerò per sempre, non importa del tempo e non importa del dolore. Quindi devi prometterlo, devi promettermi che mi troverai. Trovami Kurt, sono là fuori, da qualche parte e forse non lo so ancora ma ti sto aspettando. Sto cercando qualcosa che non posso vedere, quindi cercami per favore.” Le sue mani corrono verso il medaglione e quando Kurt capisce è già pronto a rifiutare e allora parla porgendoglielo. “È un prestito Kurt. Devi riportarmelo, okay?” dice unendo le loro mani racchiudendo la collana. “Me ne ha fatto dono una persona speciale, una persona che mi troverà sempre e non importa se dovrà prendere la strada più lunga, ci renderà una cosa sola e per sempre”.

Si sporge in avanti e sorride e il volto di Kurt è ricoperto di lacrime ma sorride con lui. La distanza tra le loro labbra diminuisce e non la nota, la luce che lampeggia prima di percepire il vuoto sotto di lui e poi più niente.
 
 
 


È lunedì mattina e il cielo grigio si sta aprendo ai primi raggi di sole. Si passa una mano tra i capelli togliendo le tracce delle poche gocce di pioggia che non è riuscito a evitare. Scolla le spalle e spinge la porta che fa suonare il campanello; una donna dietro il bancone solleva il capo e gli sorride cordiale. Ricambia il sorride e si avvicina al bancone ordinando una tazza di caffè. Non conosceva l’esistenza di quella caffetteria almeno fino a quando non ha trovato un volantino accanto al suo zaino. C’è odore di caffè e calore e gli piace. Quando il caffè è pronto si guarda intorno e cerca un tavolo dove potersi sedere e passare la mattina.
Quasi tutti i tavoli sono occupati ma se ne dimentica quando i suoi occhi incontrano qualcosa di più interessate, per questo resta immobile a osservare. Un ragazzo se ne sta seduto al tavolo più lontano dalla porta, non può descriverlo perché è nascosto dietro il menù ma nota che la sua gamba destra si muove nervosa. Si chiede se sta aspettando qualcuno e allora aspetta con lui, finendo il suo caffè e ordinandone subito un altro. Quando c’è abbastanza caffeina in corpo da bastargli per il resto della sua esistenza, decide di fare qualcosa.
Il tempo è passato in fretta e il sole ora passa attraverso le vetrate, illuminando ogni cosa in quella giornata che è iniziata spenta. Lascia la tazza sul bancone e cammina fino a quando non è di fronte al ragazzo e tossisce, per attirare la sua attenzione. Pensa che avrebbe dovuto portare la tazza con se e usare la scusa dei tutti posti occupati ma il menù cade ed è troppo tardi per tornare indietro. Due occhi color del mondo lo stanno guardando adesso e non è neanche cosi sicuro di star respirando eppure sa che deve parlare e “Perché ti nascondi dietro questo menù?”
Ed è la più stupida delle domande e si sente stupido per averla posta eppure il ragazzo sorride e sembra quasi felice di vederlo lì e “Mi rende invisibile ma la realtà è che aspettavo che qualcuno mi vedesse e sono felice che sia stato tu” questa volta sorride insieme a lui e gli si siede di fronte senza neanche rendersene conto. “Io sono Kurt, Kurt Hummel” si presenta e c’è una scintilla che sembra speranza nei suoi occhi che si spegne quando gli stringe la mano e “Io sono Blaine, Blaine Anderson” ma sembra tornare a brillare quando “Sono felice di averti visto Kurt e spero che tu non debba nasconderti di nuovo perché mi piace quello che vedo”.
 



 
“Se non ti conoscessi da diversi anni ormai e se non fossi sicuro che mi ami più di qualsiasi cosa al mondo e anche oltre, direi che mi stai portando in cima a una collina per buttarmi giù da un dirupo ma sul serio non sapevo che quel cupcake fosse tuo, dovresti imparare a perdonare piccolo Hummel” cerca di sbirciare ma senza successo, la benda che ha sugli occhi non gli permette di vedere niente e il suo parlare non gli permette di ascoltare i suoni intorno a lui. Pensa che potrebbe far silenzio ma ha bisogno di mostrare la sua innocenza in quella situazione.
“Smettila di fare il bambino Blaine, ti ho detto che non sono più arrabbiato, anche se so che lo sapevi,  goloso di un Anderson! E poi perché dovrei guidare così lontano per fartela pagare? Andiamo, potevo farlo già ore fa quindi smettila di parlare e lasciami lavorare, questa serratura si è incastrata di nuovo” un rumore di serratura scatta e Kurt esalta felice prima di riprendere a camminare. “Aspettami qui” esclama, prima di lasciare andare la presa sulle sue spalle e Blaine riesce a sentire i suoi passi allontanarsi.
Vorrebbe urlargli di tornare indietro ma resta in ascolto e sospira sollevato quando lo sente riavvicinarsi e “Cerca di non giudicare ma lascia la mente libera di immaginare, okay?” dice prima di togliergli la benda che gli copre gli occhi. C’è tanta luce e la prima cosa che riesce a capire una volta abituato gli occhi, è che si trova in un soggiorno o quello che doveva essere stato un soggiorno un tempo. La porta da cui sono entrati ora è chiusa alle loro spalle. Si volta verso Kurt per chiedere spiegazioni e spera di non aver frainteso come suo solito.
“Come hai da poco detto, siamo insieme da davvero tanto tempo ora mai e abbiamo passato metà di quel tempo a cercare un posto in cui poter essere semplicemente noi e so che questo posto è trascurato e non molto grande e non può essere confrontato a tutti quelli annunci che stavi esaminando e–” stava parlando troppo, si stava perdendo in spiegazioni di cui Blaine non aveva bisogno in quel momento così “Chiedimi quello che vuoi chiedermi Kurt” esclama, facendo zittire il ragazzo e sospirare subito dopo trovando il coraggio per riprendere.
“Okay allora” inizia nascondendo una risata e Blaine sorriderebbe con lui se solo non si sentisse così ansioso “Mr Blaine Anderson” capisce che lo sta provocando dal modo in cui la sua voce cambia tono quando pronuncia il suo nome ma lo lascia fare cercando di capire dove vuole andare a parare “so che questa casa non è nelle condizioni migliori ma mi piacerebbe davvero tanto che questa diventasse la nostra Casa. Quindi mi domandavo che cosa gliene pare di andare a vivere insieme... a meno che tu non voglia sopportare mio padre e il suoi suggerimenti di avere camere separate” ride quando avvolge il suo viso tra le mani e lo zittisce con un bacio.
“Mi avevi convinto alla serratura che si era bloccata” ridono insieme prima che Kurt lo trascini per la casa, mostrandogli tutti i cambiamenti che andavano fatti e quali erano le sue idee per arredare il tutto. Ogni sua idea passa davanti ai suoi occhi ed è semplicemente perfetta. Sorride chiedendosi da quanto tempo ci stava fantasticando e se avesse scelto quel giorno, molto tempo addietro. Arrivano in quello che secondo Kurt sarà il loro studio e “Ignora la finestra rotta, sarà la prima cosa che farò sistemare quando inizieremo i lavori. Dannati vandali!” esclama, mostrando una finestra rivestita con della plastica in mancanza del vetro.
 



 
Si stiracchia tra le coperte e si bea del fruscio delle lenzuola pulite e dell’odore del caffè appena fatto proveniente dalla cucina. Sorride respirando a pieni polmoni aprendo lentamente gli occhi. Il ricordo di quella giornata di solo un anno prima gli fa provare una scarica in tutto il corpo. Tutta l’ansia mista a eccitazione in circolo per il più bel giorno della sua vita, o uno dei più belli giorni della sua vita, dato che il destino lo aveva già amato il giorno in cui aveva messo Kurt sulla sua strada. Sposta lo sguardo di lato notando l’assenza del ragazzo e si alza dal letto, andandolo a cercare e sicuramente a baciare.
Cammina a piedi scalzi con i pantaloni di uno dei pigiami di Kurt e una canotta bianca. Si passa una mano tra i capelli e l’idea di andare a darsi una sistemata gli passa per la mente ma supera il bagno e arriva in cucina. Non c’è nessuno ma è troppo distratto da quello che trova sul tavolo per notare altro. C’è un vassoio con sopra la colazione, forse Kurt stava per andare a svegliarlo e dargli il buongiorno in quel modo. Sorride non riuscendo a impedire alle sue labbra di piegarsi all’insù. Ci sono due tazze vuote da poter riempire con del caffè o del thè. Ci sono anche due piattini con fette biscottate e le loro marmellata preferita e quando si sposta dietro il bancone della cucina la può vedere. Una fotografia.
Non una semplice fotografia, constata una volta nelle sue mani, ma un collage di loro foto del giorno del matrimonio. Foto che non sono state inserite nel loro album di matrimonio, dato che Kurt ha deciso di tenersene alcune per sé, senza mai mostragliele. La foto è incorniciata con i loro nomi incisi, ci passa sopra il pollice quando due braccia gli coprono la visuale e una collana ricade lungo il suo collo. Può sentire il medaglione colpire il suo petto e trovare il suo posto sopra il suo cuore. Non ha bisogno di guardare per capire che è il medaglione di Kurt ma lo fa lo stesso.
Passa una mano sulla catenina, scorrendo verso l’estremità. Il medaglione sembra avere un altro tipo di pesantezza sul suo collo, abbassa di poco il capo e lo avvicina alle sue labbra, mentre le braccia di Kurt si stringono intorno alla sua vita. Vorrebbe chiedergli perché adesso considerato che non se ne separa mai, vorrebbe chiedergli cosa significa per lui, cosa rappresenta. Vorrebbe urlare dalla felicità e forse anche piangere ma alla fine si limita a respirare. È un sussurro che quasi non tocca le sue orecchie eppure lo sente; “Ho mantenuto la mia promessa, te l’ho restituito”.
 
 



Una tipica giornata di lavoro implica qualche prototipo che finisce per esplodere quando tutto sembra andare per il verso giusto e quel giorno non è stato diverso dagli altri. Aveva lavorato sul quel prototipo ora mai da mesi ma è finito in mille pezzi comunque. “Dannazione” esclama passandosi una mano tra i capelli e poi nascondendole dentro le tasche del camice bianco. Aveva lavorato sodo per essere preso in quel gruppo di ricerca ed è stato incredibile essere finito a lavorare con Kurt, che di certo sa come funziona. Lavoravano a qualsiasi cosa ed è da folli. Per questo non si sorprende quando Kurt si presenta alla sua porta.
“Ehi piccolo eroe, un altro prototipo esploso?” chiede ma conosce già la risposta e sorride. È ancora sulla soglia quando si volta a guardarlo, metà del suo corpo nascosto dalla porta. Gli fa cenno di entrare e “Non è giornata, anzi, non è proprio periodo. Questo macchinario non vuole esistere e sento che sono a poco dal rinunciarci” sbuffa e si lascia cadere sulla sedia, nascondendo il viso nelle mani aspettando che Kurt gli si avvicini e lo stringa in uno dei suoi abbracci e quando lo fa sa di vaniglia e di fresco. “In qualche modo speravo di sentirtelo dire perché sono passato per proporti un nuovo progetto, che forse non sarà più facile, anzi per niente ma sento che ci darà delle soddisfazioni”.
Accadeva due mesi prima quella assurda proposta di creare un prototipo per un teletrasporto a orologio e c’erano quasi. Bhe, quasi tutti i loro esperimenti non avevano dato frutti ma ogni progetto saltato in aria dava loro un indizio su quello che andava aggiustato. Il processo non sarebbe stato semplice e lo sapevo ma in fondo è per quella motivazione che si sono lanciati in quella follia in cui tutti avevano fallito già prima di loro. Si toglie gli occhiali protetti e osserva Kurt, con i resti del ennesimo prototipo esploso. Si appoggia con i gomiti sul tavolo e si concede dei secondi per guardarlo.
Sembra dispiaciuto e un leggero broncio spunta sulle sue labbra ma dopo sorride, mettendo da parte tutti i pezzi che ha di fronte. Una luce nei suoi occhi che non si è mai spenta, non importa quanti fallimenti hanno collezionato. Sembra cosi sicuro di farcela, come se lo avesse già fatto in passato. Una strana sicurezza che non gli permette di piangersi addosso ma anzi alzarsi le maniche e riprovarci di nuovo. Forse passa più di qualche secondi a osservarlo perché solleva lo sguardo su di lui e “So che chiunque si arrenderebbe a questo punto ma sento che ci siamo quasi Blaine, posso sentirlo”.
E non ha alcuna intenzione di smentire quella sua convinzione e gli sorride a sua volta. Ci crede cosi tanto nella riuscita di quella idea che non può far altro che seguire il suo esempio. In realtà lo seguirebbe ovunque, non importa quanto quello che gli si presenterà di fronte; è pronto ad affrontare qualsiasi cosa se si tratta di Kurt. Si guardano negli occhi e “Andiamo piccolo eroe, il lavoro non si concluderà. Il prossimo non esploderà, me lo sento”.
 
 



Lavorare in un laboratorio non è mai facile, è un rischio costante. Ogni esperimento andato male può costare la vita di qualcuno ed è già successo in passato. Esplosioni, incendi, fughe di gas. Per questo è stato creato una struttura ospedaliera dall’altra parte del edificio. Ne vedeva di barelle correre da una parte all’altra della struttura ma mai si sarebbe immaginato di inseguirne una mentre una clessidra nella sua testa segna il tempo che scorre, facendolo sentire senza forza e disorientato. Neanche concentrandosi avrebbe potuto descrivere cosa è successo soli pochi minuti prima. Tutto quello che ricorda come una fotografia appena scattata davanti i suoi occhi è il corpo di Kurt sul pavimento.
Tutto è iniziato come un giorno qualunque: si sono svegliati presto per andare a lavoro come ogni mattina, il traffico ha permesso loro di conversare e cantare qualche canzone passata in radio. La giornata è iniziata nel modo migliore e con il sorriso stampato sulle labbra hanno iniziato a lavorare. Niente sembra poter andare storto ma ovviamente si sbaglia. Vengono preparati a ogni evenienza e ogni sei mese devono seguire un aggiornamento sulle procedure di sicurezza. Sanno come affrontarne una ma quanto ti trovi in quelle situazioni il sistema nervoso mette in allerta ogni cosa e resti bloccato. Almeno questo è quello che è successo a lui quando un'esplosione ha minacciato di fare vittime.
Tutto quello che ricorda è la voce di Kurt che ordina a tutta la sezione di correre fuori dal laboratorio. Può ancora sentire le sue mani mentre lo spingono più lontano, guardandolo correre dalla parte opposta, cercando di fare meno vittime possibili. Il suono dell’esplosione è qualcosa che non riuscirà a dimenticare tanto facilmente e che lo tormenterà nelle notti più silenziose. Ricorda di aver sentito la terra tremare sotto i suoi piedi e di essere corso anche se non riusciva a far star ferma la stanza intorno a lui. Si domanda se qualcosa lo abbia colpito ma dopo lo vede ed è una domanda che non ha più molta importanza.
Avvolgerlo nelle sue braccia e tutto quello che riesce a fare aspettando i soccorsi che sono subito da lui. La corsa contro il tempo è finita più in fretta di quanto osasse immaginare.




 
E in quella sensazione di vuoto intorno a lui lo realizza; non sono stati dei semplici flashback di ricordi ma la storia che si ripete ancora una volta e come lui l’ha conosciuta. Kurt ha finto di non conoscerlo quella mattina nella loro caffetteria, per questa ragione i suoi occhi si sono rattristati quando non l’ha riconosciuto, presentandosi a sua volta. Non stava aspettando una qualsiasi persona, stava aspettando lui. Ha aspettato chi sa per quanto tempo, cercandolo, sperando che lo vedesse. Il volantino che ha trovato nello zaino; è sempre stato Kurt e adesso si sente stupido per non averlo capito subito ma doveva andare cosi.

La loro casa così importante per loro, lo è stata ancora prima di loro. Un primo ricordo che non ha vissuto ma che è rimasto in quelle mura e non è mai andato via. Quel vetro rotto come ultimo frammento prima di essere riparato e iniziare le loro vite e la loro storia insieme e per la prima volta. E in quella stessa casa ha trovato il collage di foto che Kurt ha preparato per lui; la stessa foto che lui ha portato con se senza sapere la motivazione. Doveva farlo e adesso può finalmente capire il perché.

E mentre tutto torna a come l’ha lasciato, il ricordo del viso concentrato di Kurt ha la meglio su ogni altro pensiero, diventando l’unico. Non è mai stata solo una sua impressione; la sua vita dipendeva dalla riuscita di quel prototipo. Sapeva che poteva riuscirci perché sapeva che Kurt ci era già riuscito. I frammetti di una intera vita che trovano ordine tra gli spazi del tempo. E ancora l’esplosione. L’ultimo pensiero prima che l’oscurità intorno a lui diventa luce ed è di nuovo dove quel viaggio ha avuto inizio. Kurt sapeva quello che stava per succedere e che non avrebbe potuto cambiare la storia per questo sorrideva anche se ogni energia lo stava lasciando. La sue ginocchia toccano di nuovo il pavimento di marmo e lo odia.

Il suo addome si sbilancia in avanti nella caduta e qualcosa cade e tocca il pavimento. Spalanca gli occhi alla vista di un bigliettino piegato in più parti. Ha vissuto così tanto che non è più in grado di distinguere la realtà dalla finzione? Quello strano scherzo del cuore avrebbe mai smesso di tormentarlo? Si passa una mano sugli occhi ma il pezzo di carta è ancora lì. Si sporge in avanti per poterlo toccare e solo in un secondo momento nota qualcosa che penzola dal suo collo. Con il pezzo di carta stretto tra le mani lo vede; il medaglione.

La prova che tutto è stato reale, che non è sul punto di impazzire. In fretta spiega il bigliettino quasi senza fiato. Riconosce subito la calligrafia di Kurt e trattiene le lacrime leggendo.

Un colpetto contro la porta lo fa voltare; una delle infermiere della struttura ospedaliera gli sta sorridendo cordiale ma non prova a ricambiare, sente che ne verrebbe fuori solo una smorfia. “Non volevo disturbarti Blaine, ho saputo di Kurt e so che vorresti essere lasciato solo in questo momento ma dovresti farti controllare anche tu. L’esplosione è stava molto forte e magari non senti dolore al momento ma sempre meglio un controllo, si?” annuisce prima di essere lasciato di nuovo solo.
 


“Mio piccolo eroe, in questi anni una domanda nella mia testa non ha mai trovato risposta; se ho ricevuto questo medaglione da te e tu l’hai ricevuto a tua volta da me… questo medaglione, da dove viene in realtà? Ti amo, Kurt”.
 
 
 
(Till) The End
  
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