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Autore: Aicha    04/04/2009    33 recensioni
Sophie, ventitre anni, è una ragazza vivace, brillante e creativa. Vive in un piccolo appartamento in compagnia dei suoi amatissimi libri e dei suoi amici di sempre, e la sua vita scorre tranquilla. Almeno finché Sophie non trova lavoro come assistente personale del suo misterioso scrittore preferito, E.D., e scopre che spesso le cose non sono come le immaginiamo...
Genere: Romantico, Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Conosco questo posto. Conosco il freddo di questa stanza e le sue pareti cupe. Conosco l'uomo che occupa il letto e fissa con un sguardo vuoto e inespressivo il soffitto. E una parte di me sa già come andrà a finire, tra me e Endre: male. Perchè tra noi due non è mai andata altrimenti. Ma quella parte, coscienziosa e razionale, scelgo di ignorarla. Non bisogna mai fidarsi del buon senso, quando si ha a che fare con uno scrittore. E' una lezione che ho imparato da bambina.
"Dovresti mangiare." è l'unica cosa che riesco a dire. Ho pensato a mille frasi e mille parole ma alla fine non faccio altro che suggerirgli di mangiare.
Lui volta la testa verso di me, lentamente. "Dovrei alzarmi, muovermi, sorridere. O almeno questo è quello che tutti pretendono da me. Temo che ma vi deluderò ancora una volta."
"Mi dispiace."
"Ti dispiace?"
"Per tuo zio."
Endre emette un rumore che somiglia a una risata strozzata e amara. "Odiavi mio zio."
"Io..."
"Tutti odiavano mio zio, Sophie. Anche io avrei odiato mio zio, se non avessi dato più importanza a quello che rappresentava."
Faccio qualche passo avanti, fino a raggiungere il letto. Liscio le lenzuola stropicciate con la mano. "Allora mi dispiace perchè sei qui, in questo momento, schiacciato da qualcosa che non c'è."
"Tecnicamente, sono schiacciato da qualcosa di non meno reale della sedia accanto al mio letto, perchè io lo percepisco come ogni altro oggetto della stanza." sento un respiro profondo. "Mi dispiace, sto diventando noioso."
Scuoto la testa, accarezzandogli lentamente i capelli. Lui non oppone resistenza. "Ti va di alzarti?"
"Non ci riesco, Sophie. Credimi. Con mio zio se ne sono andate le poche certezze che avevo. Ti sei mai sentita disorientata? E' come se non avessi idea di chi sono o dove sono, e mi rendessi conto che il problema non è che non riesco a trovare la strada di casa, ma che quel sentiero è stato seppellito da tempo."
"Io credo che se la casa non c'è più, dovresti costruirtene una nuova. E le fondamenta le hai già."
"Le fondamenta?" il suo sguardo è interrogativo, ma vagamente divertito.
"Ok, mi lascio trasportare eccessivamente dalle metafore."
"Il problema è che non ho alcuna voglia di costruire, in questo momento."
Scuoto la testa. "Lascerai cadere in rovina tutto quello che hai?" chiedo, il tono di voce sempre più alto.
Endre muove un braccio lentamente, fino ad afferrare il mio polso. "Sembri arrabbiata."
"Sai una cosa? Sono arrabbiata." e, in effetti, lo sono davvero. E' come se la collera stesse salendo verso la mia testa, violentemente. "Sono arrabbiata perchè potresti avere quello che vuoi, ma non fai niente per averlo."
"Ma se non sono riuscito nemmeno a tenermi Blanche."
"Tu non volevi Blanche!" ora sto urlando. "Tu non volevi Blanche e le hai chiesto di sposarti per impedirti di essere felice. Sei fortunato, Endre, perchè sei una persona meravigliosa. Perchè sei nato con la capacità di vedere l'essenza delle cose, di capire le persone, di farti amare senza neppure dare nulla in cambio. Hai Edward e Ewan, che mi hanno praticamente pedinato negli ultimi mesi perchè venissimi a parlarti. Hai Inga, che ti ama come un figlio. Hai me. E io ti amo, Endre, ti amo e non capisco perchè non vuoi guardarti allo specchio e decidere che sei un essere umano e, come tale, potresti amare anche tu."
"Tu non hai idea di cosa..."
"Non ho idea della tua vita? Non ho idea di cosa voglia dire essere soli?" grido. "Credi che sia stato facile vivere con una madre che portava in casa un uomo a settimana? Credi sia semplice coonvivere con cinque sorelle? Mio padre era un professore cinquantenne che ha sedotto mia madre, poco più che diciannovenne. Non lo ricordo affatto. Il punto è che tutti noi soffriamo, Endre. E' nella natura umana. Si può reagire, oppure..." lascio sfumare la frase.
"Oppure?" il suo volto è impassibile.
"Oppure ci si può costruire un muro intorno, come hai fatto tu. E finchè non sarai pronto a far crollare quel muro, io non riuscirò ad avvicinarmi a te, a conoscerti davvero, a capire quello che ti passa per la testa. Potrò aiutarti, se un giorno vorrai chiedermelo. Fino ad allora, è inutile che io stia qui."
Endre non si muove, e non mi ferma quando mi volto. Vorrei solo aver prestato attenzione alla mia parte ragionevole, per una volta.

"Verrà." ripete Davide, mandando giù una manciata di arachidi. "Ne sono sicuro."
Dafne lo osserva con un'espressione disgustata. "Hai davvero intenzione di cenare con quella roba? Noccioline e carne in scatola?"
"E' sempre meglio del tuo tofu."
La mia amica mi guarda, cercando evidentemente conforto. "Ok, Dafne, affrontiamo la realtà. Non sai cucinare."
"Ma..."
Alzo le spalle, afferrando un po' di carne direttamente con le mani. Non sono in vena di convenzioni sociali, oggi. "Mi dispiace, Daf. Sono nervosa."
"Non verrà."
"Cosa?" afferro il bicchiere e mando giù un sorso di vino.
"Endre non verrà. E' un grande uomo con l'emotività di un bambino. Non verrà perchè è spaventato."
"Spaventato da..." chiedo, ma vengo interrotta dal campanello. Mi alzo, scansando la carne molliccia, e apro la porta a Ewan. "Posso entrare?"
"Entra pure. Vuoi un po' di noccioline?" chiedo, aggiungendo una sedia attorno al tavolo.
"No, grazie. Vengo da casa di Endre."
Deglutisco con difficoltà. "Che ti ha detto?"
"A dire il vero non ha parlato. Però era in piedi." mi prende la mano. "Verrà."
Dafne rotea gli occhi. "Se volesse venire davvero, sarebbe qui. E' evidente che non è destino."
"Non credo affatto nel destino." ribatte Ewan.
"Dovresti. L'universo segue il suo corso e ci trascina."
"Non credi che sia una visione da codardi? L'universo ci trascina, così non dobbiamo prenderci le responsabilità delle nostre scelte..."
"Hey!" esclama Davide, interrompendo i due. "La cosa si sta facendo troppo seria, per i miei gusti. Potremmo tornare a parlare di noccioline?"
Il campanello. Di nuovo. Sussulto, e incrocio le dita dietro la schiena prima di aprire la porta. L'ultima volta che l'ho fatto avevo dieci anni e speravo di trovare una bambola nell'uovo di Pasqua. Ti prego, ti prego, ti prego, fa che sia Endre. Non riesco a pensare ad altro.
"Ciao, Sophie." è Edward, con la solita aria seria e preoccupata.
"Ciao."
"Posso entrare?"
Annuisco, facendogli strada verso la cucina. "Prendo qualcosa da mangiare." dico, quasi a me stessa, afferrando pop corn e cioccolatini. "Qualcuno vuole i biscotti alla cannella?"
Sento qualche 'sì', non troppo convinto, quindi afferro la ciotola.
"Ho parlato con Endre." esordisce Edward.
"Perlomeno con te ha parlato." commenta Ewan, leggermente infastidito.
"L'ho praticamente costretto. Non verrà, Sophie."
Sollevo le sopracciglia. "Sì, pare che ognuno abbia la propria teoria a riguardo. Non capisco perchè siete venuti qui. Senza offesa, ovviamente." mi affretto ad aggiungere.
Edward accenna un sorriso. "Immaginavo saresti stata distrutta. Nonostante tutto, sei parte integrante dell' E team. La nostra mascotte, oserei dire."
"E team?" chiede Dafne spalancando gli occhi, mentre il campanello suona di nuovo. Di nuovo, dita incrociate dietro la schiena. Di nuovo, non è Endre.
"Ciao, Emily. Ciao, Jane."
Emily sorride con aria colpevole. "Devo lasciarti la piccolina. Ti prometto che verrò a prenderla domani mattina. Lo giuro. Va bene, no?"
E incredibile come mia sorella riesca a scomparire senza aspettare la risposta. Prendo Jane in braccio e la porto in cucina, dove il gruppetto sta bisticciando riguardo duemila argomenti contemporaneamente. Jane si guarda intorno per circa dieci minuti, l'espressione concentrata e fortemente interessata, per poi schiarirsi la voce.
"Davide, la carne in scatola in effetti fa male alla salute. Lo dice sempre la mamma."
Dafne assume un'espressione soddisfatta, ma Jane scuote la testa. "Dafne, il tuo tofu è terribile. Anche peggio della sabbia che ho mangiato all'asilo, una volta."
Ewan ridacchia. "La sabbia, eh?"
"Sì, beh, volevo solo dimostrare a un bambino che non è vero che causa danni allo stomaco. Lui poi si è messo a mangiare i sassi, ma si sa come sono i maschi. A questo proposito, Edward, tu hai tutte le caratteristiche del maschio tipico."
"Ovvero?"
"Sei convinto di avere ragione e sei pessimista. E' chiaro, infatti, che Endre verrà."
Sollevo le sopracciglia. "E perchè?"
"Perchè ho visto come ti guarda." la piccola scoppia a ridere. "Ok, ho sempre voluto dirlo, lo ammetto. So che verrà perchè Endre è innamorato di te, e una persona innamorata può complicarsi la vita all'inversosimile, ma andrà sempre verso la persona che ama."
Edward ride. "Sono ancora convinto che Endre non verrà, ma tua sorella farà strada."
Mi stringo nelle spalle. "Tecnicamente, abbiamo tre verrà contro due non verrà."
Il campanello. Ancora una volta. Mi chiedo chi manchi all'appello. Inga? Mia madre? Un'altra sorella?
E invece, nel momento in cui potrei aspettare chiunque tranne una persona, quella persona mi appare alla porta. E' Endre.
"Ciao, Sophie."
"Ciao."
"Credi che possa entrare?"
Scuoto la testa. "E' meglio se parliamo fuori. C'è troppa gente, qui dentro.
Chiudo la porta dietro le mie spalle, e aspetto che Endre inizi a parlare. "Avevi ragione, Sophie. Io so chi sono. Il problema è che rifiuto di ammetterlo."
"Perchè do..."
Lui posa un dito sulle mie labbra. "Hai parlato davvero tanto, oggi. Ora tocca a me. Sono un idiota. E esordisco col dire che sono un idiota perchè è l'unica cosa di cui sono sicuro, ora come ora. Se penso che avrei potuto perdere..." la frase gli muore sulla labbra, mentre lui mi incornicia il viso con le mani.
"Ricordi quando ti ho detto che sei un fuoco? Ecco, è tutto lì. Il problema è che io mi sono spento da solo, Sophie. Mi sono spento attaccandomi a una famiglia che non ho mai avuto e a una donna che non ho mai amato. Mi sono spento perdendo di vista le cose importanti. La mia domanda è semplice: vuoi riaccendermi, Sophie Gràìn?"
Non riuscendo a parlare, mi mordo un labbro. "Io..."
"So che è difficile fidarti di me, ora come ora. Perchè sono un idiota totale. L'ho già detto, giusto?"
Sorrido. "Sì."
"Vuoi riaccendermi, Sophie?"
"Sì."
Lui sorride, e non credo di averlo mai visto così raggiante. Mi stringe a sé, con forza, poi scosta un ciuffo di capelli che copre il mio orecchio e poggia le labbra sul mio collo. "Il cognome di mia madre era Fontaine. Il cognome di mio zio, che presi a Londra, è Blanc. Il cognome di mio padre era Doestev. Era ungherese, o almeno questo è quello che mi è stato raccontato di lui. La D. del mio pseudonimo non significa nulla. E' solo una lettera, messa lì in ordine alfabetico. Quindi, Sophie, se vuoi conoscermi devi sapere che mi chiamo Endre Dostev-Fontaine-Blanc. Non che abbia molta importanza, ma volevo che tu lo sapessi." mi accarezza il polso con l'indice destro, lentamente, e io sono sopraffatta da tutte quelle sensazioni. "Voglio essere completamente onesto con te, perchè lo meriti." riprende. "Abito nel piano superiore di casa mia. Odio il piano inferiore, a dire la verità. Tranne per il minuscolo studio della mia caotica assistente. Ho vinto il premio Delacroix, qualche mese fa, e non riuscivo a pensare altro a quanto quel vestito fosse perfetto su di te. Eri spendida. Sei splendida. Odiavo Hans Bernard, perchè ti guardava come se volesse mangiarti. Adoro tua sorella Jane. Mi piacciono le alette di pollo che hai chiesto al cuoco a Parigi. Mi piacciono davvero tanto. Mi piace anche ridere, solo che non ci riesco spesso. E' che le cose non mi fanno ridere. Tu, però, mi fai ridere." Endre continua a parlare senza sosta, e mi chiedo come riesca a respirare. "Adoro quando parli, perchè non so mai cosa stai per dire. Amo i tuoi occhi tanto da averci scritto un libro. Non ho visto altri sguardi del genere, in vita mia. Non hai mai smesso di portare l'anello che ti ho regalato e questo mi conforta da quel giorno. Il mio gusto di cioccolata preferito è il peperoncino. Ti somiglia, il peperoncino. Sei sorpendente. Sei l'unica persona che può effettivamente fondere delle candele alla cannella e alla lavanda. E ti amo."
Senza sapere esattamente cosa dire, affondo la mia testa nel suo petto e rimango così per un bel po', protetta da tutto il resto. Poi, finalmente, lo prendo per mano e rientro in casa, dove tutti gli altri sono stranamente vicini alla porta.
"Stavamo origliando." ammette Jane. Io rido, mentre Ewan sembra raggiante. "Pare che l'universo abbia preso la sua decisione, non è vero, Dafne?"
Endre mi guarda leggermente disorientato, e non posso fare a meno di stringergli la mano con tutte le mie forze. E' Jane a rompere il surreale silenzio.
"Come al solito, avevo ragione." asserisce la piccola.
Come al solito, aveva ragione. E sono felice che sia così.

 

Ed ecco che un'altra fic è finita. E' sempre triste chiuderle, un po' perchè mi affeziono ai personaggi, un po' perchè temo sempre che il finale non sia all'altezza. Spero, di conseguenza, che lo sia =)
Nel discorso finale di Endre vengono ripercorsi quasi tutti i capitoli, ed è volutamente frammentario: in effetti, con Endre non ho sciolto tutta la "matassa" del personaggio enigmatico, ma lo preferisco così, ancora pieno di contraddizioni irrisolte ma felice, almeno.
Ci vediamo (spero!) su Chloe!

  
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