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Autore: Sveck    07/04/2016    8 recensioni
«E come potrei dimenticare l’Innominabile?» domandai in modo retorico, sospirando al ricordo di tutti i peggiori momenti passati a consolare la povera Liv.
«Esattamente. Non è proprio una cosa che amo particolarmente ricordare, ma come tu sai, era sempre lui quello a lasciarmi; dopo la terza o la quarta volta, avevo cominciato a riconoscere i vari sintomi di un’imminente rottura, tant’è che in seguito cercavo di evitare qualsiasi situazione che potesse direzionarmi verso un cattivo presagio. Kris, Elijah sarà pure stato un pazzo che reputava le abitudini come la morte di una relazione, ma i segnali non possono essere tanto diversi da quelli di qualsiasi altra relazione. E lo sai qual era in assoluto il primo indizio? “Cara, stasera salto la cena. Vado a festeggiare la laurea di Gesù. Baci, baci, baci, baci”».
Genere: Commedia, Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Le ci erano voluti una ventina di minuti per convincermi a prenderla sul serio; ogni qualvolta nominava Elijah e cominciava ad elencare alcuni dei sintomi che, tempo fa, le facevano intuire le chiare intenzioni del ragazzo di lasciarla, la mia mente orientava i propri pensieri sulla dispensa di cibo presente nell’appartamento che condividevo da poco più di un anno con Theo ed alla cena che non avevo per nulla voglia di preparare. Inoltre, l’idea di passare l’intera serata da sola m’irritava, e non poco: il divano a tre posti sarebbe stato più scomodo del solito, il telecomando si sarebbe letteralmente fuso nelle mie stesse mani per lo zapping agonistico e nessuno mi avrebbe impedito di vedere un documentario strappalacrime sulla gravidanza per poi giungere alla conclusione che i bambini rappresentavano solo delle disgrazie. L’unico aspetto positivo che mi passò fulmineo per la testa fu il fatto di avere la rara possibilità di strafogarmi di carne fino allo svenimento senza ritrovarmi addosso lo sguardo di totale disapprovazione da parte della mia dolce metà, la quale si vantava in continuazione di seguire assiduamente una sana dieta vegetariana da circa dieci anni. Diverse volte aveva provato a convertirmi all’insalata, ma il solo pensiero della reazione di mia madre nel momento in cui sarebbe venuta a sapere di avere una figlia erbivora mi terrorizzava a tal punto da rendermi del tutto indifferente a qualsiasi espressione amareggiata dipinta sul volto scultoreo di Theo. Ad ogni modo, nemmeno con tutta la buona volontà presente sulla Terra avrei acconsentito a rinunciare alla carne per più di mezza giornata, per il semplice fatto che per quanto ne sapessi, i Kipling erano sinonimo di carnivori accaniti. Come titolare di uno Steakhouse piuttosto frequentato, Koraline Kipling nutriva la sua prole esclusivamente con cibi a base di carne; in questo caso fui indubbiamente più fortunata rispetto ai miei fratelli che non avrebbero mai dimenticato la quantità immensa di omogeneizzati di pollo e le bistecche per merenda. Un cosa era certa: nessuno di noi si sarebbe mai lamentato di ingerire poche proteine. 
«Kris, mi vuoi ascoltare? Ti prego!» pronunciò Liv, risvegliandomi dai miei pensieri. Tutto ciò che avevo colto nel suo discorso si poteva riassumere in un misero “Blah, blah, blah” e glielo avrei senz’altro riferito se non avessi provato pena per il suo tono disperato e l’orribile smorfia che le deformava il viso in modo tutt’altro che aggraziato; per l’ennesima volta mi trattenni dal dirle quello che pensavo. Appoggiai la testa sul palmo di una mano, sbuffando sonoramente per la mia eccessiva bontà d’animo ereditata da qualche parente a me sconosciuto; osservai la mano della ragazza avvicinarsi lentamente al mio polso e prima ancora di rendermi conto delle mie azioni, lo ritrassi. 
«Non toccarmi, Olivia. Non toccarmi» le intimai, assottigliando gli occhi. 
«Kristina, si può sapere che ti prende?» 
L’espressione accigliata di Olivia lasciava trasparire una certa preoccupazione che non seppi spiegarmi. Il mio atteggiamento non mi sembrò così insolito e lei mi conosceva da fin troppo tempo per non sapere che alcuni dei suoi comportamenti continuavano tutt’ora ad arrecarmi un certo fastidio e viceversa, nonostante facessero oramai parte della quotidianità. Eppure ci ostinavamo a passare diversi momenti delle nostre giornate insieme. 
«Non mi prende assolutamente niente. Lo sai che non mi piace essere toccata quando sono scocciata»
«Sì, sì, ma ora ascoltami. E questa volta intendo stressarti fino a quando non riceverò la tua piena attenzione, come quella che indirizzi a Rafael quando si toglie la camicia» disse inarcando le ciglia e gesticolando con tutto il corpo. 
«Non esageriamo» ammisi senza vergogna. Liv non poté fare a meno di convenire con la sottoscritta.
«Hai ragione, che cosa mi è saltato in testa? Comunque, fai questo sforzo, okay? Sto cercando di aiutarti»
«Ma di che parli?» le chiesi, sinceramente confusa. 
«Parlo di te e Theodor, del fatto che vi vedete solo quando gli va e che questo accade solo sul divano.»
Ciò che stava dicendo non era del tutto falso, perciò non provai minimamente a contraddirla. 
«E tu come fai a saperlo?»
«Me l’hai detto tu! Non fai altro che lamentarti in continuazione da quando il tuo uomo ha cominciato a posare per qualche fotografo importante e che da un momento all’altro potrebbe essere contattato da una agenzia in Europa. Conoscendolo non posso fare altro che dirti che hai ragione a preoccuparti, perché in quel caso si trasferirebbe senza pensarci due volte; preferisce di gran lunga farsi fotografare alle ragazze disperate che fingono di aver bisogno di un personal trainer per il solo scopo di potergli parlare senza passare per troie.»
Incurvai leggermente le labbra verso il basso, contrariata dalla scelta di parole di Liv; aveva nuovamente ragione, nonostante la verità fosse molto più dura da digerire di quanto invece lei lo avesse fatto sembrare. Mi sarebbe servito parecchio tempo prima di abbandonarmi alla rassegnazione che le cose sarebbero state completamente diverse se Theo non avesse avuto questa fissa del modello; sebbene cercassi di sostenerlo per ogni suo tipo di scelta, questa in particolare rimaneva un chiodo fisso ed un nodo in gola per giorni ed anche settimane ogni qualvolta mi mostrava entusiasta alcuni scatti fatti fuori città o addirittura in uno dei paesi confinanti. Tutto ciò che riuscivo ad esternare era un sorriso affettuoso che faticava a raggiungere anche gli occhi ed un lungo abbraccio. Scossi la testa per scacciare quell’immagine dalla mente e cominciai a giocherellare con gli anelli che quella mattina avevo trovato per puro caso. 
«Ti ricordo che anche noi facevamo parte di quella categoria di ragazze»
«Sì, ma a quei tempi lui non era fidanzato» replicò convinta Olivia, come a sottolineare una sorta di giustificazione per il comportamento che aveva appena giudicato con un certo disprezzo. 
«Eccome se lo era! E con una di quelle stangone e mulatte che se ne vedono poche.» Non credevo fosse possibile dimenticare Josette nemmeno a distanza di un milione di anni: capelli ricci e scuri, pelle perfettamente levigata e due gambe che avrebbero fatto invidia a Naomi Campbell in persona. Spesso mi era capitato di chiedere a Theo se fosse stato sano di mente nel momento in cui aveva preso la decisione di lasciarla perché troppo opprimente e gelosa. Lui si limitava a ridacchiare ed a rifilarmi la stessa risposta di sempre: «Se non l’avessi lasciata, non avrei accettato di bere quella cioccolata calda con te.» 
«Che fine ha fatto?»
«L’ho investita» le dissi con un evidente tono sarcastico, che come sempre non riuscì a cogliere. Il binocolo con cui sorvegliava distrattamente i bambini finì rovinosamente a terra e mi domandai il motivo per cui ogni cosa dovesse scivolarle dalle mani: mi bastava guardare la sua bocca aperta e gli occhi sgranati per capire che non si aspettava una risposta del genere. Si alzò in piedi e tutto ciò che riuscii a sentire inizialmente furono alcuni borbottii che dovevano aver formato la frase “sono amica di un’assassina”. Quando finalmente notò le mie occhiatacce, riprese a parlare normalmente senza evitare un tono sorpreso. 
«Dici sul serio?! Perché? Ha cercato di rubart – oh, è finito il turno! Andiamo via da qui.» Ancor prima di terminare la frase con una spaventosa calma, girò i tacchi e mi fece segno di seguirla nella stanza in cui teneva tutte le sue cose; questa volta non mi zittii e le dissi chiaro e forte che non le avrei camminato accanto se fosse uscita con la divisa del Tony’s, ma non mi diede ascolto, come mi aspettavo, e continuò a spingermi sbuffando verso il parcheggio. Giunte alla mia macchina, un dubbio atroce prese possesso di me: aprii immediatamente la porta anteriore dell’auto, la misi in moto e controllai lo stato del serbatoio, imprecando quando notai la spia della riserva accesa. Il primo benzinaio nei paraggi si trovava ben lontano da dove ci trovavamo, ed inoltre avevo già speso tutti i soldi che avevo nel portafoglio. Di certo non sarei riuscita a tornare a casa mia, figuriamoci ad accompagnare Olivia. Non trovai e altra soluzione se non quella che mi saltò in mente. 
«Liv, la macchina è in riserva e conoscendola non farà nemmeno venti chilometri. Che ne dici se andiamo a cena da mia madre? Intanto faccio riempire il serbatoio da uno dei ragazzi ed evito a passare la serata a deprimermi.»
La ragazza annuì, senza veramente darmi molto ascolto; sembrava essere totalmente affogata nel suo mondo e l’espressione persa nel vuoto non fece altro che alimentare quel lato di me che raramente si preoccupava del suo stato mentale. Non osai interrompere i suoi pensieri fin quando non riconobbi il quartiere in cui ero solita passare intere giornate.
«È da troppo tempo che non parli e sto cominciando a preoccuparmi.» Per un paio di volte, Liv sembrò sul punto di parlare ed indugiare; tuttavia, qualcosa la spinse comunque a sputare il rospo, non senza prima sospirare pesantemente.
«Da quanto tempo non fate sesso?» chiese alla fine con nonchalance, accorgendosi di aver toccato un tasto più che dolente nel momento in cui aggrottai la fronte. 
«Devo rispondere per forza?»
Olivia annuì impercettibilmente, togliendosi la cintura non appena fummo arrivati davanti alla villetta di mia madre, dove avevo trascorso la maggior parte della mia infanzia ed adolescenza. Scesi dalla macchina e strizzai un occhio per ricordare l’ultima volta in cui io e lui ci eravamo dati da fare sotto le lenzuola; dopodiché, non mi veniva in mente altro che una serie di: «Scusami amore, sono stanco. Non è che mi faresti un tea caldo?». Non potevo biasimarlo, dopotutto il lavoro da personal trainer lo impegnava quasi l’intera giornata in palestra e durante il suo giorno libero si trovava a dover guidare ore per raggiungere il luogo in cui si sarebbe fatto fotografare. I pochi momenti liberi, come la sera, preferiva passarli in mia compagnia sul divano, con le coperte tirate su fino al collo e le gambe incastrate perfettamente tra loro. Ultimamente, però, dovevo ammettere che neanche quella era più un’abitudine...
«Circa un paio di mesi fa, credo, se non di più; perché?»
La mora si appoggiò con entrambe le braccia al tettuccio dell’auto e mi fissò con aria di chi la sapeva lunga su queste cose; si guardò intorno come per assicurarsi che nessuno fosse nei paraggi per ascoltare ciò che stava per dire e confidò con voce bassa, una novità per le mie orecchie: «Sono giunta ad una conclusione, Kris»
«Parla pure, Liv. Una stronzata in più non mi cambierà di certo la vita»
«Ignorerò il tuo commento e ti rivelerò comunque la mia idea, solo perché ti voglio bene: attualmente sei nella fase della calma prima della tempesta, per cui la prossima volta che vedrai Theo ti sembrerà di parlare con un’altra persona che ha preso possesso del suo corpo. Rappresenterà l’esatta figura dell’uomo dei tuoi sogni più reconditi e tu non potrai fare a meno di pensare che la vostra relazione stia per prendere una svolta in senso positivo, quando in realtà si tratta solamente di raggiungere la cima prima di scivolare e cadere all’indietro, finendo inevitabilmente su un gruppo di rocce appuntite.»
Ci fermammo davanti al portone di casa, entrambe con espressioni completamente diverse: Liv sembrava essere seria, con gli occhi chiari sbarrati e la bocca sottile serrata; d’altra parte, invece, la mia mente ridicolizzava tutto ciò che aveva appena affermato ed il mio volto aveva indossato la solita smorfia scocciata. 
«Come la fai tragica! E tutto questo l’avresti dedotto da un semplice messaggio e del sesso scarso?»
«Con Elijah era così, ogni volta la stessa storia. Dormiva sul sofà piuttosto che stare a letto con me e, come ti ho già detto, di messaggi del genere ne inviava a migliaia, ogni giorno praticamente. Dopo il primo di questi, una specie di senso di colpa cominciava a tormentarlo e per un’unica notte diventava l’uomo perfetto, rinunciando perfino all’impegno per cui mi aveva informato di non poter venire a cena. Il fardello scompariva non appena si svegliava la mattina seguente e dopodiché, niuuuuspam! Dritta sulle rocce.»
Suonai il campanello e questa volta fui seriamente intenta a far tacere la ragazza una volta per tutte, ma le parole mi morirono in bocca non appena vidi un viso fin troppo famigliare fare capolino da dietro la porta. Theodor Diggs non fece minimamente caso alla presenza di Olivia al mio fianco e si affrettò a venirmi incontro, stringendomi per i fianchi con un sorriso spettacolare dipinto sulle labbra. Non potei fare a meno di pensare che non lo vedevo sorridere così da mesi, o forse non l’avevo mai visto e basta. La speditezza con cui si avvicinò mi obbligò ad indietreggiare e per poco non cascai all’indietro; senza dire alcuna parola, cominciò ad accarezzarmi le guance con entrambe le mani, mantenendo lo sguardo fisso nei miei occhi. Tutto ciò che volevo era che mi baciasse con la stessa intensità con cui mi stava guardando in quel preciso momento e non ci volle molto prima che il mio desiderio si avverasse. Non faceva altro che soddisfare ogni mia piccola necessità con le sue labbra, e mi sfiorò il pensiero di non ricordarle così morbide e calde. Fui la prima a staccarsi, perché lui non pareva intenzionato a farlo ancora per un po’. Inspirai profondamente e lo guardai in un primo momento estasiata e poi, leggermente confusa. Che cosa ci faceva a casa di mia madre? Lui sembrò cogliere al volo la domanda che gli avrei rivolto se fossi stata nelle condizioni di respirare normalmente. 
«Jodi Buckster può anche andare a farsi fottere. Se Kristina Kipling dice di volere una serata da sogno, prometto di fare il possibile per accontentarla, anche se si tratta di condividere la tavola con la sua famiglia di carnivori... Ah, non hai idea di quanto tu mi sia mancata, davvero.» 
In tre anni che stavamo insieme, Theodor Diggs non aveva mai accettato di mangiare a casa Kipling.

 
   
 
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