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Autore: GirlDestroyer1988    12/04/2016    0 recensioni
Hiro era andato in un luogo profondamente sacro, il Poroshiri, nell’isola di Hokkaido.
Genere: Avventura | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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Hiro era andato in un luogo profondamente sacro, il Poroshiri, nell’isola di Hokkaido. Lì c’era un vecchio templio sia shinto che ainu, dove era molto forte l’afflusso da Sapporo. Toltosi delle ballerine eburnee con cui aveva camminato su un terreno nevoso (trasformandosi i piedi in dei Cucciolone), inginocchiatosi e acceso un bocchino d’incenso, si mise in preghiera. Nonostante le assi di prugno fossero state piallate con il van delle Micro Machines e perciò fossero non poco scomode, Hiro era superiore al suo corpo. Venne nel frattempo un eremita, un vecchio uomo con i capelli corti e color grigio chiaro, sagomati a caschetto stile Accessori Chiara di Chiara Carocci, in un abito bianco accompagnato da un bastone simile di più a una stampella, con la manopola divisa a metà. Sulla sua fronte c’era una grossa coppia di rughe ingrossate, simile a quella della Fornero. “Ragazzo, stai pregando? Ti sto disturbando?” “No. Sta di nuovo nevicando. Io ho finito. Possiamo parlare” Hiro, vestito con un kirigami di spessa carta oleosa verdastra da macelleria, che di certo l’avrebbe maggiormente difeso dal freddo rispetto ad un kirigami in più delicata Raisupepa (carta di riso) o a degli indifendibili kirigami in Kadonokonsoha (carta di foglie secche). Il suo era un kirigami in Kadosuteki, carta di bistecca. Si accovacciò di nuovo e ascoltò il viandante delle montagne. “Tu come ti chiami?” la sua voce sembrava il richiamo di un muflone. “Hiro. Hiro Hamada. Io vengo da San Fransokyo. Lei sembra un eremita di queste montagne” “Sì. Vivo in un monastero sulla vetta più elevata. Il mio nome è Hironemasa Hezinshin” “Hezi-san. Vive sulle montagne….a che le serve quel bastone da arrampicata? Io sapevo che i monaci hanno un tale equilibrio interiore da potersi arrampicare solo camminando sulla parete rocciosa e di equilibrarsi nei più scoscesi sentieri di montagna senza nessun bastone” “Oh ragazzo mio, quanto poco sai. Noi siamo esseri umani, e tanti di noi hanno acrofobia. Mi serve a molto altro. Il mio bastone mi permette d’incanalare i miei pensieri, resi tangibili dai circuiti del mio cervello elettronico, e il bastone di trasportarli dai miei circuiti neuronali alla CPU del bastone, e successivamente in un piccolo proiettore ergonomico, che li può rendere visibili anche agli altri. Vuoi vedere come funziona?” “Sì” Hironemasa avvicinò il bastone alla sua fronte, con le rughe che, come palpebre di un terzo occhio, si spostarono corrugando la pelle della fronte, facendo uscire una chiave USB, che si unì, si agganciò al pomello del bastone, che si erse come il corno di un unicorno. Rimase diritto mentre i suoi pensieri passavano dal suo cervello alla CPU del bastone, e poi al proiettorino. L’uomo, come la Lailah di Philippe Caza, tenne strettamente il bastone, per poi rimuoverlo. Staccò il proiettore e lo azionò sulle assi del templio. C’era un cane olografico che inseguiva una farfalla e che prendeva poi in bocca un osso. Hiro era incantato. Hiro, come suo solito, fece degli esercizi ginnici e un bagno in una yakuzzi, per poi fare un sonno di distensione muscolare. Venne poi raggiunto da Gogo, che aveva fatto palestra, nuda, completamente in semioscurità, e fecero sesso. “Com’è andata Hiro?” li fece Gogo assopita accanto a lui. “Al templio ho incontrato un uomo, un vecchio eremita delle montagne, con un cervello bionico che agiva tipo proiettore Clementoni, immagazzinava e registrava i suoi pensieri e li inseriva in un bastone con cui passeggia, che poi inserisce il tutto in un piccolo proiettore che costituisce la parte terminante dell’attrezzo. Sembrava tranquillo e imperscrutabile. Vive in un monastero sul picco più alto, e si chiama Hironemasa. “ il mattino dopo la neve si era parzialmente sciolta, e tanti piccoli fiumiciattoli correvano come mandrie di pudu azzurri. Hiro, insieme a Baymax e Gogo, raggiunsero la cima del picco più alto del complesso montano dell’isola di Hokkaido, della provincia di Sapporo e della piana di Biratori. Il monastero era chiuso sul mondo. Hironemasa era circondato da altri bonzi, mentre spiegava loro i progetti di una pesce di sottomarino intercambiabile, metà aereo, metà sommergibile, metà missile stratosferico, metà treno proiettile, metà peroratore. “Ah, salve Hiro-san. Io sto progettando, o meglio pensando, un nuovo tipo di macchina seminatrice. L’ho chiamato Kazenokafun, “vento di polline”. Su questi monti, ho scoperto avventurandomi, sopravvivono piante che tutti i paleobotanici credono estinte. Risalgono all’Eocene, come antichissimi cipressi, metasequoie, strane palme simili al ciuffo di una carota, strane erbe non appartenenti alle graminacee. I fianchi di queste montagne sono sempre stati, perlomeno come credevo io all’inizio, nudi come un ciottolo di fiume. Poi però, quando nel 2009 sul Giappone, da Tokyo fin qui si scatenò una nevicata record, io mi trovai a camminare lungo questi sentieri con indosso una pelliccia di lupo, molto più coprente di un abito in kirigami Kamiwebihakare (“carta di pelle di serpente rinsecchita”) che un ciarlatano aveva cercato di vendermi in un villaggio ai piedi di questo monte, suppongo fosse Shikaoi, e vidi una flora rigogliosa, nonostante la neve, della consistenza di un imballaggio di spagnolette di polistirolo, cercasse di soffocarla gravandoci sopra con il proprio compatto peso e il suo gravare gelato. La cosa mi sbalordì grandemente. C’era una vita inossidabile sull’Asahi, una vita-solamente vegetale perché solo quella ebbi modo di vedere-che non mi aspettavo. Tutte le guide Ainu della regione parlavano dell’Asahi come di una stalagmite sterile e impassibile, dove le nevicate per le alte quote impediscono, con il freddo e il peso, lo sbocciare del più umile crisantemo. Quanto avrei voluto avere al mio fianco uno di quei pessimisti su Dio per mostrargli quanto aveva torto! Capii poi che era flora preistorica quando un mio amico, che insegna paleontologia dei vertebrati a Sapporo venne su sull’Asahi, e insieme a lui rinvenimmo un fossile, risalente al Paleocene, di Plesiadapis, e un esemplare vivo di un essere del Cretaceo, un Protarchaeopteryx, che catturammo e che è ancora qui in monastero. Inizialmente tenemmo la cosa segreta, poi però sentii che quel giardino, nonostante avesse combattuto contro una delle nevi più pesanti e fredde e compatte che siano mai fioccate sul Giappone, stava morendo, morendo di tedio. Inoltre, le vallate circostanti sono duri e freddi deserti di rocce carniche, una desolazione. Sono pieni di villaggi abbandonati, e non ci vive più nessuno. Queste montagne stanno morendo. Così, a poco a poco, cominciai a seminare ginepri, in modo che la terra capisse che quelli erano pini per poi saper gestire dei cipressi. Ma il terreno divenne improvvisamente fragile e franoso, e vidi slavine precipitare giù a valle, vanificando tutto il mio lavoro. Ma le frane a poco a poco portarono alla luce uno strato di terra fertile. Qui piantai, e a poco a poco nacquero i primi arbusti, e ben presto il terreno sembrò reagire bene al tipo di radice. Poi passai a delle talee di rami di cipressi su tronchi di ginepro. Ben presto le linfe si sommarono e si confusero, ma l’area che avevo coperto era troppo esigua. Avevo paura del terreno franante, ma cercai, metro dopo metro, corda dopo corda, di arrivare a valle. Più scendevo, più piantavo, seminavo. Ben presto arrivai, aiutato anche da altri bonzi, giù fino alle sponde del Yukomanbetsu. Cominciammo poi con i cipressi, dopo tanto tempo durante il quale volarono aghi, crebbero pigne, crebbero piccoli frutti che non mangiava mai nessuno. Ma quest’area è sottoposta a continui cambiamenti, e per di più nonostante molti dei macigni fossero rotolati a valle, le frane erano comunque ripetute e devastanti. I macigni continuarono a piovere a valle, travolgendo, distruggendo gli alberi. Io non mi arresi, ma credo che sia necessario chiedere alla regione dell’Hokkaido, a Sapporo, di sostenerci. Dobbiamo terrazzare l’Asahi come hanno fatto in Liguria, a Fontona. Inoltre il nostro mezzo da trasporto permetterebbe di seminare su un area più estesa, fino alla piana di Futamata, nel Totomi. Però per convincerli che si tratta di piante del Cenozoico ho bisogno che voi Big Hero 6 convinciate il governo dell’Hokkaido che è economicamente vantaggioso, nonché ecologicamente vantaggioso, piantare queste piante. Io finisco di sviluppare insieme ai miei bonzi il progetto, voi cercate su uno di questi monti le tracce di flora tra Eocene e Cretaceo, poi segnalerete il picco e l’acrocoro su cui crescono quelle piante, per le spedizioni future” “E il tuo amico che insegna paleontologia dei vertebrati a Sapporo, lo chiamiamo?””Credo che possa servire” Sapporo. Università dell’Hokkaido. Hiro cercò lunghemente, negli archivi digitali e tra la gente un professore di paleontologia dei vertebrati. L’università contava, in scienze naturali applicate e teoriche, una cattedra di paleoecologia, affidata a Eichiro Okamura, una di paleoetologia, affidata a Hayao Yamada, una di paleoentomologia, affidata a Tatsuo Yoroi, una di paleontologia degli invertebrati, affiancata a quella di Yoroi e gestita da lui per il settore entomologico, da Henshiro Yarabuchi per quello malacologico, e dalla professoressa Tama Yorigori per l’aspondylologia complessiva, e infine le 2 sole cattedre rimanenti: quella di Kamoiji Soburo per la paleoceanologia e quella di Inemasa Kazabuya per la paleontologia dei vertebrati o spondylogia complessiva e comparata. “E’ lei il professor Kazabuya, l’insegnante di paleontologia dei vertebrati dell’Università dell’Hokkaido di Sapporo?””Be sì. Non l’avete letta la targhetta?” “Volevamo sincerarci” “Ok. Dunque lei sarebbe…” “Hiro Hamada, capo dei Big Hero 6. Lui è Baymax, il nostro robot da combattimento” “Buongiorno illustrissimo Professor Kazabuya” e lei è Gogo Tomago, la nostra vajassa. Saluta Gogo” “Buongiorno Professor Kazabuya. Hiro, non sono una bambina timida. Comunque Professor Kazabuya, eravamo venuti a cercarLa perché a quanto pare un bonzo di un monastero Ainu sull’Asahi ha scoperto piante sopravvissute dall’Eocene, e una volta, insieme a Lei, avete anche rinvenuto un fossile di Plesiadapis e un Protarchaeopteryx vivo e vegeto che, secondo quanto detto dallo stesso bonzo Hironemasa, è tuttora dentro il monastero in una stia da canarini. Noi lo abbiamo visto, quel bizzarro gallinaccio coelurosauridae del Cretaceo. Volevamo chiederLe sia se fosse stato Lei ad avventurarsi insieme a quell’uomo sulle pendici dell’Asahi e se è interessato a rivelare al mondo di questi fossili viventi vegetali. È molto importante che Lei torni insieme a noi sull’Asahi e sui monti circostanti, alla ricerca di quell’ultimo lembo di Eocene per popolare una valle destinata alla desertificazione” Kazabuya si fece prognato. “Sì, Hironemasa o Hironebasa…quel vecchio senza sentimenti con cui mi sono avventurato sul Mamiya. Ero andato in esplorazione di un bacino di fossili lacustri del Giurassico simile a quello di Bolca, nel bolognese, ma mi persi in una bufera. Caddi in un crepaccio ma una strana edera mi rese più soffice l’atterraggio. Ero in un terreno sconosciuto, ancora più sconosciuto dello stesso sistema montano. Ero coperto di neve, temevo di essere diventato cieco. Mi alzai e scivolai in una slavina, precipitando in un condotto sotterraneo che mi fece infine precipitare in una pozza d’acqua termale. Per tutto il tempo della faticosa scalata su quell’insensibile gigante di sasso e neve avevo desiderato d’immergermi in un ofuro bollente, e adesso stavo ancora più male di prima. Per fortuna i miei indumenti erano molto pesanti, impermeabili, e il mio zaino si era agganciato ad uno sperone di roccia mentre precipitavo. Mi inerpicai nel toboga di pietra per riacciuffarlo, ed era in condizioni decenti. Costeggiai l’Onsen e raggiunsi l’uscita attraversando giù giù piano dopo piano come se scendessi le scale di un grattacielo. Ogni livello era come ripercorrere la storia della Terra. Io a dire il vero utilizzai “un ascensore”, un bob naturale di pietra che si ricambiava a ogni livello. Attraversai il Cambriano, dove rischiai di essere aggredito da delle gigantesche alifantozze rosa, l’Ordoviciano, con un enorme piovra nascosta in un buco di una parete scoscesa, il Siluriano, con la lotta tra uno scorpione grande quanto 2 autobus a piano doppio e un onicoforo lungo 17 metri, il Carbonifero, con una palude simile a quella di Oria nel brindisino popolata da anisopteri e uroteli giganti, il Permiano, un lago speleologico senza né immissari né emissari dove a farmi da zattera fino a un gorgo dall’altro capo ci fu l’enorme lisca di un Bonnerychtis, pesce che deve avere “ispirato” Carlo Collodi per il pescecane di Pinocchio. Venni inghiottito dalle acque e temetti di essere morto. Mi svegliai fradicio sulle assi di legno delle interiora di un monastero, con esse dipinte con scene di vita marina triassica, dedotte da dei fossili appesi in reliquiari alle pareti, di solida roccia basaltica. C’erano Henodus, Besanosaurus, Mixosaurus, dei Peteinosaurus che volavano. Io mi ridestai dal torpore e, alzandomi acciaccato, incespicai fino ad un uscio, oltre il quale c’era un kannushi che si strofinava le mani strofinando, palmo intra palmo, un mala. “Scusi buon uomo, da quanto tempo sono qui? Ho sognato? Ho davvero visto animali estinti da milioni di anni tornare in vita di fronte ai miei occhi?” “I tuoi sogni sono reali straniero. Anche se il mondo non lo saprà mai, qui sopravvivono creature vissute millenni prima della comparsa dell’uomo. Hai tu forse visto alifantozze gigantesche, piovre nascoste nei pertugi come zizzania, scorpioni e onicofori immani, disgustosi stomaci di paludi salmastre abitate da libellule e salamandre, laghi come fonti battesimali con improvvisi risucchi?” “Sì. Ci sono stato. Ma voi come lo sapete?” “Lo sappiamo come Gesù seppe che il suo monte sarebbe stato il Tabor, cose così, da religiosi. Comunque non è un mistero troppo arcano che abbiamo visto quelle cose; là come vedi, in reliquiari inutilizzati, giacciono resti fossili da noi rinvenuti su quel monte, il cui nome è Mamiya. Guardali attentamente: non potranno avere che un cinquantennale, sono “nuovi” come resti. Io lo so perché ho saputo leggerli, in quelle notti di assoluta calma, di assoluto, assordante silenzio, dove anche il più piccolo dei rumori sembrano i silenzi di tregua di un bombardamento, le schiarite tra 2 piogge di spolette dai cannoni ferroviari Ansaldo nelle trincee della Grande Guerra. Noi bonzi non abbiamo strumenti, sembreremmo ciechi come lombrichi, sordi come ramarri, ageusici come rane del Suriname, anosmici come axolotl, parestesici come cavalli, ma un uomo se li togli i sensi rimane orientato dalla sua pura essenza, dal suo puro essere ciò che è. E noi, e io, ci orientavamo su quei resti, su quei cadaveri pietrificati chiudendoci come in un sottomarino, stringendo noi stessi in un punto, tutto e tutti in un punto. Le supernove. Si contraggono come fiori che appassiscono, inghiottono loro stesse, ma poi improvvisamente esplodono, proiettano loro stesse in un raggio di 30.000 kilometri, che è il 10% della velocità della luce. E noi, persi in noi stessi, nel planetoide labirintico che era diventato la nostra stessa essenza, ad un certo punto guardavamo, ascoltavamo, gustavamo, annusavamo, toccavamo. Io, accarezzando un Henodus, arrivavo a vedere come lui, o a vedere come il suo antenato più remoto, il primo dei placodonti, Placodus. Percorrendo digitalmente un Besanosaurus arrivavo a sentire i suoi stessi raggi ultrasonici, le sue stesse aurore supersoniche, le stesse folate subsoniche che percorrevano il mare di 240 milioni di anni fa, toccando con mano senza forza, come un mendicante un Nothosaurus mi sento in bocca i suoi stessi gusti, i pesci che ha mangiato, le carie che ha patito, i conati che ha vomitato. Con le dita incerte eppure non terrorizzate di un sarto che valuti un vestito palpo uno Zeihiangopterus, per le mie narici, per il mio naso passano senza fine i suoi primordiali odori, i suoi preistorici profumi, i suoi cosmogonici lezzi. Nessuno che non abbia mai raggiunto il Nirvana sul serio potrà mai anche solo allucinare quale infernale beatitudine, quale paradisiaco supplizio possa mai sussistere. Così quell’uomo mi aiutò a rimettermi in sesto. Poi mi portò di nuovo lungo le pendici del Mamiya, i tornanti dove improvvisamente possiamo vedere camminare un trilobite, aggredito da una dionea grande come un portaombrelli cresciuta come portulaca, sotto ai ghiacciai e alle slavine dove un chicchessia può generare una devastante valanga, in caverne aperte come carie in pareti rocciose dello stesso colore del cielo e dell’ipotermia ripide e lisce come acquedotti, fin sulla vetta, dove si apre una foiba in cui ci addentriamo, come fossimo 2 Hatteras al Polo Nord, oltre Etah, l’ultima città del mondo lungo il meridiano di Greenwich, in un mondo sotterraneo iperboreale, scoprendo, sulle pendici di un burrone, la crescita spontanea di cipressi, araucarie, margherite. Tutte piante sopravvissute all’Eocene, con cui-mi accordai con lui, quello strano Elzeard Bouffier dell’Hokkaido-si sarebbe potuta ripopolare una cordigliera in via di inaridimento. Lui mi si congedò una volta raggiunto il suo monastero sull’Asahi, e io, con l’aiuto di una corda con gancio, di una piccozza e di un cavallo scesi a valle, tornandomene a Sapporo profondamente alterato. Ma avevo rimosso, archiviato, riversato il tutto in un libro immaginario donato poi ad una biblioteca. Ma quell’Hironemasa è ancora vivo? Esistono ancora l’Asahi, il Mamiya?” “Sì. Hironemasa è ancora vivo, si è fatto modificare il cervello, adesso può registrare i suoi pensieri come con un videoregistratore, rappresentato da un elegante bastone da passeggio, dotato di una chiavetta USB nel pomello, di un registratore a disco rigido e un piccolo proiettore grande come un cacciavite tutti inclusi nel bastone. Vive e medita ancora in quel monastero sull’Asahi, e voi conservate un fossile di Plesiadapis, e lui un Protarchaeopteryx vivo, in una stia da canarini. C’è l’ha fatto vedere, sembrava una gallina ovaiola, e lei, il suo cimelio di quell’escursione sul Mamiya, c’è l’ha ancora?” “Eccome. Non sono tipo da pattumare una cosa del genere. È qui” e l’uomo si alzò e, da uno schedario, estrasse un grosso sasso lucido, pesante come un neonato, con la creaturina, simile ad un incrocio tra una scimmia e uno scoiattolo, contratta come se fosse stata colta, prima della morte, da un attacco di dissenteria, incastonata nella roccia. “Era scintillante di acqua e ghiaccio, sembrava un pene eretto cosparso di vidermina. E il Protarchaeopteryx, dite? Chiedevate? L’ho acciuffato io, con il trucco del panno. Avevo con me un grosso panno, non mi ricordo perché me l’ero portato e cosa ne avrei fatto, ma lo buttai addosso a quell’animale e ne feci un fagotto. Fu più semplice di quanto mi sarei mai potuto aspettare. Quindi c’è ancora tutto, lassù, sull’Asahi?” “Certo. Venga con noi” Alla stazione, shinkasen per Asahikawa, linea Hakodate. Il treno arrivò rullando come un aereo (e in effetti gli shinkasen sono aerei su ferrovia) e diligentemente Hiro, Gogo, Baymax e Inemasa salirono a bordo. Hiro si accomodò, Gogo si attaccò ad uno dei manici a corrimano, Baymax cercò il deposito bagagli e ivi si accomodò, Inemasa si sedette accanto a Hiro. [….]Arrivati a Asahikawa, presero l’autostrada raggiungendo il complesso dell’Ishikari, per poi cominciare l’arrampicata sull’Asahi, direzione monastero. Hironemasa era sull’uscio, intento a osservare una fontanella, una di quelle con un mozzicone di bambù tagliato d’obliquo che intermittentemente fa passare un sibilo d’acqua e poi, chinandosi all’indietro, interrompe l’acqua. L’uomo sembrava più vecchio di quanto Hiro ricordasse. Sapeva che sarebbero venuti, e nello sguardo che rivolse loro non c’era nessuna sorpresa, nessun senso d’attesa, nessuna ansia. Quell’uomo era ormai diventato l’autovelox di Dio. Si sollevò come scricchiolando, li scricchiolii della vecchiaia, ma anche quelli del gravare dell’essere umano sui suoi propri pilastri, che ahimè la vecchiaia rende solo più fastidioso e importante. “Venite dentro. Il clima non promette bufere prossime venture, ma ho come la sensazione che, se voi rimarreste qui, non succederebbe nulla di buono. Allorchè io vi ho fatto, ti ho fatto, Signor Kazabuya, una promessa, la promessa di un regalo, di uno show. “ “Hiro, sono completamente basito. Non riesco a seguire la logica di quest’uomo” “Bè Baymax, cosa ti avevo detto? L’uomo non è montato su binari, non và tutto con tutto sé stesso tutto da una parte. Comunque tra poco vedremo quella creatura. Sei eccitato?” “Decisivamente. Un Protarchaeopteryx è un coelurosauride estinto da 65 milioni di anni. Sembra impossibile” “E tu Gogo?” “Sì Hiro, mi hai messo la pulce nell’orecchio. Vediamolo” “E lei Inemasa-san?” “Non più di tanto, Hiro. Per me è un dejavù, una vecchia conoscenza” Hironemasa-san li condusse in una zona più buia, raccolta, catacombale del monastero, dove si sentivano dei bonzi, accompagnati da uno jokai, cantilenare Tenterudaijin yama yama no seirei…..Tenterudaijin gawa gawa no seirei…..” mentre erano accodati da dell’incenso in fumosa aspersione. Hironemasa-san espose la stia, nella quale la creatura si muoveva con occhiate prudenti e seriose, come quelle di una gallina insospettita. “E’ autentico?” chiese Gogo. “Autentico come il vento” disse solo Hironemasa-san, allontanandosi. “Mi rammarico del mio silenzio, del mio rabbuiarmi, del mio parlare con stitichezza. Ma il lavoro è molto impegnativo e ci demanda e ci domanda un grande impegno, una grande abnegazione. Nulla può essere lasciato al caso, nulla può risultare un vizio di forma, nulla può essere taciuto, dato per scontato, non bisogna credere nella facilità di un goal, nel semplice andamento profittevole di un traguardo. È il lavoro più impegnativo che avessi mai avuto l’uzzolo di affrontare. Per questo bisogna essere, devo essere, tutto me stesso, tutto noi stessi. Comunque se vi posso consigliare, prendete un animale innocuo, solido nella sua pelle e solido in sé stesso” “Innocuo….solido nella sua pelle….solido in sé stesso….” Adesso, dopo il congedo, Hiro, Gogo e Baymax (Inemasa-san era rimasto in monastero) erano sul Mamiya, salendo salendo e salendo. Giunsero in vetta, a 2,185 metri sul livello del mare. La neve si era sciolta, era rimasto il sostrato di roccia. L’ingresso era come l’aveva descritto Inemasa-san: un cratere di un vulcano che non vi fu mai. Hiro entrò, facendo luce con degli spoiler fosforescenti del suo casco. Gogo li era dietro, Baymax copriva le spalle a entrambi. Il mondo sotto il mondo aveva i colori di un tramonto espressionista, dove rocce, cristalli, ombre, pantoni, avevano l’aspetto di un quadro di un pittore stanco e senza più la forza di estrarre sentimenti da quella tavolozza. La discesa era facilitata da una serie di rampe di pietra senza corrimano, ma lo spazio tra il muro portante e lo strapiombo era sufficientemente largo per farli passare. C’era, alla fine del percorso, una caverna che sembrava una bocca con denti aguzzi, cieca, dove il terreno sembrava, un tempo, essere stato fangoso, simile a pastafrolla. Ma adesso era secco, e delle impronte lasciavano intuire che un grosso quadrupede erbivoro avesse camminato dalla grotta all’esterno della montagna e dall’esterno della montagna alla grotta. Hiro si fermò a chiedersi quale creatura avesse camminato lì. “Sono impronte di un animale con 5 dita, simili a quelle di un cane per assenza di elementi reconditi di contraibilità e rilassabilità dei metacarpi e delle falangi. Non era un bipede o perlomeno un bipede momentaneo: camminava con braccia di 3 volte più corte delle gambe, ma ancora insufficientemente capaci di permettere il totale bipedismo, infatti ci sono 2 tipi di orma: una più piccola e con metacarpi più tozzi, un'altra più grande, con uno scafoide più largo, con metacarpi altrettanto tozzi ma più grossi. Il secondo tipo di orma appartiene a un piede, strutturato però come se fosse una mano, una mano con dita più lunghe e metacarpi più grandi, del tutto incapaci di permettere contrazioni e rilassamenti, i fondamentali per una mano manipolatrice. Lo stesso dicasi per le , o così le chiamiamo, altrettanto inconcepite per le contrazioni e i rilassamenti metacarpali. Entriamo per vedere di cosa si tratta” “Poi una cosa la posso analizzare io?” chiese Baymax come se avesse alzato la manina. “Sì Baymax, e poi potrai avere lo zucchero filato!” fece sarcastico Hiro. Ma erano in territorio inconsueto. Erta massima. La valle che si apriva davanti a loro era una jungla tropicale, cresciuta a ridosso di carcasse animali. Hiro si mise sotto la cassa toracica di un Coelodon (rinoceronte villoso) seguito da Gogo e Baymax. La cassa toracica sembrava essere risultata indigesta alle radici delle piante, e prometteva una resistenza meccanica decisiva e molto dura a morire. All’improvviso i volatili della jungla vennero messi in fuga da un Centrosaurus grande il doppio di un rinoceronte, persino di un già tanto grande rinoceronte villoso dell’Olocene. Il ceratopside avanzava ruminando rumorosamente, forte pure di una piccola invenzione degli orntischi come lui, la cintura pleurocinetica, che permetteva alla mascella inferiore e alle guance di compiere un movimento meccanico simile ad un remo che si sposta nell’acqua. “Prendiamo lui?” chiese Gogo. “Ho i miei dubbi” disse Hiro, “E’, come un toro, un animale facilmente eccitabile e quel corno è molto pericoloso. Buzzati, parlando del Triceratops del museo di storia naturale di Milano, scriveva Sarà lecito al cronista d’arte moderna entrare nelle sale di paleontologia e prendere conoscenza del nuovo ciclopico monumento a grandezza naturale (8x3 metri) di un Triceratops, vissuto nei boschi nordamericani di 70 milioni di anni fa? Dopotutto nelle gallerie di oggi non si espongono parrocchetti, asini, tacchini e pure volgarissimi tafani? Un bel dinosauro ornitisco del Cretaceo non è molto più affascinante? Tanto più che lo scultore Luciano Menghi, prima di cominciare i lavori, ha studiato il modello così tanto a lungo da immedesimarsi nella bestia, cosicchè la scultura non sembra, come potrebbe sembrare un rinoceronte impagliato, morto e statico, ma sembra possa animarsi da un momento all’altro, andarsene di peso dalla sala in cui è esposto, incedere devastando l’uscita, e accanirsi perforando con i suoi 3 corni uno dei tramvai che passano per Corso Venezia “Gasp. Meglio lasciarlo. Per i prossimi non ti farò domande” all’improvviso un ruggito irruppe. Entrò in scena un Megaraptor, con accanto a sé i resti di un Orodromeus, che non li era bastato. Si gettò addosso al Centrosaurus e cominciarono a combattere. I colpi di coda e i calci asinini del Megaraptor mettevano alla prova la gabbia dei nostri, per poi finire al centro degli eventi dopo che il Megaraptor si spostò lateralmente affinchè l’avversario lo sorpassasse in modo da poterlo mordere dietro al collare, alla porzione di collo più morbida. Ma ciccò i tempi e il Centrosaurus investì la gabbia e la fece rotolare contro un'altra caverna. “Di quell’altro non te lo sto nemmeno a chiedere” fece Gogo vedendo se era tutta intera. Procedendo, arrivarono in una mangrovia. “Volete attraversare? Posso procurarvi io una valida imbarcazione” disse Baymax, e giulivo si mise a trafficare nell’intrico arboricolo. Non fu troppo prolisso, e tornò con una canoa. “Quanto ci hai messo?” fece Hiro come se lui gli avesse chiesto “come sta mia madre?” e lui, Baymax,li avesse portato il ginecologo da cui era stata stamattina. “Non lo so. I miei circuiti hanno conosciuto un avanzamento del 78% in velocità operativa” “Almeno sai cos’hai utilizzato per lavorare?” Baymax li mostrò una pietra scheggiata. “Complimenti!” disse Hiro mentre, insieme a Gogo, spingeva la barca verso l’acqua. Baymax la direzionava remando con la mano, attraverso un intrico sorprendentemente senza vita. Avvicinandosi a riva poterono vedere un Baryonix scavare nella carcassa di un Iguanodon. Allontanandosi, raggiunsero una riva meno popolata (solo piccoli roditori e ensiferi) dove poter sbarcare. In lontananza il parente dello Spinosaurus latrava come un orso, ricordando a Hiro quello che aveva letto su animali come quello: nel Cretaceo erano praticamente i plantigradi. “Muoviamoci il più possibile nelle caverne” disse Hiro pensieroso. “Ho capito se mi fate pensare bene” disse Gogo. “A cosa?” domandò Hiro. “A quello che ci ha detto quell’uomo. Dobbiamo prendere un tireoforo, un animale corazzato. Innocuo: a meno di non essere provocato un erbivoro è innocuo. Solido nella sua pelle: una corazza dermica, come quella degli armadilli. Solido in sé stesso: bè i requisiti precedenti. “ “Certo. Io però qui non ne vedo. Ma ho dei dubbi su quello che ha detto: innocuo? Certo, se nessuno lo provoca è innocuo. Ma noi non possiamo sapere quali stimoli siano per lui e quali no. Solido nella sua pelle: mettiamo caso che un tireoforo come il Gastonia sia come un toro. Un toro, lo sanno tutti, si eccita e incollerisce alla vista di un drappo che si muove. Basterebbero dei lenzuoli mossi dal vento e l’animale uscirebbe di pazienza. Senza considerare che potrebbero con psicofarmaci e alcolici come è successo al Joe de Il re dell’Africa. E se ci sfuggisse al controllo potrebbero abbatterlo con missili terra terra anticarro, cosa di cui di certo non usufruiva nessuno dei predatori naturali del Gastonia, dell’Acanthopolis o del Minmi (3 tireofori diversi; il primo a titolo d’esempio di un tipo di tireofori a coda a mazzafrusto, i nodosauri, i secondi come potenziali candidati, essendo nodosauri-quindi senza una coda di cui potrei pentirmi in caso di sclero-e sufficientemente piccoli per un trasporto più agibile). E così addio progetto di rimboschimento. Comunque qui ci dev’essere molta umidità, dato che è una fungaia!” e indicando il soffitto fece vedere a Gogo e Baymax un infiorescenza di strani funghi marroni, senza cappello, che saltuariamente s’ingrossavano formando cascami mollicci e gocciolanti. Baymax, titillato, grattò via un infiorescenza su una delle pareti e procedette a scannerizzarla. “E’ un comune fungo di caverna, vicino al fungo dell’esca, nome scientifico F.Fomentarium. Non ha cappello, o meglio il suo sviluppo e la sua infiorescenza non sono distinguibili dal resto della carne, imenoforo liscio, senza lamelle, sporata suppongo nerastra o biancastra, velo nudo, carne su cui non è possibile al momento un analisi approfondita, non sembrerebbe parassitario, commestibile ma insapore” arrivarono ad un valle illuminata da una strana luce gialla, calda e rasserenante, in cui pascolavano dei Minmi. “Ecco cosa stavamo cercando” disse Hiro. “Baymax, azione d’approccio zoofilo. Devi mostrarti il più possibile delicato e gentile con ciascuno di quei tireofori” “Ricevuto Hiro.” “Poi io e Gogo li accompagneremo verso l’uscita. Baymax, promemoria: quando arriveremo alle mangrovie, testa la profondità dell’acqua. Se la nostra canoa non si rivelasse-come sicuramente sarà-grande abbastanza per consentire anche a quei tireofori d’imbarcarvicisi sopra, dovremo scortarli facendoli guadare a nuoto, e non sono sicuro se sarà più forte la spinta d’Archimede dell’acqua del mangrovieto o più pesante la corazza loro. Ovviamente 1 metro e 10 metri d’acqua fanno più che mai in questo caso la differenza. “ “E se caricassimo solo la madre o il padre e affidassimo i cuccioli ad un'altra coppia o ad un altro genitore single? Se l’esposizione dei soli genitori otterrà successo torneremo qui e riporteremo i genitori dai figli. Questo perché mentre Gogo rema con il sistema della ruota a pale io mi porto in braccio sotto le ascelle i 2 esemplari” “Baymax non funziona così. Certi animali muoiono di tristezza se vengono separati dalla loro prole e viceversa. Non credo che sia molto complicato. I piccoli, che sono, bè, effettivamente piccoli, li porteremo noi in barca, mentre tu ti occupi degli adulti. Come ti sembra?” “Approccio zoofilo in modalità ON da adesso” disse Baymax mentre camminava tranquillo verso la famiglia di Minmi. “Buuooongiorno Minmi, nome scientifico M.Paravertebrata. io mi chiamo Baymax e mio compito e portarvi nel mondo del XXI Secolo. Venite con me” e li sollevò per il torace e se li portò dietro come Bud Spencer con il bambino e il casco di banane in Banana Joe tornando da Hiro. “I piccoli sono vostri” disse senza paura. “Baymax è mitico” disse Hiro trattenendo un jawdrop. Per primi vennero fatti salire gli adulti, mentre Baymax si preoccupava dei cuccioli. La traversata fu tranquilla e nulla li arrecò minaccia. Ma appena dopo che vennero imbarcati i cuccioli da sopra la caverna dei Minmi si udirono dei versi inferociti metà latrato ursino metà guaiti da rinoceronte mentre il Baryonyx fuggiva via, mentre si avvicinava un Pachirynosaurus spinto dal davanti da un Suchomimus. Il Baryonyx era stato allontanato dal Suchomimus per invasione del territorio. Il Pachirynosaurus invece apparteneva ad un branco di passaggio, e il Suchomimus, staccatosi anche lui da un branco, aveva cominciato a attaccarlo. “Allontaniamoci Gogo, e Baymax!” e fuggirono mentre il Pachirynosaurus cadeva con il Suchomimus che girava a sinistra per non attaccare in posizione di vulnerabilità il ceratopside. “Ma l’epoca dei dinosauri era davvero così? Nonostante a me piacciano i dinosauri (e a chi non piacciono?) sento più che mai nostalgia di marmellate, spade, libri di geometria, granai, cantine, città, camere, navi, pugnali, calze da donna, letti, coperte, alberghi. Di civiltà, insomma” “Parte A, non so dire. La legge della jungla di Il libro della jungla (Ti bastan poche briciole/lo stretto indispensabile…), il cerchio della vita de Il re leone (Hakuna matata/ma che dolce follia/hakuna matata/tutta frenesia….). Cose così. Parte B, hai ragione. Torniamo a San Fransokyo” usciti dal Mamiya, intrapresero la discesa verso poi all’Asahi. Ma qualcuno li aveva guardati, per tutto il tempo […] “Pronto Motoko Kusanagi? Qui parla il capo dell’INTERPOL Daisuke Aramaki” “Ricevo Aramaki-san” “Sta arrivando a San Fransokyo da Kushiro un carico speciale con Hiro Hamada e Gogo Tomago” “E Baymax?” “Perché ti interessa?” “Mi piacciono i robot” “C’è anche lui. Contiene un..Minmi Paravertebrata” “Che diavoleria è?” “Un dinosauro tireoforo” “Vivo o fossile?” “VIVO” […] Hironemasa, dopo il quadruplo congedo a Hiro, Gogo, Baymax e Inemasa-san, scese dall’Asahi di circa qualche miglio, raggiungendo una teleferica. Era la stessa necessaria per chiunque dovesse arrivare al Mamiya e all’Aso, un vulcano termale. Raggiunse un palazzo simile ad una versione piccola e euroasiatica dell’ingresso del palazzo reale di Petra. Ad attenderlo c’era una specie di mongoloide/anatolica con i seni di una birraia dell’Oktoberfest, con 4 braccia, la pelle mimetica, un enorme pungiglione tentacolare con una micidiale punta in osso. “Vuoi discuterne, Hironemasa-san, davanti a ballerine, quadri di Bacon, poesie di Testori?” “Pomeriggio d’estate i bambini si accomodano accanto alle eteree un harem fresco di Creta e Pontecagnano il resto erano eiaculazioni su mute di velluto le odalische anatoliche sui cuscini le odalische mongoloidi sulle monete d’acciaio e ununpentio le supereroine tra i kea e le pantere le ginoidi su una scultura a tromba d’Eustachio di Kapoor baciano le labbra degli ottavini galattorrea su turiboli di stagno uteri scappucciati nelle innervazioni di nevicate di succhiotti la pole dancer vestita con muta nera con simboli del nucleare sui seni si fa toccare le mammelle….” “I 3 eroi hanno trovato la creatura, vero?” “Sono stato io a consigliarli. Se la memoria non mi sta calando, tu ti chiami Hopi. E sei un Ancestrale” “Sì. Apparteniamo ad un antica super razza di creature dell’Iperuranio, del mondo dell’Iperuranio di I’l. I’l era interamente ricoperto di montagne, nelle quali dormivano i nostri antenati. Quando fu tempo, i nostri antenati, in sonnambulismo, emigrarono verso le montagne volanti della cordigliera di L’el, nell’entroterra di I’l, dove affrontarono la peregrinazione verso i mondi delle Quattro Costellazioni, la Costellazione del Drago, Costellazione del Pegaso, Costellazione dell’Unicorno, Costellazione del Cerbero. Furono viaggi attraverso i piani dei quark, per evitare gli sciami di asteroidi che nascevano dai pianetoidi rudimentali che collidevano, il cui nucleoide vrochiplodeva per insufficienza di tauoni, che si fondevano in supernove (accompagnate da nane brune) con il Sole genitore. Quei pianeti, 81 anni e 1944 ore dopo quello che molti chiamano aleatoriamente erano già abitati da forme di vita superiori. Uno degli innumerevoli mondi sparati via da questo , la Terra, venne scelto per interconnessione fermionica da noi Ancestrali. Rimanemmo in quiescenza non qui sul Kuro che tu hai raggiunto con la terza teleferica che si stende dal Daisetsu nella piana del Sounkyo, ma dal Simatai in Cina, una delle parti della grande muraglia. Arrivammo tramite i condotti sotterranei del mare del Giappone, in direzione Nordest. Abbiamo visto l’Hokkaido quando era grande come la Campania, nel Paleocene. Già da tempo sopravvivevano creature delle epoche precedenti, che arrivavano qui in seguito agli sconvolgimenti vissuti dall’isola dell’Hokkaido. Le civiltà precedenti, entrate nel mito del Giappone, riuscivano a preservare il proprio sapere e la propria cultura trasmutando i propri shinten in testi d’aria da testi di Kado Shin’youju (carta di conifera), mentre ciò che non era cartaceo, gli artefatti non cartacei, diventavano reliquie leggendarie. Nel Paleocene, com’è detto, l’Hokkaido era grande tanto quanto la Campania, e durante tutto il Cenozoico numerosi maremoti che irrompevano sulle coste cinesi, nordcoreane e vietnamite fecero a poco a poco emergere altre sezioni dell’Hokkaido, fino, nel Pleistocene quando nacquero le civiltà per intercessioni, a raggiungere l’estensione topografica attuale. Siamo stati il respiro del Giappone, e i nostri figli bastardi con donne e uomini nipponici sono diventati i più grandi eroi di questo paese. Gli imperatori da Gensho a Hirohito, gli artisti da Hokusai a Murakami, gli inventori da Abe a Yokoi. “ “Ti prego Hopi di vegliare su Hiro, Gogo e quel robot, Baymax. La missione che abbiamo concordato per ripopolare la piana del Sounkyo e tutte quelle regioni dell’Hokkaido destinate a tramutarsi in un deserto fallirebbe se la creatura morisse o diventasse pericolosa” “Farò tutto il possibile Hironemasa-san” Solo l’INTERPOL di San Fransokyo sapeva della famiglia di Minmi in arrivo da Kushiro, con l’ordine di parlarne come orsi, e tutti i membri della Sezione 9 e dei Big Hero 6 erano sulla banchina in attesa della nave cargo. Era una notte nebbiosa e fredda, che divenne poi piovosa, con tutti gli attendenti costretti, pur di “rimanere sul pezzo” e fare capannello intorno alle creature per non permettere a nessuno se non al momento prestabilito di capire che quelli annunciati per il molo di San Fransokyo non erano orsi si erano riparati in dei container. La nave aveva il simbolo dell’Hokkaido, una specie di quadrifoglio bicromo bianco e nero con 6 punte, consuetudine di tutte le navi del Giappone meridionale e settentrionale. “E’ la nave” disse Motoko. Per non dover poi fare la giocoliera con un ombrello, era coperta con una mantella da pescatori di tonni, in toni del blu/viola scuro, e così erano tutti gli altri membri della Sezione 9. I Big Hero 6 avevano invece ombrelli colorati, Honey con corolle di pesco, Fred con caratteri kanji disegnati da Hokusai, Wasabi con un semplice ombrello verde. Mentre Batou e Borma con degli Uchikoma spostavano il cargo (simile ad una gigantesca scatola di Gongoli Grissin Bon con una serie di buchi dell’aria in acciaio inox) tra i membri dei Big Hero 6 c’erano abbracci su abbracci. Alle torrenziali domande congiunte x3 di Fred, Wasabi e Honey Hiro, Gogo e Baymax rispondevano dicendo che erano stati bene, e che avrebbero detto tutto dopo. Al porto c’erano anche le Clara Dolls e Cass, e mentre Cass, ulteriormente ringiovanita, accoglieva Hiro come una vecchia madre resa saggia dal tempo accoglie un figlio adulto, le Clara Dolls erano compite come prima, sotto Baikarakaran, non lo erano mai state. S’inchinarono, e accompagnarono gli Hamada a casa. All’Università scientifica di San Fransokyo. Hiro: “Ladies and gentleman, io sono Hiro Hamada, capo della divisione dell’INTERPOL. Stasera vi racconteremo due storie. Vi mostreremo delle cose. Parleremo di uomini, di un uomo, di un vecchio, un eremita delle catene montuose dell’Hokkaido. Il suo nome è Hironemasa Hezinshin. Camminando sul Mamiya, ha trovato un brandello di Eocene, sopravvissuto ai cambiamenti di emersione e immersione dell’Hokkaido. Piante come il cipresso, l’araucaria, la margherita. cipresso araucaria margherita piante con cui salvare dall’inaridimento la parte più selvaggia dell’Hokkaido. Quell’Hokkaido che non si vedrebbe, se ci si limita a navigare da Tokyo, o San Fransokyo, attraverso il mare del Giappone o il Pacifico Settentrionale, fermandosi a Sapporo, approdando a Otaru. Quell’Hokkaido dell’antico popolo Ainu Fred: di cui parla molto bene Hiroyuki Takei in Shaman King, con il personaggio di Horo Horo e il suo spirito guida Koropokkuru! Horo Horo con il suo snowboard e Koropokkuru nell’anime di Shaman King, diretto da Seiji Mizushima un Ainu in abiti tradizionali in una foto d’epoca Hiro: che rischia di trasformarsi in una landa desolata. All’inizio Hironemasa-san, kannushi di un monastero shinto sull’Asahi-mentre la flora eocenica di cui stiamo parlando è sul Mamiya-faceva tutto da solo. I pendii del Mamiya avevano già una flora eocenica sufficientemente robusta, che dal versante al piede trascolora progressivamente da cipressi araucarie margherite in ontani, abeti e agapanti, ma il suo scopo era fiorire e rimboschire dall’Asahi in poi. Cominciò, studiando i cipressi, a piantare ginepri, affinchè il terreno dell’Asahi com’erano fatte le radici del cipresso (perché il ginepro e il cipresso appartengono alla stessa genia di alberi). Ma a poco le piante che crescevano, dalle bufere e gravate dalle nevicate, arrivò la minaccia ben più decisiva delle frane. Una mandria di macigni corse a valle, la valle del Kamikawa, riuscendo a sradicare alberi che erano sopravvissuti più che brillantemente a nevi e ghiacci che avrebbero ridotto in compost la comunque ribalda flora del Giappone Meridionale. Ciononostante le continue frane che spellano il versante orientale dell’Asahi portano alla luce uno strato di terra soffice a sufficienza perché le piante attecchiscano. Ma il terreno diventa più ripido, e seminare diventa molto pericoloso. Così Hironemasa-san torna al suo monastero e, stavolta insieme ai suoi, progetta un superveicolo di semina. Metà trapano, metà treno, metà aereo, metà motoscafo, metà sommergibile. modellino propedeutico della macchina di Hironemasa-san fece Robur >si chiama Epouvantè, Terrore. È insieme veicolo aereonautico, veicolo autostradale, veicolo nautico, veicolo sottomarino da Jules Verne Il padrone del mondo con questa macchina Hironemasa-san progetta di seminare su tutto l’Hokkaido da Sapporo in su, salvandolo dall’inaridimento. Ma purtroppo ha bisogno del vostro aiuto. Mi rivolgo all’Illustrissima Abigail Callaghan della KIRI per sostenere il “Progetto Eocene”. Se ancora non siete convinti che si parli di piante preistoriche vi mostro chi, nel Mamiya, le mangia e ne diffonde i semi con la cacca:” a quel punto il container galeotto venne scoperchiato, mostrando i Minmi in perfetta salute. Hiro era felice di vedere che i Minmi erano tutti in perfetta salute: la Sezione 9 era stata bravissima a tenerli nascosti e a nutrirli di nascosto per un tempo non esattamente di un secondo. I tireofori si muovevano come a loro completo agio, mentre l’atmosfera, giù tra le poltrone e le sedie, era ad una tensione voltaica elevatissima. Valutando la situazione, Hiro riflettè che quel film non sarebbe importato a nessuno. Timidamente, un roboticista alzò una mano che più che alzare una mano sembrava stesse rimettendosi in posizione verticale dopo una sciabolata alla pancia tanto era lo sforzo per piegare in su il bicipite con il peso colonnare dell’avambraccio e della mano, cogliendo l’attenzione di Hiro dove lui già sapeva si sarebbe posata la zanzara. “Ma non sono animatronic?” chiese. “No e ve lo posso dimostrare” e Hiro scese dal palco, mentre degli enormi schermi azzurri, simili a dei pigliamosche, intrappolavano i Minmi. Erano 4 schermi a raggi X, che visualizzarono, in un duplicato tramite cineschermo iperrealista, i Minmi che si muovevano per muoversi come tripanosoma in un campione di sangue, prima senza pelle, poi senza carne, come tutti nel videoclip di Hey boy Hey girl dei Chemical Brothers, mostrando la disarmante realisticità, veridicità delle creature. Poi i 4 schermi a raggi X scesero come dossi cilindrici che permettono il passaggio di un auto. Nei giorni successivi Hiro badò molto ai Minmi, mentre intorno a lui e loro si stava scatenando la guerra. Tutti volevano intervistarlo, tutti volevano saperne di più, tutti non parlavano che di lui. E tutti volevano anche sapere chi fosse Hironemasa-san, dove stesse, come avesse scoperto il mondo perduto sotto il Mamiya. Dall’aeroporto di Shin Chitose arrivò Inemasa, in un taxi senza che nessuno lo importunasse. Un branco di acchiappa notizie del San Fransokyo Examiner erano già partiti di gran carriera per Sapporo, indovinate, dopo l’annuncio del Progetto Eocene, per fare che. Inemasa arrivò da Hiro dopo che Batou aveva minacciato di violenza fisica un giornalista del capannello davanti all’ingresso deposito carichi pesanti alla volta, ringraziando il corpulento cyborg e prendendo posto davanti a Hiro, in osservazione dei Minmi. “Non sono ancora capace di smettermene di stupirmi” disse Inemasa, già reso più abituato per aver visto un Protarchaeopteryx. “Io pure. Di dinosauri ne ho visti già 7: Protarchaeopteryx, Centrosaurus, Megaraptor, Barionyx, Minmi, Pachirhynosaurus, Suchomimus. Bella collezione di modellini Kabaya che ho è?” “Sì Hiro sì. Lasciami accomodare [Inemasa si siede accanto a Hiro su un parallelepipedo di ontano, mentre tutta la scena si svolgeva in un hangar vuoto, con i Minmi che gironzolavano]. Sciacalli, zanzare, sanguisughe, marabù addosso per saperne di più? Hai mantenuto il segreto?” “E come avrei potuto? Il mondo doveva sapere. Tutto il lavoro di una vita non può essere tenuto nascosto. Così almeno se Hironemasa morirà nulla di quello che ha umilmente fatto andrà perduto. Adesso bisognerà impedire che succedano guai” “Ma i guai succederanno. Succederanno come è già successo innumerevoli volte. Come quando Colombo scoprì l’America. Non sono un pessimista, eppure dagli anni 80 le scoperte di Bakker sull’intima natura aviana dei teropodi alimentarono un rinascimento paleontologico, che mise in discussione l’immagine umanistica precedente dei dinosauri. Ma non tutti festeggiarono. Io mi sono impegnato a far conoscere in Giappone Stephen J Gould, che aveva già capito la trappola. Ti mostro come l’aveva capita” e mostrò a Hiro un edizione giapponese, per la Shueisha, di Bravo Brontosauro, del 1992. Poi ne trasse una per gli anglofoni e i latini, titolo originale Bully for Brontosaur, 1991 edito da Norton. “Gould sapeva che questo interesse verso i dinosauri era legato solo a motivazioni commerciali. Paradossalmente Jurassic Park, film contro la mentalità dinomaniacale, la esasperò ancora di più. Giovanni Pinna, direttore del museo di storia naturale di Milano, lo racconta bene. Tale è stato il successo di Jurassic Park, che anche qui in Italia si è pensato bene di profittarne. Il museo di storia naturale di Milano è uno dei più antichi e importanti e può contare un più che ragguardevole stock di fossili: lo pteranodon di Michelangelo Ricci, il diorama di Tanystropheus e Askeptosaurus di Duilio Forte, il triceratops acquattato a terra di Luciano Menghi, che conquistò pure il meneghenissimo Dino Buzzati, gli scheletri di Ozraptor, Tuojiangosaurus, Megalosaurus, Massospondylus nella grande sala, lo scheletro di Kronosaurus, persino la scultura di Pino Pascali Dinosauro ritrovato, su cui ci si siede dimenticando l’importanza-a dire il vero modesta-dell’opera e dell’autore. Altrove, ad esempio a Napoli, ci si è fatti arrivare dall’America uno scheletro di Allosaurus per l’androne principale, da cui poi intraprendere l’esplorazione delle sale di mineralogia, zoologia, antropologia, paleontologia, fisica. Un Allosaurus che adombra anche i più modesti, ma autoctoni, resti di mastodonte che albergano nell’area di paleontologia. L’Italia, patria di animali, perde davanti ai mostri d’oltreoceano, come già avveniva in A 30 milioni di chilometri dalla Terra dove un romano elefante dello zoo della Città Eterna viene sconfitto dallo Ymir, dinosauro venusiano made in U.S.A mosso da Ray Harryhausen. Soprattutto oggi, a 2 anni di distanza dalla scoperta, in Campania, dello Scipyonix, teropode affine al Deinonychus il cui unico esemplare a tutt’oggi scoperto, Ciro, non è solo un cucciolo (facendo scattare la tenerezza pavloviana per tutti i cuccioli, compresi i ) che fa tanto Bambi, ma è pure più di un fossile. È una salma da catacomba, come quelle che erano morte baciandosi. Ciro è incredibilmente dettagliato a livello osteologico, ha anche le budella (a dire il vero ridotte a poco più che un informe crosta marronastra) in evidenza. Subito ci si è azzardati a dire che il reperto era decisivo per capire se i dinosauri erano o meno parenti prossimi o remoti degli uccelli, analizzando la struttura delle vertebre toraciche arrivando così a capire se fosse o meno provvisto di sacche aeree, quindi se fosse o meno prossimo agli uccelli. Cari miei, i fossili sono poco meno che ossa pietrificate, e sapremo davvero tutto sui dinosauri solo quando ne avremo in gabbia uno vivo, possibilità ahimè assolutamente remota. “ “I dinosauri, soprattutto adesso, sono i mostri che la società, ogni società, chiede per sé stessa. Dopotutto molto del loro appeal deriva dall’essere sufficientemente simili ai vecchi draghi delle fiabe, in una strana epoca in cui alle fiabe sembra non crederci più nessuno. Passerà anche questa moda, come ne sono passate già tante, ma è da vedersi se, dopo questa euforia, dei dinosauri rimarrà qualcosa” “Sagace il milanese” disse Hiro. “E’ come ha detto lui. Non possiamo più nascondere il Mamiya, ma bisogna metterci in mezzo a questa bolgia di approfittatori, non perché io tema un nuovo King Kong, ma di più perché temo un nuovo Joseph Merrick” Hironemasa-san era morto, ma un suo diacono, Fatori, continuava indefessamente i lavori alla Sperminatrice (il nome del super veicolo era nel frattempo cambiato). I giornalisti vennero completamente cassati, e Fatori-san, che più che giapponese sembrava un cinese sull’orizzonte concettuale del Glynn Turmann di Gremlins di Joe Dante, disse tutta la pappardella senza che essi potessero assalirlo. Chi conosce la verità e agisce nella giustizia non ammette repliche. “Hironemasa-san è stato un grande kannushi. No, sono ancora gonseikai, mi nomineranno kannushi tra 56 giorni. Ha scoperto quel membro di Eocene sul Mamiya…per lui era importante che quelle piante si diffondessero per la piana del Sounkyo. Si sta inaridendo, non ci cresce quasi più nulla. Sì, per lui era prioritario. Sì, era un cyborg. Sì, ha imbobinato tutti i propri pensieri. Sì, i lavori stanno a poco a poco giungendo a compimento. E la Sperminatrice decollerà entro breve con i semi. Come? V’interessa il Mamiya? No, stateci lontani. Già quando ero il più misero dei frati Hironemasa-san, ancora gonseikai, mi disse di essere già stato sul Mamiya, e di avervi scoperto abomini che il mondo, a prescindere da quello che voi volete, NON deve conoscere”
   
 
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