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Autore: SilviAngel    18/04/2016    4 recensioni
MALEC
Aveva giocato, aveva flirtato spudoratamente – anche se a volte il dubbio che Alec, quell’Adone di shadowhunter, potesse non essersene neppure vagamente accorto faceva capolino tra i suoi pensieri – arrivando a donare al giovane la chiave del suo appartamento con la speranza che l’avrebbe usata il prima possibile.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Alec Lightwood, Magnus Bane
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Di gatti e un mucchio di piccole e grandi cose...'
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One Shot sequel di “Di un gatto, quattro chiacchiere e mille pensieri”
Buona lettura

 
Di un altro gatto, scelte affrettate e fughe mattutine.

Nonostante l’eternità dalla sua parte, Magnus aveva sempre alternato momenti in cui era solito fare dell’attesa la sua filosofia di vita a momenti in cui doveva avere tutto, subito e soprattutto senza la benché minima valutazione delle conseguenze.
Era saltato a piè pari in una di queste seconde fasi da quando quella ragazzina pel di carota e la sua allegra brigata ricca di variegati elementi avevano incrociato la sua strada.
Chissà per quale motivo l’amata e riflessiva attesa, sua amica fedele almeno nell’ultimo secolo, era divenuta d’un tratto monotona e tediosa?
Intanto, lo stregone aveva riscoperto la frenesia che da parecchio si era sopita.
 
Aveva giocato, aveva flirtato spudoratamente – anche se a volte il dubbio che Alec, quell’Adone di shadowhunter, potesse non essersene neppure vagamente accorto faceva capolino tra i suoi pensieri – arrivando a donare al giovane la chiave del suo appartamento con la speranza che l’avrebbe usata il prima possibile.
E, doveva ammetterlo, le sue aspettative erano state ripagate, anche se non nel modo che aveva immaginato.
Un paio di sere dopo la colazione improvvisata, Magnus aveva ricevuto un’altra sorpresa.
Alec era piombato nel suo loft non per un romantico tete à tete o per un invito a cena con dessert, ma per il semplice fatto che il suo compare era stato ferito ed era alquanto malridotto.
Il giovane Lightwood non aveva domandato nessun favore e neppure una guarigione miracolosa, ma aveva richiesto solo un attimo di tempo per riprendere fiato e consentire alla iratze che aveva appena tracciato sul braccio di Jace di adempiere ai suoi doveri.
Mentre ciò avveniva, Alec prese a raccontare che si erano imbattuti, ad un paio di isolati di distanza, in un gruppo di demoni minori ma, che dopo averne uccisi alcuni erano stati costretti alla fuga dal sopraggiungere di un altro gruppo di demoni.
Magnus aveva accolto con piacere quell’improvvisata, non solo perchè gli aveva permesso di rivedere il moro, ma anche per ciò che sottendeva: il nephilim aveva visto casa sua come una circostanza positiva, utile e di cui potersi fidare e, per questo, non si lagnò neppure degli scontrosi borbottii che Jace elargì durante la sua intera permanenza.
 
Dopo quella visita inaspettata, tutto era però tornato noioso e malinconico per l’immortale.
Niente Alec, niente sorrisi e rossori imbarazzati, niente addominali da poter osservare casualmente in giro per casa.
Un bel giorno, mentre svogliatamente carezzava il Presidente Miao che sonnecchiare su un sontuoso cuscino su cui era ricamato il suo nome, l’eterno addivenne a una quanto mai devastante verità: la sua vita non era mai stata così piatta e inutile.
Doveva assolutamente porre rimedio a quella patetica condizione.
 
***
 
Nel silenzio che riempiva solitamente la propria camera – fatte salve le eccezioni che vedevano sua sorella ciarlare di mille cose di solito per lui poco interessanti – Alec se ne stava steso sul letto, nella luce calda e leggera dell’imbrunire che scemava di attimo in attimo, con un braccio piegato dietro la testa e concentrato nel rigirarsi tra le dita quella che, a prima vista, poteva sembrare null’altro che una ordinaria chiave dorata.
Dal momento stesso in cui l’aveva ricevuta in dono, aveva riversato su di essa mille dubbi e mille pensieri.
Non avrebbe dovuto accettarla.
Appurato che ciò non era accaduto, avrebbe dovuto restituirla.
Appurato che neppure ciò era accaduto, avrebbe dovuto nasconderla in un posto in cui non l’avrebbe mai e poi mai cercato così da non essere mai e poi mai tentato di utilizzarla.
Invece, se ne stava lì, a giocarci come se fosse la moneta di un prestigiatore, lasciandola scivolare tra le nocche delle dita, ma a ben vedere questo non era neppure l’aspetto peggiore dell’intera faccenda.
L’elemento che non si poteva di certo ignorare consisteva nel fatto che Alec avesse già utilizzato quella chiave e non per una visita di cortesia, ma in un momento di estremo bisogno, quando l’unica priorità era trovare un posto sicuro.
Alec scosse il capo, sbuffando una piccola risata.
Posto sicuro.
La casa del Sommo stregone di Brooklyn un posto sicuro?
Ma cosa gli aveva suggerito la sua testa?
Quella casa poteva essere mille cose – tra le quali anche un pozzo oscuro di tentazioni – ma mai, tentò di convincersi, avrebbe dovuto essere definita un posto sicuro.
L’aver invece constatato che lo shadowhunter ferito e affaticato, in missione e sotto pressione che era in lui l’avesse vista come una salvezza, la diceva davvero lunga.
Fortunatamente il suo parabatai non aveva commentato la sua decisione, se non con un sorriso comprensivo e una pacca sulle spalle nell’attimo in cui, rientrati all’Istituto, si erano separati.
 
Cinque giorni erano passati da quella sera e nulla in grado di distrarlo dai suoi dubbi era accaduto, rifletté Alec cambiando posizione e voltandosi su un fianco per osservare meglio la luce rossiccia che entrava dall’alta finestra della sua camera.
I suoi pensieri iniziarono a muoversi pigri attraverso la mente, mentre lentamente si assopiva e si sarebbe addormentato di lì a qualche minuto se un trambusto di furiosi miagolii e di cocci non avesse ridestato i suoi sensi.
Lasciata la chiave che ancora stringeva tra le dita sul comodino, Alec corse fuori dalla propria camera giusto in tempo per vedere Church scomparire oltre la svolta del corridoio. Osservando in giro, lo shadowhunter vide rovesciato sul pavimento un treppiede ornamentale e il vaso oramai rotto che vi era poggiato sopra e, curioso, corse all’inseguimento del gatto.
Dopo una breve ricerca, trovò l’animale intento a soffiare con foga, la coda ingrossata e il corpo teso e basso, verso l’angolo formato da una nuova curva del corridoio.
“Church, si può sapere che ti prende?”
Il gatto non si voltò ma anzi si esibì in uno spaventoso e roco miagolio.
Alec non voleva di certo perdere tempo e per questo motivo, mosse alcuni passi in direzione dello spazio che sembrava aver catturato l’attenzione del grosso micio dell’Istituto e fu lì che scoprì la ragione di tutta quella baraonda felina.
Un piccolo ammasso di pelo nero come la notte se ne stava raggomitolato a terra tremando terribilmente.
“Stupido di un gatto” sbottò Alec e, superato con un lungo passo Church, si frappose tra i due, scacciando con un gesto e un comando chiaro nella voce il più grosso.
Piegandosi poi lento sui talloni, il cacciatore allungò le mani in avanti, non sapendo quale reazione aspettarsi dal cucciolo. Vedendo che non si muoveva e neppure aveva provato a sollevare il musetto, il ragazzo si fece coraggio e, spingendosi ancora più avanti, lo raccolse da terra, portandoselo al petto.
“E tu da dove salti fuori?” domandò sollevando poi il micio fin davanti al volto vedendo due occhioni gialli osservarlo curioso.
Ignorando Church, anima dell’Istituto, che, qualche metro più in là, ancora sperava di poter ingaggiar battaglia con l’intruso, Alec fece il tragitto a ritroso. Giunto in prossimità della propria camera, venne però colto da un dubbio e, all’ultimo, deviò per raggiungere il piano inferiore.
Entrato in cucina, rimase per un attimo basito, mentre la sorella, sollevando il viso da una pentola che sobbolliva sul fuoco lo accolse con un sorriso.
“Cosa ti porta qui a quest’ora? Non è ancora pronto”
“C-cucini tu questa sera?” chiese il moro con nella voce il profondo e viscerale terrore che la cucina di Isabelle sapeva incutergli ogni volta.
“Sì, oggi tocca a me. Cioè toccherebbe a Hodge, ma sta disquisendo ancora con mamma di quello strano attacco che avete subito tu e Jace e così mi sono offerta”
“Ma che cosa carina” si sforzò di ribattere Alec, avvicinandosi ancora di un passo, per sbirciare dentro il tegame e vedere quale atroce sofferenza avrebbe dovuto patire di lì a un paio di ore.
“E questo cosino?” la voce squillante della cacciatrice interruppe la sua azione e, vedendo che gli occhi scuri della sorella erano posati al centro del suo petto, dove se ne stava ancora rannicchiato il gattino, non poté far altro che rispondere.
“L’ho salvato poco fa dalle grinfie di Church”
“Oh povero” squittì Isabelle, avvicinando la mano e carezzando lieve la testolina del micio, spingendolo a sollevare il capo e godersi pienamente quei tocchi “Fossi in te, lo nasconderei, se mamma o papà dovessero vederlo sai cosa direbbero come prima cosa? Per l’Angelo! Come ha fatto a entrare? Siamo dotto attacco” motteggiò l’aria severa della madre.
“Credo tu abbia ragione, lo analizzerebbero per capire cosa potrebbe essere. Meglio che lo riporti in camera”
“Perché prima non gli diamo qualcosa da mangiare? La zuppa dovrebbe essere quasi pronta” propose la ragazza, rimestando ancora una volta la massa collosa dal colore indefinito che stava quasi prendendo vita nella pentola.
“No!” disse con impeto Alec, per poi mitigare il tono “È piccolo, penso che sia meglio un po’ di latte”
 
I due shadowhunters erano completamente catturati da quel piccolo coso peloso che, esattamente al centro del ripiano di marmo stava lappando con gusto il latte da una ciotolina, pur dopo un iniziale attimo di titubanza.
“Cosa pensi di farne?” chiese Isabelle con la voce leggermente distorta dato che la guancia era premuta contro il pugno chiuso.
“Non ne ho idea. Ciò che so è che non può di certo andarsene a zonzo, Church lo distruggerebbe in un attimo” iniziò a pensare a voce alta Alec, mentre la ragazza, avvicinatasi al micio che, seduto, si stava ripulendo il muso dai residui della cena lo prese dolcemente tra le mani portandolo davanti al proprio viso per osservarlo meglio.
Il pelo del gatto era nero come la notte e lucido, estremamente curato; gli occhi erano furbi e di un bel giallo e, in un attimo richiamarono pur nella loro diversità, alla mente di Isabel altri occhi, ugualmente accattivanti e ipnotici e sgranando i propri e socchiudendo la bocca addivenne alla magica e glitterata verità. In fondo non era da tutti i gatti riuscire a infiltrarsi all’Istituto.
Mentre Alec, ancora perso nel proprio mondo, rifletteva sulle possibili azioni da compiere, il cucciolo legò il proprio sguardo a quello della giovane per poi – cosa mai vista su un gatto – mandare verso l’alto i lati del musetto in quella che era una chiara imitazione di un sorriso umano.
Isabel scosse impercettibilmente il capo a destra e a sinistra e dopo aver fatto l’occhiolino a Magnus – perché stava stringendo tra le mani null’altro che la versione felina del Sommo Stregone di Brooklyin – si intromise a voce sicura nei farfuglianti pensieri del fratello.
“Che ne dici, per ora, di nasconderlo in camera tua? Church non è solito entrarci, mamma e papà neppure, quindi penso sia la scelta ottimale per ora”
“Credo tu abbia ragione”
“Rassegnati, io ho sempre ragione. Allora” mutò argomento Isabelle voltando il gattino verso il fratello “Che nome vuoi dargli?”
“Non ne ho idea. Non pensi possa essere sufficiente chiamarlo e stop?”
“Cosa? Chiamarlo Gatto? Su un po’ di originalità, guarda quanto è carino. Pelliccia nera e lucida” iniziò a dire “grandi occhi” e così dicendo tirò delicatamente indietro i lati del muso in modo che gli occhi assumessero una accennata forma allungata “con quel comportamento ruffiano e ammaliante… Non ti ricorda nessuno? Pensaci, sono certa che se ti impegnerai tirerai fuori di sicuro qualcosa”
“Izzy” la richiamò con il classico tono petulante da fratello maggiore “So a chi stai pensando e non ti pare eccessivo?”
“Che c’è?” rise la ragazza mollandogli il cucciolo tra le mani per poi tornare a dedicarsi alla cena “Il fatto che tu stessi ipotizzando che io stessi pensando a chi sai tu, già spiega molte cose, non ti pare? E ora sciò. Fuori dal mio regno se volete mangiare qualcosa”
Alec strinse a sé il micio e si dileguò sicuro che per quel giorno avrebbe saltato la cena.
 
Giunto nuovamente in camera propria, lo shadowhunter abbassò la zip della felpa ed estrasse il cucciolo che aveva dovuto lì infilare ad un certo punto del tragitto per evitare che Jace, Clary e altri abitanti dell’Istituto lo vedessero.
Posandolo sul letto, si inginocchiò sul pavimento, posando il mento sugli avanbracci incrociati sul materasso “Devo darti un nome e quella pazza di Isabelle pensa che tu possa assomigliare a lui. Ho capito che si stava riferendo a lui dal tono sognante che assume la sua voce ogni volta che ne parla e io sono presente”
Fermando il proprio monologo, Alec allungò un dito passandolo leggero tra le orecchie e accogliendo poi l’intera testolina che si strusciò con forza nel palmo della sua mano “Beh, mia sorella non ha tutti i torti. Sei bello, zuccheroso e ruffiano quanto basta. E allora sia, ti chiamerò Magnus”
Prima che altro uscisse dalle labbra di Alec, un deciso bussare lo distrasse e, prima di acconsentire l’ingresso, si premurò di nascondere il piccolo Magnus tra i cuscini del letto, pregando l’Angelo che rimanesse fermo e zitto per il tempo necessario a mandare via il disturbatore.
“Ehi, amico” lo salutò Jace prima di spingerlo affinché potessero entrambi chiudersi la porta della camera alle spalle “Ho appena saputo che Isabel è di corvée in cucina. Ti unisci a me per un salto da Taki’s?”
“Ecco io…” iniziò a dire senza sapere come continuare.
“Forza, dai, non farti pregare. Una serata come ai vecchi tempi solo io, te e del cibo commestibile”
“Non potresti andare con Clary?
“Serata Migliori Amici con Simon e io non sono stato invitato”
“Non potresti andare a prendere i nostri piati preferiti per mangiarli qui da me?” offrì in alternativa.
“Perché mai dovrei fare una cosa simile?” si stupì Jace, volgendo subito dopo la sua attenzione verso un piccolo movimento colto con la coda dell’occhio.
Dai cuscini del letto era appena sbucata una minuscola palla di pelo nero.
“E quello che cosa è?”
“Un gatto?”
“Lo stai chiedendo a me Alec?”
“No. È un gatto” asserì convinto il padrone della stanza “L’ho trovato in giro per l’Istituto e lo sto nascondendo qui”
“Tu stai nascondendo qualcosa ai tuoi genitori e all’intero Istituto? Per l’Angelo cosa sei diventato, un delinquente della peggior specie?” domandò allarmato, scoppiando subito dopo in una grassa risata.
“Stupido” lo riprese il maggiore “Comunque non verrò a cena con te perché non voglio lasciare Magnus da solo” si lasciò infine scappare maledicendosi immediatamente.
“Nascondi un intruso in camera tua e per di più lo hai chiamato Magnus? Alec, davvero smettila, altrimenti potrei avere un attacco di cuore per tutte queste novità. Per questa volta hai vinto tu. Vado da Taki’s e torno qui. Prima o poi io e te dovremo necessariamente fare una certa chiacchierata e non mi accontenterò di qualche monosillabo e i tuoi soliti sguardi arrabbiati”
Senza dargli tempo di ribattere, Jace se ne andò.
 
Rimasto nuovamente solo – ad esclusione della compagnia di Magnus, ovviamente – Alec si accomodò sul letto e ipotizzando di avere almeno una mezz’ora davanti a sé prima del ritorno di Jace, decise di farsi una doccia.
Sbottonata la camicia scura che indossava, la lanciò alle sue spalle, incurante del fatto che il volo dell’indumento terminò esattamente sopra al micio e, aggirandosi per la stanza, recuperò quanto utile prima di sparire nel bagno attiguo alla stanza.
 
Magnus – che, a ben dire, era tale di nome e di fatto – era quindi perfettamente riuscito nel suo intento.
Il giorno precedente, coccolando un sonnacchioso Presidente Miao, aveva avuto la brillante idea di intrufolarsi nell’Istituto per vedere Alec, facendo suo il famoso detto su Maometto e la montagna.
Sapeva che per un nascosto era impossibile entrare nell’edificio se non era stato convocato e quindi aveva sprecato tempo prezioso per capire cosa avrebbe potuto architettare.
Fu un miagolio e una strusciata energica da parte di Presidente a fornirgli l’idea perfetta.
 
Per poterla attuare aveva dovuto sfogliare tomi e tomi di magia, preparare con cura tutti gli ingredienti per l’intruglio che gli avrebbe permesso di mutare in modo specifico e assolutamente credibile il proprio corpo e, soprattutto, aveva dovuto analizzare con cura maniacale i vecchi incantesimi difensivi che aveva gettato sull’Istituto, di certo non voleva correre il rischio di venir folgorato o individuato da essi.
Fortunatamente scovò ben presto un non trascurabile cavillo insito in ogni incantesimo usato sull’Istituto. Aver dovuto rivestire di protezioni un edificio anche dall’interno lo aveva costretto ad escludersi come elemento da rilevare, così come erano esclusi tutti gli shadowhunter presenti.
Appurato ciò, Magnus si era messo all’opera e, per il pomeriggio del giorno successivo, era pronto. Arrivato al limitare del perimetro esterno dell’Istituto e, prima che qualcuno potesse vederlo, l’immortale aveva ingollato quella poltiglia grigiastra che in men che non si dica aveva trasformato il suo bellissimo corpo in un altrettanto bellissimo e dolcissimo cucciolo di gatto.
 
Tornando ai problemi attuali del Magnus felino, purtroppo il destino lo aveva punito in modo alquanto subdolo.
Era nella camera del nephilim, quest’ultimo si era appena in parte denudato e lui non aveva potuto assistere a quella meraviglia poiché vittima della dannata camicia. Non volendo rimanere fermo cercò di uscire dalla trappola che rappresentava per lui l’indumento ma i suoi movimenti furono così concitati da aver come conseguenza una madornale e rocambolesca caduta sul pavimento con annesso ulteriore ingarbugliarsi di zampe e stoffa.
Il piccolo cuore dello stregone iniziò a battere in modo forsennato, non amava sentirsi in trappola e miagolii strazianti lasciavano incontrollati la sua gola, fino a che la luce all’improvviso non tornò.
“Mi dici che stai combinando?” la voce quasi divertita di Alec fu un suono ancora più celestiale di quanto non fosse normalmente e, quando lo sguardò andò alla sua ricerca, lo trovò a incombere dall’alto.
Il cacciatore, non appena avvertito quei miagolii, aveva agguantato un asciugamano da legarsi sui fianchi ed era uscito dal bagno.
“Sei un piccolo casinista. Io ora me ne torno di là e tu vedi di non combinare altri guai”
Magnus seduto sul pavimento lo guardò come se quelle parole fossero del tutto superflue e rimase a guardarlo allontanarsi di nuovo. Questa volta però le cose volgevano egregiamente a suo favore in quanto la porta del bagno era rimasta miracolosamente socchiusa e quindi avrebbe potuto entrare indisturbato.
Zampettò quindi felice e gaudente verso il suo personale Paradiso, quando tutte le sue meravigliose aspettative crollarono di nuovo.
La porta della camera si spalancò all’improvviso e prima che Magnus potesse capire dove nascondersi la voce di Jace si fece udire.
“Alec, abbiamo avuto fortuna. Non c’era praticamente nessuno da Taki’s quindi eccomi già di ritorno”
“Inizia pure se ti va. Doccia lampo e arrivo”
“Tranquillo, fratello, ti aspetto e intanto faccio conoscenza con il tuo compagno di stanza”
I piedi di Jace si stavano pericolosamente avvicinando e in un secondo furono tra Magnus e il bagno, inducendo lo stregone ad arrendersi al suo destino avverso.
Dopo tanta fatica, l’immortale si trovò di nuovo al punto di partenza al centro del letto, anzi si trovò sollevato a mezz’aria e stretto nelle mani di quel biondino slavato che se ne stava comodamente spaparanzato al centro del materasso.
“Ehi tu” cercò di catturare la sua attenzione Jace “e così sei riuscito a intrufolarti in uno degli edifici più sicuri di tutta New York, dovresti esserne orgoglioso”
Magnus cercò di escludere quella voce dalla sua mente, focalizzandosi sul rumore dell’acqua che scendeva e che stava accarezzando il corpo nudo di Alec, ma convenne, un attimo dopo, che forse sarebbe stato meglio concentrarsi sulla voce dell’altro nephilim.
“Sai” riprese a parlare Jace “credo che piaceresti a Clary. Lei è una ragazza meravigliosa, unica nel suo genere. Davvero, amico, non lo sto dicendo tanto per dire, ma non ho mai incontrato nessuna come lei e”
Magnus nella sua piccola testolina stava pregando angeli e demoni affinché gli risparmiassero quel supplizio, privandolo anche di qualche senso, se necessario. Sentire le confessioni amorose di Jace? C’era forse punizione peggiore al mondo o in tutti i mondi possibili?
Alec fortunatamente giunse ancora una volta in suo soccorso, anche se inconsapevolmente.
La sua mera presenza infatti distrasse Jace che, mettendosi a sedere, incurante del repentino spostamento a cui sottopose lo stregone, si concentrò sul cibo.
 
I due parabatai si erano accomodati sul pavimento, con la schiena poggiata alla pediera del letto e tra loro i contenitori del cibo da asporto.
“Ero certo che avrei saltato la cena” borbottò Alec con la bocca piena mentre andava alla ricerca del recipiente con il maiale in agrodolce, anche se non era certo al cento percento che fosse maiale, conoscendo il cuoco che lavorava da Taki’s.
Trovato ciò che andava cercando, si portò la scatola davanti al viso e dopo averla aperta inspirò a pieni polmoni. Magnus che era stato tranquillo per tutto il tempo, comodamente appoggiato alle caviglie incrociate del moro, quando lo vide chiudere gli occhi e sentì giungere al suo naso un profumo sopraffino, si produsse in un sottile e bisognoso gnaulio.
“Hai fame?” chiese Alec e, allungandosi, afferrò il gatto per la collottola, poggiandoselo contro il petto e, dopo aver recuperato un piccolo pezzetto di carne, glielo mise di fronte al muso “Forza, assaggia”
Magnus non se lo fece ripetere due volte e aperta la bocca, ne staccò un pezzetto, masticando poi con gusto. Ingoiato il boccone, regalò ad Alec un riconoscente miagolio di approvazione, prima di andare ad assaporarne un altro po’.
“Visto? È un buongustaio” disse il moro a Jace.
“Pensavo che solo tu potessi considerare commestibile quella roba. Per l’Angelo non sei neppure certo di che carne sia”
“Non mi importa. È buona e il mio gatto approva” chiuse il discorso Alec, prendendo un altro pezzo di carne dato che quello che teneva tra le dita era oramai finito.
“A proposito del tuo gatto, sei consapevole che non può restare qui?”
“Perché?” si mise istintivamente sulla difensiva Alec.
“Lo sai il motivo. Questo è un centro operativo, a volte stiamo fuori per giorni. Vuoi davvero che rimanga chiuso qui da solo mentre non ci sei?” cercò di farlo ragionare Jace.
“Church resta qui”
“Sai benissimo che Church è diverso, sembra sia nato con l’edificio, non mi stupirei se fosse l’incarnazione dello spirito stesso dell’Istituto”
“Ok, hai ragione, ma non posso di certo buttarlo per strada”
“Certo che no, ma se non sbaglio, tu conosci qualcuno che potrebbe prendersene cura” continuò Jace guardandolo con un piccolo sorriso a ornargli le labbra piene.
“Pensi che lo accoglierebbe?" domando il giovane Lightwood.
“Lo accoglierebbe perché saresti tu a chiederglielo, pensaci” sancì Jace “Lui andrebbe in un bel posto e tu avresti la scusa per andare a trovarlo”
“Andare a trovare chi?” deglutì Alec, maledicendosi per la domanda sciocca e inopportuna.
“Beh, il gatto o Magnus, quello sta a te deciderlo”
 
La conversazione mutò poi più volte argomento e, dopo un paio d’ore, sazi e rilassati i due nephilim decisero fosse giunta l’ora di andare a letto.
I cartoni vuoti del cibo vennero raccolti e stipati in un cestino e, prima di prendere congedo dall’amico, Jace lo guardò con fare complice “Questa cena clandestina non è mai avvenuta”
Rimasto solo, Alec si alzò da terra ed eliminate le ultime tracce del misfatto decise di dedicarsi alla lettura.
Lentamente di avvicinò alla piccola e ordinata libreria andando alla ricerca del testo che gli avrebbe fatto compagnia per le prossime ore. Non avendo nessuna voglia di iniziare un romanzo optò per una raccolta di racconti basati sulle leggende metropolitane di New York e, dopo averla poggiata sul comodino, prese tra le mani un involto di stoffa scura e sparì in bagno.
Magnus aveva seguito in silenzio ogni movimento, felice del fatto che Alec sarebbe rimasto con lui.
Non ci volle molto prima che il nephilim tornasse da lui, a piedi nudi e con addosso solo un morbido paio di pantaloni di flanella e lo stregone temette di svenire per tutto quel ben di Dio esposto alla sua vista.
Il panico si impossessò dell’immortale e per non essere dimenticato sul pavimento – non se lo sarebbe mai perdonato – iniziò a miagolare disperato.
“Ehi, che ti prende? Ti senti solo?” gli sorrise Alec, chinandosi verso di lui e portandoselo al petto.
Gli occhietti gialli del micio si spalancarono e il miagolio si interruppe a metà a causa della brutale realtà: Magnus se ne stava comodamente rannicchiato contro la pelle calda del suo giovane angelo e davvero non pensava che sarebbe mai successo un miracolo di tale portata.
Ma lo shadowhunter aveva in serbo per lui ben altro.
Alec camminò fino ad arrivare al letto e poi, senza allentare la presa sul gatto, si coricò e, fatto distendere il cucciolo sul proprio addome, allungò il braccio per recuperare il libro e iniziare a leggere.
 
Magnus era comodamente adagiato sui perfetti e scolpiti addominali del cacciatore – anche se, dovette ammetterlo, non erano il massimo della comodità, con tutti quei saliscendi – e perso nella beatitudine della sua condizione felina, la sua gola decise di agire per conto proprio e iniziò a produrre morbide fusa.
“Qualcuno se la sta godendo eh?” rise a un tratto Alec, allontanando per un attimo il libro da davanti al viso e affondando le dita della mano libera nel pelo folto e liscio del piccolo Magnus.
Le fusa salirono percettibilmente di volume e il giovane Lightwood mise completamente da parte il volume e, portando un braccio dietro la testa, piegò il collo di quanto utile per osservare il gatto.
“Sai porti il nome del Sommo Stregone di Brooklyn, non del primo mago da strapazzo. Anche lui ha un gatto sai? È un po’ più grande di te. Spero che andrete d’accordo. Domani dovrò portarti a casa sua e spero che accetti di tenerti con lui, perché sai, Jace aveva ragione, non puoi stare qui” Alec prese a parlare come un fiume in piena, stupendo molto Magnus non abituato a sentirlo chiacchierare così tanto e in modo così sereno e tranquillo.
L’eterno volle dire la sua e un lungo miagolio giunse alle orecchie del cacciatore.
“Verrò a trovarti, ci puoi scommettere e non, come potrebbero insinuare mia sorella e Jace, solo per vedere lui” ci tenne a precisare Alec facendo fare una capriola al cuore del gattino.
“Lui ti piacerà. È così, così diverso da chiunque io abbia mai conosciuto. È libero. Libero di andare dove vuole, di fare ciò che vuole, di essere ciò che vuole” e, sussurrando, disse ancora “di amare chi vuole”
Il silenzio riprese possesso della camera, interrotto solo dal basso ronzio delle fusa del micio.
Alec ricominciò a parlare pochi minuti dopo, senza fermare le carezze sul dorso e sul collo del cucciolo.
“È bello” sospiro “È così bello. I suoi occhi, le sue mani sempre in movimento, anche il suo strambo modo di vestirsi e truccarsi e tutto così Magnus che non riesco quasi a pensare ad altro. Mi ha addirittura regalato la chiave di casa sua. Ti rendi conto? La chiave di casa sua” e, dopo un sospiro esasperato e quasi frustrato, riprese “I suoi sorrisi poi! Sono sempre allusivi e ammiccanti certo, ma lo illuminano completamente. Una volta Isabelle aveva acquistato un romanzo dove si parlava di due persone che si vedevano per pochi attimi e capivano che per ciascuno di loro ci sarebbe sempre stato solo l’altro. La scrittrice lo chiamava colpo di fulmine. Ho sempre pensato fosse una trovata letteraria o una cosa da mondani e invece, forse… ma che sto dicendo? Lui starà solamente giocando. L’eternità deve essere così noiosa da far sì che io sembrassi una novità, una sfida”
Magnus avrebbe voluto urlare che non era così, non era assolutamente così, avrebbe voluto dargli dello stupido, ma tutte le cose dolci che aveva detto su di lui lo avevano ammutolito completamente.
“Nonostante questo ultimo pensiero, credo che ti invidierò parecchio dato che potrai stare con lui giorno e notte. Dannazione anche la notte! Non devo pensarci altrimenti, so già in che stato mi ridurrò e non sarebbe neppure la prima volta”
 
A quelle parole le orecchie di Magnus si rizzarono.
Alec aveva davvero detto ciò che lo stregone pensava avesse detto? 
Perché l’eterno aveva intuito che pensare a lui portasse il nephilim ad avere qualche problemino da gestire, forse collocato nei pantaloni. Non ebbe però possibilità di riflettere ancora, perché venne sollevato in alto con entrambe le mani e portato davanti al viso.
“Potrò contare su di te? Vedi di fare il bravo, così potrò venire a trovare entrambi” un sicuro gnaulio sancì la promessa “Sarà meglio dormire ora” disse sbadigliando il cacciatore, strappando un profondo sbadiglio anche a Magnus.
Dopo aver spostato il gattino sul letto accanto a sé, Alec si voltò su un fianco e, spenta la luce, chiuse gli occhi. 
 
Magnus rimase sveglio tutta la notte.
Aveva ideato quell’incantesimo per passare un po’ di tempo con Alec, ma mai avrebbe pensato di trovarsi a ricevere la più bella dichiarazione che mai avesse avuto.
Il problema che rischiava di mettere tutto in ombra consisteva nella consapevolezza che quella dichiarazione fosse stata rubata, ottenuta con l’inganno. L’immortale era certo che se Alec lo avesse avuto di fronte, vista la timidezza e la abituale corazza del suo carattere, non avrebbe detto neppure un decimo di quanto confessato nella penombra della propria camera a quello che credeva essere un semplice animale domestico.
Lo stregone stava camminando su un filo sospeso nel vuoto.
Se avesse confessato tutto al nephilim vi era la possibilità che Alec si sentisse tradito, umiliato o che addirittura lo allontanasse in modo brutale e – forse – definitivo.
Al tempo stesso però tacere era ugualmente pericoloso.
Se lo shadowhunter avesse scoperto dopo, o da qualcun altro, quanto accaduto, le conseguenza avrebbero potuto essere ugualmente disastrose.
Nel mezzo di questi pensieri, Magnus sentì il respiro di Alec divenire morbido e regolare, segno che il nephilim si fosse addormentato profondamente.
Stanco di mantenere quella forma e tentato dalla pelle dolce e profumata del giovane, lo stregone riacquistò il proprio corpo, ritrovandosi disteso accanto al cacciatore.
 
Lo stregone rimase ore e ore semplicemente a guardare Alec dormire.
Osservò il profilo del suo viso, così disteso e sereno da farlo assomigliare in tutto e per tutto a un ragazzo qualunque e non a un cacciatore addestrato da tenera età a uccidere creature mostruose.
Osservò il petto muscoloso che si sollevava e si abbassava con un ritmo ipnotico e a stento riuscì a trattenersi dal poggiarvi il capo – anche solo per un attimo – giusto per conoscere l’effetto che faceva.
Osservò le numerose rune che coloravano e segnavano in vari punti il torso e le braccia, domandandosi, ogni volte, quale storia vi fosse dietro, quale fosse il motivo che lo aveva spinto a doversi munire di protezioni permanenti.
Osservò infine le sue mani, tendini forti, lunghe dita e, sorridendo, notò le unghie martoriate dai denti. Erano il segno inequivocabile della sua insicurezza o nervosismo, pur non rammentando di averlo mai visto portarsele alla bocca, forse era solo uno dei suoi mille piccoli segreti.
 
Purtroppo la notte volse rapida e sfrontata al suo declino e Magnus dovette decidere che cosa fosse meglio fare.
Alla fine, sospirando ritenne che l’alternativa migliore fosse sparire.
Alec al suo risveglio non avrebbe trovato uno stregone a vegliare il suo sonno e neppure un gattino dal pelo nero che lo avrebbe accolto con un miagolio e un po’ di fusa.
Forse, se la fortuna assisteva l’immortale, il cacciatore si sarebbe scordato in fretta di quella notte.
Cercando di non fare rumore e muovendosi in modo lento e cauto, Magnus lasciò il letto e sistemandosi i polsini della camicia e i risvolti della giacca di velluto nero, guardò ancora una volta il corpo addormentato al centro del letto, prima di socchiudere la porta ed avventurarsi per l’Istituto, sperando che a quell’ora fosse ancora deserto.
 
Non fece incontri, fino a quando non fu a pochi passi dall’ingresso principale.
Avvicinandosi, vide la maniglia della porta abbassarsi lentamente e, per questo motivo, Magnus piegò le braccia, pronto a scagliare qualche incantesimo di memoria che gli avrebbero garantito un’uscita invisibile.
Non ebbe però alcuna necessità di usare le sue capacità, dato che, chi stava entrando alla chetichella con un meraviglioso paio di decolté rosso fuoco in mano altro non era che Isabelle.
Stupiti alla vista l’uno dell’altro, entrambi trattennero a stento una risata e fu Magnus il primo a parlare appena prima di lasciarsi l’Istituto alle spalle.
“Posso sperare nella tua discrezione?”
“Dirò a mio fratello che mentre entravo, il gattino mi è passato tra i piedi ed è corso fuori” e regalandogli un occhiolino, la ragazza corse via.
Raggiunto finalmente il marciapiede, lo stregone, senza voltarsi più indietro, attivò un portale e si lasciò inghiottire da esso.
 
Alec sobbalzò sul letto, mettendosi seduto al centro del materasso.
Un rumore lo aveva costretto svegliarsi e, non appena si rese conto che la camera iniziava a riempirsi di luce, avvertì altri suoni provenire dalla camera accanto alla sua.
Sua sorella – per l’ennesima volta – aveva passato la notte fuori.
Lasciandosi cadere all’indietro, spinse le mani nei suoi capelli. Arrabbiato e invidioso della sfrontatezza di Isabelle e del suo coraggio di vivere.
Con un attimo di ritardo, si rese conto di essere solo in quel letto, quando invece si era aspettato di essere in compagnia del gattino nero.
Tornando seduto, guardò sui cuscini e in mezzo ad essi, sotto le coperte e – scendendo dal letto – in giro per tutta la camera.
Magnus non c’era.
Infilandosi una maglietta, Alec corse fuori dalla sua stanza, iniziando a cercare ovunque con la paura che il micio fosse uscito e avesse nuovamente incontrato Church. Controllò l’intero corridoio e, tornando sui propri passi, bussò alla porta di Isabelle che lo fece entrare subito dopo.
“Non c’è più”
“Buongiorno anche a te, fratellone. Di che stai parlando?”
“Di Magnus” e accortosi della gaffe, corse ai ripari “del gatto, volevo dire del gatto”
“Oh, sì scusa, avrei dovuto venire subito da te a dirtelo” iniziò a mormorare Isabelle come faceva ogni qual volta che combinava un guaio.
“Cosa hai fatto Izzy?”
“Ecco, sono stata fuori e al mio rientro, qualcosa di scuro mi è passato tra i piedi ed è schizzato via”
“Non è possibile, la porta di camera mia era chiusa, non avrebbe mai potuto uscire”
Gli occhi di Isabelle si spalancarono e, dopo un attimo soltanto di tentennamento, alzando le spalle, aggiunse “L’ho chiusa io quando ci sono passata davanti. Era aperta anche se di poco e, sapendo quanto odi che invadano la tua privacy, l’ho chiusa”
“È fuori tutto solo” si disperò Alec, sedendosi sul letto.
“È un gatto, se la caverà”
“Vado a cercarlo” esordì il ragazzo, dando segno di non aver udito la risposta della sorella, che prontamente lo bloccò appena prima che raggiungesse la porta.
“Mi spieghi cosa accidenti vuoi fare? Sei in pigiama, scalzo e l’Istituto è oramai pieno di gente sveglia”
“Ma” cercò di obiettare Alec.
“È andata così, accettalo e ora fuori, devo farmi una doccia”
 
A qualche kilometro di distanza, Magnus se ne stava spaparanzato sul suo amato divano in pelle, con indosso solo il vecchio maglione che aveva pensato mille volte di buttare via, almeno prima che Alec mostrasse di apprezzarlo.
Presidente Miao balzò sul sofà accanto a lui, salendogli subito in grembo per riscuotere la sua dose mattutina di coccole. Una mano scese lenta a carezzare il corpo del micio e a grattargli il collo, ma l’attenzione di Magnus – qualcuno avrebbe quasi avuto il coraggio di dire il cuore – era altrove, in una piccola camera di un vecchio edificio.
   
 
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