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Autore: Gayzelle    15/04/2016    3 recensioni
-Day of Silence: in memoria di tutte le persone omosessuali, bisessuali e transessuali che hanno lottato ogni giorno contro il bullismo, soccombendo ad esso, e a tutte quelle che invece continuano a farlo con tenacia.-
"La prima volta che lo vidi indossava l’uniforme femminile del liceo, che ricadeva morbida sulle sue curve poco accentuate.
Procedeva attraverso il corridoio con passo leggiadro ma insicuro, lo sguardo basso, la cartelletta di nero cuoio contenente il materiale scolastico sbatacchiava ripetutamente contro le sue ginocchia.
Rimasi fin da subito stregato da quella figura eterea e aggraziata, di una bellezza così delicata e sfuggente da ricordare un fiocco di neve visto al microscopio, e mi meravigliai nell’osservare che, al suo passaggio, tutte le persone nel corridoio si discostarono con fare infastidito, lasciando che un velo di silenzio, riempito solo da flebili mormorii derisori, si appropriasse di quel luogo. [...]
Lo vidi prendere posto nell’angolo più remoto, il banco riempito di scritte e incisioni in kanji che non riuscivo a leggere da così lontano, aveva il volto nascosto dai corti capelli argentei ma capii ugualmente che aveva le guance solcate da lacrime."
Ci si becca dentro ~
Alicchan
Genere: Angst, Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Crack Pairing | Personaggi: Shawn/Shirou, Xavier/Hiroto
Note: OOC | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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In Memoriam: Day of Silence

 
La prima volta che lo vidi indossava l’uniforme femminile del liceo, che ricadeva morbida sulle sue curve poco accentuate.
Procedeva attraverso il corridoio con passo leggiadro ma insicuro, lo sguardo basso, la cartelletta di nero cuoio contenente il materiale scolastico sbatacchiava ripetutamente contro le sue ginocchia.
Rimasi fin da subito stregato da quella figura eterea e aggraziata, di una bellezza così delicata e sfuggente da ricordare un fiocco di neve visto al microscopio, e mi meravigliai nell’osservare che, al suo passaggio, tutte le persone nel corridoio si discostarono con fare infastidito, lasciando che un velo di silenzio, riempito solo da flebili mormorii derisori, si appropriasse di quel luogo.
Mi avvicinai, incuriosito dalla persona a me ancora sconosciuta a causa del mio recente trasferimento in quella scuola, deciso a rivolgerle qualche parola con la scusa di essermi perso all’interno dell’edificio.
-Ehi.-
Mi bastò pronunciare tre singole lettere per vederlo sobbalzare e serrare gli occhi terrorizzato.
-Sono appena arrivato e non ho idea di dove si trovi la mia classe, mi chiedevo se tu potessi darmi una mano.- Continuai in fretta, con il tono più dolce e amichevole che riuscii ad usare per cercare di rimediare alla spiacevole situazione che avevo creato.
Con mio grande sollievo, alzò il candido viso dalle fattezze simili a quelle di una bambola di porcellana e curvò le labbra rosee in un sorriso affettuoso, provocando l’improvviso cambiamento di temperatura delle mie gote che si tinsero di un acceso color porpora.
Mi fece cenno di seguirlo e così feci senza pensarci due volte.
Camminavamo fianco a fianco e mi ritrovai a vagare nelle sue iridi cineree, incantato dalla loro profondità mista a vacuità, fino a che non mi sorprese in flagrante a consumare avidamente ogni dettaglio di quello sguardo così malinconico e dolce allo stesso tempo.
Notò il mio imbarazzo e si lasciò sfuggire dalle labbra una risata sommessa, dal suono carezzevole e argentino, della quale mi invaghii all’istante.
Ancora una volta desideravo riparare la circostanza alla quale diedi origine per errore, volgendo lo sguardo altrove e provando ad intavolare una qualsiasi conversazione, senza però ottenere alcuna risposta.
Forse era questo suo silenzio a tener lontane le persone?
Un po’deluso, decisi di smettere di parlare a vuoto, ma la persona al mio fianco mi afferrò la manica e mi guardò in modo interrogativo, sorpresa dal mio improvviso silenzio.
-Credevo di infastidirti con il mio continuo chiacchiericcio.- Ammisi leggermente sorpreso.
In tutta risposta, ottenni un’occhiata mortificata ed un’energica scossa della testa a voler dire di essermi sbagliato, seguita poi da un gesto improvviso della sua mano che mi si parò davanti al viso.
Sul palmo di essa aveva tracciato con dell’inchiostro blu una piccola scritta in caratteri armoniosi e tondeggianti, leggermente sbiadita a causa del costante utilizzo dell’organo prensile.
-Day of Silence. Di cosa si tratta?-
Girò la mano per mostrarmi il dorso, sul quale comparivano abbastanza parole da coprire anche parte dell’avambraccio: “Si tratta del giorno in cui si cerca di diffondere la consapevolezza degli effetti del bullismo e delle molestie nei confronti delle persone LGBT, ricordando in particolar modo tutti coloro che si sono tolti la vita per questo. Per farlo si cerca di parlare il meno possibile.”
-Strano che non ne fossi a conoscenza, d’altronde in parte mi riguarda.- Rimuginai quasi tra me e me, senza rendermi conto veramente di ciò che avevo appena detto, ma quando lo feci ebbi un singulto e lo pregai di lasciar perdere ciò che mi era sfuggito di bocca.
-Se mi dici perché ti riguarda posso svelarti anch’io un piccolo segreto.-
Sentii per la prima volta la sua voce grazie a questa frase pronunciata con una dolce curiosità infantile, anche se trovai il suo timbro stranamente mascolino per appartenere ad una ragazzina così minuta.
Lo guardai a lungo in quegli occhi risoluti e interessati, per poi decidermi a rivelarglielo, d’altronde, nel peggiore dei casi, avrei solamente fatto allontanare una persona che nemmeno conoscevo e, per quanto la trovassi incredibilmente adorabile, non sarebbe stata poi una grande perdita.
-Sono consapevole che all’interno della sigla siano comprese anche le persone bisessuali e transessuali, ma sai, molto spesso la gente si ferma a supportare solo le prime due categorie, e le poche volte in cui mi sono confidato a qualcuno dicendo di provare attrazione per entrambi i sessi, mi è stato detto che si tratta di una cosa impossibile.- Ridacchiai amareggiato in seguito a quell’affermazione, mentre sentivo uno sguardo sempre più penetrante indagare sul mio viso.
-Io invece sono omosessuale.-
Dannazione. Pensai.
-Capisco, magari probabilmente nemmeno tu ti curi più di tanto dei…-
-E sono un ragazzo.-
Non seppi subito cosa rispondere, piacevolmente sorpreso di poter ancora essere un potenziale interesse amoroso, e non mi accorsi di come fu interpretato quel mio silenzio, di come i suoi occhi si erano nuovamente tinti di malinconica vacuità.
-Sei insieme il ragazzo e la ragazza più incantevoli che abbia mai visto, sai?-
Non era abituato ai complimenti e cercò di nascondere il rossore del suo viso coprendolo con la mano, sussurrando un timido “Grazie.”
-Avresti una penna da prestarmi?-
Continuando ad evitare il mio sguardo, frugò nella cartelletta affondandoci il volto ancora purpureo, per poi passarmene una blu, con la quale scribacchiai, in una grafia oltremodo sgraziata, la frase che lui stesso mi aveva mostrato poco prima.
-Ti piace?- Gli chiesi mostrandogli la mano e, in tutta risposta, annuì un poco titubante, fermandosi davanti ad una classe.
-Siamo arrivati.- Annunciò con voce fioca.
Gli arruffai piano i capelli argentei e sfoggiai un sorriso sincero per dimostrargli la mia gratitudine, uno di quelli che durante tutta la mia vita avrei mostrato unicamente a lui.
 -Mi chiamo Hiroto Kiyama comunque.- Gli dissi prima di procedere all’interno dell’aula, senza aspettarmi una risposta, ma venni trattenuto dalla sua mano che afferrò un angolo della mia uniforme.
-Fubuki Shirou. Anche se quando sono nei panni di una ragazza preferisco farmi chiamare Atsuko.-
Mi voltai a guardare la sua espressione così teneramente imbarazzata e non potei fare a meno di assumere a mia volta un colore vermiglio.
-Hiroto-kun, sei più rosso dei tuoi capelli.- Aggiunse in tono canzonatorio, senza trattenere una risatina.
-Anche tu, Fubuki-chan.-
Ci salutammo prima dell’inizio delle lezioni, durante le quali non potei fare a meno di pensare a lui, e, una volta finite, stetti ad aspettarlo, sperando nel suo arrivo, ma invano.
Da lì in avanti, ogni giorno per numerosi mesi, parlavamo un poco prima del suonare della campana e, in qualche raro caso, durante la pausa pranzo, ma non si faceva mai vedere alla fine delle classi.
Imparai a conoscere ogni suo aspetto e sfumatura, finendo per innamorarsi di ognuno di essi: mi ritrovai spesso a respirare il suo profumo intenso e pungente tipico della sua parte mascolina, e amavo allo stesso modo quello più dolce e voluttuoso del quale si ricopriva per risaltare la sua femminilità; ammiravo la sua figura sottile e, all’apparenza, così fragile quando indossava la gonna svolazzante dell’uniforme e, in egual modo, mi sorprese spesso a contemplare il suo viso dai lineamenti morbidi ma, allo stesso tempo, decisi, impossibile da confondere con quello ben più affusolato di una ragazza.
Il nostro legame non passò inosservato, ma tutte le malelingue si riversarono unicamente su Shirou, che cercava sempre di rassicurarmi con il suo sorriso quando mi preoccupavo per lui, tuttavia quell’ombra infelice nei suoi occhi non lo abbandonò mai.
Una mattina lo aspettai davanti al cancello del liceo più del solito, fino a che non lo vidi salutarmi da lontano con un lieve gesto della mano, e, avvicinatomi, notai un livido appena sotto il labbro inferiore, il cui era divenuto di un’accesa sfumatura cremisi.
Lo sfiorai delicatamente con le dita e la fitta provocata da quel gesto gli fece assumere un’improvvisa smorfia di dolore.
-Cosa ti è successo qui?-
-Sono inciampato e ho colpito il marciapiede con il viso.- Replicò con lo sguardo basso.
Si affrettò verso l’interno dell’edificio congedandosi con un breve saluto e decisi di seguirlo senza farmi vedere.
Arrivato davanti alla sua classe, notai il silenzio grave e soffocante che si fece strada all’interno dell’aula, scivolando tra le espressioni di scherno dei compagni, simile a quello del giorno in cui lo incontrai per la prima volta.
Lo vidi prendere posto nell’angolo più remoto, il banco riempito di scritte e incisioni in kanji che non riuscivo a leggere da così lontano, aveva il volto nascosto dai corti capelli argentei ma capii ugualmente che aveva le guance solcate da lacrime.
Non sopportavo di vederlo così, l’idea che una persona di una gentilezza così rara venisse presa di mira senza alcun motivo mi diede il voltastomaco, soprattutto perché di quella persona ero innamorato.
Non ci pensai due volte: entrai in classe in modo impetuoso, con passo svelto ma pesante, diretto verso Fubuki; non mi curai nemmeno delle occhiate e dei mormorii sorpresi, dell’espressione interrogativa e mortificata che lui stesso mi rivolse, pensai solo ad afferrare il suo braccio e trascinarlo fuori da lì, ignorando le sue deboli proteste, le sue insistenti domande sul dove lo stessi portando.
-Fuori da qui. Oggi niente scuola per noi due.-
Smise di opporsi vista la mia determinazione e si lasciò guidare alla cieca, in parte grato di essere stato salvato da quell’inferno, ma, sapendo che gli avrei posto numerose domande a riguardo di quella situazione, non parlò per tutto il tragitto, impaurito da una mia reazione negativa e da un successivo allontanamento.
Dopo esserci avvicinati abbastanza al luogo in cui volevo portarlo, lo presi per mano per alleviare la tensione e fui lieto di sentire le sue dita intrecciarsi con le mie come se fosse la cosa più naturale del mondo.
-Siamo arrivati.- Constatai ammirando le imponenti strutture che si stagliavano dinanzi a noi.
-Un Luna Park?-
Shirou  mi guardò incredulo e notai un guizzo di vivacità nelle sue iridi, che sembrò spazzare via per qualche istante il perenne velo plumbeo che si era da sempre appropriato del suo sguardo soave.
Durante la mattina discutemmo a lungo riguardo a ciò che più lo affliggeva, e riuscii a convincerlo a lottare per liberarsi di quei pregiudizi che lo avevano portato alla solitudine, per guadagnare il rispetto che gli era dovuto e mi promise, con le lacrime agli occhi, che si sarebbe impegnato a diventare più forte per contrastare il dolore fisico e psicologico a cui era stato sottoposto.
Passammo in quel parco una giornata indimenticabile, fatta di urla entusiaste, risate cristalline, occhiate fugaci e guance purpuree.
Una giornata al profumo acre di bergamotto e zenzero, la fragranza di Fubuki che più preferivo, anche se a volte mi pizzicava il naso.
Una giornata al sapore di zucchero filato sulle labbra della persona amata.
Una giornata che, al tatto, sarebbe risultata morbida e vellutata come quelle stesse labbra che avevo unito alle mie con un gesto forse troppo impulsivo e inaspettato, al quale ora ripenso senza alcun pentimento.
Ci salutammo in modo impacciato diversi minuti dopo quel bacio, minuti di silenzio in cui mi maledii per non essere riuscito a reprimere l’istinto irrefrenabile di sfiorare la sua bocca, pensando di aver commesso il più terribile degli errori che avrebbe portato ad una rottura definitiva di quel rapporto così speciale che avevamo.
Non mi accorsi dei suoi occhi cangianti, senza alcuna traccia di quell’ombra malinconica, che mi scrutavano di nascosto, e fu così che commisi il peggiore degli sbagli, scusandomi di quel gesto e chiedendogli di dimenticare che fosse mai accaduto.
Alzò lo sguardo verso di me e non mi accorsi di quanto fosse profonda la ferita che gli avevo appena provocato, poiché, a causa del nervosismo che mi attanagliava le viscere, non riuscii ad incontrare le sue iridi cariche di sofferenza.
Arrivò il mese di marzo dell’anno successivo e tutti gli studenti erano in trepidante attesa per le due settimane di vacanza primaverile che li separavano dall’inizio del nuovo anno scolastico.
Da quel giorno di numerosi mesi fa, il rapporto tra me e Shirou si era sgretolato in fretta e, più cercavo di tenerlo stretto a me, più lui sembrava fuggire da quella morsa, come la sabbia che, serrata in un pugno, si disperde nell’aria velocemente.
Aveva mantenuto la promessa, era anche riuscito a farsi degli amici, ma ogni qualvolta lo scorgevo in mezzo a quel gruppetto, le fitte dolorose e corrosive della gelosia mi laceravano il corpo.
Non riuscivo più a soffocare i miei sentimenti nei suoi confronti, e mi decisi a dichiararglieli apertamente tramite una lettera che avrei lasciato nel suo armadietto alla fine dell’ultimo giorno di scuola, il quale arrivò ben prima del previsto.
-Atsuko-chan!- Lo salutai, arruffandogli un poco i capelli come d’abitudine, nel posto vicino al cancello dell’edificio scolastico in cui eravamo soliti aspettarci a vicenda ogni giorno, prima di quell’episodio al parco.
-Ti andrebbe di vederci durante le vacanze?-
-Volentieri!- Rispose con una gioia che non mi sarei mai immaginato, sbattendo le lunghe ciglia rese tali grazie ad un tocco di mascara.
Gli lasciai il mio numero e lui fece altrettanto, per poi venire trasportato in classe dai suoi nuovi amici.
Attendere fino all’ultimo suono della campana non fu facile, ma ero abbastanza sicuro di me stesso, trasportato dalla speranza di avere almeno una possibilità.
Lasciai la lettera nell’armadietto e tornai a casa con il cuore che rischiava di esplodermi nel petto.
Per due settimane intere aspettai una chiamata che mai arrivò, nonostante avessi cercato a mia volta di telefonargli, ma non ottenni risposta per i primi cinque giorni, mentre, nei restanti, l’unica voce che potei sentire fu quella della sua segreteria telefonica.
Inizialmente mi convinsi che questo suo silenzio implicasse un rifiuto e una richiesta di essere lasciato in pace, ma, ostinato a non desistere, pensai a diverse ipotesi, come l’aver dimenticato il cellulare a scuola o l’avermi dato erroneamente il numero sbagliato.
Deciso a scoprirlo, il primo giorno di scuola, prima della cerimonia di apertura, mi fiondai su per le scale alla ricerca della sua precedente classe, nella quale feci irruzione sperando di trovare qualche indizio.
Mi pentii subito di averne effettivamente scovato uno.
Sul suo banco giaceva un vaso di fiori avvizziti, mentre adocchiai sul pavimento un biglietto stropicciato, probabilmente gettato in terra di proposito, recante una fototessera di Fubuki e delle date di fianco ad essa: la sua data di nascita e quella che, invece, avrebbe dovuto segnare la sua morte.
Mi morsi il labbro.
L’ultima data corrispondeva al giorno di fine anno scolastico e, dal momento che quel giorno Shirou era vivo e vegeto, ciò significava che quei fiori ormai spogli non erano niente meno che l’atto più crudele di bullismo: l’augurio di morte.
Trattenni a stento le lacrime, ormai conscio di quello che, con tutta probabilità, era accaduto in seguito al ritrovamento di quel falso reliquiario da parte di Shirou.
Presi il telefono con la mano tremante, tentando ripetutamente di chiamare quel numero, senza ovviamente ottenere alcuna risposta, mentre mi dirigevo nel bagno maschile più vicino per sciacquare via le lacrime dal mio viso arrossato a causa del pianto sommesso.
Fu lì che lo trovai, senza vita.
Fu lì che il mio pianto soffocato si trasformò in una moltitudine di singhiozzi sconnessi e gemiti che tentai inutilmente di sopprimere.
Non aveva fatto in tempo a leggere la mia lettera, ma al suo posto aveva tenuto in mano un biglietto portatore di un rancore ingiusto da parte dei suoi compagni, un astio che non ho mai compreso.
Mi accasciai sul corpo inerme dal volto scarno e dallo sguardo vitreo, le cui labbra dischiuse erano sottili e screpolate come mai avrei pensato di vederle.
Aveva lottato con tutte le sue forze contro il bullismo, aveva promesso che sarebbe divenuto più forte e sembrava andare tutto bene fino a quel momento, ma allora perché…
Lo scrollai tenendolo per le spalle mentre urlavo il suo nome, sperando in chissà quale miracolo, fino a che non mi accorsi delle numerose cicatrici che aveva sul petto.
Sollevai la sua maglietta per scoprire con orrore la sua candida e preziosa pelle deturpata da lividi violacei e profondi tagli, che andavano ad estendersi fin sui polsi.
Potei constatare con certezza che si era inflitto da solo buona parte di quelli, ma cercai invano una lama in quel bagno, poiché appresi solo successivamente che, il suo, non si era trattato di suicidio.
Furono dei docenti a trovarmi steso di fianco al suo corpo esangue, e non riuscirono a smuovermi da quell’abbraccio se non con l’intervento della polizia che venne immediatamente chiamata dalla scuola.
Sono passati quasi due anni, ho cambiato istituto da allora e sto per diplomarmi.
Tuttavia non ho ancora smesso di incolparmi per l’accaduto, rimuginando su come sarebbero potute andare le cose se avessi combattuto al suo fianco, senza aspettare così a lungo per dichiararmi, senza rinnegare il bacio che gli diedi.
Oggi è il giorno del silenzio, ma non è una ricorrenza a far sì che il suo ricordo non si affievolisca; non c’è giorno in cui il suo sorriso tenero ed i suoi occhi mesti, così contrastanti tra loro, non si facciano vivi nella mia mente.
Oggi è il giorno del silenzio ed ho tatuato sulla mia mano quella scritta in blu che mi fu mostrata più di tre anni fa, un gesto fatto per Shirou e per tutte le persone che, come lui, non sono riuscite a trovare il loro posto in questo mondo feroce e disumano.
Oggi è il giorno del silenzio e, anche se sono consapevole che lui non tornerà, non passa giorno senza che io chiami quel numero solo per sentire la sua voce che mi invita a lasciare un messaggio, senza che passi davanti al Luna Park cercando la sua ombra, senza che compri il suo profumo aspro per non dimenticarmi della fragranza emanata dalla sua pelle.
Oggi è il giorno del silenzio, ed io continuerò sempre ad amarti, Shirou.

Angolino malinconico
Ci tenevo tanto a scrivere qualcosa per la giornata di oggi e quindi eccomi qua, con la fanfiction sulla quale ho avuto più indecisioni che mai.
Probabilmente qualcuno si sarà anche chiesto il perché della coppia, ma Shirou come genderfluid mi ispirava molto, soprattutto perché ho potuto usare la personalità di Atsuya (Atsuko in questo caso, in quanto nome femminile), mentre invece Hiroto ha un fascino tale da attirare l'attenzione di ragazzi e ragazze secondo me, e la cosa non gli dispiacecoff
Non ho nient'altro da dire, ma mi farebbe piacere sentire invece il parere delle poche persone arrivate fino a qui, visto che era da un bel po' di tempo che non mi cimentavo in un racconto così delicato.
Detto questo, un saluto a tutti ~
Baci,
Alicchan

 
  
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