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Autore: 9Pepe4    06/04/2009    6 recensioni
Regulus saliva le scale a testa bassa, adagio. Ogni suo passo era misurato, alzava i piedi con una lentezza che a qualsiasi osservatore sarebbe apparsa estenuante, ma che per lui era necessaria.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Regulus Black
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
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Quella porta

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Regulus saliva le scale a testa bassa, adagio. Ogni suo passo era misurato, alzava i piedi con una lentezza che a qualsiasi osservatore sarebbe apparsa estenuante, ma che per lui era necessaria.
I suoi occhi scuri erano puntati sui gradini, li osservavano meticolosamente, mentre il quindicenne si tormentava appena il labbro con i denti. I suoi capelli corvini, appena ondulati, gli ricadevano ai lati del viso magro, ombreggiandogli le guance pallide.
Nei suoi lineamenti era evidente il marchio dei Black. E lui, a differenza di qualcun altro, ne andava fiero.
Arrivato al primo pianerottolo, Regulus si fermò per qualche istante. Il suo sguardo indugiò attorno per qualche istante, poi il suo palmo poggiò sul corrimano, lui respirò profondamente e riniziò la propria salita.
Si sentiva stupido, a comportarsi così. Si sentiva un bambino credulone, di quelli che strillano alla sera perché la mamma controlli se l’Uomo Nero è sotto al loro letto. Lui non aveva mai fatto capricci simili. Anche perché se solo sua madre lo avesse udito gli avrebbe fatto subito una predica sul comportamento degno di un Black – e lagnarsi per un ipotetico mostro non rientrava certamente tra i modi di fare prediletti.
Però… qualche volta forse anche lui aveva avuto paura delle ombre della notte. E si era rifugiato da lui.
Si concentrò sui gradini, contandoli fra sé e sé distrattamente. Cercò di non badare agli echi delle corse fatte su e giù per quelle scale, alle calcagna di suo fratello, o seguito da questi. Ispirò bruscamente e scosse la testa per allontanare quei pensieri, che erano decisamente tabù.
I suoi passi risuonavano in maniera estenuante per le scale, nel silenzio più ampio di quanto fosse consueto a causa dell’assenza dei suoi genitori. Solo gli elfi domestici erano rimasti, ma in quel momento erano occupati a riordinare la cucina, e non facevano il minimo rumore.
Regulus sentì, con stanca rassegnazione, il proprio cuore accelerare appena il battito, in una replica perfetta di ciò che ormai accadeva ogni qualvolta che saliva le scale. Considerò che si stava avvicinando al pianerottolo sul quale si aprivano le porte della sua stanza e della camera di… lui.
Seppe in anticipo che avrebbe iniziato a dirsi mentalmente, mimando le parole con un veloce – quasi timoroso – movimento di labbra: “Ce la farò, ce la farò, ce la farò”.
E a volte riusciva anche ad esserne convinto, a volte ci credeva davvero. Ecco che mancava davvero poco… Sentì la propria mascella irrigidirsi mentre stringeva i denti.
Ce l’avrebbe fatta. Questa volta non avrebbe chiuso gli occhi.
Dieci gradini. Vacillò appena, poi tornò in perfetto equilibrio e riprese la scalinata.
Nove. Otto. Sette. Sei. Cinque. Accidenti, mancava davvero poco. Quattro. Cercò di guardare in alto con fierezza, di scacciare ogni ridicola paura infantile. Tre.
Tre. Erano davvero pochi.
E mentre poggiava il piede destro sul “due” non ce la fece più e serrò con forza le palpebre. Fece i gradini alla cieca e salì sul pianerottolo. Tenne la testa voltata nella direzione opposta di quella in cui sapeva trovarsi la stanza del fratello.
Camminò brevemente e finalmente eccolo dalla sua stanza. Aprì la porta con una spinta, sempre tenendo gli occhi serrati, poi, quando finalmente la chiuse dietro di sé, sollevò lentamente le palpebre, riempiendosi lo sguardo della familiarità della sua camera da letto.
E anche mentre la delusione e la vergogna che provava per aver ancora ceduto a quelle sciocche paure lo inondavano, si sentì sollevato, perché il peggio era passato.
La sua testa ebbe uno scatto irritato quando analizzò le proprie emozioni, ma non poteva negare quel che sentiva.
Sapeva che nessuno avrebbe mai potuto capire. Ma quando guardava la porta sbarrata della sua stanza, gli pareva che qualcosa di pesante gli si materializzasse sul petto, mentre lo stomaco gli si faceva vuoto di colpo. Quando guardava quella porta gli veniva voglia di piangere e chiamare il nome di suo fratello. Di arrabbiarsi e di prenderla a calci. Di pestare i piedi per terra come un bambino capriccioso. Di fare a pezzi tutto.
Non voleva guardare quella porta perché temeva che lo inondasse la patetica speranza che lui la aprisse, che la luce filtrasse ancora, e abbondante, sotto di essa, e Regulus non voleva annegare.
Non sopportava quella porta perché sembrava urlare Sirius.
  
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