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Autore: BaccadorBombadil    14/04/2016    0 recensioni
Non l'avrei mai più lasciata, fosse stato Dio in persona a chiamarmi.
Genere: Drammatico, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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La spessa coltre di nebbia avanzava lentamente nel grande cimitero sulla bassa collina oltre la chiesa, minacciose nubi nere tuonavano di rabbia . Mi avvicinai all'anziana figura china sulla tomba dove si era celebrata, qualche ora prima, la messa funebre per la mia ormai defunta nonna. In quelle poche occasioni in cui l'avevo vista, la mia nonna paterna era sempre stata molto gentile nei miei confronti e in quelli di chiunque interagisse con lei; mi era sembrata una donna sapiente, in pace con sè stessa e con il mondo. Mi ero molto affezionata a lei, nonostante non fosse stata presente nella mia vita quanto avrei voluto, ma non fu una decisione sua quella di tenermi lontana, avevo dunque sofferto parecchio la sua dipartita, avrei desiderato conoscerla meglio. Ad ogni modo c'era chi si sentiva molto peggio, ed era chino davanti a me, sulla tomba della sua vecchia moglie. Vedevo le sue spalle sobbalzare di tanto in tanto e ciò mi fece capire che stava piangendo, erano giorni che era ridotto così. I miei occhi si erano solo riempiti di lacrime ma non ne avevano versate, fino ad allora. Quella figura mi fece provare un vuoto ancora più grande proprio nel centro del mio giovane petto, un dolore che non sapevo spiegarmi e così mi unii a mio nonno in quell’atroce sofferenza. Una lacrima rigò le mie rosee guaciotte. Poi un'altre ed ecco, un'altra ancora. Min inginocchiai accanto a lui, su quella lapide fredda e dura, come la morte che si era portata via una delle persone più belle che avessi mai avuto modo di conoscere. L'anziano mi cinse le spalle con un braccio, scuotendomi per farmi forza, o, forse, per farne a sè stesso. Si alzò in piedi e asciugandosi il volto mi tese la mano, l'afferrai e imitai i suoi gesti. Mi disse che non dovevo piangere, che la nonna aveva trovato un posto dove tutte le persone erano buone e gentili come lei. Ma io non ci credevo, nessuno ai miei occhi poteva e sarebbe mai potuto essere come quella donna, e sono sicura che sia la stessa cosa anche per lui. Ora che avevamo finito di piangere ci sostituì il cielo in quella triste celebrazione, discendemmo rapidamente il colle e ci rifugiammo in un antico Cafè delle estreme periferie di Cambridge. Per consolarci il nonno ordinò due enormi tazze di cioccolata calda con la panna montata e due fette di una calda torta di mele sormontata da una fresca pallina di gelato alla vaniglia. Il cibo, secondo lui, era un unguento per le anime ferite e pensai che avesse proprio ragione. Per qualche istante mangiammo in silenzio i nostri dolci, poi, quando lo scrosciare dell'acqua era divenuto particolarmente forte, il nonno alzò lo sguardo verso il cielo e sorrise amaramente alla sua sposa. Si girò poi verso di me, quel triste sorriso sul suo volto rendeva ancora più difficile accettare che la nonna non ci sarebbe mai più stata. Mi raccontò di come si incontrarono, sessant’anni prima, proprio in quel locale, proprio a quel tavolo e di come mangiarono una calda torta di mele, con una fresca pallina di gelato alla vaniglia e una grande tazza di cioccolata calda fumante con la panna montata, in un giorno di pioggia quando lui, colto improvvisamente da una tempesta, decise di rifugiarsi in quel locale dove lei stava leggendo un vecchio e polveroso libro. “Quando la vidi rimasi interdetto, senza parole. Non l’avevo mai vista prima di allora ed essendo un paese molto piccolo doveva necessariamente arrivare da un altro posto, uno dove tutte le persone erano come lei, un luogo migliore. Raccolsi tutto il coraggio che riuscì a scovare dentro di me e mi sedetti davanti a lei, dovevo almeno provarci, per quanto sapessi che non sarei mai stato alla sua altezza. Era così bella… i suoi occhi così intelligenti avevano un’aria così tranquilla e pacata, di una vivacità sorprendente, le sue labbra sottili e carnose erano di un forte rosso acceso, in contrasto con la sua pelle candida. I lunghi capelli mossi erano rossi come il fuoco e qualche fulmine, qua e là, dava un tocco di giallo in mezzo a quella folta chioma che incorniciava un visino allungato e pieno di lentiggini, soprattutto sul suo piccolo naso che tendeva leggermente all’insù. Le assomigli incredibilmente tanto, piccola mia. Quando si accorse della mia presenza sollevò dolcemente lo sguardo dal suo libro e mi sorrise. Quel sorriso aveva illuminato la stanza, l’intero paese e, sono sicuro, che anche le stelle in cielo l’abbiano visto brillare. Cominciammo a parlare, si era appena trasferita, veniva da Glasgow e i suoi genitori avevano deciso di trovare un luogo più tranquillo optando per le verdi periferie di Cambridge. Non è stato un caso che l’incontrassi, ne sono certo, lei mi stava aspettando, eravamo fatti per essere lì, in quel momento, ed essere la cosa più straordinaria che esistesse al mondo. Passammo tanti giorni assieme e ci innamorammo, o, per lo meno, ce lo svelammo reciprocamente. Io lo sapevo dal primo momento in cui i miei occhi l’avevano trovata. Fatto sta che dopo un anno arrivò una lettera, avevo solo 19 anni, all’epoca, ma mi chiamarono per il servizio militare, dovevo portare avanti una guerra non mia e abbandonare quanto di più bello avessi mai avuto. Ma lo stato mi chiamava e io fui costretto a rispondere. Promisi di scriverle in ogni singolo momento in cui ne avessi avuto l’occasione e lo feci. Ma quando quel ragazzo partì per consegnare le nostre lettere esplose sotto il fuoco nemico. A Cambridge arrivò la notizia che un giovane poco più che diciottenne era moro in guerra. La mia amata Caroline pensò che si trattasse di me e il dolore la corrose fin dentro l’anima. Quando, due anni dopo, feci ritorno, nessuna mia lettera era stata più inviata: l’esercito non poteva permettersi di perdere leve in quel modo e diede l’ordine di sospendere il servizio di consegna della posta. La ritrovai quasi morta, era completamente cambiata. I suoi occhi erano spenti e la sua pelle era diventata di un verde malaticcio, aveva perso molti capelli e sembrava avere cento anni in più di quando l’avevo lasciata. Alla mia vista credette di essere impazzita ma io corsi da lei e la strinsi forte fra le mie braccia: non l’avrei mai più lasciata, fosse stato Dio in persona a chiamarmi. Ben presto si riprese e l’anno successivo ci sposammo, eravamo felici. Avevamo trovato una casa accanto al bosco, con un grande giardino attraversato da un ruscello e un piccolo laghetto che in primavera si riempiva di pesci. Fecimo un figlio, tuo padre, e, dopo quattro anni, un altro. Eravamo la famiglia che tutti volevano avere, gli sposi che tutti ambivano a diventare. Ci amavamo ancora come quel pomeriggio al Cafè a mangiare torta e a raccontarci storie. Quando entrambi i nostri figli se ne andarono di casa trovammo più tempo per noi, ormai conoscevamo qualsiasi cosa l’uno dell’altra e per quanti problemi avessimo avuto non litigammo mai. Poi, un giorno, Caroline si ammalò gravemente. Era un tumore che si era fatto largo negli anni e l’aveva consumata, nell’ultimo periodo si muoveva a stento e faticava a compiere anche le azioni più semplici. Avrebbe voluto essere una buona nonna per te, ma le richiedeva uno sforzo troppo grande e così ha rinunciato alla sua unica nipote; per non farti soffrire e preoccupare, per ricordarti di lei come era in quei pochi giorni nei quali l’hai potuta conoscere. Ho passato gli ultimi sei mesi della nostra vita insieme a prendermi cura di lei. Le terapie la stavano distruggendo ancor più della malattia stessa, ma io l’amavo comunque. Nei suoi occhi brillava ancora quella luce che mi aveva catturato quando ero poco più di un ragazzino e ora stavo lì, a guardarla morire, completamente impotente. Ma lei stava troppo male e cominciai io stesso a sperare che la morte portasse via le sue sofferenza. Mi chiedo cosa sarebbe stata la mia vita se non l’avessi incontrata, se quel giorno di pioggia non mi fossi riparato in quello stesso locale dove si trovava lei. È stata la sua anima ad attirarmi lì, lei mi ha guidato fino al suo cuore e io non ho potuto far altro che seguirla.” Le lacrime avevano ripreso a scorrere sulle guance ormai piene dei segni che l’età aveva lasciato. Abbassai lo sguardo sul mio piatto ormai vuoto, sentendo un peso alzarsi dal mio petto e abbandonarmi. Rivolsi lo sguardo verso la grande vetrata alla mia sinistra: aveva smesso di piovere e le nubi si erano disperse. Negli ultimi istanti di luce un ampio arcobaleno abbracciava il paese, ma era dedicato al nonno. Quel arcobaleno doveva essere il sorriso della sua amata che lo confortava, anche da lontano. E io pensai che quella fosse stata la storia più bella che qualcuno mi avesse mai raccontato: due persone che, anche dopo la morte, si amano ancora, due anime che si rincorrono, oltre ogni legge ed oltre ogni regola. Due belle persone, con una bella esistenza, in uno dei giorni più meravigliosi della mia, di esistenza. E, in quel momento, mi sentii davvero felice e piena di vita.
   
 
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