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Autore: nikita82roma    15/04/2016    3 recensioni
"Temperance conosceva bene il suo corpo. Sapeva bene che quelle reazioni che vedeva ormai da qualche giorno erano l’evidenza di qualcosa che le avrebbe cambiato la vita, per sempre. I segnali erano inequivocabili, ma lei voleva le prove, lei era una scienziata, non si sarebbe accontentata della sua voce interiore che le diceva cosa stava accadendo. Doveva sapere. Voleva sapere. Voleva avere la certezza.
Ogni mattina, però, la nausea era più forte e si svegliava sempre più stanca, insonnolita ed ora che lo guardava bene il suo seno sembrava più gonfio, sicuramente era più sensibile, pensò massaggiandoselo."
Cosa accade da quando Bones si ferma a dormire da Booth a quando gli dice che è incinta? Come la prenderà lui? Una storia di tre capitoli, per coprire questa serie di missing moments tra la 6x22 e la 6x23.
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Seeley Booth, Temperance Brennan
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Missing Bones'
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Rimasero così, in piedi, sotto al lampione, sul marciapiede a sorridersi per un tempo indefinito. Nessuno dei due aveva il coraggio di dire o fare nulla. Quel momento era carico di tutto quello che erano loro: imprevedibilità, emozione, silenzio, imbarazzo, amore.
Booth conosceva Bones, per certi versi meglio di quanto lei conoscesse se stessa. "Andrà tutto bene, Bones, andrà tutto bene" Furono queste le prime parole che le disse dopo quell'annuncio che lo aveva destabilizzato e reso immensamente felice, perchè questo era il momento della felicità, al resto ci avrebbero pensato dopo.
Ma ora nella sua mente, la prima cosa che sapeva di dover fare, era quella di tranquillizzarla, rassicurarla. Sapeva che Bones aveva un tremendo bisogno di questo, anche se non lo avrebbe mai ammesso.
- Come fai a saperlo Booth?
- Lo so, fidati di me. Andiamo adesso?

Così ripresero a camminare, vicini, come prima, senza sfiorarsi, fino a quando non fu lei ad aggrapparsi al suo braccio ed appoggiarsi alla sua spalla.
Arrivati a casa si sedettero sul divano. Non vicini come forse si aspettavano entrambi, ma ognuno ad una estremità. Erano imbarazzati e non sapevano come affrontare l'argomento, come parlarsi.
Bones interpretò questa posizione di Booth come un ripensamento rispetto quanto le aveva detto prima.
- Booth io questo bambino voglio tenerlo. So che è successo tutto all'improvviso ma... Se tu non te la senti non ti chiederò nulla. Posso provvedere da sola alla sua crescita.
Lui si voltò di scatto e la guardò ferito. Veramente dubitava di lui? Pensava che l'avrebbe lasciata perché incinta? Che le avrebbe fatto crescere il loro figlio da sola?
- Bones, no aspetta, ma cosa dici! È bellissimo, io, te... Il nostro bambino... È tutto meraviglioso, sul serio Bones!
- Non voglio obbligarti Booth, veramente.

Temperance sapeva che Booth era un uomo buono, glielo aveva dimostrato tante volte, sapeva che lui si sarebbe preso tutte le responsabilità ma non voleva che si facesse carico di qualcosa per la quale non si sentisse completamente pronto. Teneva lo sguardo basso, la mani giunte appoggiate stancamente sulle gambe. Se qualcuno non l'avesse conosciuta avrebbe potuto pensare che stesse pregando. Ma non lei, Temperance Brennan non pregava, non esisteva un Dio per lei.
- Bones, guardami.
Booth si avvicinò a lei, le prese le mani tra le sue, le accarezzò dolcemente in attesa che la donna alzasse il suo sguardo verso di lui. Lei aveva paura, lui lo sapeva. Non l'avrebbe mai ammesso per nulla al mondo ma lui non aveva bisogno di sentirselo dire. Booth non era uno di quegli uomini che avevano bisogno di essere adulati o di ricevere richieste di aiuto per andare in soccorso di qualcuno. Lui lo faceva e basta e con Bones l'aveva sempre fatto da quando l'aveva conosciuta, da quando non era nemmeno un'amica ma solo una collega, figuriamoci se non lo avrebbe fatto adesso che era... Beh la futura madre di suo figlio, certo, ma anche la donna che amava e doveva dirglielo, rassicurarla su questo che lui dava così per scontato che non ci aveva pensato nemmeno.
- Bones... - la chiamò di nuovo - ... Io ti amo.
La donna alzò lo sguardo e lo fissò negli occhi. Lui poteva vedere il tipico luccichio che preannuncia le lacrime.
- Ti amo Bones, lo capisci? E non c'è nessun motivo al mondo per il quale io adesso rinuncerei a te... A voi... 
- Dici sul serio Booth?
- Certo perché hai dei dubbi?
- No è che io... - Era in difficoltà. Parlare dei suoi sentimenti, delle sue paure la faceva sentire a disagio perché sapeva che era un campo dove non poteva padroneggiare, dove lui era molto più bravo di lei che era, anzi, assolutamente impacciata - Ecco... Non abbiamo mai parlato di noi...
- Siamo qui, parliamone allora, se vuoi, se ti fa sentire meglio.
- Tu non hai bisogno di sentirti dire che ti amo?
- Io lo so che mi ami Bones, però se me lo vuoi dire mi fa piacere - provò a strapparle un sorriso, senza riuscirci. Lei si sentiva sempre più sovrastata da tutti quei sentimenti che non riusciva a gestire. Si chiedeva da dove lui trovasse tutte queste certezze che a lei mancavano e cosa lui riuscisse a vedere tanto chiaramente che a lei sfuggiva. Perchè lei aveva bisogno di prove su tutto e lui era convinto del suo amore senza che lei glielo avesse mai detto?
- Ti amo Booth, ti amo. - disse lasciando che le lacrime vincessero la sua volontà di non piangere e si abbandonò sulla sua spalla. Le braccia forti di Booth, ecco di cosa aveva bisogno, di cosa aveva avuto bisogno già da quella mattina. Tuffarsi nelle sue braccia e lasciarsi andare come solo con lui riusciva a fare, per scaricare tutta la tensione di quella giornata e smettere di darsi un contegno. Le era capitato, in passato, di pensare di diventare madre. Aveva anche deciso di esserlo. Ma adesso, che lo sarebbe diventata realmente, era tutto così diverso da come aveva immaginato che stava sconvolgendo i suoi schemi mentali. Poi sarebbe tornato tutto come sempre, lei sarebbe tornata come sempre, si riprometteva, ma ora era il momento di lasciarsi andare.

Lui la strinse a se, come aveva fatto quella sera dopo la morte di Vincent, in camera sua, quando lei piangeva triste ed impaurita e lo implorava di tenerla con se. E già sapeva Booth in quell'istante che se lei glielo avesse permesso lui l'avrebbe fatto per sempre, come già da tanto voleva fare senza che lei gliene avesse dato mai la possibilità.
Si ricordava tutto di quella notte, ogni singolo istante. Che non dormirono più fino alla mattina dopo, che gli abbracci si erano trasformati in baci consolatori sui capelli e sulla fronte mentre la teneva tra le sue braccia. Poi la sentì calmarsi e ne fu sollevato e solo in quel momento si rese conto della situazione, che finalmente lei era lì, con lui, totalmente indifesa tra le sue braccia. Non avrebbe mai approfittato di lei, della sua debolezza se non fosse stata proprio Bones a fare il primo passo. Sentì la sua mano accarezzargli il petto e la sua bocca sfiorargli il collo, lasciandogli una scia di piccoli baci. Le chiese più volte se fosse sicura di quello che stava facendo, di quello che voleva fare e l'unica risposta che ottenne fu che lei si arrampicò letteralmente su di lui per cercare le sue labbra a prendersi un bacio infinito. Per lui era bellissima anche così, nella sua felpa grigia che le stava enorme, ma quando gliela tolse pensava che così era ancora più bella. Gli piaceva accarezzare la pelle nuda della sua schiena, tanto quanto sentire le mani di lei sotto la sua maglia, indugiare su ogni parte del suo petto, accarezzare la sua carne e le sue cicatrici. Poi fu solo tempo di amarsi per la prima volta. Lui sapeva che era lei quella giusta, lo aveva sempre saputo, perchè ogni donna che in quegli anni aveva incontrato e frequentato l’aveva sempre paragonate a lei: lei era il suo metro di giudizio, perchè solo lei era quella perfetta per lui. 

Booth si destò dai suoi pensieri quando sentì finalmente Bones smettere di piangere. 
- Da quanto lo sai? - le chiese facendola appoggiare con la schiena su di se
- Ho fatto il test e le analisi questa mattina
- Quindi è sicuro. - E la sua voce lasciò percepire la sua gioia.
- Sì. Però sai Booth, è strano... Io credo di averlo saputo già da prima di fare il test. È assurdo, non trovi?
- No, Bones, non è assurdo. È nostro figlio che comunicava con te.
- Impossibile Booth è solo un embrione di poche cellule senza alcuna capacità senziente.
- Scientificamente sì. Però in realtà è molto di più. È il nostro bambino e tu sei la sua mamma. Per questo lo sapevi.
- Non è ancora un bambino Booth. Ed io ho solo analizzato i segnali che il mio organismo mi mandava.
- Certo Bones. Tutto scientificamente. Ma lo sarà, Bones. Sarà il nostro bambino, o bambina. 
Booth sapeva che non gli avrebbe mai dato ragione. Mai. Ma già il fatto che glielo aveva detto voleva dire che lo aveva ammesso a se stessa, che tra lei ed il suo bambino c'era già un intesa che andava molto oltre quello che la scienza può spiegare razionalmente e per questo non lo poteva ammettere. 
Bones non continuò la discussione. Sicuramente se avesse voluto avrebbe trovato altre mille risposte scientifiche da dargli, per confutare la sua tesi sentimentale, ma non lo fece. Rimase in silenzio. Prese le mani di Booth e le portò sotto la sua maglia, adagiandole sul suo ventre ancora piatto, tenendole ferme sotto le sue. 
- Saremo una famiglia Bones. Io, te ed il nostro bambino.
Sentì la commozione nelle parole del suo uomo e le sue grandi mani tremare mentre racchiudeva il frutto ancora invisibile del loro amore. Bones voltò il suo viso lo baciò sul collo, proprio come quella sera quando una tragedia si era trasformata nella cosa più bella della sua vita. 

Ora erano abbracciati, insieme, nello stesso divano sul quale lei era quella notte.
Da quando Booth aveva chiuso la porta della sua camera il pensiero di Vincent la tormentava. Lo vedeva sdraiato a terra, con le loro mani sporche del suo sangue tentare di fermarlo in ogni modo, senza risultati. La vita di Vincent scivolò via quel giorno, mentre la implorava di non lasciarlo andare. Si domandava che persona fosse, lei non si sentiva così insensibile e glaciale come gli altri la descrivevano, ma solo Booth sembrava averlo capito. Quella notte sentì l’irrefrenabile necessità di vederlo e lui era solo dietro quella porta. Si fece coraggio ed entrò e lui per poco non le sparò, sempre sul chi va là, preoccupato di sentire qualche rumore strano. Tra le sue braccia tutto le sembrò migliore. Gli poggiò una mano sul cuore mentre la stringeva a se. Booth: avrebbe dovuto rispondere lui al telefono. Avrebbe dovuto esserci lui al posto di Vincent e lei non avrebbe avuto altre possibilità, loro non avrebbero avuto altre possibilità. Era il cuore di Booth il suo bersaglio ed il solo pensiero la pietrificò, lì tra le sue braccia, nel suo letto, facendola piangere ancora di più. Aveva la testa appoggiata sul suo petto, voleva sentire il battito del cuore di Booth, che era ancora vivo. Quel rumore forte e ritmato distrusse gli ultimi residui delle sue barriere che le impedivano di lasciarsi andare. Aveva rischiato di perderlo per sempre, non poteva più immaginare di vivere con il rimpianto di non essersi data una possibilità con lui, non doveva più avere paura di essere felice. Il destino, prendendosi la vita di Vincent, le aveva dato un’altra occasione per essere felice e lei non doveva più sprecarla, non doveva gettarla via per le sue paure. 
Il battito del suo cuore, insieme alle sue carezze e i suoi affettuosi ma innocenti baci la calmarono e lei prese coraggio, prese, finalmente, la sua vita in mano e le labbra di Booth tra le sue. Lo amò quella notte e si lasciò amare da lui e le sembrò di non essere mai stata amata così in vita sua, perchè nessuno l’aveva mai amata come lui e perchè, per la prima, volta lei lo faceva totalmente, senza nessuna barriera a frenare i suoi sentimenti: si mostrava nuda davanti a lui, non nel corpo, ma nell’anima, senza corazza, sicura che lui non l’avrebbe mai ferita. 
Nessuno, per lei, era mai stato quello che era Booth: un amante, un compagno, un amico, un partner. Lui era sempre stato tutto quello di cui lei aveva bisogno e non aveva mai voluto ammettere a se stessa, fino a quella notte. “I legami emotivi sono effimeri e del tutto inaffidabili” aveva detto una volta, ma ora non aveva più senso, perchè Booth non era nè effimero nè inaffidabile. Lui ci sarebbe stato, sempre. Per lei e per il loro bambino. Ora ne era certa.

- Ti amo Booth.
- Ti amo anche io Bones. Da sempre.
Dopo averlo detto una prima volta ora sembrava tutto più semplice. Non sapeva ancora se era diventata forte, ma di sicuro non era più impenetrabile, perchè si sentiva invasa da emozioni e sensazioni che non aveva mai provato, che le riempivano il cuore e non le importava se il cuore era solo un muscolo e non poteva essere riempito da emozioni. Lui rendeva la sua vita migliore, di questo ne era certa, una vita che finalmente poteva dire di riuscire a vivere completamente, sotto ogni aspetto, lasciandosi anche andare a quell’irrazionalità che aveva sempre rifiutato e cominciando a vedere anche il mondo con altri occhi, quelli di una donna e non di una scienziata.
 Avrebbe avuto un figlio con l'uomo che amava, non riusciva a rendersene conto, eppure era vero. 
Non era importante ora pensare ad altro, a come si sarebbero organizzati, a come lo avrebbero detto ai loro amici e colleghi, a come dirlo a Parker, a come la loro vita sarebbe cambiata, per sempre.
In quel momento, tra le braccia di lui che accarezzavano il suo ventre ne era convinta: sarebbe cambiata in meglio.

   
 
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