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Autore: Celtica    17/04/2016    6 recensioni
| Storia pubblicata su Amazon: Myricae - il giorno che ti ho perso |
Un cane, quando viene abbandonato, si sente in colpa.
Pensa di essere stato lui, di aver sbagliato, di aver agito male. Cerca il padrone perduto, lo aspetta, lo desidera e lo teme.
Davanti a lui può esserci la fine, o un nuovo inizio.
Esattamente come nella vita di Marta, la ragazza che l'ha abbandonato, e di Tobia e Luna, due amanti dei cani.
Lui è il filo conduttore che li lega.
Storia in pausa, ma ancora per poco.
Genere: Angst, Drammatico, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Cap 4
nn


Quarto Capitolo

Come quando fuori pioveva e tu mi domandavi
se per caso avevo ancora quella foto
in cui tu sorridevi e non guardavi.
Ed il vento passava
sul tuo collo di pelliccia e sulla tua persona
e quando io, senza capire, ho detto sì.
Hai detto "È tutto quel che hai di me".
È tutto quel che ho di te.
(Rimmel, De Gregori)


È trascorso un giorno.
Una ragazza è venuta a vederlo: lo ha toccato, ha osservato le orecchie, gli ha scoperto i denti. Poi gli ha sorriso. Lui ha sollevato la coda con indolenza, tentando di rispondere al suo saluto, ma alla fine l’ha lasciata cadere sul tappeto ed è rimasto fermo.

«Cosa ne pensi?» chiede Lilli, inginocchiata vicino a lui.

Riconosce uno strano tono nella voce, quella titubanza con cui Marta parlava alle sue amiche quando andavano a trovarla. Come se cercasse l’approvazione dell’altra…

«Ha mangiato?»

«Non ha toccato niente. Ha solo bevuto» risponde Lilli poggiando le mani a terra.
«Portiamolo in laboratorio» continua la giovane. «Dobbiamo vaccinarlo.»

Lilli non sembra contenta. Rimane ferma, posando le dita sul suo muso, come se volesse proteggerlo.
«E se fosse già stato vaccinato? No, è rischioso.»

La ragazza si alza con fare sicuro. Lui riconosce l’odore di altri cani, un odore che in un momento diverso lo avrebbe spinto ad alzarsi per annusarla.
«Vacciniamolo e basta. Si fa così. Non è rischioso, Lilli.»

Sono sole con lui, sempre se si esclude la presenza del gatto, costante, che lo osserva come se fosse una cosa brutta e pericolosa.

«E per il resto?» insiste Lilli, facendo forza sulle ginocchia per tirarsi in piedi.
«Sembra sano. Dobbiamo solo riuscire a farlo mangiare.»

Sono altrove, ora. In una stanza piastrellata di bianco, odori che si mischiano tra loro, come se lì dentro fossero passati centinaia di animali.
Lui non può fare a meno di sollevare il muso e sentire.
Sente odore di urina di gatto, in parte coperta dall’alcool, un barboncino che ha lasciato alcuni peli vicino al banco d’acciaio, e altri, altri ancora. Se solo volesse, potrebbe riconoscere ogni animale annusato in quella stanza, ogni cane che vi ha messo piede. La paura, quella stessa paura che ora sente anche lui.

Ricorda un posto simile, ricorda di aver tremato, di aver sentito dolore. Ricorda di essere stato messo in malo modo su un bancone freddo e grigio. Ce l’ha davanti, ora.

«Non lo tieni?» chiede la ragazza a Lilli.

Lui si volta a guardarle, il battito accelera, il respiro si fa affannato, cerca di arretrare, la lingua a penzoloni.

«Sai che non vuole…»
«Già. Papà non voleva che lo sposassi.»
«Sandra!» grida Lilli, facendolo agitare ancora di più.
«È la verità, Liliana. Lo sai bene. Se non avessi sposato lui le cose sarebbero andate diversamente.»

Sente la porta chiusa dietro di sé, la sfiora con la coscia mentre le osserva. Ha paura, vuole andare via. Finalmente trova il coraggio di voltarsi e prende a grattare il legno bianco, scalfendolo.

«Fermo! No, no!» grida ancora Lilli, ma è Sandra quella che lo raggiunge.
Lo afferra per il collare, quello di stoffa grigia che gli ha comprato Lilli quella mattina, e lo tira verso il bancone.

Sa già cosa sta per accadere…
Presto lo isseranno sul freddo acciaio. Presto perforeranno la sua pelle, come è già successo in passato.

E infatti accade.

Sandra stringe il collare e pone un braccio intorno alla sua pancia. Quasi non si accorge di essere lassù, dove non voleva andare. Lilli lo raggiunge mentre si sdraia sulle zampe.

«Stai tranquillo…» sussurra Lilli, stringendo la sua testa contro il petto. Sente la mano di lei sul ventre, e capisce di non poter più fuggire.

Tira fuori la lingua, respira con affanno, trema. Sente il cuore scoppiare, è troppo veloce, troppo veloce… E Sandra si avvicina, Sandra e ciò che stringe tra le mani.
Tira la testa indietro con forza, vuole andarsene da lì. Perché Marta non lo porta via? Ma Lilli usa entrambe le braccia per bloccarlo contro il suo corpo.

Eccola: sta arrivando. Sandra è lì. Vede una mano guantata di bianco percorrere il suo corpo, la sente mentre tira un lembo di pelle. No, no, no, deve scappare, deve fuggire!
Spinge sulle zampe per alzarsi, sente la forza di Lilli cedere, sa che può farcela, sa di poter essere libero. Solo uno sforzo…

«Fatto» dice Sandra, allontanandosi da lui.

Lilli allenta la presa, dandogli modo di approfittarne per alzarsi in piedi. Ma è scivoloso quel ripiano… È bagnato.
Ed è stato lui a bagnarlo.

Se ci fosse il suo padrone, ora partirebbero urla e rabbia.
Ma Sandra e Lilli non sembrano accorgersene. Parlano tra loro, come se lui non fosse lì.

«E ora?» chiede la donna con una punta di amarezza. Lo guarda, incrocia i suoi occhi, ma stavolta non gli sorride.

«Se sei sicura di non tenerlo…»
«Sono sicura» dichiara Lilli, distogliendo lo sguardo.

«Dobbiamo trovare qualcuno. Altrimenti lo sai…»
«Cosa?»
«Canile.»

“Se guardi negli occhi il tuo cane, come puoi ancora dubitare che non abbia un’anima?”.

(Victor Hugo)



Non può crederci.
Tobia non riesce a farsene una ragione.

Perché Luna è andata via senza di lui? Non è uscita da molto, sa che, volendo, può ancora raggiungerla. Ma è quasi ora… e lui è sicuro che il treno sia già lì ad aspettarla. È sicuro che se le sue intenzioni fossero davvero quelle di seguirla, non riuscirebbe a correrle appresso. Si ritroverebbe in una stazione vuota, con treni che portano ovunque tranne che dov’è lei…
Non ce la fa.
Luna lo farà impazzire un giorno o l’altro. Perché deve sempre comportarsi così? Come una bambina. Come se non lo sopportasse, come se volesse fuggire…

Tobia intasca il portafoglio, afferra le chiavi ed esce.
Non può andare a lezione in quello stato, proprio no. Deve respirare, calmarsi, fare due passi pensando a cosa può essere successo.

Scende le scale che portano fuori dal condominio dopo aver chiuso la porta a chiave, lo fa pestando i piedi sui gradini, come se il marmo fosse colpevole della fuga di Luna.
Ignora ogni cosa che lo circonda: il mare, che ospita i vacanzieri, le grida della gente sulla spiaggia, il bar, il bar dove Luna non voleva mai entrare.

«Facciamo colazione a casa.»

E per quanto Tobia si fosse arrabbiato in quell’occasione, mettendo il broncio e restando in silenzio, ricorda di aver provato una fitta allo stomaco alla parola “casa” detta da lei.

Percorre il lungomare, lascia che il sale gli sfiori la pelle, e pensa, pensa agli occhi di Luna, quel colore vivo e quello sguardo selvatico. Sempre in lotta con il mondo.

«Perché no?» sono le parole che meglio la identificano, che più gliel’hanno fatta amare.
A ogni cosa, a ogni obiezione, Luna risponde così.
E Tobia non fa altro che lasciarsi convincere…

«Ciao!»

Sente quel saluto quando, d’improvviso, si ritrova vicino alla stazione dei treni. Com’è arrivato fin lì? Ricorda solo di essere uscito, di aver camminato con il mare a fianco…

Solleva gli occhi per guardare chi l’ha salutato e riconosce la ragazzina che per tanti anni ha vissuto vicino alla casa di sua madre. È circa un anno che non la vede, esattamente da quando lei e la sua famiglia si sono trasferiti in città.

«Marta. Come stai?»

Non è sola, ma Tobia non ha idea di chi sia la giovane che l’accompagna. Sa solo che non gli piace, non gli piace il modo che ha di guardare, non gli piace il modo in cui stringe il braccio di Marta, come se volesse tenerla inchiodata lì, come se fosse un cane al guinzaglio.

«Bene» risponde Marta con un sorriso. Ma Tobia lo vede spegnersi quando incontra gli occhi della sua amica. «Come state nel ponente? Ancora tutti interi?»
«Interissimi.»
«E casa mia? La trattano bene?»

Tobia sfrutta quell’incontro per distrarsi.

«Sì. Le rose di tua madre ci sono ancora.»
Marta sorride. È alta quasi come lui, ed è allora che Tobia si rende conto che non è più una ragazzina. Osserva i capelli lunghi e biondi, lisci come seta, e ricorda di non averglieli mai visti sciolti.

Poi un’idea gli attraversa la mente… I capelli rossi di Luna, il modo in cui le incorniciano il viso, in cui le fanno risaltare gli occhi. Il modo in cui sembrano dar vita alle sue passioni.
Tobia sa che se Luna fosse con lui, quella conversazione avrebbe vita breve. Luna odia gli sguardi opprimenti, e l’amica di Marta non fa altro che guardarlo in quel modo.

Non sa perché, o forse lo sa e incolpa Luna, ma Tobia sente di non voler restare a parlare. Osserva l’orologio.

«Ti saluto, Marta. Magari capiterà di rivederci.»
«Oh, ma io ti ho visto tempo fa… Ero al parco con il mio cane e ti ho visto passare con una ragazza. Aveva i capelli rossi.»

Luna.

«Mi sembravate arrabbiati… Così non mi sono avvicinata.»
Tobia sorride con imbarazzo, come se non ricordasse perfettamente quel momento. Ma invece sa ogni cosa, ogni parola che ha innescato il nervosismo di Luna, ogni gesto che ha fatto lui per inseguirla e farsi perdonare.

«Alla prossima, allora.»

La lascia sotto i portici e scende le scale della stazione. Quell’incontro lo ha lasciato perplesso… Luna, il cane, l’incontro con Marta. Sa che se non fosse uscito quella mattina non l’avrebbe vista, sa che se Luna fosse stata con lui Marta non lo avrebbe nemmeno salutato…

Sa troppe cose, e l’unica che gli interessi adesso è conoscere l’orario del prossimo treno diretto da lei.

Cerca la tabella con gli orari e, quando la trova, è deluso.
Mancano tre ore al prossimo treno. Sembra quasi impossibile…

Decide di uscire per camminare un po’, per respirare quell’aria che, ora, non ha la possibilità di condividere con Luna.

Pensa a Marta e alle differenze che ha con lei… Sono due opposti. Marta è sempre stato un tipo solare, ubbidiente, facile da sottomettere. Mentre Luna, la sua Luna, è viva come i suoi capelli rossi, infuocata di passioni, ribelle come i suoi occhi.
Marta invece li nasconde sotto il rimmel, e Tobia ha il sospetto che sia stata la sua amica a spingerla a usarlo.

Raggiunge la piazza e si allontana dalla stazione. Passa davanti all’università, cammina a passo lento e costante verso la salita che lo porterà a vedere l’intera città, e che gli farà abbracciare l’intero mare.
Passa davanti allo studio veterinario dove Luna lo aveva portato per convincerlo a prendere un cane.

«Parlare con un medico ti farà bene. Vedrai che risponderà a tutti i tuoi dubbi.»

E Tobia l’aveva seguita senza sapere cosa chiedere.
Era stata lei a fare tutto.

Osserva la scritta sullo studio, le iniziali S. Birillo del medico veterinario, impresse in nero su una targa dorata. Non è ancora orario di visite, eppure la porta si apre davanti a lui.
Quello che gli si para davanti è un cane sconvolto…

«Salve» lo saluta una ragazza con i capelli bruni. E Tobia la riconosce: è con lei che ha parlato. «Ha bisogno?»
Tobia si sposta per farla passare, per farle passare: dietro alla ragazza c’è una donna, ed è lei a tenere il guinzaglio del cane. Sente una gran nostalgia di Luna… Se ci fosse lei, ora si chinerebbe ad accarezzare l’animale e, forse, lo aiuterebbe a sentirsi meglio.

«No, io…»
«Ma non ci siamo già visti?» insiste la veterinaria. «Aspetti… lei ha una cocorita, giusto?»

Tobia, come guidato dallo spirito di Luna, allunga una mano tremante verso la testa del cane.
Luna non farebbe così, si dice. Ed è la verità: Luna si lascia annusare prima di accarezzare. Sempre.

«No… Sono venuto a chiederle informazioni sui cani.»
«Ma certo! La ragazza con i capelli rossi!» la veterinaria sorride prima di volgersi verso la donna che è con lei. «La sua ragazza voleva a tutti costi fargli prendere un cane.»

Tobia sente le guance in fiamme.
La sua ragazza.

«No, noi… noi non stiamo insieme» sussurra in modo impercettibile.
«Non è con te?» La veterinaria passa a dargli del tu, e Tobia non trova il coraggio di ripetere quel chiarimento. «Magari lei potrebbe aiutarci.»

Tobia solleva gli occhi, rendendosi conto che in quel breve tempo in cui si è separato da Luna, ogni cosa nell’universo si è mosso per portarlo da lei.

«Che genere di aiuto?»
«Qualcuno» interviene la donna, facendo un passo oltre la soglia. «Qualcuno che si prenda cura di lui. L’ho trovato per strada.»

Tobia segue lo sguardo della donna e osserva il cane. Sembra stanco, debole, sembra che stia male. Chi mai lo prenderà? Nessuno, e in canile ci sarà un cane in più.
Se Luna fosse con lui, ora Tobia sentirebbe tremare la terra sotto i piedi, e la voce di Luna giungere fino in cielo.

«Non ho mai avuto un cane» confessa Tobia, studiando gli occhi grigi dell’animale. Un’idea lo pervade. Un’idea geniale.
O molto stupida.

«Io…» Sente l’indecisione farsi sempre più spazio dentro di lui, ed è quel momento di incertezza a spingerlo a fare il passo. Un passo oltre l’abisso. Presto non avrà più terra sotto i piedi, e ne sarà pentito. «Potrei provare…»

«Davvero?» mormora la donna, scrutandolo torva. Non sembra fidarsi di lui.
«Lilli, è fantastico! Lui sarà perfetto!»
«Perfetto? Non mi sembra molto sicuro…»

Tobia resta a testa china mentre parlano di lui. Sa di aver sbagliato, ma forse è ancora in tempo per tornare indietro.

«Ma non sarà solo, Lilli! C’è la sua ragazza, lei ama i cani, li ama. Lasciatelo dire.»
«No, sentite…» Tobia scuote la mano per bloccarle. «Ha ragione lei, io non sono nemmeno sicuro di quello che sto facendo. Non ne ho mai avuti… No, è proprio meglio di no.»

La veterinaria afferra il guinzaglio del cane e lo passa a Tobia. Sembra fare piccoli saltelli, e lui capisce che è dalla gioia.
«Sì, sì, invece! Perfetto, è perfetto. Sarai un ottimo padrone, ne sono sicura. L’incertezza è normale, e anzi, è un buon segno: significa che temi di non essere bravo. Per questo lo sarai.»

Tobia sente la stoffa ruvida del guinzaglio tra le dita e si sente oltre il bordo del precipizio. Sta cadendo, e nessuno, nemmeno Luna, riuscirà a salvarlo.

«No, vi ho detto di no. Ho cambiato idea.»
Fa l’atto di riconsegnare il guinzaglio a Lilli, ma la veterinaria lo ferma. Ha un sorriso enorme, e denti grandi e bianchi, più lucidi di quelli di chiunque lui conosca.

«Prendilo» mormora con dolcezza, senza il minimo segno di alterazione. «Non te ne pentirai, fidati di me.»
«Ma nemmeno la conosco…»

La ragazza gli fa cenno di accucciarsi e lo imita. Solleva il mento del cane con due dita e gli impone di guardarlo negli occhi.

«Se vuoi dire di no, devi dirlo a lui. Non a noi.»

E Tobia guarda.
Entra negli occhi grigi e tristi, e persi, entra nel suo mondo fatto di abbandono, di ricordi, di una casa che non vedrà più, di qualcuno che non lo cercherà più. Che non pronuncerà più il suo nome, che non lo chiamerà nel freddo e nella pioggia per offrirgli un riparo. Qualcuno che è da un’altra parte, lontano, troppo lontano per vederlo. Per vedere come sta soffrendo.
Per capire come l’ha ridotto.

Tobia sente gli occhi farsi umidi mentre vede lo spettro del suo viso nelle iridi del cane. È un volto scuro, tondeggiante, come se ogni lineamento di Tobia fosse visto in modo sbagliato dall’animale.

E per ultimo, nello sguardo di lui vede ancora una cosa.
La più importante, la più vera.
Vede Luna.

«E va bene. È mio.»

Anche Lilli sembra felice ora, forse si fida molto della veterinaria. Forse si era già affezionata al cane.

Cosa dirà Luna quando saprà? Lo perdonerà? Tornerà da lui?
Non vuole aspettare, vorrebbe averla lì a disposizione, pronta ad ascoltare ogni sua parola, a vedere quell’umido che gli ha offuscato gli occhi.

«Posso lasciarti il mio numero?» chiede Lilli. «Mi piacerebbe rivederlo.»

Tobia pensa a Luna, al modo di farle sapere. Poi decide, poi capisce cosa deve fare.

«Dite che avrà paura a viaggiare in treno? Non mi conosce nemmeno.»
Lo dice senza pensare di rispondere a Lilli, come se fosse ovvio che si rivedranno. In fondo lei lo ha trovato, è stata lei a portarlo da lui, a farli incontrare.

«In treno? Dove devi andare?» chiede ancora Lilli. «Posso portarti io. Oggi non lavoro.»
Sarebbe una cosa stupenda, Tobia lo comprende subito. In auto farebbe prima, in auto arriverebbe prima. La lascerebbe di stucco, senza parole, senza fiato.
«Davvero mi accompagnerebbe? Ma è lontano… Un’ora di autostrada.»

«Come ti chiami?»
«Tobia.»

Lilli sorride, mentre la veterinaria li osserva.
«Bene, Tobia. Guidare non mi dispiace. E, sinceramente, non contavo di trovare un padrone così presto. Ero pronta a mettere annunci su internet… anche a percorrere mezzo paese in auto pur di trovargli una famiglia.»

«Non so come ringraziarla…»

È la veterinaria a fermarli, prima che possano avviarsi verso il parcheggio. Solleva l’indice, come se fosse ancora a scuola, e fa la sua domanda.

«Come lo chiamerai?»

Tobia non ha esitazioni. Sceglie quel nome perché lo associa a Luna, alle sue passioni letterarie, alle poesie che legge sempre durante le lezioni. Non sa come gli sia venuto in mente, ma è perfetto, perfetto per lui, per loro. Per Luna.

«Myricae.»

Questa volta Tobia stringe il guinzaglio con forza, come se fossero le redini che lo porteranno fino a Luna. E sa che, per quanto abbia cercato di convincersi di aver accettato per lei, per essere all’altezza di lei, il vero motivo è quello di essersi lasciato ammaliare da quegli occhi e dal mondo che hanno visto.
Un mondo che Tobia non gli farà mai più ritrovare.

La grande gioia di avere un cane è quella di poter fare l’idiota davanti a lui:
non soltanto non ti rimprovererà, ma anche lui farà lo stesso.
(Samuel Butler)


Non può credere di aver incontrato Tobia mentre era con Anna.
È stata una sfortuna, questo lo ha capito subito. Ora deve ascoltare le lamentele della sua amica, le sue critiche al modo di vestire di Tobia, le sue domande riguardo alla gente che frequentava nel ponente.

«Non dirmi che sono tutti così grezzi…» insiste Anna, grattando via un poco di rossetto con i denti.

«No, avevo molti amici. Brave persone» cerca di giustificarsi Marta, mentre prendono la strada che porta all’università. Vanno lì spesso, ogni volta che Anna vuole vedere il ragazzo che le piace.
È uno grande.
«Lui era solo il mio vicino» spiega Marta. «Andavo alle elementari quando ha preso il primo motorino… È vecchio per essere mio amico.»
Lo dice con decisione, sperando che Anna la smetta di farle domande, di parlare di lui.

Salgono i primi gradini dell’ateneo, sperando, quasi pregando, che Giacomo stia per uscire. La prima a notarlo è Anna che, dimentica di Tobia, prende a emettere gridolini.

Marta vede solo il pacchetto di sigarette uscire dalla sacca di Giacomo, le mani che ne aspettano una, il colpetto che serve a invitarla a uscire.
«Come va?» chiede Giacomo con la sigaretta in bocca. È ancora spenta, ma a Marta viene una gran voglia di fumare.
Lui sembra intuirlo, e forse è per quello che gliene offre una. Non può fare altro che accettare, sperando che i suoi genitori non se ne accorgano.
Finora le è sempre andata bene, ma sa che prima o poi la scopriranno.

«Hai un profumo nuovo?» chiede Giacomo chinandosi sui suoi capelli, quasi sopra al collo.

No, vorrebbe rispondere lei. È lo stesso che aveva quando lui era ancora con lei, quando lui scappava vedendola indossarlo. I cani non amano i profumi, questo lo aveva capito grazie a lui.

«Figurati» risponde Anna al posto suo, con una vena di sarcasmo nella voce. «Usa sempre il solito…»

Marta riconosce la gelosia nei suoi gesti e si allontana.
Sa di non poter parlare, di non potersi quasi muovere quando è con Anna. Non vuole essere giudicata, vorrebbe solo diventare pari a lei… Comportarsi come lei, parlare come lei, essere guardata come lei.

Ma non può.
Non può essere se stessa, non può essere vera.
Non le importa: sa che è un passo essenziale per somigliare ad Anna.

Eppure… eppure un tempo c’era qualcuno con cui poteva essere se stessa. Qualcuno che non c’è più.
Il suo cane.

Vivere un cane fin da cucciolo è un’esperienza, Luna lo sa bene.
Ma salvarlo, proteggerlo e giurargli amore eterno è meglio.
Anche se fosse il suo ultimo giorno…

E qualcosa rimane,
fra le pagine chiare e le pagine scure,
e cancello il tuo nome dalla mia facciata
e confondo i miei alibi e le tue ragioni,
i miei alibi e le tue ragioni.
(De Gregori)

nn

Note dell'autrice:
Mi ritrovo qui, a scrivere note, dopo mesi dall'ultima pubblicazione... Non so se qualcuno torni a leggere questa storia, di tanto in tanto, ma è giusto che ringrazi le persone che l'hanno fatto, quelle che l'hanno seguita, recensita, apprezzata... le persone per cui ho deciso che Myr dovrà presto tornare. Perché la storia non è e non può essere finita, perché è molto importante per me, legata a un evento e a qualcuno a cui tengo moltissimo. Perché è la mia piccola, e non voglio abbandonarla.


   
 
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