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Autore: Kuruccha    08/04/2016    6 recensioni
Per la prima volta non si sentono poi così persi.
Genere: Fluff, Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro Personaggio
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Tanto per cambiare, le doverose note iniziali XD
I protagonisti di questa storia sono i genitori di Ryoga. Sì, lo so, appaiono l'uno sotto forma di baloon spuntati dalla cornetta del telefono e l'altra tramite dei post-it. Non hanno nemmeno un nome. Non hanno neppure una faccia. Eppure... Eppure!
Nello spazio di quelle poche pagine il mio cervello è stato inghiottito da una domanda ben precisa: ma queste due persone, questi due individui che non fanno altro che perdersi, come avranno fatto a trovarsi?
La mia versione della risposta è tutta qui.




 
Il crocevia del melo e della lucertola



 

S’incrociano per la prima volta in una fresca mattina di primavera.
A sentire lui ci sono solo perle di rugiada sulle foglie già umide, tele di ragno che corrono sottili tra i rami e il riflesso del cielo quasi bianco sulle pozzanghere nel selciato. Null’altro.

È lei a condire la sua visione con il cinciare allegro degli uccelli, lo scroscio della cascata oltre la rupe, là dove il verde delle foglie nuove è così scuro che quasi si tinge delle vibrazioni del nero, accompagnato dal suono di passi sulla polvere umida della via.

È poco più che una bambina; la sua voce è ancora acerba, quasi stridula, sottile quanto il garrire di una rondine.

«Mi sono persa» gli dice.

«Anch’io» risponde lui. «Per questo non ti posso aiutare.»

Scrollano entrambi le spalle: lei leggera, quasi un battito d’ali silenzioso; lui rassegnato, arreso all’evidenza di quel luogo sconosciuto.

«Da dove vieni?»

«Dal villaggio di Suu» risponde lui, e per la prima volta si sofferma a studiare i tratti gentili del volto della ragazzina, gli occhi grandi e luminosi quanto il primo spicchio di luna crescente. «E tu?»

«Da Ema» gli risponde, in un soffio. «Mamma ha detto che è nella direzione del sole quando cala.»

«E Suu è verso il sole che sorge.»

«Speriamo di arrivare entrambi prima che sia buio, allora.»

Si guardano l’un l’altra solo per un altro attimo, in piedi sotto il cartello che reca la scritta Villaggio di Suu: trecento metri di qua e poi, poco più sotto, Villaggio di Ema: cento metri di là.

Si salutano senza chiedersi altro, senza aggiungere parole né sguardi.

Lei custodisce il suo ricordo associandolo al suono rapido di una lucertola che sfreccia sotto la roccia dopo aver avvistato il predatore; un rumore che quasi non c’è.

Lui memorizza il suo profilo netto stagliato contro il bianco delle gemme dei meli, in quella foresta mai vista prima d’allora.

Dimenticano tutto il resto.
 

  *


Quando la incontra la seconda volta ha la pancia piena del riso bianco e del pesce arrosto che sua madre gli ha fatto trovare per pranzo. Ha quattordici anni, oramai, e una settimana prima ha finalmente capito che quella sua abitudine a perdersi non può essere ogni volta un fortuito caso.

La riconosce subito perché i fiori del melo ora sono intrecciati tra le ciocche scure dei suoi capelli. Anche lei ricorda: lo strascicare di quei piedi è ora più simile al passo veloce dell’iguana, ma la timidezza nei gesti è ancora quella della lucertola.

«Ti sei perso?» gli domanda, subito distratta dal vento tra le cime degli alberi. I rami più bassi ora coprono quasi completamente il cartello, Suu di qua, Ema di là.

«No. Sono uscito a fare una passeggiata. Per digerire» aggiunge, come a giustificarsi.

Anche il suono del suo palmo che struscia contro i capelli corti e morbidi sulla nuca è lieve e timido; imbarazzato, forse. Non lo saprebbe definire altrimenti.

«Ah. Io ho un bentō, invece» replica poi, sollevando un involto di stoffa dello stesso bianco dei fiori del melo. «Qualche anno fa ho rischiato di morire di fame lungo la via. Da allora lo porto sempre con me» spiega, allontonando il ricordo del brontolio del proprio stomaco in quei giorni lontani, ruggito di tigre in mezzo alla gente. «A casa sono io a gestire la cucina, ma la mia porzione andava sempre a male prima che potessi mangiarla.»

Lui osserva il movimento veloce di quelle piccole dita che sciolgono il nodo della stoffa, sollevano il coperchio, rivelano l’invitante contenuto. La sua pancia protesta anche se è già piena. Poi gli sale un dubbio: era oggi o era ieri? Da quant’è che vaga?

«Possiamo dividerlo» offre subito lei.

«Figurarsi. Sei esile come uno stecco» risponde, osservando i suoi polsi magri celati a malapena dalle maniche un po’ troppo corte. Assomigliano ai rami del melo.

Lei scrolla le spalle, e un petalo scivola giù dai suoi capelli fluttuando lento fino a toccare terra; lui ne segue il percorso con gli occhi, guardandolo scintillare sotto il sole del primo pomeriggio. La ricorda così, bianca e luminosa e lieve.

«Ne preparerò uno anche per te» gli dice, e sorride, «Così la prossima volta che ci incontreremo potremo pranzare insieme.»

«Ci sto» le risponde, e il suono della sua voce è energico quanto quello dell’acqua che scroscia dalla cascata e raggiunge il ruscello.

Lei annuisce.
 

  *


La volta successiva lui è di nuovo una lucertola - ma non un rettile timoroso nascosto sotto la roccia, no; è piuttosto un geco steso al sole, mimetizzato sul selciato, inosservato. È molto cambiato dall’ultima volta; il suono del suo passo ora è più sicuro, appesantito quanto basta dal bagaglio che porta sulle spalle.

È sicura che lui l’abbia riconosciuta subito, perché è diventata brava a distinguere il suono di chi resta per un secondo senza fiato.

«Ehilà!» lo chiama. Ancora non conosce il suo nome, e se ne rende conto solo allora. «Ti sei perso?»

«Tsk. Perdersi è una roba da principianti» le risponde, e la sua mano corre subito a sistemare una delle cinghie dello zaino. «So perfettamente dove sto andando.»

«E dove?»

«Lì» le dice, indicando un punto lontano, in una direzione diversa da quella delle due frecce sul cartello, Suu di qua, Ema di là.

«E cosa c’è lì di tanto interessante?»

«Non lo so. Per questo vado a vedere» le risponde, e nella sua voce c’è la sicurezza di chi ha finalmente trovato una risposta che convinca non solo gli altri ma lui per primo. Ora è un coccodrillo placido, inattaccabile, pronto a ribattere se disturbato.

Ritorna lucertola sotto la roccia quando lei tira fuori due involti dalla borsa. «Spero sia ancora buono» gli dice, e per la prima volta è un po’ lucertola anche lei. «Aspettavo da un po’.»

All’inizio mangiano rimanendo in silenzio; è qualcosa a cui entrambi sono abituati, perciò né l’uno né l’altra vi prestano attenzione, occupati ognuno nei propri pensieri.

«Come ti chiami?» domanda lei d’un tratto, ricordando d’esserselo chiesto poco prima.

«Tokage.»

Nasconde il sorriso dietro la manica decorata coi disegni dei fiori del melo. Ripete quel nome a fior di labbra, senza emettere un suono, muta, la bocca quasi serrata.

«E tu, invece?»

«Io sono Ringo» dice lei, e il sorriso di Tokage è invece evidente, scintillante, e i suoi occhi s’illuminano come se cantassero.

«Certo,» dice, «Ringo. Suona bene.»
 

  *


Si ritrovano in una calda serata di giugno, quando la primavera sta per cedere il passo all’estate, sotto un cartello che oramai non si legge quasi più, con le scritte di qua e di là.

Tokage osserva la sagoma chiara del viso di Ringo stagliarsi contro il verde scuro del bosco; sui picchi delle montagne, seguendo la linea che divide cielo e terra, corre il sottile filo rosso proiettato dal sole che tramonta e lui decide che è il destino, che non può essere nient’altro. Per la prima volta si sente ritrovato, più che perso.

Ringo ascolta il suono frenetico dei suoi passi sul selciato - una distanza breve, la più breve, a separarli mentre cammina verso di lui - e le sembra quasi che tutto si faccia muto quando le loro voci s’incontrano. Ritrova in Tokage quel suono di lucertola così conosciuto, ben nascosto sotto la scorza di coccodrillo, quando finalmente gli si avvicina.

«Mi è familiare» gli dice, «Questo posto. Anche se non sono sicura di esserci già stata prima d’ora.»

«A chi lo dici» le risponde. Fruga nello zaino e ne tira fuori qualcosa; un rametto con dei fiori già secchi, coi petali sgualciti dal contenuto della sacca, mancanti a tratti. «È per te» le dice, «Per il pranzo dell’altra volta.»

«Ho due porzioni anche oggi» replica lei.

Questa volta la loro conversazione si snoda rapida, intrecciando i fili dei loro discorsi in una trama complessa da districare. Ringo ha il tempo di pensare che gli piace il suo suono, e si rende conto di averlo rincorso, seguendolo ciecamente come se fosse l’altro capo di un gomitolo, e decide che è destino, non può essere null’altro.

«Dove sei diretto?» gli domanda quando la cena è conclusa e il buio ha reso più cupi anche i suoni.

Tokage scrolla le spalle, stavolta leggero, come un ramo scosso appena dal vento. «Penso che verrò con te.»

«È buffo» risponde lei, e sul suo viso per la prima volta si fa strada un rossore capace di cancellare anche il bianco dei fiori del melo, «Pensavo di fare la stessa cosa.»
 

  *


Seguono la via. A volte cambiano strada, guidati da un’ombra o da una melodia, ma vanno sempre avanti. Non rimangono più senza una direzione.

A sentir lui ci sono solo la strada deserta su cui camminano insieme, e poi Ringo, e null’altro. È lei a condire la sua immagine con il battito lieve del cuore che avverte dalle dita intrecciate alle sue, con il suono cadenzato dei loro passi - a volte sincronizzati, altre volte dispari - e con il ritmo del bosco che si risveglia nel nuovo giorno.

Ripartono di buon mattino, quando il sole è già alto sull’orizzonte, con le mosche che ronzano in nugolo e i galli già stanchi di cantare.

«Ti seguo» gli dice Ringo.

«Ti seguo» le risponde Tokage.

Non si perdono più.

 



08.04.2016
Che altro aggiungere, se non che è proprio strana forte? X°D
Ci tengo a farvi sapere che questa storia batte numerosi record: è allo stesso tempo la cosa più sdolcinata che io abbia mai scritto, quella con il titolo più strano e quella coi personaggi canon più poveri di tratti distintivi con cui abbia mai avuto a che fare X°D Mi ci sono divertita tanto.
Quasi mi scordavo! Questa storia partecipa alla Challenge di Primavera organizzata dal Bestiario Digitale :D
Grazie mille per aver letto fin qui <3
Kuruccha
   
 
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