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Autore: vereor cruz    07/04/2016    3 recensioni
Primo tentativo di Drarry su questo sito.
"Era pronto a dimostrare a chiunque che non aveva cattive intenzioni, che non intendeva comandare il mondo, che non intendeva assoggettare l'umanità come alcuni suoi predecessori avevano fatto, e che no, non gli interessava neppure essere adorato come nuova divinità new age.
Non che avesse niente in contrario all'adorazione."
Draco scopre di essere un 'tipo caliente'. Nel vero senso della parola.
Drarry, se continuo.
Genere: Angst, Comico, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Draco Malfoy, Harry Potter | Coppie: Draco/Harry
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
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Prologo

 

Qualche volta il mondo è proprio ingiusto.

Ok, si rende conto che, se a dirlo è un ragazzino undicenne, viziato al punto da ammetterlo persino di persona, in quei rari attimi in cui si approccia altruisticamente al mondo, unico erede di una delle famiglie più ricche e potenti dell'Inghilterra degli ultimi tre secoli (almeno), è molto probabile che nessuno lo prenderà sul serio.

Ciò non toglie che sia vero: il mondo a volte è proprio ingiusto.

In fondo, che cosa voleva? Cosa ha chiesto di troppo questa volta?

Non avrebbe forse fatto poco di diverso da quello che qualsiasi altro suo coetaneo avrebbe fatto, trovandosi di fronte l'opportunità di conoscere una persona famosa e importante come Potter, incontrandolo addirittura sul treno, o sulle scale della scuola?

È pronto a scommettere che quell'insopportabile pel di carota di Weasley, qualsiasi sia il suo nome, il pezzente che sta accanto al Ragazzo d'Oro con adorazione e l'aria di essere un super figo perché è accanto niente meno che a Harry Potter, non ha fatto una figura certo migliore della sua, quando ha capito chi aveva di fronte.

Almeno, Draco ci è arrivato subito, senza bisogno di farsi indicare il ragazzino basso e sparuto, occhiali rotondi che facevano un egregio lavoro nel rovinare il paio d'occhi sottostanti davvero ammirevoli, con quei capelli neri come il peccato (sempre che il peccato sia nero), da qualsiasi altro imbecille che, come loro, frequenterà per i prossimi anni la scuola di magia e stregoneria di Hogwarst.

E Potter no, Potter no, non solo non gli ha stretto la mano, facendogli fare la figura dello stupido davanti a tutti, per altro pure dopo che quel cretino dai capelli rossi aveva appena riso del suo nome di battesimo (se era del nome della sua famiglia che rideva, gli resta ben poco da vivere. Draco non sarà particolarmente imponente, ma sa farsi valere. Sopratutto se si tratta di rovinare la vita a qualcuno che non sopporta) Potter gli ha dato dello stronzo, anche se non proprio direttamente, e ha preferito l'amicizia di un Weasley conosciuto da un'ora a quella di Draco Malfoy.

Il mondo è proprio ingiusto.

Ok, forse sta esagerando, forse passare le due ore successive a lamentarsene seduto su qualsiasi superficie riesca ad appoggiare le chiappe per meglio immergersi nella sua autocommiserante, arrabbiata riflessione è un filino superare il limite, ma, beh, non è che abbia di meglio da fare.

Si è appena giocato l'occasione di fare amicizia con Potter, e non sa neppure come dirlo ai suoi genitori. Ha la vaga sensazione che li renderebbe estremamente delusi nei suoi confronti, e non sia mai che suo padre gli rivolga un'altra volta quello sguardo di delusione come quella volta che non ha passato quello stupido test alle elementari con i voti più alti di tutti. Draco si è sentito così male da non riuscire a cenare quella sera, e non è neppure riuscito a dormire. Ogni volta che chiudeva gli occhi rivedeva gli occhi grigi di Lucius Malfoy, alto, i capelli sciolti sulle spalle, il naso all'insu con sdegno, mentre fulmina il suo unico figlio, che scioccamente sorride reggendo una pergamena che lo certifica come “secondo qualificato”.

Su cinquanta.

Poco importante, come dettaglio, per suo padre, all'epoca, figuriamoci se lo sarà adesso il fatto di non avere passato la cernita di Potter quando la competizione era così più alta.

Diamine, non solo Potter non lo ha scelto per primo, non solo non lo ha proprio scelto, ma si è addirittura rifiutato di parlare con lui, di stringergli la mano, di... Diamine! Solo perché ha detto le cose come stavano su quel cretino di Weasley!

Il rosso deve avergli certamente fatto il lavaggio del cervello.

Suo padre ha ragione, quelli come lui, traditori di sangue, sono capaci di tutto. A Draco è stato insegnato che nulla di male è insito in una natura infida, se volta al beneficio della famiglia. I Weasley, però, rappresentano un tipo di “infidità” che è rivolto solo al dare fastidio alla brava gente come la famiglia di Draco, e questo Draco non può certo tollerarlo. Nessun Malfoy potrebbe.

Chissà da quanti anni va avanti la faida, effettivamente.

Non che gli importi.

Adesso importa solo lamentarsi del fatto che Potter lo ha scartato, e preoccuparsi di come dirlo ai suoi genitori. Del resto, non è che passerà i prossimi sette anni a insultare quell'antipatico, rachitico affarino con i capelli più disordinati che abbia mai visto, no?

 

Due giorni dopo Draco trova il coraggio di scrivere a suo padre che Potter non ha accettato di stringergli la mano, e che anzi gli ha preferito Weasley. Se Draco era certo di stare scrivendo la sua ultima lettera, e che, dopo avere ricevuto una notizia del genere, persino sua madre non avrebbe avuto più nulla da opporre all'idea di trasferirlo in quel posto dimenticato dalla civiltà che è la scuola di Durmstang, ebbene, si immagini la sua sorpresa, quando suo padre gli aveva risposto, e di persona, non solo consolandolo (una cosa che suo padre aveva smesso di fare prima che Draco riuscisse a ricordare), ma persino lodandolo di avere comunque stabilito chi fosse a comandare con Weasley, e in generale di non crucciarsi troppo, perché Potter, nonostante fosse così famoso, era pur sempre un mezzosangue figlio di traditori di sangue, ergo un poco di buono.

Draco aveva undici anni, andava per i dodici (cosa che chiaramente iniziava a dire già dal giorno dopo il suo undicesimo compleanno), e c'erano molte cose che ancora ignorava del mondo, ma certo non era stupido, né lento come suo padre a volte doveva evidentemente pensare che fosse. Perché Draco, il tatuaggio sull'avambraccio di suo padre, sapeva bene cosa fosse. Cosa significasse. Da che parte era stato suo padre nella guerra appena trascorsa, e con lui la sua famiglia.

Esattamente dalla parte opposta di Potter.

Ecco perché a suo padre non era importato che Draco non fosse riuscito a farci amicizia, e, anzi, era addirittura stato contento del contrario. Perché, nonostante la fama del ragazzino, suo padre non lo poteva vedere, lo detestava, lui, quello che rappresentava, e quello che il fatto che lui fosse sopravvissuto comportava.

Se Draco si era da un lato sentito confortato dalle parole di suo padre, dall'altro, riflettendoci bene nei giorni a seguire, ne era stato spaventato a morte. Perché suo padre era stato un Mangiamorte. Aveva ucciso qualcuno. Aveva torturato qualcuno. Aveva combattuto una guerra dalla parte opposta di Potter e di quelli che insegnavano a Draco la storia, la geografia, e come in teoria bisognerebbe comportarsi al mondo. Suo padre era un assassino, e aveva creduto nell'uomo che aveva ucciso i genitori di Potter.

Ora, ad undici anni, con la possibilità che il Signore Oscuro resuscitasse più bassa che i capelli di Draco diventassero improvvisamente blu di loro spontanea iniziativa, Draco certo non si preoccupava di quello che suo padre avrebbe fatto se il suddetto Signore Oscuro fosse tornato. Se fosse scoppiata un'altra guerra. No, Draco si preoccupava del fatto che qualcuno potesse scoprirlo, e allo stesso tempo cercava di capire come ci si aspettava che si comportasse lui, che era figlio di un Mangiamorte, che era l'ultimo erede di una famiglia che aveva disprezzato fino ad odiare i babbani e i traditori di sangue, che era fiero di essere un Purosangue e che non avrebbe mai recato vergogna al nome della sua famiglia. Lui era un Malfoy, e se tutto quello che essere un Malfoy significava era odiare quello che Potter rappresentava, quale modo migliore di vendicarsi per quel rifiuto iniziale a stringergli la mano? Quale modo migliore per fargliela pagare che decidere di ergersi a nemico personale di quel bastardello ignorante che neppure si sapeva perché era ancora vivo, quando il mago più potente del mondo dopo Merlino era ingiustamente morto, per capriccio della sorte?

Fortunatamente, essere un Malfoy significava anche essere altre cose, cose su cui era più sano che un ragazzino undicenne si focalizzasse. Cose tipo, essere ricco e non vergognarsi di ostentarlo, cose tipo essere bravo a scuola, cose tipo essere popolare, cose tipo corteggiare le ragazzine e poco importa se ad undici anni non sarebbe mai riuscito ad ottenere più di un bacio sulla guancia (se c'era una cosa di cui però moriva dalla voglia di fare, era prendere una di quelle ragazze, ribaltarla, e cominciare a scavare sotto gli strati di gonne che portavano e vedere cosa c'era sotto, come era fatto, ciò che c'era sotto, e vedere cosa mai ne poteva ricavare, da tale esplorazione). Cose tipo essere cercatore della squadra di Quidditch della sua casa, cose tipo impegnarsi per non essere secondo a nessuno, maledire gli unici due più bravi di lui rispettivamente a Quidditch, cioè Potter, e più o meno in tutte le materie, cioè quello sgorbio mal riuscito dal sangue fetido e misto che era la Granger.

Cose che lo impegnarono parecchio, al primo, al secondo, al terzo anno.

A quel punto, arrivò Gabrielle.

E il pugno con cui quella stronza della Granger gli ruppe il naso. E la nausea che seguì l'incantesimo con cui Madama Chips glielo aggiustò, che lo perseguitò per giorni.

E quello stupido ippogrifo che si alleava con Potter e rifiutava di rendere omaggio a lui, l'eccellenza del sangue magico inglese.

Cose che lo impegnarono anche il quarto anno, quando al ballo del ceppo, per fare dispetto a Gabrielle, portò Pansy, e scoprì che diamine c'era, sotto quelle gonne, e, oh buon Merlino, se gli piacque quello che ci trovò!

Cose che lo impegnarono parecchio l'anno che la Umbridge arrivò a spodestare Silente, cose che lo impegnarono sempre meno, più si rendeva conto, quello stesso anno, che suo padre, ogni volta che lo vedeva, o che gli scriveva, sembrava sempre più stanco, preoccupato, poi stranamente entusiasta e irrequieto, e infine si fece sbattere in galera, e a quel punto si aprirono le porte dell'inferno, perché, BOOM! Voldemort era tornato.

BOOM! Draco era stato marchiato con il maledetto Marchio Nero che tanto aveva odiato vedere sul braccio di suo padre.

BOOM! Draco doveva uccidere Silente.

BOOM! Draco doveva uccidere.

BOOM! Draco aveva fatto una pessima figura con sé stesso e chiunque avesse un paio di occhi, un cuore ed un cervello, tutto il suo sesto anno, per non parlare dell'inferno che patì al settimo. O dell'umiliazione di farsi salvare il culo da una stanza in fiamme da niente meno che Potter, il tanto denigrato eroe del mondo magico che tornava indietro a salvarlo, lui e quello stupido di Goyle.

Quando la guerra finì, e i Malfoy si trovarono divisi fra una sentenza di due anni sulla testa di Lucius, il proscioglimento totale da ogni accusa per Narcissa e sei mesi di arresti domiciliari per Draco, la famiglia dei Malfoy era ancora ricca come sempre. Le terre che erano loro di diritto erano sempre loro, i beni sempre loro, i gioielli sempre loro, le azioni sempre loro, le compagnie di investimento che venivano svolte in loro nome sempre loro. Tutto come prima, a parte Draco che per sei mesi non aveva messo piede fuori dal castello, Narcissa che aveva scoperto di avere un'incredibile propensione artistica per l'acquarello e si era data all'arte, raggiungendo una certa fama con opere che persino suo figlio non poteva che chiedersi come diavolo avessero fatto a provenire da sua madre, e Lucius rinchiuso in una cella ad Azkaban che cercava di conservare il senno.

Oh, e Draco aveva scoperto di avere un piccolo, leggero, minuscolo problema con il fuoco.

Non incubi, come chiunque avrebbe potuto pensare dopo la sua esperienza con quel pessimo Fiendfire usato da Tiger nella Stanza delle Necessità. Ben altro.

Aveva scoperto, passando accanto ad ogni camino acceso, ad ogni candela, ad ogni maledetto fiammifero, persino alle scintille inevitabili che scoccavano ogni volta che sbatteva qualcosa di metallico contro le pareti di pietra dei sotterranei nel vano tentativo di sfogarsi, che il fuoco gli parlava.

Sussurrava, a voce bassa, una voce sommessa e distintamente maschile, una voce abbastanza giovane ma più vecchia della sua, raccontava storie di persone che Draco non aveva idea fossero mai esistite, tutti maghi, tutti maschi, tutti ragazzi che alla sua età avevano scoperto, passando accanto ad un fuoco acceso, per caso, di poterlo sentire. Di poterlo ascoltare.

Draco aveva pensato di stare impazzendo, la prima volta.

Per la verità, aveva pensato in sequenza: A, ad un incubo. B, ad uno scherzo. C, ad una maledizione. D, a qualcuno che si vendicava su di lui per qualsiasi cosa avesse fatto (nei due mesi successivi alla guerra era diventato un filino paranoico, caratteristica che ancora non gli era del tutto passata. Lui la chiamava “prudenza”) in passato, e questo era il risultato.

Eppure, si era assicurato di essere sveglio

Niente incubo.

Si era assicurato di non essere oggetto di maledizioni.

Niente maledizione.

Si era fatto esaminare, e non era stato riscontrato nessun incantesimo agente su di lui.

Niente incantesimo lanciato da qualcuno che voleva vendicarsi.

Si era assicurato, e questo era stato imbarazzante, che né sua madre né Pansy (passi la ragazza, ma sua madre non gli avrebbe mai mentito in merito) sentivano alcunché, passando accanto alla fonte di fuoco che lui sentiva parlare.

Niente scherzo.

Draco, a quel punto, si era letteralmente cagato in mano dalla paura.

Peggio che quando Voldemort aveva preso possesso di casa sua e ci si era installato, perché all'epoca aveva saputo di cosa sarebbe morto. Lentamente e dolorosamente, o velocemente e senza patire, ma le possibilità andavano sempre verso quegli unici due esiti.

Questa volta, però non aveva la minima idea di cosa stesse succedendo.

Di verso cosa stesse andando.

E poi, era successo l'inevitabile.

Alla fine dei sei mesi di arresti domiciliari, Narcissa Malfoy aveva proposto al figlio di accompagnarla ala sua prima esposizione a Diagon Alley, in una delle sale del Ministero della Magia che erano state messe a disposizione ad artisti per la mostra che celebrava la fine della guerra e il bisogno di recuperare solidarietà sociale e bla bla bla. Sua madre esponeva due quadri, un acquarello e un olio, la versione notturna e diurna di uno stesso incantevole paesaggio che si vedeva da Villa Malfoy, una serie di giardini dove fiori bianchi sbocciavano lentamente a ben simboleggiare il mondo magico che ritornava ad aprirsi dopo le atrocità della guerra. Che un quadro così sottilmente ma allo stesso tempo direttamente politico fosse stato presentato proprio dalla signora Malfoy aveva fatto scalpore.

In positivo.

I critici e la stampa l'avevano letta come un invito, anche da parte di chi poteva ancora covare risentimenti, a superare le ostilità, come una richiesta di perdono da parte di chi aveva sofferto per colpa sua e dei suoi, e un invito ad andare avanti.

A Draco la tela ad acquarello notturna aveva letteralmente tolto il respiro.

La famiglia Weasley era stata presente, e la signora Weasley, sul cui viso grasso e segnato dal tempo e dai parti Draco aveva visto più rughe di quante ne ricordasse, nel suo semplice ma tutto sommato elegante abito grigio chiaro, aveva fatto i complimenti a sua madre, e aveva espresso apprezzamento per l'opera. Sua madre, Draco ancora doveva capire perché stesse parlando a quella donna, lo aveva sorpreso fino a fargli quasi venire un infarto, offrendosi di regalarglielo.

Accennando alla morte di uno dei suoi figli, e aggiungendo che un quadro, seppure pregevole (e nell'auto-elogio Draco aveva finalmente riconosciuto sua madre), non poteva certo compensare la perdita di un figlio. O il fatto che la sorella avesse quasi ammazzato la futura nuora dell'acquirente, era stato implicito per entrambe le parti, dal momento che all'evento c'erano anche Potter, la Granger e l'ultimo maschio Weasley.

Già la situazione aveva raggiunto livelli di assurdità tali che Draco aveva temuto di essere finito in qualche universo parallelo, senonché, il fuoco aveva iniziato a sussurrargli di nuovo. Non che avesse mai smesso, ma si era quanto meno azzittito da quella mattina, quando gli aveva semplicemente raccontato di uno degli ultimi maghi con cui si era intrattenuto, e poi, puff! Sparito.

Era tornato, chiamando Draco da qualche punto molto lontano, e la voce gli era arrivata come un sussurro insistente difficile da localizzare. Non che importasse capire da dove proveniva, quando il messaggio era “stai attento, questo tizio vuole ammazzare tua madre”.

Di fatto, un uomo aveva cercato di avventarsi su sua madre, bacchetta in pugno da cui aveva fatto partire un lampo di luce verde che Draco ben conosceva.

Attimo di gelo.

La signora Weasley, brava donna anche lei, con gli occhi sgranati, aveva spalancato la bocca in un grido e alzato le mani, a metà fra lo schermarsi da una maledizione imparabile e che non era diretta a lei, e proteggere la donna di fronte a lei.

La Granger, poco lontano, che gridava qualcosa.

Weasley, sia il maschio che la ragazzina, che gridavano a loro volta qualcosa.

Potter che aveva estratto la bacchetta con una prontezza di riflessi che Draco non aveva mai visto in un essere umano.

Gli Auror nei paraggi che stavano ancora estraendo le loro, quando qualcosa si era inframmesso fra Narcissa Malfoy e il lampo di luce verde.

Un muro di fuoco alto due metri e largo uno, che aveva assorbito la maledizione e si era scagliato su chi l'aveva lanciata, facendolo chiaramente cadere a terra, bacchetta persa, tra alte grida di ovvie e comprensibili sofferenze.

Vedi un po' te se non urli mentre vai arrosto.

E Draco, in tutto questo, che aveva ancora il braccio teso verso il punto dove poco prima stava lo scudo di fiamme, gli occhi vitrei come uno che non è in casa al momento e il cui cervello e controllato da altri, con nessuno oltre a lui e alla voce del fuoco nella testa, assolutamente fermo, gambe divaricate, braccio teso, spalle larghe, sguardo vitreo sì, ma deciso.

Silenzio.

Poi, alle orecchie di Draco erano arrivate le urla di atroce dolore dell'uomo che si rotolava a terra e non riusciva a spegnere le fiamme, la cui carne iniziava a puzzare e a staccarsi dalle ossa. Urla degli Auror, che non aveva capito bene cosa intimavano, di abbassare la bacchetta forse, senza che evidentemente avessero visto che la mano di Draco era vuota, oltre che ben aperta, le dita distese così da rendere impossibile persino provare a tenerla, la bacchetta.

Urla della signora Weasley, le mani al petto, lo sguardo orripilato sull'uomo che bruciava.

Urla dei Weasley.

Urla di Potter che lo guardava e gridava “Malfoy, smettila”.

E di fare che?

OH, giusto.

L'uomo stava ancora bruciando.

Perché lo aveva mandato a fuoco lui.

Draco.

Con il fuoco che fino a quella mattina si era limitato a raccontargli storielle di quello che altri maghi in passato avevano fatto con quella strana capacità che aveva appena dimostrato di possedere anche lui.

E Draco aveva fissato un uomo rotolarsi e gridare e morire carbonizzato proprio di fronte ai suoi piedi, il gelo nell'animo, perché, insomma, quel tipo aveva cercato di ammazzare sua madre, no?

Gli occhi grigi di Draco, ancora non del tutto in sé, avevano incontrato quelli terrorizzati di sua madre.

Ouch.

Sua madre aveva paura di lui.

“Draco” aveva detto: “Draco smettila. Fermati. Lascialo”.

Lasciarlo?

E come diamine avrebbe fatto, anche qualora avesse voluto?

Beh, 'qualora avesse voluto' un accidente. Voleva farlo. Il 'come', però, era un problema.

E tre secondi dopo le fiamme svanirono.

Puff! Niente più arrosto ai piedi di Draco e Narcissa Malfoy.

O dei Weasley.

O di Potter, che, un po' inorridito, guardava la scena con le dita strette attorno alla bacchetta.

Di nuovo la sua, per altro, e non quella di Draco che gli aveva sottratto mesi prima.

Draco aveva abbassato il braccio.

L'uomo, privo di sensi, era stato portato via da due Auror, mentre altri due avevano mormorato qualcosa circa il dovere fare rapporto riguardo l'accaduto e capire cosa fosse successo.

Draco li aveva fissati con occhi che lentamente erano tornati normali.

Sua madre non lo guardava più con paura.

Il mondo aveva scoperto che Draco Malfoy era uno di quelli che una volta venivano chiamati 'piromani', come se la loro abilità inspiegabile di parlare con il fuoco e piegarlo alla loro volontà fosse un gioco perverso e malato a cui si dedicavano.

Gente che si credeva estinta da secoli, gente di cui non si sapeva nulla da secoli.

Gente che era stata considerata una via di mezzo tra un malato, uno scherzo della natura di cui avere sacrosanta paura, e, magari, anche un po' venerazione, e gente che diventava addirittura oggetto di culto, perché quel controllo su un elemento della natura sembrava quasi divino.

E adesso il mondo aveva scoperto che ce ne era ancora uno, che un piromane camminava fra la gente nelle strade di Londra. Beh, non quella babbana, possibilmente,

Draco Malfoy.

Potter non gli aveva più tolto gli occhi di dosso un secondo.

 

 

Draco si era sottoposto ad una serie infinita di esami, medici, magici, di qualsiasi tipo.

Era pronto a dimostrare a chiunque che non aveva cattive intenzioni, che non intendeva comandare il mondo, che non intendeva assoggettare l'umanità come alcuni suoi predecessori avevano fatto, e che no, non gli interessava neppure essere adorato come nuova divinità new age.

Non che avesse niente in contrario all'adorazione.

Aveva solo premura di stabilire che io, Draco, buono, no uccidete me, grazie, e poi, il passo successivo. Possibilmente: io, Draco, buono, voi, gente, me rispetta e venera e ok, ma soprattutto no rompe le scatole.

Con un pizzico di: Io, Draco, io, ricordate? Malfoy! Io, persona importante! Voi, Ooooooooh, grande venerabile Draco!

Banalizzando, quello era stato il suo piano.

Ergo, sottoporsi ad ogni santo inquisitorio stupido imbarazzante esame, più o meno un giorno sì e uno no, a volte anche uno sì e uno sì, per almeno i due mesi successivi all'episodio.

Con il tempo, Draco aveva dimostrato di controllare il fuoco senza esitazione alcuna, l'elemento che gli rispondeva come se fosse stato un arto del suo corpo, tipo, un terzo braccio, una terza gamba. Un secondo pisello. Uh, le battute che aveva dovuto frenarsi dal fare quando ne aveva parlato con Theodore Nott e Blaise Zabini, uniche creature al mondo che Draco osasse chiamare 'amici'.

Il ministero inizialmente gli aveva chiesto di sopportare la presenza di alcuni Auror in casa sua. Un modo velato di dire che gli estendevano gli arresti domiciliari per altri due mesi, con tanto di guardie in casa. Alla fine, però, la gente si era data una calmata. Draco Malfoy non aveva cattive intenzioni, questo era il messaggio, ed era stato ben assorbito.

Ovviamente, la pubblicità e il potere della famiglia Malfoy, e di Draco in particolare, avevano raggiunto livelli stratosferici, secondi solo a Potter.

E sì, ancora gli seccava lasciare che lo studiassero come un animale strano una volta a settimana, ma, se era il prezzo da pagare per la notorietà, forse poteva lasciare correre.

Per il momento.

 

 

 

Che dite, proseguo?

VQA

   
 
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