Regulus saliva le scale a testa bassa, adagio. Ogni suo passo era misurato, alzava i piedi con una lentezza che a qualsiasi osservatore sarebbe apparsa estenuante, ma che per lui era necessaria.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Regulus Black
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
Regulus
saliva le scale a testa bassa, adagio. Ogni suo passo era
misurato, alzava i piedi con una lentezza che a qualsiasi osservatore
sarebbe apparsa estenuante, ma che per lui era necessaria.
I suoi occhi scuri erano puntati sui gradini, li osservavano
meticolosamente, mentre il quindicenne si tormentava appena il labbro
con i denti. I suoi capelli corvini, appena ondulati, gli ricadevano ai
lati del viso magro, ombreggiandogli le guance pallide.
Nei suoi lineamenti era evidente il marchio dei Black. E lui, a
differenza di qualcun
altro, ne andava fiero.
Arrivato al primo pianerottolo, Regulus si fermò per qualche
istante. Il suo sguardo indugiò attorno per qualche istante,
poi il suo palmo poggiò sul corrimano, lui
respirò profondamente e riniziò la propria salita.
Si sentiva stupido, a comportarsi così. Si sentiva un
bambino credulone, di quelli che strillano alla sera perché
la mamma controlli se l’Uomo Nero è sotto al loro
letto. Lui non aveva mai fatto capricci simili. Anche perché
se solo sua madre lo avesse udito gli avrebbe fatto subito una predica
sul comportamento degno di un Black – e lagnarsi per un
ipotetico mostro non rientrava certamente tra i modi di fare prediletti.
Però… qualche volta forse anche lui aveva avuto
paura delle ombre della notte. E si era rifugiato da lui.
Si concentrò sui gradini, contandoli fra sé e
sé distrattamente. Cercò di non badare agli echi
delle corse fatte su e giù per quelle scale, alle calcagna
di suo fratello, o seguito da questi. Ispirò bruscamente e
scosse la testa per allontanare quei pensieri, che erano decisamente
tabù.
I suoi passi risuonavano in maniera estenuante per le scale, nel
silenzio più ampio di quanto fosse consueto a causa
dell’assenza dei suoi genitori. Solo gli elfi domestici erano
rimasti, ma in quel momento erano occupati a riordinare la cucina, e
non facevano il minimo rumore.
Regulus sentì, con stanca rassegnazione, il proprio cuore
accelerare appena il battito, in una replica perfetta di ciò
che ormai accadeva ogni qualvolta che saliva le scale.
Considerò che si stava avvicinando al pianerottolo sul quale
si aprivano le porte della sua stanza e della camera di… lui.
Seppe in anticipo che avrebbe iniziato a dirsi mentalmente, mimando le
parole con un veloce – quasi timoroso – movimento
di labbra: “Ce la farò, ce la farò, ce
la farò”.
E a volte riusciva anche ad esserne convinto, a volte ci credeva
davvero. Ecco che mancava davvero poco… Sentì la
propria mascella irrigidirsi mentre stringeva i denti.
Ce l’avrebbe fatta. Questa volta non avrebbe chiuso gli occhi.
Dieci gradini. Vacillò appena, poi tornò in
perfetto equilibrio e riprese la scalinata.
Nove. Otto. Sette. Sei. Cinque. Accidenti, mancava davvero poco.
Quattro. Cercò di guardare in alto con fierezza, di
scacciare ogni ridicola paura infantile. Tre.
Tre. Erano davvero pochi.
E mentre poggiava il piede destro sul “due” non ce
la fece più e serrò con forza le palpebre. Fece i
gradini alla cieca e salì sul pianerottolo. Tenne la testa
voltata nella direzione opposta di quella in cui sapeva trovarsi la
stanza del fratello.
Camminò brevemente e finalmente eccolo dalla sua stanza.
Aprì la porta con una spinta, sempre tenendo gli occhi
serrati, poi, quando finalmente la chiuse dietro di sé,
sollevò lentamente le palpebre, riempiendosi lo sguardo
della familiarità della sua camera da letto.
E anche mentre la delusione e la vergogna che provava per aver ancora
ceduto a quelle sciocche paure lo inondavano, si sentì
sollevato, perché il peggio era passato.
La sua testa ebbe uno scatto irritato quando analizzò le
proprie emozioni, ma non poteva negare quel che sentiva.
Sapeva che nessuno avrebbe mai potuto capire. Ma quando guardava la
porta sbarrata della sua stanza, gli pareva che qualcosa di pesante gli
si materializzasse sul petto, mentre lo stomaco gli si faceva vuoto di
colpo. Quando guardava quella porta gli veniva voglia di piangere e
chiamare il nome di suo fratello. Di arrabbiarsi e di prenderla a
calci. Di pestare i piedi per terra come un bambino capriccioso. Di
fare a pezzi tutto.
Non voleva guardare quella porta perché temeva che lo
inondasse la patetica speranza che lui
la aprisse, che la luce
filtrasse ancora, e abbondante, sotto di essa, e Regulus non voleva
annegare.
Non sopportava quella porta perché sembrava urlare Sirius.