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Autore: artemideluce    18/04/2016    1 recensioni
Posai i miei occhi per l'ultima volta su quel quadro che mi ritraeva, così altera e regale in quella veste dorata, come una dea dell'Olimpo scesa a esibire ai mortali la propria bellezza e magnificenza. Quel quadro che lui aveva dipinto per me, che proseguiva sempre dopo aver fatto l'amore con me, seduto su uno sgabello traballante in quello studio buio e polveroso che era il nostro covo. Tutto di quel quadro mi ricordava i momenti di estasi trascorsi con lui, il mio Gustav, il mio Gustav Klimt.
Genere: Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, FemSlash
Note: Lemon | Avvertimenti: Threesome | Contesto: Novecento/Dittature
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Era un giorno come tutti gli altri, uno di quei giorni primaverili che risplendono di luce e illuminano le strade e le stanze.

Ero distesa nel mio letto, non potevo muovermi, la mia testa era pesante, i miei pensieri erano deformi e irreali, illogici. Tutto di quella stanza mi era sconosciuto, le persone che sedevano al mio fianco avevano delle forme animalesche, i suoni a tratti paradisiaci come il canto di un biondo angelo, a tratti provenienti direttamente dagli inferi. Volevo alzarmi, danzare, leggere il libro che non avevo concluso, mettermi un po' di rossetto sulle labbra, fumare un'altra sigaretta. Invece il mio corpo era immobile, irrigidito; non avevo il controllo delle mie braccia ne delle gambe. Sentivo degli spasmi ogni tanto, sentivo le mie dita muoversi e le ginocchia contrarsi come un felino nel sonno. Un demone si era impossessato di me, muoveva i miei arti come fossi un burattino.

Nei pochi momenti di lucidità riconoscevo le mie due nipotine che mi leggevano una favola accanto al mio letto. Come le amavo! Le amavo come fossero figlie mie. Una delle due, Maria, la più piccola, mi ricordava me alla sua età, sempre imbronciata e con la testa tra le nuvole.

Chissà cosa vedeva al mio posto la gente che mi osservava, vedeva me, la solita Adele, o vedeva una donna distrutta da un male incurabile nel fisico e nell'anima? Maledetta questa vita, che non mi ha concesso di avverare i miei desideri più reconditi, che mi ha rinchiuso nel corpo di una fragile donna di alta borghesia, imprigionata nel suo palazzo di cristallo.

La luce che penetrava dalla finestra illuminava la mia mano sinistra, aggrappata alla fine coperta ricamata che mi copriva le gambe rigide, quelle che una volta erano state desiderate da così tanti uomini e invidiate da altrettante donne.

Quella luce dorata che immergeva la mia Vienna in quel caldo colore che mi faceva ricordare le felici giornate in compagnia di colui che mi aveva rubato il cuore e l'aveva steso con un pennello in quei quadri che tanto amava e che ora mi osservavano dall'alto della loro posizione, sopra il camino della sala da thè. Quell'uomo, il mio amore, il mio amato, il mio amante. Lui il mio Dio e io la sua Musa. Lui, Amore sceso in terra per elevare me a sua Psiche per sempre.

Mio marito accorse, stavo delirando ancora. Probabilmente dalla mia bocca erano usciti i miei pensieri deliranti, quei pensieri che avevo tenuto nascosti negli angoli più profondi del mio cuore per i sette anni dopo la morte del mio amato.

Si avvicinò con il suo fare da galantuomo qual era, si inginocchiò al mio fianco, mi diede un lieve bacio sul dorso della mano.

"Mia cara, mia dolce, mia angelica moglie. Mi stavate chiamando? Sono qui, ora, mia amata Adele." Vedevo i suoi occhi tristi, colmo di rabbia per la fatalità che mi era capitata, proprio a

me in mezzo alle milioni di cittadini della nostra città. Forse avevo fatto arrabbiare gli dei, avendo rubato uno di loro dal loro monte Olimpo per tenerlo un po' al mio fianco. Con uno sforzo immane allungai l'altra mano al comodino che stava accanto al letto, presi un piccolo taccuino rilegato in pelle marrone e finemente inciso. Lo presi e in quel momento sembrò così infinitamente pesante, come la mia anima peccatrice. Lo misi sopra la mano di mio marito e dissi che lo avrebbe dovuto dare a Maria quando fosse stata abbastanza grande per capire. Non so se dissi proprio così,non sentivo la mia voce: udivo solo un dolce canto, paradisiaco, come un melodioso richiamo verso l'aldilà. Ma seppi che lui capì ciò che avevo detto, e nel suo volto lessi la rassegnazione nel comprendere che la mia ora era giunta, troppo presto forse, prima di vedere che il mondo cambiasse come lo sognavo io, prima di poter dare alla luce una progenie per il mio fedele e amato marito. Gli sorrisi flebilmente, lui rispose con un altro bacio e una calda lacrima mi bagnò la mano.

Il momento di lasciare questo mondo era arrivato, sentivo quella soave melodia che mi chiamava a salire verso un qualcosa di altro, di ignoto, di limpido e lontano dai dolori del genere umano. Posai i miei occhi per l'ultima volta su quel quadro che mi ritraeva, così altera e regale in quella veste dorata, come una dea dell'Olimpo scesa a esibire ai mortali la propria bellezza e magnificenza. Quel quadro che lui aveva dipinto per me, che proseguiva sempre dopo aver fatto l'amore con me, seduto su uno sgabello traballante in quello studio buio e polveroso che era il nostro covo. Tutto di quel quadro mi ricordava i momenti di estasi trascorsi con lui, il mio Gustav, il mio Gustav Klimt.
 



Studio arte e storia, è il mio primo scritto storicamente fedele e, nonostante sia appassionata e informata potrei aver commesso degli errori e, se li notate, fatemeli notare e correggerò subito il tutto!
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