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Autore: Hatred    07/04/2016    3 recensioni
Le dita scivolavano sulla seta, ruvide, inconcludenti.
Non era mai stato bravo ad allacciare le cravatte.
Genere: Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Tooru Oikawa, Wakatoshi Ushijima
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Così appassiscono i fiori
 
Un giro a destra.
Incrocio.
Un nodo.
Non viene.
Sciolse il nodo non ancora stretto della cravatta.
Un giro a destra…
Le dita scivolavano sulla seta, ruvide, inconcludenti.
Non era mai stato bravo ad allacciare le cravatte.
Incrocio.
Si fermò.
Osservò l’immagine che gli restituiva lo specchio ingiallito del bagno: un se stesso goffo, malvestito e ricurvo; un viso orlato da capelli radi, con un reticolo di rughe dalle ombre nere che incastonavano un naso divenuto estremamente grosso sotto a due occhi troppo piccoli.
Sbuffò.
E gli sovvenne un’altra figura. Quella di un uomo di tanti anni prima, ritto e accigliato davanti a un se stesso racchiuso in un disegno diverso. Con mani grandi e scure scioglieva il nodo della cravatta, del tutto, poco importava se era malfatto o semplicemente incompleto ma ben avviato. Perché lui era fatto così: era mancino e testardo, e doveva fare le cose in un certo modo, o non le faceva affatto. Ed il se stesso di allora sbuffava, e guardava da un’altra parte, senza imparare, mai. Non aveva ricordo di un solo nodo alla cravatta fatto bene senza l’aiuto di qualcuno.
Quel qualcuno era stato quell’uomo, per tanti, brevissimi anni; dacché i capelli scuri di entrambi non erano divenuti bianchi, la pelle tesa del volto non era raggrinzita e le gambe, che avevano a lungo corso e saltato nei momenti migliori, non si erano lasciate andare in un dolore stanco.
Rimase così, a guardarsi allo specchio con la cravatta slacciata, senza badare al rumoroso tic-tac della pendola del salotto che scandiva, sempre uguale, attimi di vita vissuta.
Fece scivolare la seta attraverso il colletto della camicia e l’allontanò dal suo collo. Non riusciva proprio ad annodarla.
A che gli serviva, poi, una cravatta? Non doveva farsi bello per nessuno. Come se fosse ancora possibile, per un vecchio, essere attraente.
Si ricordò di quella volta che, ai tempi in cui era bello per davvero, aveva detto, canzonando:
“Lo sai che statisticamente i mancini vivono di meno? Non sarai tu a seppellirmi, Ushiwaka-chan!”
Lui aveva alzato la testa da una rivista di pallavolo che sarebbe fallita cinque o sei anni dopo. Era serio, come sempre. D’altra parte non si era innamorato di lui per l’esuberanza o la simpatia. Non ricordava nemmeno più com’era iniziata la loro storia. Forse per scherzo, o magari per gioco, o per una scommessa sfuggita di mano.
“Mi dispiace” aveva risposto.
“Ti lascerò solo.”
 
Il vecchio abbandonò la cravatta sul letto, afferrò il bastone di legno ed uscì, lasciandosi alle spalle il rumore della pendola.
  
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