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Autore: NiagaraFalls    17/04/2016    0 recensioni
Uscii dalla biblioteca, che era preceduta da una piccola sala senza lampadine funzionanti ma fornita di macchinette per il caffè. Davanti ad una di loro c'era lui, coperto da un cappotto - halleluja.
"Nevica", disse una voce che definire oro liquido sarebbe stato più che appropriato.
Oh no, pensai. La voce era il mio punto debole. Era profonda, leggermente roca, e allo stesso tempo capace di avere infinite sfumature di emozioni, di sarcasmo, di ironia.
E aveva detto solo una parola. Tre sillabe. Ne-vi-ca.
Guardai fuori e sì, nevicava. Era la prima nevicata dell'anno. Amavo la neve.
Genere: Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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karenina 1 Quando entrai nella biblioteca cittadina, uno sbuffo d'aria calda mi smosse i capelli mentre la porta si chiudeva senza fare rumore dietro di me.
Per inciso, quella era una delle poche cose silenziosamente consone di tutto l'edificio. Per essere un'istituzione dedita allo studio e alla calma, era la biblioteca più deconcentrante in cui fossi mai stata. Salutai il bibliotecario, che stava parlando al telefono, con un cenno della testa. Passai accanto a un gruppo di ragazzi della mia scuola, i quali ridevano tra di loro neanche fossero in un pub. Sentii, tra gli scricchiolii del vecchio pavimento e lo scroscio del calore nei termosifoni, uno di loro mormorare: "Ohi, secondo te riuscirei a far sciogliere miss freddezza?"
Continuai a camminare facendo finta di niente, arrivando finalmente in un angolo desolato. Be', proprio desolato non era. Mi accomodai sulla sedia e appoggiai la mia borsa, lanciando uno sguardo curioso al ragazzo che sonnecchiava due tavoli più in là. Sollevai le sopracciglia quando notai che portava gli occhiali da sole. Alle cinque di sera. A Novembre. Indossava una leggera maglia bianca a maniche corte, e mi chiesi come non facesse a morire di freddo.
Feci per mettermi a studiare quando uno di quei quattro idioti di prima si avvicinò a me, baldanzoso e fintamente sicuro di sé : "Karanina, giusto?"
Alzai il capo e dissi: "Tolstoj si sta rivoltando nella tomba."
Mi morsi la lingua appena notai il cipiglio confuso sul suo viso. "Karenina" lo corressi quindi.
Dietro di lui, il ragazzo dormente si riscosse dal sonno e si raddrizzò con calma sulla sedia, stiracchiandosi come un gatto. Aveva folti capelli castani scompigliati ad arte, una collana argentea appesa al collo e un'espressione accigliata terribilmente adorabile. Rimasi discretamente incantata a guardarlo.
"... numero?" finì l'idiota.
"Come scusa?" chiesi, riscuotendomi dallo stato di conteplazione in cui ero momentaneamente finita.
"Mi dai il tuo numero?"
Lo squadrai, conscia di risultare altezzosa ma incapace di reagire in modo accondiscente.
"No, scusa."
"Dài, Karenina, prometto che non mordo" disse, con un ghigno che voleva essere affascinante ma che ai miei occhi era solo irritante.
Tirai fuori il libro di letteratura dalla mia borsa a tracolla, lo aprì. "Non sono interessata."
Lui sbuffò stizzito, con l'ego probabilmente ferito. "Asociale" sussurrò, per poi tornare dai suoi amici. Passò accanto al ragazzo con gli occhiali da sole e gli rivolse una frase totalmente fuori contesto: "Hey negretto."
Il suo saluto, che suonava più come un insulto, mi diede un'altra ragione per essere soddisfatta del mio rifiuto e, soprattutto, un'altra scusa per osservare il ragazzo, il quale non sembrò nemmeno sentirlo, anzi, aveva l'aria ancora mezza addormentata. La sua pelle era decisamente pallida, più della mia olivastra, quindi guardai con le sopracciglia alzate quel gruppo di ragazzi immaturi, chiedendomi perché fossero lì.
Mi dedicai dunque a leggere il libro di letteratura, studiando la vita di Marcel Proust, per distrarmi dal mondo circostante. Me ne stavo piegata sul libro a sottolineare le parti più importanti quando il mio evidenziatore giallo smise di funzionare, chiaramente distrutto dai precedenti mesi d'utilizzo. Provai a farlo funzionare un paio di volte premendolo sulla pagina, ma niente, era definitivamente passato a miglior vita. Sentì dei fievoli rumori provenire dal tavolo poco distante dal mio, e un oggetto atterrò sulla pagina aperta del volume scolastico, scuotendomi. Alzai gli occhi dal libro, accigliata. Guardai il ragazzo a maniche corte chiedendomi se fosse pazzo, con la bocca aperta e le sopracciglia alzate in una chiara richiesta di spiegazioni. Mi aveva appena lanciato un evidenziatore verde, beccandomi quasi in pieno, per poi rimettersi comodo sulla sedia, accasciato come se quello non fosse un posto di studio, ma il divano di casa sua.
Visto che i suoi occhi erano coperti dalle lenti scure, non riuscii a capire se avesse notato la mia espressione irritata o se si fosse richiuso nel suo mondo fatto di mesi caldi e comode poltrone.
Scossi la testa e, senza dimenticare le buone maniere, dissi semplicemente "Grazie", abbastanza piano da essere consono ad una biblioteca, ma abbastanza forte perché il mio sussurro giungesse a lui. Non mi arrivò nessuna risposta, vidi solo il ragazzo muovere impercettibilmente il capo, in un gesto che significava prego.
Arrivate le sei e mezzo, mi riscossi dallo studio e rimisi tutto nella borsa, affrettandomi. Notai che il ragazzo se n'era già andato, e che, persa nella lettura com'ero, non me n'ero accorta. Non mi aveva chiesto l'evidenziatore, probabilmente se n'era dimenticato.
Uscii dalla biblioteca, che era preceduta da una piccola sala senza lampadine funzionanti ma fornita di macchinette per il caffè. Davanti ad una di loro c'era lui, coperto da un cappotto - halleluja.
"Nevica", disse una voce che definire oro liquido sarebbe stato più che appropriato.
Oh no, pensai. La voce era il mio punto debole. Era profonda, leggermente roca, e allo stesso tempo capace di avere infinite sfumature di emozioni, di sarcasmo, di ironia.
E aveva detto solo una parola. Tre sillabe. Ne-vi-ca.
Guardai fuori e sì, nevicava. Grazie alla sala illuminata solo dai lampioni esterni riuscii a vedere le neve cadere silenziosa. Era la prima nevicata dell'anno. Amavo la neve.
Sentii un sorriso infantile aprirsi sul mio viso. Lo guardai. Indossava dei pantaloni neri strappati sul ginocchio sinistro. Senza dire nulla, uscì da lì e lo osservai curiosa attraverso la porta a vetri. Fece un paio di passi in avanti e si fermò di fronte alla biblioteca. Aveva il capo leggermente alzato, come se stesse scrutendo la volta celeste coperta di pesanti nuvole nevose, e le spalle rivolte all'edificio e quindi a me. Era un esemplare interessante. Bizzarro.
Dopo un minuto tornò docilmente dentro, scuotendo i capelli per togliere i fiocchi di neve.
"Oh", esclamai.
Approfittai del suo ritorno per frugare nella mia borsa. "Grazie dell'evidenziatore", dissi, trovandolo ed estraendolo dalla tracolla.
Si era tolto gli occhiali rigati dalla neve sciolta e li stava pulendo quando alzò gli occhi su di me, e rimasi folgorata. Occhi verdi. Occhi verdi e profondi, che mi ricordarono i colori innocenti della primavera. Mi sentii completamente persa, non ero più lì, stavo navigando su quell'intenso mare smeraldo. Ed è lì che scoprii cosa fosse l'attrazione.
  
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