Characters: Three/Marcus Boon; Five/Das;
Pairing: ThreexFive (brotp)
Words: 1.274
Prompt di: Giada Fraccaroli ~ Dato che te li ho praticamente fatti
shippare, come posso non chiederti qualcosa? Dark Matter, Three/Five. Quella
volta in cui Five era in pericolo e Three l'ha salvata/protetta.
Il titolo fa parte della canzone Hero di Enrique Iglesias
Scritta per la
Drabble Days 16/10-17/10 2015 @We
are out for prompt
I.
Three ne aveva visto le dita. Dita piccole e graziose di una ragazzina che non
aveva mai capito cosa facesse in quel mondo di adulti, corporazioni corrotte e
taglie sulla testa; dita tese ma troppo lontane per essere afferrate, che erano
sfuggite alla sua presa per essere catturate da altre mani, ruvide, grandi e
sconosciute. L’avevano portata via con loro, lasciandosi dietro soltanto il
boato di una granata, un buco nello scafo della Raza e il tremito degli scudi
che cedevano.
Five ne aveva visto la paura. L’aveva guardata attraverso gli occhi dell’uomo;
non aveva avuto il tempo di rimanerne sorpresa, ma inconsciamente aveva sempre
saputo di poterla vedere, aveva sempre saputo che anche lei ne avrebbe fatto
parte e avrebbe contribuito a mettergliela addosso, come una macchia di grasso
che non vuol saperne di venir via dai vestiti. E, quando aveva realizzato che la
paura di Three era rivolta a lei e per lei, che lui aveva capito cosa
sarebbe successo – e che era ormai troppo tardi per impedirlo – allora aveva
avuto paura anche lei.
II.
Five si rannicchiò contro il fondo della stanza, immersa nell’odore di fogna che
le riportava alla mente stille di passato, ma mai nulla di troppo reale perché
potesse afferrarlo, ricordarlo, riviverlo. Aveva urlato contro gli
sportelli sigillati di una vecchia stazione di pompaggio, aveva scavato nella
roccia e nell’acciaio con unghie sporche di sangue, per cercare il modo di
uscire (cavi, console, pannelli elettrici) e tutto quello che aveva trovato era
stata altra paura.
«Mi verranno a prendere.» parlò alle ginocchia e alle braccia strette intorno ad
esse. Six e Two non l’avrebbero lasciata indietro, né lo avrebbe fatto One. Gli
altri avrebbero seguito.
Three si grattò via il sangue incrostato dall’orecchio sinistro; dallo scoppio
della granata, un fischio acuto gli azzannava il timpano. Avrebbe dovuto
ringraziare Four e i suoi riflessi da ninja, quando ne aveva afferrato il
braccio evitandogli di venir risucchiato nello spazio, prima che la sezione
venisse chiusa e loro ne rimanessero fuori. In salvo. Incazzati, ma in
salvo. Ma Three aveva marciato a passo rapido verso il proprio alloggio, una
manata al pulsante per l’apertura delle porte e un piede già oltre, nel momento
in cui la mano di Six lo aveva raggiunto, insieme agli sguardi degli altri. Il
proprio bicipite tra le sue dita e cazzo se era forte.
«Hai veramente intenzione di abbandonare Five?»
Lo sguardo fu quello di un lupo e i denti digrignarono.
«E perché diavolo dovrei? Non stiamo parlando di One, la cui inutilità è stata
ormai appurata in tutto lo spazio.»
«Grazie tante, eh.»
«Shss, Pretty Boy, i grandi stanno parlando.»
Two si inserì nel discorso, accelerandolo.
«Perché sei qui?»
«Easy guys, devo solo prendere Buba.»
III.
Three lo aveva lasciato indietro. Aveva visto una breccia – una possibilità – e
l'aveva colta, gettandosi in avanti tra gli spari dei bastardi mascherati e
tuffandosi nel pozzo del montacarichi.
Dietro di lui, One gli urlò sparando, lo maledì insultandolo, ma scaricò le
munizioni per coprirgli il culo.
Three sorrise mentre cadeva. Stare in coppia con quell'idiota, aveva capito, era
sempre la scelta migliore; poteva non fidarsi completamente di lui, ma sapeva
che non l'avrebbe fatto crepare male e questo era stato più che sufficiente per
tentare la sorte.
Non che ci credesse particolarmente nella sorte, ma Buba era tra le sue braccia
e il dito tremava sul grilletto dalla voglia di sparare in faccia a chiunque
avesse provato a fermarlo.
Five aveva sentito il tremore della terra, oltre la sua testa – oltre i metri
che la separavano dalla superficie – qualcuno era atterrato sul pianeta con le
pistole spianate.
Sono qui per me. Scattò in piedi, impaziente, camminando per una sala
troppo grande e troppo vuota, che gocciolava petrolio grezzo lungo le pareti in
roccia e la opprimeva con aria umida e appiccicosa. Seguì con lo sguardo una
scia nera, sino ad incontrare una pozza a poca distanza dai portoni sigillati.
Non fece in tempo a raggiungerla che quelli si aprirono, nello stesso istante in
cui una voce roca ringhiava attraverso il muro più lontano. Ma quando gli
scarponi di Three toccarono finalmente il fondo, due uomini e due pistole lo
avevano già preceduto.
IV.
Five annaspò alla ricerca di fiato quando un braccio l'afferrò alla gola e una
pistola le si puntò alla tempia. Strizzò gli occhi, gettando indietro la paura,
per riaprirli di nuovo in direzione di Three, tenuto sottotiro dall'altro uomo.
«Perché non può mai essere più facile delle volte precedenti?»
«Three?» non avrebbe voluto dirlo con stupore, ma era stato difficile
nasconderlo, insieme a quel guizzo di speranza e di gioia alla sua vista.
Sono arrivati. È arrivato.
Three ruotò seccato gli occhi al soffitto, addosso la solita faccia da schiaffi,
dentro un animo feroce che non si era ancora chetato.
«Questa cosa di voi che siete sempre stupiti di vedermi deve finire, considerato
quanto siete fortunati a poter ammirare la mia faccia. Non siete d'accordo anche
voi due?» Lo disse gettando Buba in terra, con una smorfia incazzata e
un'occhiata più lunga e attenta rivolta a Five; non era ferita, era solo
spaventata, ma a questo avrebbe potuto rimediare. Aggrappandosi al braccio
dell'uomo che la teneva bloccata, lei ne ricambiò lo sguardo: occhi enormi coi
colori di una nuvola liquida, in cui Three specchiò se stesso – e un'impazienza
che era apprensione e un'apprensione che sarebbe stata le proprie mani intorno a
lei, non le braccia di qualche figlio di una cagna con la maschera e la voce da
Darth Vader.
Poi accadde: Five distolse lo sguardo, lo abbassò alla striscia nera che odorava
di petrolio e Three ne colse il segnale.
V.
Three serrò i denti, ingoiò il dolore e cadde in ginocchio. Tra le mani ancora
la pistola fumante che aveva sparato alla scia di petrolio e alle narici l'odore
di carne bruciata, di polvere da sparo e quello più vicino di sangue. Il
proprio.
«Oh mio dio, Three!»
Abbozzò un sorriso beffardo alla pazza corsa di Five. Sempre detto che quella
ragazzina era in gamba; e lo era stata nel calciare la gamba dell'uomo e
buttarsi in avanti, lontano dalla pozza di petrolio che ora ardeva divorando
urla, carne e corpi. Non quello di lei, sporco di fango e d'infanzia, ma viva di
un coraggio che la rendeva più donna. Giusto un po', sbuffò il pensiero
di Three.
Five serrò i pugni, ingoiò le lacrime e si piegò sulle ginocchia. Le dita
avevano sfiorato il petto di Three e il sangue le aveva subito macchiate di
rosso.
«Ti hanno sparato! Stai sanguinando! Dobbiamo fare qualcosa!»
«Wow, queste sì che sono osservazioni acute, kid.»
Delle sue battute idiote, Five non se ne era mai fatta nulla. Lo guardò
imbronciata, i sensi di colpa che le facevano tremare le dita – quelle dita
piccole che Three non era riuscito ad afferrare in tempo e che ora tenevano
stretto lui, aggrappandosi al suo giubbotto.
Lui le sorrise, dietro di loro – sopra le teste di entrambi – i colpi di pistola
erano cessati e gli ordini di Two colavano giù per il muro, seguendo la stessa
scia che aveva percorso Three pochi istanti prima.
Le sue mani abbandonarono le pistole per trovare spazio alle spalle sottili di
Five.
«Ok, se racconti a qualcuno quello che sto per fare, ti sparo in testa e butterò
il tuo cadavere nello spazio.»
Nessuna
minaccia nella voce, solo braccia intorno al corpo esile di Five e la forza di
Three a trascinarla contro di sé, ad imbrattarli di sangue entrambi ed,
entrambi, rassicurarli di averla salvata: «Tranquilla, ora sono qui, kiddo.»