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Autore: theuncommonreader    17/04/2016    2 recensioni
[Ade/Persefone]
La corte infera osserva il Signore dell'Averno e la sua moglie infedele. Ade guarda Persefone, incinta di un altro, e si domanda cosa ancora tenga assieme i pezzi del loro amore.
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Ora, le dee infere – Styx dagli occhi di fuoco sul viso scuro, Emera ammantata di luce, le Moire dai visi intessuti di rughe – appuntano gli sguardi su di lei, e non un fremito la percorre mentre sostiene ciascuno di quegli assalti; socchiude gli occhi, indurisce il profilo, le labbra taglienti quanto il diamante.
Ed è diamante, Persefone, diamante tra pezzi di vetro.

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Partecipante all contest Shall I compare thee to a summer's day? indetto da Arya sul forum di Efp.
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ade, Altri, Persefone
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Incest
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Nome autore (inserirli entrambi se quello di EFP e del forum non corrispondono): Harlequin_Valentine / theuncommonreader
Titolo storia: Nel cuore, una scheggia di diamante
Fandom: Mitologia Greca
Personaggi principali: Persefone; Ade; Altri.
Citazione scelta: “
Ai miei occhi sembra un diamante tra pezzi di vetro.”
Generi: Romantico, Angst
Rating: Giallo
Avvertimenti: Incest, Missing Moment
N° parole: 1054
Note autore (facoltativo):
Il racconto è ambientato dopo il ritorno di Persefone dal mondo dei Mortali; la dea è incinta di Melinoe, concepita con Zeus (il quale, secondo questa versione, ha già avuto da lei, prima del matrimonio con Ade, la prima incarnazione di Dioniso, Zagreo). Per ulteriori note, fare riferimento al testo.

 

 

NEL CUORE, UNA SCHEGGIA DI DIAMANTE

 

 

 

 

“Ai miei occhi sembra un diamante tra pezzi di vetro.”

W. Shakespeare

 

 

Una musica lenta danza nell’aria, librandosi dalle corde delle lire fino alla volta incrostata di gemme del soffitto[1]. Le note dolci nulla possono per addolcire l’animo del Signore degli Inferi, che posa un calice ancora colmo senza aver gustato neppure una goccia del liquido ambrato che si increspa all’interno.

Gli siede accanto, la sua Sposa Oscura[2], radiosa nella luce senza fonte che la litigiosa Emera[3] diffonde nel ventre di Erebo; risplende, come se un fuoco gentile le serpeggiasse sotto la pelle pallida del volto, fiorendo sulle guance scarne, baluginando negli occhi tempestosi che tiene socchiusi – le ciglia chiare uno scudo dagli sguardi insinuanti della loro corte.

Dita delicate si tuffano nella coppa che il figlio di Era ha plasmato per lei dall’oro, adornandone lo stelo fine di fiori dei fiori di menta che la sua Distruttrice così favorisce; solleva la mano per portare alla bocca i polpastrelli macchiati di succo rosso, raccogliendolo con un guizzo della lingua sulle punte, leccando finché tornano bianche e innocenti, pronte a colpire ancora.[3]

Le labbra sono piegate in una curva voluttuosa, più evidente dacché, sotto il peplo leggero, il suo grembo ha preso ad arrotondarsi. Volta il capo verso di lui, l’ombra del sorriso che si affievolisce lentamente. Un fremito pare attraversarla dalla sommità del capo, tremare sotto l’incarnato del viso e raggiungere le spalle esili che spuntano sotto i capelli quasi bianchi.

Le siede tanto vicino da poter avvertire il calore pulsarle in corpo; eppure, l’invisibile barriera tra di loro è tangibile e invalicabile, e quando Persefone fa per avvicinare alla sua, Ade si ritrae da lei, la tensione che gli sbianca le nocche, i palmi premuti sul legno della tavola imbandita di vassoi di ambrosia e calici di nettare.

Il Signore degli Inferi è insensibile alle lusinghe della fame e della sete, e l’odore della carne arrosto dei sacrifici[4], una cappa su di loro come una pioggia senza forma, non fa che sigillargli la bocca dello stomaco.

Insensibile, sì; eppure, le occhiate della sua corte le nota dolorosamente, mentre si soffermano sul ventre arrotondato di sua moglie; coglie i loro sussurri a mezza bocca, che celano a malapena il loro biasimo.

Si domandano perché non la ripudi, la sua regina infedele.

Per quale ragione non la rispedisca in disgrazia dallo stesso padre che l’ha sedotta, dopo avergliela concessa in sposa, piantandole un seme nel ventre una volta di più.

Ade stringe un pugno, serra i denti affilando la linea della mascella mentre lo sdegno silenzioso lo attraversa una volta di più, intenso quanto la freccia di Eros che gli ha trapassato il petto, nudo e vulnerabile pure sotto la protezione del suo elmo invisibile, quando, in una radura in Trinacria[5], l’ha scorta per la prima volta.

Privo di difese di fronte ai dischi[6] nuvolosi dei suoi occhi, che lo ferivano senza neppure vederlo, due fiori trasparenti sul viso dorato dal sole della Fanciulla. Non esiste più, quella giovane divinità; non esisteva da ben prima che il Fato lo portasse sul suo cammino, e di lei non resta che la maschera che Persefone si getta addosso in primavera: è un artificio, una recita a beneficio di Demetra e dei suoi infranti sogni di madre delusa.

Ade ricorda l’attimo in cui ha sollevato quel velo di innocenza perduta, intravedendo chi vi si nascondesse al disotto: la creatura affamata di vita, pronta ad allungare le mani per afferrare e stringere il futuro; eppure, prigioniera dei vincoli di un passato che le si avvolgeva come spire di serpente attorno alle membra, dividendola, spezzandola tra i mondi di sopra e di sotto.

Si chiede, Ade, se, quando il suo celeste fratello una volta di più ha posato su di lei lo sguardo voglioso dalla sommità dell’Olimpo, Persefone abbia giocato per lui all’ingenua Fanciulla, quella che era quando l’ha sedotta in quella grotta tra mare e terra, valicando la difesa dei draghi di Demetra.[7]

La gelosia risale dal cuore fino alle sue guance, scavando solchi ai lati delle labbra, colorandogli il viso di rosso e di verde. Accanto a lui, lo scranno stride contro il marmo del pavimento e uno sbuffo smuove l’aria: Persefone si è alzata a fatica, assistita da un’ancella, e lo guarda dall’alto, per una volta, come a scrutare oltre i ricci scuri che gli coronano il capo, per frugare il contenuto del suo cranio ed estrarne i pensieri.

Quando è ritta sulle gambe, il suo stato diviene ancora più evidente.

La schiena non è più la linea dritta e orgogliosa, quando il suo ventre era piatto e teso sotto gli abiti; il petto, che riusciva a stringere agevolmente tra le dita quando l’aveva reclamata per sé, è gonfio di vita.

Oltre le sue spalle, Ade riesce a cogliere le occhiate che la raggiungono, la punzecchiano e la feriscono, graffiandole la pelle come gli artigli di una bestia selvatica; eppure, Persefone non accenna a muoversi.

 Ade torna subito su di lei, attratto senza scampo dall’intensità del suo sguardo. E dunque si guardano, marito e moglie, re e regina.

No, non più la giovane sposa che ha rapito a sua madre e ai Mortali.

Si stacca lei, per prima; se c’è stata una richiesta di aiuto nella piega della sua fronte, nella lieve piega della bocca, Ade non l’ha colta, né accolta. Di fronte alla sua corte, Persefone è sola – ed è una statua di marmo e dignità, una mano a proteggere il ventre e uno scudo di sfida granitica contro ogni pregiudizio.

Ha conosciuto dee, ninfe e donne mortali, Ade, nella sua lunga, troppo lunga esistenza.

Ha visto le sue sorelle tremare sotto il peso dell’umiliazione e resistervi senza spezzarsi; le ha strette mentre versavano lacrime silenziose e calde e le ha cullate per tenerne assieme i frantumi.

Ora, le dee infere – Styx dagli occhi di fuoco sul viso scuro, Emera ammantata di luce, le Moire dai visi intessuti di rughe – appuntano gli sguardi su di lei, e non un fremito la percorre mentre sostiene ciascuno di quegli assalti; socchiude gli occhi, indurisce il profilo, le labbra taglienti quanto il diamante.

Ed è diamante, Persefone, diamante tra pezzi di vetro.

Quando Ade si solleva in tutta la propria altezza, torreggiando su di lei, non un respiro rompe la quiete nella sala; i musici fermano le dita sulle corde e neanche un sussurro danza nell’aria immobile.

Allunga un braccio, offrendolo alla sua sposa – solo quando si toccano, la sente finalmente tremare.

 

NOTE:

[1]: La descrizione del soffitto è ispirata a quella dei soffitti micenei rivenuti circa nel XVI° secolo a.C, epoca del ratto di Persefone secondo alcune fonti.

[2]: Appellativo di Persefone.

[3]: La dea del giorno e della luce, Emera, era in continua lite con la figlia Nyx, e l’una non poteva trovarsi dove l’altra soggiornava. Da qui, l’alternarsi del giorno e della notte.

[4]: Oltre al nettare e all’ambrosia, gli dei si nutrivano anche del fumo dei sacrifici.

[5]: Antico nome della Sicilia.

[6]: L’iride, associata alla forma circolare del disco.

[7]: Demetra aveva un cocchio tirato da draghi, che pose a guardia della figlia quando la nascose in una grotta, avendo ascoltato una profezia che annunciava il suo stupro da parte di uno Sposo Segreto, ovvero Zeus.

 

   
 
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