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Autore: goldenfish    22/04/2016    0 recensioni
Amelia è un tantino eccentrica e sembra che le uniche persone che le vadano a genio sianno i morti del cimitero di cui si prende cura. Le sue placide giornate sono scandide da messe, comunioni, battesimi e matrimoni celebrati dalla voce gentile di Don Giorgio il parroco per cui lavora e a cui non presta troppe gentilezze. Perchè Amelia è così, una persona selvatica e fortemente atea, che ama circondarsi di solitudine e silenzio.
Un' esistenza così insolita però non può che incappare in situazioni dello stesso genere, ed è così che Amelia si trova faccia a faccia con un insolito individuo dai tratti asiatici affascinato dalla morte e da quello che c'è dietro, infiltradosi durante la notte nel cimitero alla ricerche di oscure presenze.
Genere: Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Introduzione

La chiamavano Amelia Figlia, F abbreviato per distinguerla da sua madre, Amelia e basta. Non aveva una laurea e nemmeno una appartamento. Viveva nella casa parrocchiale della chiesa del suo quartiere da quando aveva 20 anni perché da quell’età si era proposta di occuparsi del piccolo cimitero che sorgeva dietro la cappella, in cambio di uno stipendio simbolico e di vitto e alloggio gratuiti.
Amelia F viveva con un gatto di nome Giuda e Don Giorgio, il prete della chiesa. Era nata il 31 ottobre sotto il segno dello Scorpione ed era una fervente osservatrice dell’ateismo, che la portava ad accesi scontri con il don sulle principali cause etiche. Non che non avessero mai discusso di aborto o eutanasia, ma la differenza tra i loro pensieri era così accentuata da finire in litigi veri e propri, così appena si sollevava la possibilità di cadere in uno di questi argomenti Don Giorgio cercava la complicità di suor Giorgia, una simpatica vecchietta che lo aiutava nella manutenzione della Chiesa e Amelia nei morti, che non potendo rispondere le davano automaticamente ragione.
Nonostante queste diatribe Don Giorgio e Amelia andavano piuttosto d’accordo e il loro rapporto odio-amore era un tenero esempio di una convivenza tra un anziano prete di 65 anni e una giovane ragazza di 23 anni un po’ eccentrica.
Quella mattina, il 25 maggio, si era celebrato un matrimonio e la chiesa era stata decorata in grande stile come richiesto dalla sposa. I gigli bianchi e dorati troneggiavano sull’altare immacolato e tra le panche legati dalle soffici drappi del tessuto in raso. Le candele color avorio erano ormai sciolte e alcune gocce di cera erano cadute al suolo tra i chicchi di riso e i petali di rose bianche. Era un bel pomeriggio assolato e la luce penetrava attraverso le vetrate colorate della chiesa, riflettendo la propria immagine sul pavimento e sui fiori in un caleidoscopico gioco di colori. Dal soffitto alto con le travi di legno in vista e dai colori tenui la chiesa di Santa Croce era una chicca per coloro che volevano sposarsi in un luogo romantico e caratteristico, di lato un antico organetto in ottone risplendeva come un gioiello prezioso sotto i raggi caldi del sole.
Amelia era a godersi quel tepore al cimitero, immobile accanto ad una lapide come una lucertola, aveva gli occhi chiusi e la faccia rivolta verso il cielo. Non era bella, ma in quel momento avvolta dalla logora tuta da lavoro verde, appariva come una dea a cui perfino il sole aveva riservato i propri raggi migliori. Quasi assopita, non si accorse subito della voce che la stava richiamando, ma poi piano piano il tono gentile e affaticato di Don Giorgio serpeggiò oltre i suoi pensieri destandola da essi.
«Amelia!» la ragazza sollevò di poco le palpebre venendo ferita dalla quella luce intensa che le sbatteva in volto e schermandosi gli occhi con la mano si alzò faticosamente dalla sua posizione.
«Che vuoi?» urlò di rimando ripulendosi la tuta dalla terra.
«Vieni ad aiutarci a ripulire la Chiesa?» domandò Don Giorgio asciugandosi la fronte imperlata dal sudore.
«No» rispose secca lei.
«Per favore – la supplicò il prete – siamo solo io e Suor Giorgia» insistette.
«Ho da fare» ripeté Amelia osservando la pala abbandonata al suolo.
«Ma Amelia, non abbiamo più vent’anni» cercò di convincerla il prete.
«Niente da fare prete» proseguì lei «Ho già del lavoro qui».
«Arriva a sessant’anni e poi capirai quanto è duro fare qualsiasi lavoro». Tentò ancora Don Giorgio affaticato da quell’arsura.
«Fammi inchiavare il capanno e sono da te» cedette la ragazza raccogliendo gli attrezzi nella carriola.
Amelia raggiunse il prete facendo lo slalom tra le lapidi, aveva i capelli legati in una coda scomposta e la fronte sporca di terra. Era un cimitero di campagna, con i vialetti di breccino bianco, poche lapidi, un centinaio al massimo e la maggior parte dei fiori li aveva rimpiazzati lei, a sue spese. In fondo era affezionata ai mucchietti di ossa che le tenevano compagnia tutti i giorni sorridendole dalle foto incastonate sulle lapidi.
«Fai mai qualcosa per pura bontà d’animo?» sospirò rassegnato il prete guardandola dal basso all’alto, Amelia gli circondò le spalle con un braccio conducendolo verso la chiesa.
«No se posso guadagnarci» confessò franca, sorridendo. Aveva un sorriso un po’ sbilenco, che pendeva a sinistra.
«Riguardo all’” offerta” padre…» iniziò lei.
«In contanti, adesso» concluse l’anziano scuotendo la testa sconsolato.
«Perfetto» trillò lei baciandogli la testa pelata e sudaticcia che scintillava come un diamante.
«Non dovresti vestirti sempre di nero comunque, è un colore che attira il caldo» gli consigliò premurosa lei.
«Non l’ho deciso io».
«E poi il nero non è il colore del Demonio?»
«Va ad aiutare suor Giorgia che la religione non fa per te» proferì il parroco spingendola affettuosamente per la schiena.
Amelia percorse svogliata la navata sullo stesso tappeto giallo su cui aveva sfilato quella mattina la sposa. I suoi passi rimbombavano ritmici spezzando l’intensità di quel silenzio, sparsi a terra c’erano i chicchi di riso spappolati che le si attaccavano alle suole delle scarpe. Aleggiava ancora un pungente odore d’incenso e dei profumi di marche anonime. Osservò compiaciuta la bellezza di quelle decorazioni e constatò quanto la sposa avesse gusti raffinati e quanto la chiesa ci guadagnasse in atmosfera, le parve di camminare in uno di quei giardini segreti che avevano le ville dell’800 e in cui gli amanti si riunivano lontani da occhi indiscreti. Superò i due scalini dell’altare con un salto e, notando la Bibbia ancora aperta, si diresse verso di essa. Scorse con gli occhi un passo del vangelo secondo Luca. Non che non l’avesse mai letta, ma le sembrava solo una bella favola che, come tale, conteneva tante morali. Un pois di vino rosso copriva un paio di lettere, Amelia si guardò in torno prima di afferrare il calice dorato contenente il sangue di Cristo e, rapida, lo vuotò in un sorso. Increspò le labbra disgustata. Era probabilmente il vino più economico del supermercato e acidulo come solo i vini da cucina possono essere. Decise che gliene avrebbe regalo uno come si deve, forse un Rosso Conero, il suo preferito.
La chiamavano Amelia Figlia, F abbreviato per distinguerla da sua madre, Amelia e basta. Non aveva una laurea e nemmeno una appartamento. Viveva nella casa parrocchiale della chiesa del suo quartiere da quando aveva 20 anni perché da quell’età si era proposta di occuparsi del piccolo cimitero che sorgeva dietro la cappella, in cambio di uno stipendio simbolico e di vitto e alloggio gratuiti.
Amelia F viveva con un gatto di nome Giuda e Don Giorgio, il prete della chiesa. Era nata il 31 ottobre sotto il segno dello Scorpione ed era una fervente osservatrice dell’ateismo, che la portava ad accesi scontri con il don sulle principali cause etiche. Non che non avessero mai discusso di aborto o eutanasia, ma la differenza tra i loro pensieri era così accentuata da finire in litigi veri e propri, così appena si sollevava la possibilità di cadere in uno di questi argomenti Don Giorgio cercava la complicità di suor Giorgia, una simpatica vecchietta che lo aiutava nella manutenzione della Chiesa e Amelia nei morti, che non potendo rispondere le davano automaticamente ragione.
Nonostante queste diatribe Don Giorgio e Amelia andavano piuttosto d’accordo e il loro rapporto odio-amore era un tenero esempio di una convivenza tra un anziano prete di 65 anni e una giovane ragazza di 23 anni un po’ eccentrica.
Quella mattina, il 25 maggio, si era celebrato un matrimonio e la chiesa era stata decorata in grande stile come richiesto dalla sposa. I gigli bianchi e dorati troneggiavano sull’altare immacolato e tra le panche legati dalle soffici drappi del tessuto in raso. Le candele color avorio erano ormai sciolte e alcune gocce di cera erano cadute al suolo tra i chicchi di riso e i petali di rose bianche. Era un bel pomeriggio assolato e la luce penetrava attraverso le vetrate colorate della chiesa, riflettendo la propria immagine sul pavimento e sui fiori in un caleidoscopico gioco di colori. Dal soffitto alto con le travi di legno in vista e dai colori tenui la chiesa di Santa Croce era una chicca per coloro che volevano sposarsi in un luogo romantico e caratteristico, di lato un antico organetto in ottone risplendeva come un gioiello prezioso sotto i raggi caldi del sole.
Amelia era a godersi quel tepore al cimitero, immobile accanto ad una lapide come una lucertola, aveva gli occhi chiusi e la faccia rivolta verso il cielo. Non era bella, ma in quel momento avvolta dalla logora tuta da lavoro verde, appariva come una dea a cui perfino il sole aveva riservato i propri raggi migliori. Quasi assopita, non si accorse subito della voce che la stava richiamando, ma poi piano piano il tono gentile e affaticato di Don Giorgio serpeggiò oltre i suoi pensieri destandola da essi.
«Amelia!» la ragazza sollevò di poco le palpebre venendo ferita dalla quella luce intensa che le sbatteva in volto e schermandosi gli occhi con la mano si alzò faticosamente dalla sua posizione.
«Che vuoi?» urlò di rimando ripulendosi la tuta dalla terra.
«Vieni ad aiutarci a ripulire la Chiesa?» domandò Don Giorgio asciugandosi la fronte imperlata dal sudore.
«No» rispose secca lei.
«Per favore – la supplicò il prete – siamo solo io e Suor Giorgia» insistette.
«Ho da fare» ripeté Amelia osservando la pala abbandonata al suolo.
«Ma Amelia, non abbiamo più vent’anni» cercò di convincerla il prete.
«Niente da fare prete» proseguì lei «Ho già del lavoro qui».
«Arriva a sessant’anni e poi capirai quanto è duro fare qualsiasi lavoro». Tentò ancora Don Giorgio affaticato da quell’arsura.
«Fammi inchiavare il capanno e sono da te» cedette la ragazza raccogliendo gli attrezzi nella carriola.
Amelia raggiunse il prete facendo lo slalom tra le lapidi, aveva i capelli legati in una coda scomposta e la fronte sporca di terra. Era un cimitero di campagna, con i vialetti di breccino bianco, poche lapidi, un centinaio al massimo e la maggior parte dei fiori li aveva rimpiazzati lei, a sue spese. In fondo era affezionata ai mucchietti di ossa che le tenevano compagnia tutti i giorni sorridendole dalle foto incastonate sulle lapidi.
«Fai mai qualcosa per pura bontà d’animo?» sospirò rassegnato il prete guardandola dal basso all’alto, Amelia gli circondò le spalle con un braccio conducendolo verso la chiesa.
«No se posso guadagnarci» confessò franca, sorridendo. Aveva un sorriso un po’ sbilenco, che pendeva a sinistra.
«Riguardo all’” offerta” padre…» iniziò lei.
«In contanti, adesso» concluse l’anziano scuotendo la testa sconsolato.
«Perfetto» trillò lei baciandogli la testa pelata e sudaticcia che scintillava come un diamante.
«Non dovresti vestirti sempre di nero comunque, è un colore che attira il caldo» gli consigliò premurosa lei.
«Non l’ho deciso io».
«E poi il nero non è il colore del Demonio?»
«Va ad aiutare suor Giorgia che la religione non fa per te» proferì il parroco spingendola affettuosamente per la schiena.
Amelia percorse svogliata la navata sullo stesso tappeto giallo su cui aveva sfilato quella mattina la sposa. I suoi passi rimbombavano ritmici spezzando l’intensità di quel silenzio, sparsi a terra c’erano i chicchi di riso spappolati che le si attaccavano alle suole delle scarpe. Aleggiava ancora un pungente odore d’incenso e dei profumi di marche anonime. Osservò compiaciuta la bellezza di quelle decorazioni e constatò quanto la sposa avesse gusti raffinati e quanto la chiesa ci guadagnasse in atmosfera, le parve di camminare in uno di quei giardini segreti che avevano le ville dell’800 e in cui gli amanti si riunivano lontani da occhi indiscreti. Superò i due scalini dell’altare con un salto e, notando la Bibbia ancora aperta, si diresse verso di essa. Scorse con gli occhi un passo del vangelo secondo Luca. Non che non l’avesse mai letta, ma le sembrava solo una bella favola che, come tale, conteneva tante morali. Un pois di vino rosso copriva un paio di lettere, Amelia si guardò in torno prima di afferrare il calice dorato contenente il sangue di Cristo e, rapida, lo vuotò in un sorso. Increspò le labbra disgustata. Era probabilmente il vino più economico del supermercato e acidulo come solo i vini da cucina possono essere. Decise che gliene avrebbe regalo uno come si deve, forse un Rosso Conero, il suo preferito.
  
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