Titolo: Animal I
Have Become
Serie: D.Gray-man
Personaggi: Lavi
Genere: Generale, Malinconico
Rating: Giallo
Avvisi: One-Shot
Note: Fic scritta un po’ di tempo
fa, senza senso e senza pretese. Perché mi sono stancata di leggere fic
sulle dannate seghe mentali di Lavi. Bookman non ha un cuore e bla bla bla.
Questo
è quello che penso io.
Questo
è quello che pensano loro.
Dedicata a
Deak.
Animal I Have Become
(The Dark Inside Of
Me)
Normalmente,
si sarebbe sentito male, nel profondo. Si sarebbe poggiato in una posizione
alquanto drammatica a qualche albero e avrebbe spergiurato che qualcuno gli avesse
appena ficcato una mano dentro lo stomaco e tentato di strappargli le budella
con la sola forza delle dita.
Artigliate
con forza alle sue interiora fatte di sangue e carne.
Ma non era
quello il caso, non era quella l’occasione.
Forse
perché non c’erano alberi a cui appoggiarsi. C’erano solo
lapidi, grigie e lucide, conficcate nel verde opaco e quasi finto della terra.
Forse per via della sensazione strana che sentiva alla testa, alle membra, in
quel momento così lucide e perfettamente in funzione.
Forse
perché Lavi era davvero calmo, dopotutto.
C’era
un po’ di vento, a sfiorargli i capelli rossi e disordinati. Un vento non
troppo freddo e non troppo caldo, pacato e silenzioso.
«E’
un sogno?»
Lo chiese
senza troppa enfasi, forse un po’ fiacco. Il bambino al suo fianco scosse
la testa, senza dire nulla.
Lavi
annuì, grattandosi distrattamente la guancia con un dito.
«…allora
sono di nuovo nel mondo di Road?» azzardò dopo un po’, in
cerca di una risposta.
La sua versione bambino ripetè il gesto di prima, limitandosi a fissare
davanti a se.
E rimasero
in silenzio, entrambi.
C’era
il vento. C’erano le lapidi –tante e tutte in fila, una schiera di
uomini che sarebbero rimasti soldati fino alla fine- e l’erba opaca.
C’erano tre pezzi di marmo avanti agli altri, di fronte a loro, e tre
nomi. Tre date e nessuna dedica.
«…
non è triste?» chiese lentamente il piccolo Lavi, indicando con un
ditino le tre tombe.
«Cosa?
Che siano morti?»
«Che
non ci sia il tuo nome.» lo corresse l’altro.
«…oh.»
l’Esorcista fece una pausa, colto alla sprovvista. «Sì, immagino
di sì.»
«Mhh…»
Tornò
il silenzio, e il più grande si concesse un attimo per scrutare ancora
una volta i nomi. Non fu stupito di trovarli, esattamente lì, davanti
agli altri, forse in ordine di importanza.
Allen
Walker.
Lenalee
Lee.
Yuu Kanda.
«Ma
tanto, questo…»
«Chi
è quello?» lo interruppe il piccolo lui, indicando dietro Lavi, lontano dalle lapidi.
E
l’Esorcista si voltò, distrattamente. «Oh.» Vide non
troppo lontano un altro se stesso adolescente, forse un po’ più
esile e più basso. Era seduto su una pietra, e li fissava, non avrebbe
saputo dire con che espressione. «Beh, quello… quello siamo
noi.» rispose al piccolo, in un sospiro pacato.
Quello
arricciò le labbra e si strinse le braccia al petto, tornando a guardare
le lapidi. «Non mi piace.» decretò con le guance gonfie e
l’espressione corrucciata.
Come il
bambino che era.
Lavi lo
imitò ed abbozzò un sorriso, stringendosi nelle spalle.
«Sì, concordo.» piegò la testa di lato e
lanciò un’ultima occhiata a Deak. «A nessuno piace la
verità.»
«Sai, non so se offendermi o
sentirmi onorato, a dirla tutta.»
Si
voltò verso il bambino, che non era più tale.
«Ehy»
lo salutò Deak, dondolandosi sul sasso.
Lavi si
girò istintivamente vero il punto in cui un attimo prima si trovava il
ragazzo, ritrovandosi a fissare le tre lapidi e il se stesso più
piccolo. Corrucciò lo sguardo, tornando a guardare Deak.
«Perché?»
chiese semplicemente, in un unico movimento di labbra.
L’altro
fece una smorfia e sbuffò. «Voi due siete
sempre a far comunella, io sono il cattivo, quello che rompe le palle. Non ci
posso fare nulla se sono l’unico qui che tiene al lavoro, non posso mica-»
«Mi
riferivo a tutto questo.» lo interruppe il quarantanovesimo pseudonimo.
«Perché?»
Il
quarantottesimo rimase con la bocca un po’ aperta, bloccata dalla mezza
parola che non era riuscito a pronunciare un attimo prima. Lo guardò un
po’ sorpreso e non si mosse, forse tentando di elaborare una risposta.
Nel complesso, aveva un’espressione non tanto intelligente.
«Bbbeh,»
riprese dopo qualche secondo, cambiando posizione sulla pietra su cui si
trovava. «E’ la realtà, no?»
«No.»
rispose senza pensarci, l’altro, con aria di rassegnata
ovvietà. «Se questa fosse la
realtà tu non ci saresti. Non ci sarebbe.. lui» ed indicò dietro di
se, verso la figura del piccolo loro
che ancora fissava davanti impettito la distesa di nomi e date «e,
soprattutto, non ci sarebbero quelle.»
fece una pausa, involontariamente. «Anche se
fossero davvero morti, i finders, come gli esorcisti, vengono cremati non
appena ne arrivano i corpi all’Ordine. Niente tombe da poter compiangere
per l’esercito di Dio.»
Forse, si
alzò un po’ il vento. Ma non c’erano foglie da poter veder
volare nel cielo, e l’erba era troppo fitta e secca anche solo per
potersi muovere.
Deak fece
una smorfia, roteando gli occhi al cielo.
«“Realtà”
non vuol dire necessariamente “reale”.» replicò.
«Perché devi essere sempre così dannatamente fissato sui dettagli?»
Lavi non
rispose. Mosse solo un passo in avanti, verso di lui, obbligandolo a fargli un
po’ di spazio sulla pietra. Guardò nuovamente le tre lapidi in
testa alle altre, lasciando che un sospiro silenzioso precedesse le proprie
parole.
«…i
dettagli sono l’unica cosa che mi è rimasta, ormai.»
«Come
sei melodrammatico, Junior…»
lo rimbeccò Deak, sbuffando.
E tornò
il silenzio.
Quando si
ha la stessa mente e la stessa memoria, raramente si trova qualcosa di
originale da dire.
Ma in quel
momento Lavi non si sentiva tanto Deak. Non si sentiva neanche il bambino di
sei anni che ammirava le stelle del cielo –quelle gialle e bianche,
brillanti e lontano da lui- con un’espressione stupidamente affascinata e
il naso alzato verso l’alto mentre la bocca gli formava un’ovale perfetto sul volto.
Più
tardi avrebbe imparato a tenere lo sguardo fisso sulle persone, e che le stelle
non erano come quelle del cielo. Le stelle erano nere, grandi e putride sui
volti marci e lucidi degli Akuma, e talvolta erano fin troppo vicine.
Se le era
sentite scorrere nelle vene, una volta.
Ma in quel
momento Lavi si sentiva, semplicemente, Lavi.
«…non
è un sogno, huh?»
«Mh,
no.»
«E
neanche un’illusione?» tentò di nuovo, alzando appena il
viso verso l’alto, pensieroso.
«Neanche.»
l’altro rispose dopo un attimo di silenzio, concedendosi di arricciare le
labbra e ondeggiare i capelli in segno di diniego.
«Tipregodimmidino, ma..
sei la mia coscienza?»
Deak rise,
forte, scuotendo ancora la testa. «Se avessimo una coscienza, Junior,
credo che si sarebbe già impiccata da tempo, credimi…»
«Come sei
melodrammatico.»
gli fece il verso l’altro, con una smorfia. Poi corrucciò lo
sguardo, serio. «Fammi indovinare. Sono caduto
dalle scale ed ho sbattuto la testa?»
«Nah.»
«Okaay… ho trovato la pipa del
Generale Cross ed ho scoperto che quello non
era tabacco?» azzardò come ultima risorsa.
Deak
abbozzò una mezza risata e si alzò in piedi,
quasi incredulo. «No.» Si grattò la nuca con una mano e gli
lanciò un’occhiata obliqua, aspettando che l’altro
rivolgesse la sua attenzione nuovamente su di lui. «Allora, cosa ci
scriviamo su quella?» ed indicò con un dito la pietra su cui era
rimasto l’esorcista.
Una lucida
e alta pietra identica a quelle dei suoi compagni.
L’altro
non volle neanche muoversi. Si limitò a fissare il quarantottesimo e
replicò, con voce ferma, il proprio nome.
«Lavi.»
«Mh.
Lo immaginavo.» sospirò esasperato, Deak. «Sei proprio un
fallimento, 49th Bookman Junior.»
Lavi
distolse lo sguardo, puntandolo sul terreno arido. «Io… sono Lavi.»
«Balle.» gli parlò sopra
l’altro, seccato.
«Esisto!» lo rimbeccò a sua volta
l’esorcista, con una nota acuta nella voce. «…respiro.»
continuò poi, con più calma. Una sferzata di emozioni lo travolse
e ne andò, crebbe ancora e rimase lì, a ribollire sulla
superficie del suo io. «Mi muovo. Sono stupido. E non perché
così permetto alle persone di sottovalutarmi e di rivelarmi i propri
difetti. Sono infantile. Perché lo trovo divertente. Non voglio veder
morire i miei compagni. Perché ne soffrirei. Io sono questo.» si puntò una mano al petto, stringendo la
divisa nera con forza, mentre con l’altra si aggrappava alla lapide,
saldamente. «Io, sono questo.» ripetè, con più
convinzione. «Sono Lavi.»
Deak non
rispose subito. Increspò la bocca in una smorfia e assottigliò lo
sguardo, forse risentito. «E
noi?» chiese puntando un dito dietro di se, senza voltarsi. «E
noi che fine facciamo, Junior? Dove ci seppellirai, Lavi?»
«Io
non-»
«Che c’è?,
Lavi?»
Deak si
sovrappose ancora una volta a Lavi.
Il primo
sospirò, lentamente, ficcandosi le mani nelle tasche dei pantaloni. Il
secondo lasciò andare la presa sul proprio petto, distrattamente, quando
improvvisamente la strinse di nuovo.
«No,
non puoi.» lo precedette l’altro quando lui alzò il viso per
parlare, quasi speranzoso. «Non puoi tenerci lì,
Lavi.»
«Tu…
voi e il vecchio panda non
l’avete mai capito.» Lo sguardo di Lavi si
fece tranquillo, serio ma rilassato, intenso. «Anche noi facciamo parte
della storia.»
L’erba
si fece un po’ più verde.
Un
po’ più alta, meno secca e ritta. Il cielo si fece più
azzurro. Meno pallido, meno distante.
«…perché
questa guerra è diversa?» chiese semplicemente Deak, con un
respiro lento.
Lavi
alzò il viso verso il cielo, senza sorridere. Cominciò a soffiare
il vento. Ed era un vento vero, presente, che spinse piano la schiena
dell’esorcista e la circondò, superandola come un flusso
d’acqua trasparente. Il 49th Bookman Junior cominciò a perdersi, a
staccarsi in pezzi di foglie che volarono via nell’aria.
Il piccolo
loro se ne era già andato,
ormai.
«Perché
Dio è crudele.» rispose allora, sbattendo brevemente le palpebre e
dischiudendo la bocca. «…Lo sono Entrambi.»
Deak
abbassò lo sguardo. Un attimo ancora, uno sbuffò di coscienza e
rimase solo, accompagnato solo dal suono di un fruscio distante.
«…capisco.»
disse, senza enfasi. Tornò a guardare la lapide, ancora senza nome.
«Ma anche tu non hai mai voluto capire.» alzò il viso verso
l’altro, sospirando.
In fondo,
non era cambiato nulla.
«…in questo modo ci farai
ammazzare tutti, Lavi.»
E anche
lui sparì.
Dissolvendosi
pezzo a pezzo.
END