The ghost of you
https://www.youtube.com/watch?v=uCUpvTMis-Y
Vi consiglio di ascoltarla per immergervi meglio nella lettura, but
it’s up to
you.
Buona lettura!
C’erano
tantissime
ragazze quella sera alla festa, ricordo ancora come tutti i miei
commilitoni
rimasero in silenzio per qualche minuto, il tempo necessario per
puntare una
ragazza e rendersi più affascinanti per conquistarla.
Non appena la canzone ebbe inizio ci alzammo tutti dalle nostre sedie
per
invitarle a ballare, la notte non poteva durare a lungo dopotutto e il
tempo a
nostra disposizione per svagarci era praticamente finito.
Mi limitai a ballare con una delle donne che ancora erano rimaste
sedute poiché
non erano state scelte o avevano declinato l’invito, non mi
interessava più di
tanto ballare con una di loro, ma era molto più importante
stare al suo fianco
per poter vedere ancora il suo viso sorridente, cosciente del fatto che
tra
qualche ora anche il suo –il più luminoso e
contagioso di tutti- sarebbe di
certo svanito.
Danzai per qualche ora circa, incitato dagli altri e invogliato da
canzoni più
frizzanti e coinvolgenti dei soliti lenti, erano molto più
dispersive e
decisamente più divertenti.
Fu in quel momento che ci guardammo.
E, mai, mai, avrei potuto immaginare quello che sarebbe accaduto pochi
secondi
dopo.
Non mi ero mai reputato una persona molto brillante o perspicace ma
credevo di
riuscire a comprendere se i sentimenti provati da una persona che
suscitava il
mio interesse fossero ricambiati o meno. Be’, solo quando la
porta del bagno
venne chiusa a chiave mi resi conto di quanto fossi stato cieco fino ad
allora,
di quanto non avessi compreso i suoi sentimenti.
Non parlammo per tutto il tempo che rimanemmo chiusi lì.
Iniziò prima lui spingendomi contro il muro, cogliendomi
totalmente impreparato
a ciò che stava per accadere, e premendo le sue labbra
contro le mie.
Ricambiai subito.
Dopotutto non avevamo tanto tempo.
I nostri respiri si affannarono subito, le nostre lingue non la
finivano di
muoversi freneticamente, la sua gola tentava invano di trattenere i
gemiti a
causa delle mie mani che, impazienti, si affrettarono a sbottonare la
camicia
ed abbassare i pantaloni.
Presto la serata si sarebbe conclusa.
Si morse la mano per non urlare, per cercare di contenersi.
Io feci lo stesso, mordendo la sua spalla, mentre spingevo sempre
più in
profondità.
Calde lacrime colarono dai suoi occhi –buchi neri nello
spazio- e non potei
fare a meno di alzargli il mento per poterle lambire con la lingua
mentre
entrambi raggiungevamo l’apice.
Non potevamo stare lì a lungo, non potevo farlo stancare
troppo; le forze ci
servivano per quello che avremmo dovuto affrontare nel giro di poche
ore.
Arrivammo in sala in tempo; l’ultima canzone era iniziata.
Il tempo a nostra disposizione era terminato.
Quella mattina
faceva
freddo. L’aria era gelida e, nonostante il nostro
equipaggiamento ci coprisse
quasi del tutto –avevamo solo il viso scoperto-, sentimmo
quel vento entrarci
fin dentro le ossa. L’acqua del mare non aiutava schizzando
piccole gocce
ghiacciate sulle nostre guance, ma non importava, in quel momento
avvistammo la
terra su cui saremmo approdati.
E il gelo che ci faceva tremare scomparve per lasciare il posto ad un
altro
tipo di fremito.
Dato dall’adrenalina, dall’eccitazione, dalla paura.
Imbracciamo i nostri fucili e tirammo un grosso respiro; dovevamo
riscaldarci
il più possibile per essere in grado di correre fino alla
nostra trincea, non
lontana dal luogo di approdo.
Lo guardai un’ultima volta.
Mi rispose con un cenno e sorrise.
Sarebbe andato tutto bene.
Correvo senza
sosta, i
polmoni supplicavano per avere più aria, i polpacci
bruciavano, i tendini delle
caviglie erano in fiamme ma non potevo fermarmi, non ora che ero, che
tutto plotone era
così vicino alla meta.
Gli spari nemici avevano già mietuto qualche vittima, le
mine antiuomo avevano
messo fine alla vita di due miei compagni di squadra.
Vedevo la trincea, ancora qualche metro…
Un ragazzo poco lontano da noi schiacciò
l’ennesima mina e noi, impossibilitati
a potergli salvare la vita, saltammo per poterci schermare
dall’esplosione.
Fortunatamente, a parte quel ragazzo, nessun’altro perse la
vita.
Con le spalle contro il “muro” fatto da sacchi di
sabbia guardai i miei
compagni mentre mi raggiungevano, volevo scorgere il suo volto tra i
superstiti.
Aspettai a lungo ma poi lo vidi mentre correva verso di me, verso la
salvezza.
Ci guardammo.
Avrei voluto che
quell’istante durasse
per sempre.
Bang.
Vidi la scena a
rallentatore.
Il suo sorriso si spense il pochi secondi e in altrettanti cadde per
terra.
Sul suo volto non più un luminoso sorriso ma una smorfia di
dolore.
-Marco!-
La sua divisa presto si imbrattò si sangue
all’altezza del cuore; vidi il
medico di campo avvicinarglisi per poterlo salvare ma, una volta che si
fu
chinato su di lui, l’unica cosa che poté fare fu
chiudere gli occhi per qualche
istante e scuotere la testa per poi correre verso di noi.
-Marco!-
Non volevo crederci, non potevo crederci; l’ultimo ricordo
che avrei avuto su
di lui sarebbe stato il suo corpo sanguinante con
quell’espressione dolorante e
gli occhi ancora aperti.
Seguirono poi
altri
proiettili, altri spari e, prima di accorgermene davvero, nel giro di
pochi
istanti la mia vista si appannò.
L’ultima
cosa che Marco
vide fu il volto di Jean.
L’ultima
cosa che vide
Jean fu il buio ma, nei suoi pensieri, erano fissi due profondi occhi
neri.
[The end]
Buongiorno!
Grazie
a tutti per aver letto questa fan fiction! Spero che vi sia piaciuta.
Inoltre
vi ringrazio anticipatamente nel caso in cui vogliate spendere un
po’
del vostro tempo per commentarla!
Un
bacio a tutti e per ciascuno!