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Autore: Vago    17/04/2016    0 recensioni
Non avrei mai immaginato che quella lettera mi avrebbe portato così tanta sfiga.
Io sono stato chiamato per scacciare una bestiaccia e guarda in che posto sono finito. Non che mi dispiacciano le avventure, sia chiaro, ma se sono remunerate le preferisco...
Oh! Non mi sono ancora presentato! Voi potete chiamarmi Shadowfoot, sono uno splendido Halfling di novanta centimetri che per guadagnarsi da vivere si offre come avventuriero per mandanti paganti. Certo, nel tempo libero non me ne sto con le mani in mano, io provengo da un importante clan di ladri professionisti e, devo ammettere, me la cavo abbastanza bene nel mio lavoro.
Io, assieme ad altri sei non proprio perfetti avventurieri, ci troveremo a confrontarci con un mistero e una visione.
Questa è la nostra storia, la storia della compagnia dei 7 fratelli.
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La trama di questa storia non è mia, io sono solo il bardo che decanta le gesta compiute dai nostri personaggi grazie al master che allora ci ha fatto giocare.
Ora che i nostri ruoli si sono invertiti e che gli appunti di quel periodo si sono persi tra le pieghe del tempo, dubito che questa storia si metterà in pari con la meta allora raggiunta.
Genere: Avventura, Fantasy, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Incompiuta
Capitoli:
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 Quando mi arrivò quel messaggio non riuscivo a crederci. Mi avrebbero assunto per le mie… particolari capacità per un lavoro. Bastò l’accenno all’adeguata ricompensa per farmi precipitare in questo piccolo paesino collinare che porta il nome di Borgopio.
Ed ora eccomi qui, seduto su un tavolo con un boccale della peggiore birra che ho bevuto da tre anni a questa parte. Non la vale nemmeno una moneta di rame.
Dietro il bancone, un nano tarchiato pure per gli standard della sua razza sta pulendo un boccale con un panno sudicio… Ho come l’impressione che quello sia l’ingrediente segreto di questa bevanda.
Comunque, quando sono arrivato, me lo hanno presentato alcuni avventori come Pius, primo cittadino, locandiere nonché datore del mio prossimo lavoro. Purtroppo non ha ancora voluto dirmi nulla sul motivo di quella missiva, mi ha semplicemente dato le spalle bofonchiando qualcosa su una compagnia e sulla birra, ma non ho voluto indagare su quale fosse il collegamento tra le due cose.
Tanto vale guardarmi attorno.
La locanda è piena di gente. Sporchi contadini maleodoranti affollano i tavoli ridendo sguaiatamente. Un tipo grosso sta parlando animatamente con Pius al bancone, mentre tre o quattro di quelli che sembrano viandanti spostano il loro sguardo dal boccale ancora pieno agli avventori, come me del resto.
Chissà se tra di loro ci sono anche gli altri membri di questa compagni… Più si è, meno lavoro c’è da fare per me. No?
Finalmente quel nano mi degna di uno sguardo, facendomi segno di raggiungerlo con la mano tozza.
Salgo su uno sgabello rimasto vuoto per vedere meglio chi saranno i polli… i miei compagni di avventura. Siamo in quattro, intorno a quel bancone. Più il tipo grosso di prima, che se ne sta in disparte in un angolo. Peccato uno così sarebbe bello avercelo in squadra, per lo meno se muore funziona benissimo come scudo.
C’è un elfo smilzo dalla pelle bianchissima nella sua armatura leggera in pelle, e quella… quella lì al fianco è una spada corta, ne sono sicuro.  Sotto una capigliatura nera curata spuntavano due occhi verdi che si spostavano veloci tra gli avventurieri che sarebbero diventati suoi compagni da lì a poco. Direi che non ha molta esperienza in fatto di avventure, non puoi mettere a fuoco qualcuno se non perdi qualche secondo per osservarlo bene.
Poi quello è un umano decisamente alto e ben piantato, sarà un ottimo scudo umano, poi con quell’armatura pesante e quello scudo… e quelle che gli pendono dallo zaino che porta sulla schiena sono una mazza ferrata e una balestra pesante, ottimo. Tra l’altro deve venire dal nord, nessun’altra popolazione può vantare una carnagione così chiara associata a quei capelli biondi e agli occhi azzurri.
DI fianco a me, infine, un mezzelfo in armatura pesante con tanto di spadone e scudo mi guarda con fare curioso. Che c’è? Non hai mai visto un halfling in vita tua? Maledetti guerrieri.
Pius finalmente ci degna della sua, orribile, voce, non prima, ovviamente, di aver rumorosamente sputato qualcosa nella sputacchiera viscida appoggiata per terra. – Sono felice di vedere che avete risposto tutti al mio invito. Lasciate che mi presenti, il mio nome è Pius, locandiere nonché sindaco di questo meraviglioso villaggio! Bene vi ho convocati perché mi è giunta voce che voi fareste qualsiasi cosa per la giusta causa… o per la giusta ricompensa.-
Ehi, perché guarda me? Non sarò mica l’unico che riconosce il vero valore delle cose materiali, qui. No?
- Vi stavo dicendo, ho un compito per voi e, se lo porterete a termine, vi ricompenserò nella maniera adeguata. Un’enorme belva dalle fattezze di orso si aggira nei territori adiacenti al mio villaggio, devastandoli con l’aiuto delle belve delle foreste qui vicine. Voglio credere che voi abbiate le capacità per portare a buon fine questo compito. La belva pare che abbia la sua dimora in un santuario in rovina, situato sulla cima di un piccolo altopiano circondato da foreste e campi. Per far sì che non perdiate la strada vi accompagnerà una guida esperta di questi territori, il suo nome è Bastion ed è uno dei pochi uomini che può permettersi di avventurarsi nei dintorni del colle e far ritorno sano e salvo.-
Il mio sguardo si posò istintivamente sul tipo rimasto isolato. Non avrei mai detto che fosse del luogo, men che mai una guida.
Il suo volto è un libro aperto di emozioni, non che ce ne siano tante da leggere. Innanzi tutto è scettico nei nostri confronti, lo si capisce da come ci guarda, è come se non fosse convinto della nostra bravura… e forse ha ragione, in fondo io ancora non conosco nessuno di questi tipi qui.
- Se tornerete vittoriosi vi aspetterà la proficua ricompensa promessa. – dice con un sorriso per nulla accattivante il nano, per poi tornare a concentrare la sua attenzione su un boccale sporco.

Una volta fuori dalla locanda ci dobbiamo presentare. Scopro così che l’elfo smilzo è un mago principiante di nome Panmorn Arburstiate il nordico è un chierico devoto al dio Pelor che porta il nome di Padre Gavros, uno particolare, potrei andarci d’accordo; infine il mezzelfo si rivela essere effettivamente un guerriero, il suo nome è Sirol Highdrasil. Infine è il mio turno di presentarmi. – Il nome è Neo Thorngage, ma nel mio clan di ladri sono conosciuto con il soprannome di Shadowfoot.-
Con queste premesse, partiamo all’avventura, attraversando distese infinite di campi che, man mano il villaggio si fa distante alle nostre spalle, si fanno sempre più mal tenuti e lasciati a loro stessi.
Uno spettacolo pietoso e monotono. Ci fosse almeno un bardo che potesse cantare per noi…
Bastò quel pomeriggio di cammino per raggiungere le pendici dell’altopiano coperto dalla vegetazione. Il sentiero che fino ad allora avevamo seguito saliva a spirale lungo il versante in leggera pendenza, lasciando però tra sé e il terrazzamento superiore un muro decisamente troppo alto per essere scalato.
Seguendo il consiglio di Bastion ci accampiamo a lato del sentiero, montando le tende in cerchio intorno al fuoco scoppiettante che il mago ha acceso. Vedi che la magia è anche utile, a volte?
MI offro io per il primo turno di guardia assieme a Bastion, visto che nella mia esperienza di ladro ho avuto modo di acuire i miei sensi, ma a quanto pare non si fidano di me, visto che solo il mago va a dormire sereno nella sua tenda. Chissà come mai…
Il Chierico riesce a malapena a iniziare le sue orazioni rivolte al suo dio che un boato lo interrompe. Una belva gigantesca, un orso di sette metri compare dalla foresta, puntando con gli occhi colmi d’ira il nostro campo.
Merda.
Appena si avvicina notiamo che sul suo corpo figurano decine di rune dall’aria decisamente magica. E, tra l’altro, non c’è traccia di quella maledetta guida.
Il nostro mago esce frettolosamente dalla sua tenda, cercando di capire cosa lo abbia svegliato. Bene, prima che possa lanciare un incantesimo ne passerà di tempo…
Non importa, tanto abbiamo il chierico che può guarire le nostre ferite, cosa mai potrebbe andare storto…
L’orso carica furioso l’umano biondo, artigliando furiosamente il suo petto e gettandolo a terra moribondo, riverso nel suo stesso sangue.
Fantastico.
Ma, aspetta… quella è la borsa della guida. Com’è che si chiamava… Bastion. Se sa come sopravvivere in queste foreste, probabilmente avrà anche delle erbe curative. Un’ombra di novanta centimetri si getta nella tenda, frugando velocemente nella bisaccia lasciata al suo interno e… eccole! Sapevo che doveva avere delle erbe!  E qui c’è anche qualcos’altro… un ciondolo d’argento? Tra l’altro un ciondolo d’argento con un ritratto di una donna con un bambino al suo interno. Perché mai qualcuno dovrebbe portare una cosa così preziosa nella foresta… a meno che…
Lancio il ciondolo a Sirol. Avevo avuto una mezza illuminazione, ma non mi andava di offrirmi come cavia per confermarla.
Il guerriero tentò un affondo di spada, ma la belva riuscì ad evitarlo con innaturale velocità.
Il mago urla a gran voce – Potrei farlo levitare, così al suo primo movimento cadrebbe a terra! Conosco un incantesimo per uno scudo che fa levitare gli oggetti! –
- Ma anche no! – gli rispondiamo io e Sirol quasi simultaneamente. Già un orso alto più di sette volte me è un problema, un orso con tanto di scudo volante non è una così bella idea.
- Va bene… allora… fiotto acido!- una sfera si schianta sulla pelliccia dell’orso, bruciandola un poco.
Meglio che niente.
L’orso pare calmarsi un poco alla vista di quel ciondolo in mano a Sirol, ma si riprende troppo presto dallo sgomento e nulla poté fermare la zampata diretta al fianco il guerriero.
Cosa posso fare ora? Perché mai dovrei aiutare questi tipi? Li conosco da meno di un giorno. Per i soldi della ricompensa, ovvio.
Speriamo che le mie doti atletiche non mi lascino proprio ora…
Con uno scatto prendo il ciondolo dalla mano di Sirol, caduto schiena a terra. Salgo sulla tenda più vicina all’orso e incrocio le dita. Ce l’ho fatta! Sono sulle sue spalle! Ora però non devo cadere.
Gli faccio pendere il ciondolo davanti agli occhi, attaccandomi disperatamente alla pelliccia dura per non essere disarcionato.
L’orso mi disarciona, ma sembra essersi tranquillizzato e si dilegua nell’oscurità senza motivo apparente.
Vivo! Sono vivo! Questo è già un buon risultato.
Con le erbe trovate nella bisaccia di Bastion, ancora non pervenuto, curiamo il chierico moribondo e il guerriero, che lasciamo riposare nell’accampamento mentre io e il mago montiamo di guardia, nel caso quella fiera tornasse per finire il lavoro.
Per fortuna la notte passa tranquilla e al mattino successivo siamo di nuovo tutti pronti a proseguire. Anche senza la nostra guida abbiamo deciso di venire a capo del mistero che si cela dietro a questo altopiano e al santuario che ci hanno detto essere costruito sulla cima.
L’ordine di marcia deciso è: per primo il guerriero, con il ciondolo al collo bene in mostra, io lo seguo con la mia spada corta in mano, gli occhi bene aperti e le orecchie tese. Mi segue il mago e, a chiudere, Padre Gavros. Cosa mai potrebbe andare storto?
Il sentiero è ancora abbastanza in buone condizioni e dalla foresta intorno a noi ci giungono solo fruscii di piccoli animali, nessun indizio lascia trasparire la presenza di un orso di sette metri nei dintorni. L’unica cosa che riesce a metterci in agitazione sono i glifi, molto simili a quelli presenti sul manto dell’orso, tracciati sulla corteccia di tutti gli alberi su cui il nostro sguardo si posa.
Saremo a metà della collina e, davanti a noi, spuntano quattro grossi ghiottoni dalla pelliccia marrone, altri tre compaiono dalla boscaglia alle nostre spalle per bloccarci la via da cui siamo arrivati.
Quei maledetti orsetti in miniatura non si vogliono lasciar colpire. Il chierico mena disperato la sua mazza, mancando il suo obbiettivo con costanza degna di nota, la spada di Sirol si abbatte con forza per terra, come se volesse mancare apposta il suo obbiettivo. Io non riesco nemmeno ad avvicinarmi con la mia spada corta, figurarsi se riesco a mettere a segno un colpo.
Solo Panmorn riesce a mettere a segno qualche fiotto acido, che sparge il liquido magico sui quattro ghiottoni di fronte a noi.
A ogni colpo andato a segno, i ghiottoni ringhiavano con forza sempre maggiore, mentre dalle loro bocche comincia a colare una saliva bianca  e schiumosa.
Per poco non ci massacrano.
Il mezzelfo tenta un fendente orizzontale. Il ghiottone è lì davanti, non può scappare, ma la punta della spada si conficca con forza nella corteccia di un albero vicino. Il colpo è così violento da far cadere un riccio, che era salito su uno dei rami per riposare, sulla testa scoperta del nostro guerriero lasciandolo stordito e con un rivolo di sangue che sgorga dalla cute.
Credo che questo, in termini tecnici, si possa definire critico di riccio.
Finalmente, sarà per l’affaticamento dei ghiottoni o per la nostra disperazione, riusciamo a mettere a segno qualche colpo. Io, mentre Padre Gavros e Sirol mietono vittime tra gli animali già feriti dall’elfo, ripongo la spada nel suo fodero e carico la balestra. Sarò anche piccolo, ma non sbaglio troppo con questa.
Alla fine un solo ghiottone riesce a scappare al massacro che ci lasciamo alle spalle.
Il cielo comincia a mostrarsi tra le frasche sempre meno fitte. La cima è vicina, finalmente, ma un sibilo ci fa voltare lo sguardo. Arrotolato attorno a un ramo un grosso serpente ci osserva.
Non sembra essere una specie velenosa, viste le dimensioni è più probabile che sia uno stritolatore, ma noi, già riscaldati dal combattimento all’ultimo sangue di poco prima, non ce ne preoccupiamo.
Torno a caricare la balestra. Quel ramo sarebbe in ogni caso troppo in alto perché io lo possa raggiungere.
Il serpente non perde tempo e si lascia cadere sul guerriero, mancandolo clamorosamente.
Qualche colpo di mazza, alcuni fendenti, due incantesimi riusciti e uno che per poco non colpisce la nostra prima linea, quattro quadrelli di cui tre si piantano nel suolo e del serpente non rimane che carne morta.
Finalmente giungiamo in cima all’altopiano. È quasi mezzogiorno e il sole splende alto nel cielo azzurro. Sarebbe anche una bella giornata, se non avessi rischiato di morire tre volte in meno di venti ore.
Davanti a noi, ad accoglierci, il santuario in rovina. Un cerchio di monoliti antichi delimita il perimetro esterno e, al centro, sorge una specie di cappella circolare di circa venti metri di diametro che pare sorretta dai rampicante, di un colore insolitamente vivido, che vi si avviluppano attorno.
Ci soffermiamo ad osservare l’ambiente, prima di dirigerci verso il santuario. I monoliti, da vicino, paiono colonne di una struttura più grande e antica di quella che ci si propone davanti e, sia Panmorn che il Padre avvertono due fonti distinte di magia intorno a noi, tolta quella emanata dalle rune poste sugli alberi della foresta. La prima arriva dalla cappella davanti a noi, mentre la seconda pare provenire dal terreno, da un luogo sotto i nostri piedi.
Ci avviciniamo circospetti all’ingresso del santuario. Al centro della stanza, sopra una pedana rialzata dal pavimento raggiungibile grazie a tre scalini per lato, sorge una pietra tombale, sopra la quale, rantolante è accasciato Bastion, la nostra guida, completamente nudo. Sopra la sua pelle sono tatuate le stesse rune che avevo notato sull’orso, i suoi occhi ci guardano furiosi, seppur questi siano velati.
Sopra la tomba svetta anche una sfera luminosa.
Accatastati lungo tutte le pareti riposano sacchi gonfi di oggetti, zaini e tracolle, barili, centinaia di monete scintillanti e le armature dei soldati che avevano raggiunto quel luogo prima di noi. Sopra buona parte dell’equipaggiamento militare rovinato dal tempo svettava lo stemma dell’impero, uno scudo rappresentate, a sinistra, una mano con una moneta d’oro, mentre a destra una mano con l’elsa di una spada stretta in pugno. Sopra di queste campeggiava la scritta Gold et Blood, oro e sangue.
Butto un sasso raccolto da terra all’interno del santuario, per verificare la presenza di eventuali trappole, ma nulla scatta e Bastion pare non farci nemmeno caso.
Estraggo la balestra e mi avvicino alla soglia, senza entrare.
Sirol, con il ciondolo in mano, entra cauto nella stanza con le armi rinfoderate. – Questo è tuo, vero? Se non mi farai del male giuro che te lo restituirò. –
Gli occhi della nostra guida paiono addolcirsi un poco.
Padre Gavros prende la parola. – Bastion, Come stai? – dice con voce calma – Sei ferito? –
- A me non resta molto tempo. Ho speso troppi anni a proteggere questo luogo e nessuno con cattive intenzioni dovrebbe giungere qui, ma voi vi siete dimostrati diversi da tutti quelli che vi hanno preceduti, nonostante i vostri cuori non siano i più puri. La donna che è ritratta assieme a me in quella foto è la druida che mi fece da maestra ed  colei che giace sotto questa pietra. Vi siete meritati la mia approvazione, poiché non potrò rimanere a proteggere questo luogo, voglio affidare a voi questo oggetto, il globo delle profezie passate. – Bastion pare spirare, ma il suo corpo si porta dritto in maniera innaturale, come se davanti a noi non ci fosse un uomo bensì un burattino mosso da fili. La sua testa si piega di lato mentre lo sguardo vacuo si punta su di noi.
La bocca del druido comincia a muoversi, ma non va a tempo con le parole che ne escono.
- Le Tenebre della Libertà
Colpiranno con gravi dolori
La decisione dell’animo Verità
Dello scandaglio delle Memorie.
Detto questo, il corpo cadde come un sacco sulla pietra tombale.
All’esterno i rampicanti che avvolgevano la struttura cominciano a cadere a terra e i primi calcinacci iniziano a staccarsi dalla volta che ci sovrasta.
- Voi mettetevi in salvo! – urlo, preso da un moto di insolita gentilezza – Al globo ci penso io! –
Sirol getta il ciondolo sul cadavere della nostra guida, in segno di rispetto, per poi correre in direzione dell’uscita. Un calcinaccio lo colpisce sulle spalle, ma il colpo non è sufficientemente forte da fermare la sua corsa.
Ora tocca a me. Scatto in avanti, verso la tomba e il corpo privo di vita di Bastion, salgo i tre scalini e afferro la sfera grossa quanto la mia testa con mani esperte.
Tutto intorno le pareti crollano sempre più velocemente e buona parte dei tesori contenuti nella stanza è già stata sotterrata dalle macerie.
Il globo pare perdere parte della sua luminosità, ma questo sarà un problema che cercherò di risolvere dopo.
Riprendo a correre a testa bassa verso l’uscita. Il santuario mi sta letteralmente implodendo addosso, qualcosa di troppo duro mi cade su una spalla, ma non posso fermarmi. Esco e continuo a correre, se sotto la cappella esiste una struttura più grande, magari una sala, non vorrei che il terreno mi cedesse sotto i piedi. Una volta superati monoliti mi permetto di prendere fiato e osservare meglio l’oggetto che ho in mano.
Il globo è grande quanto la mia testa, azzurro, anche se qua e là la superficie è screziata da venature blu e bianche che ne percorrono la superficie. Effettivamente non ho preso un abbaglio, della luce azzurrognola che rischiarava la tomba non è rimasto quasi nulla.
Il chierico mi prede la sfera dalle mani, facendola risplendere mentre la osservava con attenzione. Quando riesco a rimettere le mani sul globo, questo torna a emanare solo un fievole bagliore.
Alle nostre spalle, la cappella è completamente crollata. Poi qualcosa si muove dove, prima, riposava la tomba. Tre tentacoli lignei si alzarono dalle macerie, avviluppandosi sopra pietra tombale come un tronco spesso per poi diramarsi nuovamente decine di volte spandendosi verso il cielo. Foglie giovani videro per la prima volta il sole su quei rami spessi.
Mi avvicinai cauto all’albero, trovando durante il tragitto due monete di rame che finirono prontamente nella mia tasca.
L’albero è robusto, ben piantato, anche se non sono in grado di dire a che specie appartenga. Ma, soprattutto, sento in esso come il bisogno di proteggere la tomba e il corpo nascosti all’interno del tronco.
- Ma… se toccassimo tutti quella sfera? – chiede Sirol alle mie spalle.
- A cosa potrebbe servire? È inerte. – gli ribatte Padre Gavros mentre studia l’albero, passandoci la punta delle dita sulla corteccia.
- Cosa abbiamo da perderci? –
Il guerriero non ha tutti i torti…
Ci disponiamo in cerchio. Io tengo la sfera salda tra le mani, di fronte a me. Il primo ad appoggiare la mano  sulla superficie liscia è Panmorn, seguito da Sirol. Il Padre, scettico, tocca con un dito il globo. Poi qualcosa accade.
Vedo un cielo. Un cielo cupo, in cui i caldi raggi del sole sono completamente azzerati da una fitta coltre di nubi nere temporalesche. L’unica fonte di luce sicura sono le braci ardenti e le ceneri trasportate dal vento che cadono con una lentezza surreale. Periodicamente delle saette aprono profonde cicatrici nelle nubi, illuminando a giorno i terreni circostanti, e fragorosi tuoni rimbombanti fanno tremare la terra.
Il mio sguardo viene forzato verso la cima di una montagna che pare innaturalmente vicina. Sulla vetta, circondato dalla neve che pare rossa per via del riflesso delle braci che cadono incessantemente, si trova un luogo arcano che riesco a mettere a fuoco: è un luogo imponente, antico, ha un’aria di importanza tangibile.
La vetta della montagna pare allontanarsi di colpo e il mio sguardo può stendersi, ora, sul paesaggio circostante. Vedo un dirupo sul cui limite si erge una figura ammantata di tenebra dalle fattezze umane che scruta la vetta scarlatta. Passa forse un secondo senza che nulla si muove, poi la figura volta la sua testa nella nostra direzione. Posso vedere i suoi occhi di fuoco ardere della collera di mille persone mentre ci osserva.
La visione si ruppe come uno specchio colpito da un sasso.
Il sole è calato parecchio e non mancano molte ore al sopraggiungere della notte.
Concordiamo tutti che non è il caso di accamparci in quel luogo, quindi, lasciato il tempo al chierico di medicare Sirol, ci avviamo per il sentiero da cui eravamo arrivati.
Abbiamo completato la nostra missione, no? L’orso che attaccava i passanti e depredava i terreni qui intorno è morto, quindi un certo nano mi deve l’adeguata ricompensa promessa.
Lungo la strada non si vede anima e viva, nemmeno i suoni degli animali nel sottobosco si odono.
Non riusciamo a raggiungere la base dell’altopiano che un urlo agghiacciante, un lamento terrificante si leva alle nostre spalle. Riesco a malapena a girarmi. Un fantasma si erge fiero sul sentiero, sopra la tunica nera dal bordo dorato indossa una spessa armatura a placche scura con gli intarsi d’oro sul bordo di ogni piastra. Legato saldamente al braccio sinistro porta uno scudo con, al centro, lo stemma dell’impero bene in vista, lo stesso stemma che affollava il santuario del druido. Nella mano destra, invece, dall’elsa ben stretta nel guanto di ferro si sviluppava la lama scarlatta di una spada lunga. Il volto è completamente nascosto dall’aura di tenebra che pare fuoriuscire direttamente dalla pelle del fantasma, fatta eccezione per gli occhi bianchi che brillano in quel fumo nero. I capelli rossi danzano verso il cielo immersi nell’aura oscura.
Vorrei scappare, ma le mie gambe non hanno intenzione di muoversi. Sono completamente immobilizzato, non ho mai avvertito un terrore così profondo.
Quelle tenebre calzanti figura umana si avvicinano al chierico dagli occhi terrorizzati, colpendolo con un colpo a due mani. Il corpo protetto dall’armatura squarciata cade a terra senza un lamento, gli occhi spalancati verso il cielo, custodi di un urlo di paura mai liberato.
Un fendete della lama cremisi apre uno squarcio sul petto di Sirol, che collassa in una pozza di sangue con ancora la spada stretta in pugno e lo scudo legato al braccio.
Con due passi il fantasma si portò di fronte al mago, appoggiandogli un dito sulla fronte. Il sangue elfico comincia a zampillare dalle orecchie a punta, dal naso, dalla bocca, persino dagli occhi verdi. Il corpo snello cade all’indietro, con gli occhi rovesciati e la faccia coperta da una maschera di sangue.
Sono rimasto solo, con ancora il globo stretto tra le mani.
Il fantasma mi guarda, proferendo con una voce lontana e  rimbombante – Voi non siete in grado di utilizzare questo oggetto. Non potete evitare quello che avverrà. Il futuro è già compiuto. – La spada è stata più veloce del mio occhio. Sento il mio cuore spaccarsi mentre la lama rossa lo trapassa da parte a parte. Un tintinnio lontano mi avverte che le monete di rame che avevo in tasca sono ora per terra, tra i ciottoli e il sangue.
Poi tutto si fa nero.

Riapro gli occhi in una radura. Accanto a me ci sono i miei compagni di morte. L’atmosfera è calma e l’ambiente intorno a me trasmette un silenzio di rilassatezza generale, come se tutto fosse in letargo. Nella quiete non riesco a sentire né il canto degli uccelli, né i passi degli animale, solo il fruscio delle foglie sotto un vento lieve fa da sottofondo a questa mia visione.
Sono forse morto?
Certo, avrei preferito un paradiso un po’ diverso, tipo una taverna che offre giri di ottima birra a ripetizione... E magari non finirci assieme a questi tre. Ma uno nella vita deve sapersi accontentare.
Davanti a me si para uno spettacolo particolare. Al centro della radura, delimitato da un cerchio di pietra bianchissime, arde un fuoco che non produce né scoppiettio, né fumo. Solo volute di leggera cenere bianca si levano da quel fuoco di bivacco.
Seduto davanti alla fiamma c’è un vecchio rugoso, con una barba candida che gli scende morbida dalle guance, cadendo sul saio di sacco che veste. L’uomo si accorge immediatamante del nostro arrivo, si alza e comincia a guardarci con le pupille bianche, cieche, ma maledettamente penetranti. Comincia quindi, un passo dopo l’altro, ad avvicinarsi a noi, direi ancora sufficientemente scossi dalla nostra ultima esperienza.
Di nuovo Padre Gavros prende l’iniziativa. – Dove siamo finiti? Chi è lei? Perché siamo qui? –
L’anziano sorride con un’espressione rassicurante, voltandosi verso di lui. Il volto rugoso, così dolce e così solido, si deforma quando la bocca comincia a muoversi per proferire parola. La voce che esce da quelle labbra è sicura e calda. – Tutto ciò che vi è accaduto, è volto per uno scopo. Ivi nel mondo ci sono forze maligne e benigne in egual misura, l’importante non è che una possa dominare sull’altra, poiché anche il buono e il bello, portati allo loro estremo, non portano che svantaggi. Il mondo ha bisogno dell’equilibrio, poiché non può esistere la luce senza le tenebre, il bene senza il male, l’alba senza il tramonto. E voi, in quest’equilibrio del mondo, siete stati scelti dal Destino. – l’uomo riprese fiato, ritornando nei pressi del fuoco. – Voi siete fortunati, poiché nella vita vi troverete ad affrontare delle scelte e, in questo modo, sarete voi che traccerete il futuro che vi aspetta. La libertà è l’essenza dell’umanità. –
L’anziano fa ancora un passo avanti, portandosi al centro della fiamma che comincia ad avvilupparsi sul suo abito. La sua bocca ci lascia un ultimo monito. – Proprio perché ognuno è libero diffidate degli altri, poiché i desideri dell’uno non coincidono con quelli dell’altro. Andate verso nord. –
Detto questo, la fiamma divampa, avvolgendolo interamente e nascondendolo alla nostra vista. Tutto quello che ne esce è una voluta di cenere bianca che si posa dolcemente a suolo.
Senza dire una parola prepariamo il campo per la notte. Non so gli altri, mai io ho visto fin troppe cose strane in questi due giorni e ho bisogno di almeno una notte per metabolizzare l’accaduto.
Finalmente posso sdraiarmi e concedermi un po’ di meritato riposo, addormentandomi lentamente con lo sguardo fisso al soffitto della tenda che mi ospita. 

   
 
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