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Autore: artemideluce    04/04/2016    5 recensioni
“Finalmente qualcosa fuori dai tuoi schemi, scommetto che non l’avevi mai fatto” Mi disse.
Era vero. Non avevo mai fatto qualcosa oltre i limiti del consentito, o della morale, o di chissà cosa. Mi guardava, poi guardava la notte scorrere davanti a noi dal finestrino del treno. Sapeva leggermi dentro.
La vita che passa tra l'amore più travolgente e le liti più folli, un sogno attraverso i luoghi più belli del mondo.
Genere: Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Universitario
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La vita è il treno, non la stazione ferroviaria. 

(Paulo Coelho) 

Era una sera di mezza stagione, una sera come tutte le altre quando presi quel treno per Venezia. Avevo passato una giornata a Firenze, a visitare musei, studiare dipinti, stare con il naso all’insù dentro alle cattedrali e a girare attorno alle statue. Le cuffie nelle orecchie, seduta su una panchina gelida, aspettavo quel treno che mi avrebbe riportato alla routine degli studi. Il treno era in ritardo ma poco importava: stavo scorrendo con un sorriso sul volto le foto della giornata, sistemando i miei appunti disordinati su un bloc notes, quando qualcuno mi picchiettò sulla spalla. Era un vecchino, un po’ ricurvo e con la sua valigetta in mano, mi chiese se stavo aspettando il treno precedente ma enormemente in ritardo o il treno successivo. Risposi quasi stizzita, distolta dal mio lavoro da brava studentessa qual ero, che avrei preso il secondo treno, anche se mi avrebbe fatto perdere la coincidenza. Risistemate le cuffiette e fatta ricominciare la mia canzone, Je vais t’Aimer, mi rimisi al lavoro. Dopo mezz’ora abbondante e parecchi treni sfrecciati davanti al mio binario, arrivò il mio treno, in ritardo, come sempre. Presi il mio zainetto troppo piccolo per ciò che conteneva, libri, quaderni, la mia macchina fotografica, un paio di cartine sgualcite e ingiallite dal tempo, qualche penna libera sul fondo. Salii sul treno, tra una moltitudine di persone che correva per non perderlo, tra chi cercava il proprio posto con delle valigie improponibili. Trovato il mio posto, vicino al finestrino e in direzione del viaggio, mi sistemai con sospiro di sollievo: non c’era ancora nessuno accanto a me, e nemmeno di fronte. Era la cosa che odiavo di più, avere qualcuno accanto che potesse vedere cosa facevo, cosa scrivevo, cosa leggevo, cosa guardavo. Passarono i minuti, il treno ancora fermo in stazione ogni tanto soffiava una romantica fumata bianca davanti ad uno splendido tramonto che si intravedeva tra i cartelli e l’orizzonte degli edifici. Che città magica Firenze, nascondeva ad ogni angolo una chiesa tutta da ammirare, nascondeva dietro ad ogni palazzo un nome come Leon Battista Alberti o Brunelleschi. 

Mi sedetti al mio posto, su uno di quei sedili scomodi e puzzolenti tipici dei treni vecchi che girano per l'Italia e non se ne vanno mai in pensione. I tre posti liberi accanto a me erano ancora vuoti, quindi avevo occupato con il mio zaino un sedile in più, nella speranza di rimanere da sola per tutto il viaggio. Proprio nel momento in cui mi stavo togliendo la giacca, ecco un vecchino che, solo soletto e barcollante si avvicina, indica il posto di fianco al mio e mi guarda con un sorriso. Accettato il fato di dovermi sorbire racconti di guerra per le successive due ore, ricambiai il sorriso, almeno avrei imparato qualcosa. Aiutai il nonnino a poggiare la valigia sul portaborse e subito iniziò a raccontarmi della figlia che era appena stato a trovare, dei nipotini a cui aveva portato il consueto regalo di natale e al cognato che non apprezzava troppo, ma che offriva sempre del buon vino. Guardai l'orologio di nascosto, quasi non volessi farmi vedere di essere impaziente della partenza del treno, prima parte prima arriva. Mancava esattamente un minuto alle fatidiche 18.26, quel minuto che cambiò la mia vita.

Sentì il treno accendere i motori, lasciare il solito fischio e una voce metallica interruppe il logorroico vecchino che era arrivato a raccontarmi della moglie morta sette anni prima e dei loro gatti che amavano tanto ed erano come dei figli. Il treno fece uno scatto, gli ingranaggi iniziarono a muoversi, ma inaspettatamente si bloccò di nuovo. Nessun annuncio, nessun problema. Tornai assorta nei miei pensieri con un orecchio che ascoltava il racconto della vigna che cresceva e con l'altro che ascoltava il silenzio della stazione a quell'ora del sabato sera, interrotto solo dagli schiamazzi di qualche vecchio barbone che inveiva contro non si sa chi. Il treno ripartì. Passarono i minuti e ormai il signore era arrivato a raccontare della seconda guerra mondiale, del suo operato da partigiano e da alpino, quando intravidi una figura colma di borse avvicinarsi nel corridoio.
Era un ragazzo, abbastanza alto, forse un po' troppo magro e piegato sotto il peso delle sue valigie. Si fermò proprio al mio posto, probabilmente cercando nelle le tasche il biglietto. Trovata la scritta del posto si sedette proprio di fronte a me, urtandomi dapprima con un ginocchio e poi schivandomi per un soffio la faccia con una sacca da calcio che stava cercando di ammucchiare sul porta borse assieme agli altri bagagli. Finalmente incastrati e assicurati in modo che non potessero cadere, si sedette, fece un lungo sospiro. E un sorriso, rivolto a me. Si tolse la giacca e la sciarpa lasciando spuntare una camicia a quadri semi aperta, da cui si intravedeva una collana con una tartaruga e la linea sottile di un tatuaggio. Subito distolsi lo sguardo dal suo, tornando ad ascoltare il vecchino accanto a me. Ma non riuscivo a smettere di osservarlo, come farebbe un ornitologo con un raro esemplare di uccello esotico. Notai che aveva un accenno di barba, quella rada che hanno i ragazzi giovani e che spacciano per matura e virile peluria. Vidi con la coda dell'occhio che dalla sua borsa estraeva un paio di cuffiette tutte annodate e un libro. Con pazienza e dedizione, le due qualità che a me mancavano del tutto, si mise a snodare i fili delle cuffie, come farebbe un bravo sarto mentre intesse il suo miglior abito. Cercavo di non guardarlo troppo, lo guardavo di sottecchi e appena vedevo che alzava gli occhi subito distoglievo lo sguardo come per paura di essere vista curiosare. Ma ero attirata da lui, una scarica elettrica mi attraversava dal naso alle ginocchia, le mani mi sudavano e sentivo le mie guance infuocarsi ad ogni suo movimento. Avrei voluto parlargli, avrei voluto chiedergli il suo nome, il significato di quel tatuaggio, la trama del libro che teneva sulla gambe, il perché di una tartaruga al collo, il perché del suo viaggio. Ma ero una persona timida, riservata, tenevo per me le considerazioni e i giudizi, mi mostravo cordiale ma mai invadente. Eppure avevo una frenesia addosso che mi faceva tremare tutto il corpo. Ormai non stavo più ascoltando il vecchino accanto a me, sentivo solo ogni tanto qualche parola; le mie orecchie erano tese a percepire ogni movimento di quel misterioso ragazzo, come un elegante felino che silenziosamente tende un agguato ad un topolino. Mi passavano per la mente migliaia di modi per iniziare ad interagire con lui, ma subito mi dicevo che non ero il tipo, o che lui probabilmente non era il tipo da smancerie o cose simili. Ma non ebbi bisogno di nessun escamotage. Senza accorgermene una grassoccia signora si era accomodata accanto a lui. Forse sentivo un po' la gelosia per quel piccolo contatto fisico che invece io non riuscivo ad avere, essendo io di statura piccola. All'improvviso si mosse e un po' goffamente spintonò la signora, che dapprima sbuffò, poi si girò a chiacchierare ad altissima voce con un'altra signora in carne della fila affianco, dando le spalle al ragazzo. Lui tentò di scusarsi, ma la signora non si girò a rispondergli. Sul suo volto comparve un leggero sorriso, quasi una risata soffocata, che scoprì una dentatura  perfetta e bianchissima. Il suo sguardo si spostò dalla signora a me. Sentì il mio viso incendiarsi perché mi ero accorta di aver osservato la scena senza nascondermi, fissando ogni suo movimento ed espressione. Distolsi subito lo sguardo, lo rivolsi verso il finestrino. Un lieve sorriso apparve involontariamente sul mio volto, lo guardai per l'ultima volta e poi chiusi un istante gli occhi, crogiolandomi nel pensiero del suo sorriso.
 


Lasciatemi un commento, negativo o positivo che sia, e vi risponderò in men che non si dica! Sono felice di leggere le vostre critiche e i vostri consigli, accetto e segno tutto nella mia memoria! :)
   
 
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