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Autore: Kerberos 1001    12/04/2016    1 recensioni
C'è stato un tempo in cui gli dei governavano l'Universo.
C'è stato un tempo in cui i figli degli dei giocavano nell'Universo
Ora è tempo che i figli degli dei giochino con l'Universo ...
Genere: Drammatico, Fantasy, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Sabbia. Calda. Morbida. Cedevole.
Scivola. Scappa. Dita. Calde. Ocra di polvere. Buffo!
Affondo. Bello! Ora … io … dormo …

Rinvenimmo il primo esemplare sepolto sotto le sabbie del deserto, al centro di una delle aree più secche e invivibili dell’intero emisfero: ad un primo, sommario esame, sembrava che fosse rimasto intrappolato in un imbuto colmo di polvere finissima, affondando lentamente sino a raggiungere il letto roccioso sottostante, ad una quindicina di metri dalla superficie; per quest’unica ragione, si era preservato praticamente intatto per interi millenni, protetto dalle tempeste di sabbia che imperversano qui per la maggior parte dell’anno. Ora non ci restava che scoprire tutti i suoi segreti …

«Si direbbe che sia stato realizzato con uno scopo preciso, ma che sia dannata se ho capito quale!»
«Buongiorno anche a te, Fanny. Ti andrebbe una tazza di caffè?»
«Oh, lasciami in pace! Sono troppo arrabbiata per le tue smancerie!»
«E per il caffè?»
«Mi lascerai lavorare in pace, se accetto?»
«Dopo soltanto settantadue ore che sei qui dentro senza fare uno straccio di pausa? Certo, come no!»
«Guarda, non provarci neppure a dirmi di interrompere, tanto non lo farò!»
«Come desidera, mia signora: la salute è sua!» Scrollo le spalle: «Certo che uno si aspetterebbe un po’ più di buon senso da una scienziata del tuo calibro …»
Mi guarda storto: «Devo capire …»
«Come ho già detto, fai pure: quando crollerai per la stanchezza, ti raccoglierò, come sempre, ma se ti risveglierai con la sensazione di essere stata presa a calci nel sedere, sappi sin da ora che sono stato io!» Mi volto per andarmene: sono furioso, e lei lo sa benissimo.
«Aspetta! Non avevo intenzione …»
«Di comportarti da idiota? Forse no, però lo hai fatto! Cosa credi di ottenere, ammazzandoti di fatica?»
«Io speravo …»
«Bhè, hai sperato male! A letto, subito!»
Fanny mette il broncio: «Sì papà, subito …»
«Se credi di rabbonirmi a questo modo, ti sbagli!»
Lei sbuffa: «Sei proprio come mio padre! Antipatico!»
Non replico nulla, so benissimo come si comportava suo padre con lei, c’ero anch’io, per la maggior parte degli ultimi cinque anni …
«Qualche ipotesi?» chiedo, mentre un po’ l’accompagno, un po’ la sorreggo lungo il corridoio, sino al suo alloggio.
«Metallico, gigantesco, inumano: ti basta?» borbotta assonnata
«No. Cosa hai scoperto?»
«È artificiale … e non lo è affatto!»
«Lapalissiano …»
Mi rivolge lo sguardo di un gattino bagnato: «Scusa, non so come spiegarlo meglio.»
«Provaci! Di solito riesci a fare molto meglio di così!»
«Di solito mi reggo in piedi da sola!» commenta, poi: «Uno scheletro come quello non può essere naturale, sei d’accordo?«
«Quattro braccia, quattro gambe e una testa? Non vedo perché no: sicuramente è efficiente.»
«Se proprio vuoi fare del sarcasmo a mie spese, almeno sii corretto: non sono quattro gambe e quattro braccia, sono quattro avambracci e quattro … Dannazione! Quattro gambe, okay, ma con due soli femori! E comunque …»
«Comunque?»
«Quello che voglio dire …»
«Sì?»
«Quello che sto cercando di dire … »
«Avanti! Continua!» la incito
«Bastardo che sei! Invece di aiutarmi mi prendi in giro!»
«Povera vittima innocente!» Scuoto il capo, tutto compreso. «Intendi forse dire che la struttura microcristallina di quelle ossa è troppo regolare, troppo perfetta per essere il frutto di una fusione? In questo ti do perfettamente ragione: possono solamente essere cresciute, anche se risulta difficile credere che il titanio e il nitruro di boro possano formare la base per la vita!»
Ma lei non mi sta più ascoltando. Prima di rimboccarle le coperte, osservo l’espressione rilassata del suo viso: così fragile, così bella! Sospiro, scrollo le spalle e chiudo la porta senza fare rumore: domani si vedrà.

Sogno. Fresco. Gente. Piccola. Bella! Dormo. Solo un poco. Tanto sonno. Tanto, tanto sonno …

«Allora? Va meglio, ora? Riesci a concentrarti?»
«Sissì! Va bene, bravo: tu avevi ragione ed io torto! Sei contento, adesso?»
«Felice.» Le porgo il caffè, fresco, questa volta. Mentre lo sorseggiamo assieme, osservo la creatura stesa sui pallet nel capannone. Strano, mi è quasi parso che …
«Bè? Non mi chiedi se ho scoperto qualcosa?»
«Dovrei?»
«Tu chiedimelo!»
Sospiro: «Hai scoperto qualcosa?»
«Quanto entusiasmo! Comunque sì, ho scoperto qualcosa: guarda!»
Mi pianta sotto gli occhi lo schermo del palmare col quale sta pasticciando da quando sono entrato.
«Bellissimi tracciati!» commento «Cosa dovrebbero rappresentare?»
«Attività elettrica!»
«Stai monitorando l’attività dei generatori?»
«No, idiota! Questi non sono i generatori: è lui!»
«Stai scherzando! Quella cosa è morta da millenni … sempre che sia mai stata viva!»
«I sensori non sbagliano!» s’infervora «C’è attività elettrica percettibile. E …»
«Cosa?»
«É iniziata da quarant’otto ore»
La fisso, stranito: «Dopo che l’abbiamo portato qui?»
Annuisce.
Dannazione! «Aumenta? L’attività che registri!»
«Ho capito, non sono mica scema! No, non aumenta: assomiglia …» fissa a lungo il palmare «Sai, assomiglia al tracciato del sonno REM. So che è assurdo, ma più lo guardo e più l’impressione si fa forte.»
«Il bel gigante addormentato! Secondo me si tratta di cariche vaganti: in fin dei conti, è fatto per il novanta per cento di metallo!»
«Sarà, ma sono poco convinta.»

Due settimane più tardi, giunse la notizia di altri due ritrovamenti, uno sotto i ghiacci dell’Antartico, il secondo nella caldera semi-attiva di un vulcano sulla Cintura di Fuoco. Erano intatti, come il nostro esemplare. Erano diversi, completamente: umanoidi, come il nostro, ma con diverse proporzioni, diversa disposizione e numero degli arti, diversa forma del cranio. Contattammo gli istituti nei quali erano stati portati: anche loro avevano rilevato la stessa attività elettrica negli scheletri, lo stesso schema, quasi che le tre creature stessero davvero sognando lo stesso identico sogno …

Amici! Vi sento. Che bello! Ci siamo ancora tutti. Ora possiamo … possiamo giocare?

Un mese: il tempo che ci era stato concesso. Ma noi non lo sapevamo, non potevamo saperlo!
Il primo a mostrare segni fattivi di attività fu l’esemplare antartico, il più piccolo dei tre: a pochi giorni dal ritrovamento, sviluppò una sorta di apparato fonatorio, complesso come il più complesso degli organi che abbia mai arricchito una cattedrale, e con quello cominciò a cantare, una melodia arcana, fatta di armoniche ad alta frequenza in lunghe sequenze di accordi, intervallate da sezioni ritmiche classificabili unicamente come vibrazioni, per ore e ore di seguito, senza sosta. I colleghi scienziati che lo studiavano dapprima ascoltarono e registrarono scrupolosamente, elaborando spettri, confrontando, equiparando frequenze, cercando un significato in quello che ritenevano essere un linguaggio; dopo le prime ventiquattr’ore, misero gli strumenti sull’automatico e intrapresero altre serie di studi ed esperimenti che avevano tralasciato per l’improvvisa novità.
Dopo altre ventiquattr’ore, le comunicazioni con la struttura di ricerca cessarono completamente: apparentemente, tutte le frequenze si interrompevano alla stessa identica distanza dalla base, come se incocciassero in una parete invisibile di spessore infinito; quello che preoccupava il mondo, ora, era l’ultimo messaggio in uscita: «Si è svegliato! È bellissimo! È terrificante! Ho … ho paura, una paura terribile! Venite a prendermi! Qualcuno … qualcuno venga a prendermi! Vi pre …»
Nient’altro. Nulla e nessuno che riuscisse a penetrare la barriera, niente e nessuno che ardisse andare fin là di persona …

Ninna nanna! Ho cantato. Si sono addormentati. Il ghiaccio si è svegliato. Il ghiaccio gioca con me. Gioca per me. Voi, con chi giocate?

Fanny entra di corsa nel mio ufficio, gli occhi fuori dalle orbite: «Carne!» bofonchia «Carne!»
Non alzo nemmeno gli occhi dal microscopio a scansione: «Se hai fame, mi spiace, ma hai sbagliato stanza: la mensa è in fondo al corridoio!» commento
Lei mi afferra per un braccio, affondandomi le dita nel bicipite. «Ehi! Mi stai facendo male, dannazione! Che ti prende? Hai sniffato qualcuno dei tuoi amati solventi?»
«Carne! Carne! Carne!» ripete, strattonandomi verso la porta: che sia impazzita tutto d’un tratto?
«Si può sapere che ti ha preso? Perché continui a ripetere quella parola?» Guardandola meglio, mi rendo conto che sta piangendo: Fanny non ha mai pianto, da che la conosco! «Fanny! Tu …»
Lei tira su col naso, mi lascia andare, quasi cade sedendosi a tentoni su una delle poltroncine: «Sta sviluppando della carne … del tessuto organico …»
«La creatura?!» Allibisco: come diavolo è possibile? Prima l’attività elettrica; poi la canzone ed ora … questo!
Sono io ad afferrarla per il braccio, ora, e a trascinarla di peso lungo il corridoio: «Mostramelo! Fanny, sveglia! Sei o non sei una scienziata?» Strapazzarla è l’unico modo per ottenere una reazione coerente da lei: è chiaramente sotto shock. La spingo nella camera d’osservazione, lei inciampa e si ferma con la guancia contro la vetrata che dà sul capannone; senza neanche un accenno a guardare di sotto, scivola lungo la parete e si rannicchia sul pavimento, le ginocchia al petto. Io mi avvicino, scuotendo il capo, pronto a tirarla un’altra volta su di peso, quando gli occhi mi cadono sulla creatura: muscoli! Sta sviluppando muscoli ad una velocità incredibile! E organi: li vedo pulsare e formarsi sotto il rivestimento sempre più spesso di tessuto fibroso …
Solo che non si tratta di vera e propria carne, Fanny si è sbagliata: quello è cristallo! Do uno sguardo agli schermi degli analizzatori laser perennemente puntati sul nostro ospite, la voce di lei mi precede: «Idrogeno metallico … stabile» borbotta in un primo momento, poi più forte, quasi gridando: «A temperatura ambiente!» mi fissa, gli occhi due pozzi di terrore: «Capisci? Capisci che cosa significa?»
Certo che capisco: l’esperto di fisica dei materiali sono io! Eppure …
In quel preciso momento, giunse la notizia dalle Hawaii: i vulcani – tutti i vulcani di tutto lo stramaledetto Pacifico! – erano esplosi all’improvviso …

Fuoco! Caldo. Fuoco! Bello. Il mio fuoco batte il tuo ghiaccio. Sono più forte! Sono più bravo! Ho vinto io!

Cenere. Migliaia … di miliardi … di tonnellate … di cenere. Ovunque! Sino alla troposfera; disciolta negli oceani, nei laghi, nei fiumi; metri e metri di cenere come neve su buona parte della Terra …
E la dorsale pacifica continuava ad eruttare.
Apocalisse. Perché? Per quale motivo stava accadendo tutto questo? Non era …
«Ha finito.» Fanny, la voce priva di emozioni. È appoggiata allo stipite, lo sguardo fisso al pavimento. «È persino bello, ora che è risorto, sai?» Una lacrima brilla nella luce dei neon che filtra dal corridoio. Ormai siamo soltanto noi due: gli altri sono fuggiti da tempo, sono andati a morire là fuori nel caos.
«Nostro figlio …» Mi tende la mano: «Vuoi venire a vederlo per l’ultima volta?»
Percorriamo insieme quel corridoio che ormai consideriamo alla stregua di un patibolo, sino alla vetrata, visibile laggiù in fondo: ormai le porte, i codici di sicurezza, non hanno più alcun significato.
Lui è seduto sui pallet che l’hanno ospitato per tante settimane. Proprio come un bambino, passa il tempo ad osservare curioso le sue quattro mani, i suoi quattro piedi, lucidi e luccicanti sotto le luci al sodio: palmo; dorso; dita; palmo; dorso; dita … e poi di nuovo daccapo. Occhi grandi, di un meraviglioso color ametista, curiosi, seguono le mani che scivolano su quel liscio assurdo scientifico che è il suo organismo, accarezzando, saggiando, esplorando. Posso vedere il suo cuore pulsare, pompando plasma stellare attraverso arterie che altro non sono se non tubi di flusso magnetico stabilizzato scavati direttamente nel suo corpo. Fanny ha ragione: è davvero bellissimo!
Ci vede, sorride, ci saluta. Poi si alza, allarga le braccia ed emette il suo primo, ultimo vagito …

Io. Sono. Qui!
Io. Sono. Tornato!
Io. Canto. La. Canzone. Delle. Stelle.
Ho vinto. Questa luce si è spenta. Peccato.
Andiamo a giocare da qualche altra parte?
   
 
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