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Autore: starsfallinglikerain    21/04/2016    14 recensioni
Ciò che inizia come un rapporto di ospitalità e aiuto fra l'ateniese Alexander e lo spartano Magnus nell'estate del 429 a.C. rapidamente deraglia in un sentimento molto più impetuoso, nonostante entrambi riconoscano la pericolosità del cedere all'attrazione reciproca, soprattutto in un'epoca in cui le due grandi poleis sono impegnate nella Guerra del Peloponneso.
Red rain è la storia di un amore che cresce rapidamente, giorno per giorno, sfidando le insidie della guerra e l'aggressività delle circostanze infauste.
Genere: Angst, Guerra, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Alec Lightwood, Magnus Bane
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Red rain is coming down
Red rain is pouring down
Red rain is coming down all over me

Peter Gabriel, Red rain
 


 
 
Capitolo 1 - La taverna


Sparta, 429 a.C.



Alexander (o Alec, come lo chiamava sua sorella) entrò nella taverna spartana, trovando un ambiente non troppo diverso da quello della sua terra natale: vari uomini, o per meglio dire vari soldati, erano seduti ai tavoli trangugiando vino, altri si scambiavano racconti di guerra, altri ancora se la spassavano con le etère del posto.
Se non fosse per lo spiccato accento dorico della gente, potrei dire di essere ad Atene, pensò il giovane, guardandosi intorno, alla ricerca di un posto in cui sedersi, finalmente giunto a destinazione dopo giorni e giorni di cammino. Trovò uno sgabello in fondo a un tavolo e si accomodò, sperando di non attirare su di sé l'attenzione di nessuno: non era sicuro di riuscire a nascondere totalmente il suo accento attico e, se l'avessero scoperto, avrebbe potuto considerarsi morto ancor prima di poter solo cominciare la sua missione. La guerra fra le due poleis durava già da due anni, egli stesso aveva partecipato alla difesa della sua città quando gli spartani l'avevano assalita, fiero col suo arco aveva scagliato le frecce contro i nemici, dando il tempo ai suoi concittadini di rifugiarsi dentro alle lunghe mura che proteggevano Atene e il Pireo dagli attacchi. E da quelle stesse mura difensive era fuggito, da giorni ormai, per sottrarsi alla tremenda epidemia di peste che si stava diffondendo come una piaga fra la popolazione, mietendo vittime e consegnando all'Ade le anime di persone innocenti.
In realtà, l'epidemia scagliata dagli dei era forse il motivo meno determinante per cui egli si trovava nella città nemica. La verità era che voleva salvare sua sorella. Erano passati mesi dall'ultima volta che l'aveva vista, da quando assieme alle ancelle si era recata sulla costa e un manipolo di soldati spartani le aveva sorprese: Isabelle, la ragazza più ammaliante di Atene, nonché la figlia di uno dei massimi esponenti politici della città, era un ottimo ostaggio.     
Alec avrebbe voluto subito accorrere in aiuto della sorella, avrebbe voluto poter essere al suo posto ed evitarle le tremende sofferenze che sapeva le avrebbero inflitto, ma i suoi genitori credevano di poter risolvere la questione in maniera diplomatica, anche in tempo di guerra. Oh, folli.     
Era forse la prima volta che disubbidiva ai genitori, facendo di testa sua, fuggendo dalla città e rischiando la propria vita. Sapeva che l'avrebbero punito se mai fosse tornato incolume ad Atene con la  sorella, come sapeva che avrebbero punito il suo fratellastro per aver complottato con lui quel piano illogico. Ma sapeva anche che, se voleva riuscire a trarla in salvo, quello era l'unico modo. E l'oracolo aveva chiaramente espresso il suo responso: La figlia di Afrodite potrà considerarsi salva quando il sangue dei fratelli sarà ricongiunto. E chi mai avrebbe potuto salvarla, se non lui? Era il suo compito. E non gli importava se ciò avrebbe comportato rischi enormi o il sacrificio della sua stessa vita. Amava sua sorella e la sua famiglia più di sé stesso e non avrebbe esitato a compiere ciò che era giusto.  
Un gran trambusto congelò lo scorrere dei suoi pensieri; Alec spostò l'attenzione del suo sguardo dalle venature lignee del tavolo e lo volse alla fonte di tanta confusione.  
Un giovane ragazzo, dagli occhi truccati in modo da far risaltare le sue iridi talmente verdi da far invidia alle praterie dell'Arcadia, stava recitando alcuni versi, intrattenendo i frequentatori della locanda che lo incitavano affinché proseguisse nella sua esibizione. «Volete che prosegua nella recitazione del cantore Omero? O preferite i giambi di Archiloco?» ironizzava, probabilmente per attirare maggiormente su di sé l'attenzione.  
Per Zeus, come fa a non odiare sentirsi tutti questi occhi addosso?, pensò fra sé e sé Alec, che era sempre stato timido e schivo, forse anche a causa del suo segreto.          
«O forse desiderate che qualche altro rapsodo intoni per voi i versi ispirati dallo stesso divino Apollo?».
Le esclamazioni dei soldati aumentarono ancor di più e Alec non poté fare a meno di sentirsi in soggezione quando lo sguardo felino del ragazzo si posò su di lui. Ti prego, fa' che non accada ciò che temo.     
 «Oh bel forestiero, volete forse favorire?» suggerì l'altro, con una sfumatura maliziosa appena celata nella voce.
Alec sentì il sangue affluire alle guance, dando un colorito acceso alla sua pelle pallida, mentre gli sguardi dei soldati giungevano nella sua direzione.  Posso considerarmi morto.
«I-Io... Ehm...» balbettò incerto, cercando disperatamente di ricordare qualcosa, qualsiasi cosa. A quel punto, ormai, aveva tutti gli occhi puntati su di sé e l'unico modo perché la gente distogliesse velocemente l'attenzione sarebbe stata assecondare quella assurda richiesta.  «Intonar so il ditirambo di Dioniso mio signore / il bel canto io so, dal vino folgorato nel mio cuore» recitò allora, cercando di nascondere il tremolio della voce, pur non essendo del tutto certo che fossero corretti i versi decantati: la poesia lirica non lo aveva mai appassionato granché, preferiva di gran lunga le imprese valorose compiute dai grandi eroi come Ettore, Achille, Odisseo.   
«Il ditirambo di Archiloco» commentò il giovane dagli occhi verdi, applaudendo in modo teatrale, facendo arrossire nuovamente le gote di Alec, che abbassò lo sguardo alle proprie mani che si contorcevano nervosamente, tentando di smorzare la tensione. Quando decise di risollevare i propri occhi, l'altro aveva già ripreso a glorificare i poeti antichi, senza tuttavia distogliere le sue iridi smeraldine dal corpo di Alec.  
Quest'ultimo si ritrovò a pensare che il rapsodo fosse davvero fisicamente attraente, ma aggrottò le sopracciglia non appena si rese conto dei suoi stessi pensieri: Non posso farmi condizionare, non quando ho una missione così importante da portare a termine. Eppure il volto dell'altro era così bello, con quei lineamenti delicati e allo stesso tempo spigolosi, i folti capelli neri, gli occhi contornati di nero, per non parlare del fisico longilineo e atletico che si muoveva elegantemente e in modo plateale, senza però risultare eccessivo o costruito, anzi sembrando naturale.
Alec scosse la testa, tentando di cacciare quelle considerazioni totalmente fuori luogo, se si considerava il fatto che con tutta probabilità non avrebbe mai più rivisto quel giovane uomo. Decise così di alzarsi e di avviarsi velocemente verso l'uscita, dopotutto doveva ancora cercare un posto in cui  potesse alloggiare durante il suo soggiorno a Sparta.     
Una volta uscito l'aria fresca della notte portò sollievo al suo volto accaldato e non poté fare a meno che sollevare lo sguardo al cielo, ad ammirare le stelle splendenti, chiedendosi dove fosse sua sorella, se stesse bene - per quanto possibile, vista la condizione di prigionia in cui si trovava -, se i suoi genitori fossero più preoccupati per la sua assenza o più infuriati, se il suo fratellastro stesse pensando a lui.    
Già, il suo fratellastro. In realtà il legame che li univa era estremamente intimo, era come se quell'orfanello biondo non fosse stato accolto dai genitori di Alec, ma fosse davvero suo fratello. Tuttavia Alec, col passare del tempo, si era reso conto che ciò che provava per Jace non era semplice affetto fraterno, era qualcosa di molto più profondo e ancestrale, qualcosa che avrebbe potuto definire amore. Sì, amava suo fratello e forse per questo non riusciva a sopportare qualsiasi ragazza che potesse anche solo considerarlo fisicamente avvenente - cosa che, effettivamente, era: ma egli temeva di non avere più tutte le attenzioni per sé.     
Temeva che il loro legame si sarebbe spezzato o anche solo allentato, o per meglio dire era letteralmente terrorizzato da questa idea. Ciononostante tentava di rassicurarsi, di convincersi che in realtà erano solo le sue maledette paranoie e che loro sarebbero stati parabatai per sempre, perché un legame come il loro non avrebbe potuto essere frantumato, mai, da niente e da nessuno. E allo stesso modo il suo amore non avrebbe mai potuto essere scalfito.       
«Per tutti gli dei dell'Olimpo!» esclamò con un tono di sollievo una voce alle sue spalle, gelando il flusso dei suoi pensieri e facendo sì che si voltasse per vedere chi fosse il suo interlocutore. Il rapsodo della taverna apparve ai suoi occhi, con i capelli corvini spettinati e il trucco scuro.          
«Posso aiutarvi?» disse gentilmente Alec, rendendosi conto troppo tardi dell'inutilità delle parole appena  pronunciate: come avrebbe mai potuto uno straniero aiutare un nativo spartano?            
 «Fortunatamente sono riuscito a raggiungervi in tempo, bel forestiero» rispose inaspettatamente il giovane, facendo sì che le gote di Alec diventassero nuovamente scarlatte.         
Sembra proprio che sia in grado di farmi arrossire con un nonnulla, pensò, mentre balbettava: «D-Dite a m-me?».
«Vedete forse qualcun altro?»  ribatté malizioso lo spartano, come a sottolineare l'idiozia delle domande di Alec.
«Ebbene?» chiese quest'ultimo, tentando di recuperare un contegno.          
«Ebbene, mi chiedevo dove soggiornaste».   
«Cosa vi fa pensare che io resti in città?» lo stuzzicò Alec, sorprendendo se stesso. Non si era mai comportato così con nessuno, tantomeno con uno sconosciuto. Nemico per di più, aggiunse nella sua testa una vocina razionale.        
«Oh non lo so. Magari il fatto che siete appena giunto? Lo desumo dalle vostre membra stanche e inoltre non vi avevo mai visto in città. E ritengo che sareste un folle a mettervi in cammino a notte fonda, a meno che non siate un fuggitivo o un criminale, ovviamente».            
Il rapsodo pronunciò quelle parole con un carisma e una teatralità che Alec si ritrovò incantato e rimase letteralmente senza parole. Si rese conto che avrebbe dovuto dire qualcosa quando l'altro alzò un sopracciglio, dopo avergli lanciato uno sguardo carico di aspettativa. «Sì, ehm, io...».   
«Non sapete la strada per giungere alla locanda?».   
«Non ho ancora trovato un posto dove alloggiare» ammise infine, abbassando lo sguardo, imbarazzato, senza sapere bene il motivo di tanto impaccio.      
Lo spartano sembrò illuminarsi, come se fosse sollevato, «Grandioso!» esclamò infatti con enfasi, attirando su di sé lo sguardo incuriosito di Alec.   
«Grandioso??» ripeté infatti, strabuzzando gli occhi.           
«Vi ospito io!» affermò lo spartano con convinzione, col tono di qualcuno che non ammetteva repliche né contraddizioni.
«Che cosa state dicendo? Non posso accettare, no!» tentò di rifiutare Alec, gesticolando nervosamente con le mani e spostando il peso da un piede all'altro.          
«In nome di Zeus Xenios, vi offro la mia ospitalità» ribatté l'altro solennemente, facendo contrarre lo stomaco ad Alec: le parole sagge e altisonanti del suo pedagogo gli rimbombarono nella mente - non rifiutare mai l'ospitalità offerta con sincerità.        
«Ma non so nemmeno il vostro nome» obbiettò debolmente il giovane ateniese.    
 Lo spartano sorrise, criptico: «Sono Magnus, bel forestiero. E voi?».         
«Il grande» commentò Alec, riferendosi al significato del nome di Magnus, che ridacchiò: «Lo sono davvero. Avete di fronte a voi il più famoso rapsodo, nonché sacerdote di Dioniso di tutta Sparta».   
Oh,per Zeus. Non può trattarsi davvero di quel Magnus, pensò Alec terrorizzato, ricordando le parole dei suoi concittadini riguardo a un certo sacerdote spartano dalla diffusa fama.       
«Invece voi siete? Non credo mi abbiate ancora detto il vostro nome».       
«Alexander. Ma potete chiamarmi Alec, se preferite» si affrettò a dire Alec, sperando che non notasse quel celato accento attico nella pronuncia del suo nome completo.        
«Alexander, il protettore di uomini. Mi piace» commentò Magnus, sembrando quasi gustare il sapore di quelle parole sulle labbra. «Venite, Alexander, vi condurrò presso la mia umile dimora» dichiarò infine, avviandosi e facendo segno all'altro di seguirlo con un cenno della mano.            

 
Note dell'Autrice: 

Hello everyone!
Premetto che questa è la prima fanfiction Malec e AU che scrivo, pertanto non ho idea di quale sia il risultato. La storia mi frulla in testa da un bel po' di mesi ormai, quindi ho proprio avuto l'esigenza di scriverla e mi piacerebbe molto sapere le vostre impressioni a riguardo, positive e negative, dopotutto c'è sempre da migliorare ^^
Vi chiedo umilmente di lasciare un commento, giusto per sapere cosa c'è da aggiustare, da cambiare totalmente, cosa invece vi è piaciuto.
Un grazie immenso anche a heartbreakerz per lo splendido banner, notevolmente migliore del precedente fatto da me lol
Grazie per la vostra attenzione, ci rileggiamo presto col secondo capitolo! Baci,
Starsfallinglikerain.
   
 
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