Libri > Harry Potter
Ricorda la storia  |      
Autore: Lalani    23/04/2016    3 recensioni
Albus/Gellert; One-shot; Drammatico
“È un peccato che sia dovuto morire, che sia stato abbattuto, per scoprire i segreti della sua vita” mormorai guardando i restanti alberi della radura, alti e rigogliosi.
Era scesa la sera e gli occhi verdi di Gellert erano il preludio della notte. Erano un abisso in cui mi ero già irrimediabilmente perso.
“Un peccato? Stai scherzando? È la parte migliore”.

Primo esperimento slash: Albus e Gellert a cavallo tra la loro adolescenza e la II guerra mondiale.
Prima classifica al contest "Di vite intrecciate e verità emblematiche” di _Freya Crescent_.
Genere: Drammatico, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Albus Silente, Gellert Grindelwald, Nuovo personaggio | Coppie: Albus/Gellert
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dai Fondatori alla I guerra
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A



La figura slanciata di Gellert spiccava contro il tramonto: sembrava totalmente insanguinata.
Trotterellava vicino a un vecchio ceppo marcio, morto. Saltellava, gironzolava e l’osservava con un’espressione buffa, interessata; ma persino in quei momenti d’infantilismo estremo riusciva a trasmettere carisma, bellezza, potenza. 
Lo raggiunsi e Gellert percepì la mia presenza senza voltarsi; quando incontrò il mio sguardo mi aveva già preparato un sorriso dolce. Apparecchiava le sue guance come se fossero una tavolata, disponeva i tratti del suo volto come se fossero coltelli e forchette.
“Primi anni di crescita” mormorò, abbassando lo sguardo.
Gli anelli concentrici del tronco marcio raccontavano la sua storia, la sua esistenza: il primo anno di vita era evidenziato da una serie di cerchi scuri, rossastri, vicinissimi tra loro.
“Lungo periodo di pioggia” continuò indicando degli anelli meno regolari, estremamente lontani gli uni dagli altri.
“Trauma da incendio” e indicò un profondo squarcio scuro: sulla pelle umana, sarebbe stata una cicatrice, una ferita insanabile.
“È un peccato che sia dovuto morire, che sia stato abbattuto, per scoprire i segreti della sua vita” mormorai guardando i restanti alberi della radura, alti e rigogliosi.
Era scesa la sera e gli occhi verdi di Gellert erano il preludio della notte. Erano un abisso in cui mi ero già irrimediabilmente perso.
“Un peccato? Stai scherzando? È la parte migliore”.





Gli anni degli alberi


Leningrado, Settembre 1943


Sobbalzai, accorgendomi che la mia Passaporta era atterrata su una mina antiuomo.
“Stia tranquillo, non si è innescata”.
“Non è stato comunque un bell’atterraggio” mormorai stizzito. Mi sarebbe scocciato parecchio saltare in aria in modo così assurdo.
“Qui non si smette mai di sorprendersi su cosa si può appoggiare i piedi”.
L’uomo era ritto su una lastra bianca e lucida: non era neve, bensì ghiaccio schiacciato e triturato dalla marcia degli eserciti, dalle bombe, dalla guerra.
Cominciammo a camminare nella landa e questa non sovvertì le mie aspettative: non era vuota o incolore. Era un labirinto di arbusti congelati, fattorie abbandonate e diroccate, carcasse di animali.
“Sono felice che lei abbia adottato un vestiario meno…appariscente, Professore”.
Una sottile provocazione in linguaggio “Serpeverde”. Un Grifondoro avrebbe detto, senza mezzi termini, che “certe tendenze non erano ben viste”.
 “Ho fatto questo sacrificio” mormorai quietamente mentre sentivo la mancanza del mio amato abito viola “e tutto per venirla a recuperare, signor Medcraft”.
“Apprezzo lo sforzo” esclamò sorridente.
Ci avvicinammo a Leningrado lentamente, combattendo il freddo pungente d’inizio Settembre e nascondendoci dalle varie camionette, dai soldati armati.
Davanti ad una fattoria fatiscente, alcuni paesani stavano dando assistenza a dei giovanissimi soldati russi.
Un ragazzo, poco più che sedicenne, aveva già perso una gamba e il resto del suo corpo sembrava sbiadito, invecchiato.
Strinsi pollice e indice sull’attaccatura del naso; per Merlino, stavo proprio invecchiando.
Pensai ai miei alunni, ghettizzati nelle loro case per la minaccia della guerra, delle bombe dell’aviazione tedesca.
Pensai anche Tom Riddle, lo studente modello dal sorriso ferino, selvaggio, ma che in quel momento mi parve soltanto un ragazzino rinchiuso in un lercio orfanotrofio tenuto in piedi da mattoni e molte preghiere.


“Indovina a cosa sto pensando!”.
“Gellert” sbuffai, alzando gli occhi al cielo “sei il solito bambino!”.
Ariana adorava quel gioco: batteva le mani e i suoi occhi spiritati s’ingigantivano. Non riuscii mai a capire se in questo modo sembrassero più infantili o più vecchi, centenari.
“Indovina, Alby!” chiocciò gioiosa.
Le sorrisi, ma non riuscii a eliminare quella sensazione di estraneità, di disagio: parlavo, gesticolavo, pensavo in modo differente, con Ariana. Provavo lo stesso disagio con i bambini molto piccoli o le persone molto anziane e molto malate: la sensazione di parlare con un animaletto buffo e carino, una marionetta che non risponde ai comandi.
“Vediamo se questa volta tuo fratello indovina, Ari!” sorrise Gellert, e si sedette con mia sorella sul prato.
Era una primavera torrida, afosa, e quasi risi nel vederli entrambi così pieni di aspettativa, con gli occhi chiari sgranati e giganteschi.
Ma con Gellert, nulla era mai un gioco: era tutto una sfida, una gara, un obiettivo preciso.
Quel gioco, “scopriamo a cosa sta pensando Albus”, era solo un esercizio di Legilmanzia che m’imponeva per testare le sue doti in Occlumanzia. Ovviamente, Gellert non lanciava una sfida senza essere sicuro di poter vincere…ma gli piaceva vedermi tentare, annaspare per infiltrarmi nella sua mente. Il suo cervello era pietra, era abbattere un muro sapendo di perdere tutte le unghie.
“Gellert sta pensando…” mormorai in modo falsamente pensieroso “di andare a prenderci un bel gelato!”.
Ari saltò in piedi e in un attimo era già corsa in strada verso la pasticceria; mi costrinsi a rincorrerla, ridendo sotto il sole asfissiante.
Percepii lo sguardo deluso e risentito di Gellert e, in contemporanea, gli occhi azzurri di mio fratello che ci osservava di nascosto da dietro le tende.
Sentii le mie vertebre incunearsi, sotto il loro peso.


“Mi dica…cominciavano a sentire la mia mancanza, all’Ufficio per la Cooperazione Magica Internazionale?” chiese Medcraft.
“Certo, lei è un uomo di talento” gli risposi cortesemente. Valerius Medcraft possedeva tutti i talenti di un buon Serpeverde: arguzia, stomaco forte, la capacità di intrecciare buoni rapporti anche con le persone più riprovevoli o con ideali diametralmente opposti ai suoi. Cambiava pelle come un rettile e della vecchia epidermide si perdeva qualsiasi traccia: ogni settimana era una creatura nuova.
Questa era la tecnica che adottavano i Serpeverde quando non erano i discendenti di un’aristocratica famiglia Purosangue. Avrei potuto provare ammirazione per i diversi talenti di Medcraft, ma il mondo era in guerra e non volevo sapere quante persone fossero morte a causa dei suoi talenti diplomatici.
“Non mi sembra stregato da una Maledizione Imperius, Medcraft” valutai, cercando gli occhi neri e un po’ sbiaditi del mio accompagnatore.
“Infatti: il signor Grindelwald voleva che tutti i miei sensi fossero attivi, che tutte le mie sinapsi fossero funzionanti al cento per cento…senza contare che non è proprio nelle condizioni di poter dare ordini” rispose Valerius con somma tranquillità.
Non volli sapere cosa intendesse e unii di nuovo le dita all’attaccatura del naso. Gellert era come una scala in perenne discesa: ogni volta che credevo di essere, finalmente, arrivato all’ultimo gradino, ecco spuntarne un altro ancora più in basso, ancora più lercio.
“M’illumini, Medcraft” dissi rompendo gli indugi “lei è stato catturato da Gellert Grindelwald durante una sua missione qui a Leningrado, è esatto?”.
“Rinforzavo i legami con i nostri colleghi e alleati russi, da!” rise, scimmiottando l’accento slavo “ma non sono mai arrivato all’incontro politico…Grindelwald mi ha catturato prima, che umiliazione” ridacchiò, per niente ansioso o preoccupato.
“Mi perdoni la franchezza” continuai, sospettoso “ma perché il Ministero dovrebbe patteggiare con Grindelwald?”.
“Insomma, mi sta dicendo che la mia vita non vale abbastanza, non sono un ostaggio abbastanza rinomato” ridacchiò nuovamente Valerius “si chiede perché l’Inghilterra dovrebbe negoziare con un criminale di fama mondiale per un umile dipendente del Ministero”.
Onestamente sì, era proprio quello che intendevo dire. Ma io era un cavalleresco Grifondoro, dovevo moderare i termini.
“Se non sbaglio”, continuai “il Ministero ha garantito un prezioso aiuto a Grindelwald: la possibilità di evadere da Leningrado”.
“Giusto!” confermò Medcraft “la città, come sa, è sotto assedio tedesco da due anni e il signor Grindelwald, poco furbescamente se mi permette, è entrato da solo per incontrare un possibile gruppo di alleati…ma la riunione si è rivelata un’imboscata e, da quel momento, anche se non è mai stato ufficialmente imprigionato, non è più riuscito ad evadere dalla città e a riunirsi con i suoi seguaci. Ha sottovalutato il talento dei maghi russi”.
“E il nostro Ministero lo sta aiutando perché…?” chiesi “oltre che per garantire un suo sicuro ritorno in patria, ovviamente”.
“Diciamo che Grindelwald potrebbe avere delle documentazioni importanti, molto importanti” mormorò Medcraft “sui progetti del nemico”.
Ebbi la temuta conferma di quello che sospettavo da anni: Gellert aveva collaborato, o stava tuttora collaborando, con il Terzo Reich.
La scala e i suoi gradini erano ufficialmente finiti: ora dovevo incominciare a scavare.


Stavo di nuovo arrancando verso la radura del ceppo marcito, e in quel momento sentii fisicamente la primavera tramutarsi in estate.
Gellert era nuovamente in piedi sul ceppo, contro un sole pomeridiano radioso, sfumato dalle fronde dei larici.
“Era davvero necessario?” gli urlai, sentendo il mio contegno sciogliersi contro il caldo estivo “Elphias è mio amico!”.
Gellert si voltò, il sorriso già apparecchiato sul volto, appena appena eclissato dal sole.
“Perdonami” sussurrò “la prossima volta ti lascerò partire con lui”.
“Lo sai che non sarei andato da nessuna parte” ribattei “lo sai che sono convinto del nostro progetto”.
L’arrivo di Elphias era stato inaspettato ma non sgradito: non aveva tentato di convincermi di nuovo a partire con lui, era a conoscenza della mia situazione familiare. Gli avrei espresso la mia gratitudine se fossi stato più veloce di Gellert, che gli aveva trasfigurato le braccia in un vaso da notte senza nemmeno presentarsi.
“Chissà dove andrete…” mormorò sognante, saltellando sul cadavere dell’albero “magari in Groenlandia o alle Hawaii…anche se, perdonami, il tuo amico sembra avere giusto giusto la spina dorsale per arrivare a Brighton, non di più”.
Avrei tanto voluto che fosse gelosia, che quel sorriso demoniaco fosse il sintomo della paura di perdermi, di smarrirmi. Che fosse dedicato a me.
Ma io ero solo il suo collega per un progetto ambizioso, e in quell’attimo mi sentii meno di un tassello del suo infinito puzzle. Sentii il mio sogno, un mondo per i maghi, un mondo per mia sorella, liquefarsi come un sogno.
“Elphias è utile come questo ceppo” continuò Gellert piroettando sul legno marcio “sai che i cadaveri sono estremamente utili? Rivelano un sacco di dettagli…molti più dei vivi”.
“Dici che anch’io sarò più utile da morto?” lo sfidai. Eppure la mia voce suonò flebile e spaventata: nonostante la sua forte influenza, non mi ero mai sentito minacciato. Gellert era il mio collega esigente, meticoloso e col sorriso buffonesco: non era mai stato violento.
Alla fine mi guardò, freddamente, e i suoi occhi verdi mi bloccarono, mi impedirono di agguantare la bacchetta, mi bruciarono i neuroni.
“Dipende” rispose “se sarai così stupido da farti uccidere. È giusto che alcune persone debbano morire per consentire al Bene Superiore di germogliare…però sarebbe triste aggiungere il tuo nome a quell’elenco”.
Vidi le sue labbra muoversi, ma il resto del suo viso rimase muto.
Finalmente scese dal ceppo e raggiunse a falcate i rigogliosi larici che attorniavano la radura.
“Ad esempio…lo sapevi” chiese con voce candida “che confrontando gli anelli di vari alberi della stessa specie e non distanti fra loro, si possono creare dei grafici sulle attività climatiche passate? Se c’è stato un periodo di forte pioggia, o un incendio, o un terremoto, tutte queste piante possono ricordarlo, lo possiedono nella loro memoria centenaria. Avranno tutti le stesse identiche cicatrici”.
La bacchetta gli scivolò dalla mano come se volasse.
“Ora dimmi…sono più utili da vivi o da morti?”.
Lo scricchiolio dei tronchi maciullati, estirpati, dilaniati, assomigliava fin troppo a un grido umano.


“Ma esattamente…quanto ne ha ingerito?”.
Eravamo entrati a Leningrado presso il lago Ladoga, l’unica via che permetteva di raggiungere o fuggire dalla città. Medcraft mi riferì che i russi l’avevano rinominata la Strada della Vita.
Essendo arrivati a tarda notte, mi risparmiai la penosa vista di una città smembrata, che doveva cibarsi di se stessa per sopravvivere. La vecchia casa dove Gellert aveva tenuto come ostaggio Medcraft per poco più di una settimana era vuota e luminosa, come se fosse rimasta bloccata in una dimensione senza tempo: mi rifiutai di pensare alla sorte della famiglia che l’aveva abitava.
“Credo una boccetta” risposa vago Valerius.
“Una boccetta da quanti millilitri?” chiesi nuovamente.
“Una boccetta” ribatté.
“Non la facevo così approssimativo, Medcraft” mormorai sconfortato.
Una boccetta di decotto per il raffreddore era una questione…una molto diversa da una boccetta di Distillato della Morte Vivente.
Un ricordo doloroso e brillante mi s’infilò nel cervello: mia madre, il suo solito sguardo cupo e il viso contrito, le sue mani mentre cullavano Ariana.
“Ricordati Albus” mi diceva spesso “le pozioni non sono caramelle, non vanno assunte con leggerezza…il troppo stroppia!”.
Non vedevo Gellert da anni e studiai il suo corpo immobile come se fosse la carogna di un animale primitivo, un fossile. Le rughe, i capelli crespi e bianchi, le guance tagliate dalla fame…cercai disperatamente dei dettagli familiari ormai spariti.
Fu quella disperazione e quella ricerca ossessiva che mi fece comprendere, mestamente, che nulla era cambiato.
“Temo, tra l’altro, di non aver ancora capito come fa a controllarla, Valerius” sussurrai. Stavo davvero perdendo colpi.
Lui si limitò a sollevare il braccio e stringerlo nell’aria, sorridendo in modo ironico.
“Un Voto Infrangibile?” esclamai “Addirittura?”.
“Come le ho detto” spiegò Medcraft “voleva che tutti i miei sensi fossero all’erta…non poteva fidarsi di una marionetta”.
Le mani lunghe e pallide di Gellert mi rammentarono la sua meticolosità, la sua minuzia, le sue manie. Nulla era mai perfetto.
“Così” continuai lentamente “l’ha costretta con il Voto Infrangibile a inviare una missiva al nostro Ministro”.
“Esatto” annuì Valerius “una squadra di Auror è già entrata in città con la scusa di portare viveri e informazioni ai nostri alleati russi, ma in realtà sono qui per trasportare fuori Grindelwald e assicurarsi che ritorni sano e salvo in Germania…e per liberare me, ovviamente!”.
“Però l’ha anche costretta a mandare un messaggio a me” aggiunsi “chiedendomi di raggiungere Leningrado senza avvisare nessuno”.
“Una lettera personale” confermò Valerius “lui, per non essere rintracciato, non può comunicare via gufo o con altri mezzi convenzionali. Mi ha costretto a scrivere la lettera e leggere a voce alta la sua risposta, professore, dove lei specificava in che luogo sarebbe atterrata la sua Passaporta…ma non ho la minima idea di cosa desideri dirle”.
Non riuscì proprio a trattenere un sorrisetto malizioso, come se quell’inaspettata corrispondenza confermasse le mie tendenze, o, non saprei, che andassi in giro con dei mutandoni fiorati.
“Poi è stato costretto ad assumere il Distillato, giusto?” continuai, tendando di non focalizzarmi sul sorrisetto di Medcraft o sulle sue idee riguardo il mio intimo.
“Esatto. Poco dopo siamo stati assaliti da una ronda: avevano sicuramente ricevuto una soffiata dai vicini…e dire che Grindelwald mi aveva costretto a porre ogni tipo d’incantesimo protettivo sulla casa!”.
“Lei è riuscito a non farsi arrestare grazie i suoi documenti falsi” continuai, immaginandomi la scena “mentre Grindelwald ha dovuto fingere la sua morte”.
“Già, e per sua fortuna viaggia sempre con una vasta gamma di pozioni” confermò Valerius “non era una ronda particolarmente organizzata e probabilmente stavano controllando tutto l’edificio in tutta fretta…hanno dato appena un’occhiata al corpo prima di andarsene: non mi hanno nemmeno chiesto spiegazioni!”.
Percepii distrattamente che i miei occhi non avevano mai abbandonato Gellert: quel corpo addormentato, debole e raggrinzito mi stava esaminando. 
“Ora però c’è un problema” commentò Valerius perplesso “non credo che lei voglia far sapere al Ministero che si trova qui in Russia”.
Certo che no: erano anni che mi pregavano di recarmici per bloccare definitivamente Gellert ed erano anni che io rifiutavo.
“Secondo lei Grindelwald riuscirà a svegliarsi e a parlarle prima dell’arrivo della squadra Auror?” chiese Valerius.
“Ovviamente no, Medcraft” risposi serenamente.

Disteso supino sul tronco sradicato del salice, vidi tutto il percorso del sole, dal suo apice fino alla sua fine, fino alla sera.
Mi tenne lui contro quell’albero distrutto e io non mi opposi, non ci provai nemmeno: mi concentrai sul percorso solare per non cedere subito quando sentii le sue labbra su di me. Non mi ero neanche accorto che fosse riuscito a spogliarmi.

“Gellert vuole che usi la Legilmanzia su di lui. Credo che voglia “comunicarci” i piani del nemico tramite i suoi ricordi” spiegai pazientemente.
Era una nuova sfida? Possibile che persino in una situazione di mio netto vantaggio riuscisse a spogliarmi, a denudarmi, a ferirmi?

Le sue labbra sul mio sesso erano atroci, erano migliaia di schegge che s’infilavano sotto la mia cute, dentro la sclera dei mie occhi.
Le sue iridi non abbandonarono mai il mio viso, anche se non ebbi il coraggio di incrociarle. Sperai che nascondessero una supplica, una sua preghiera.
Non andartene. Non lasciarmi.

“Tuttavia” commentai ruotando delicatamente la testa di Gellert “non sarà un‘operazione facile”.
“Per via del Distillato?” chiese Medcraft, incuriosito “dice che una dose tanto massiccia potrebbe compromettere la Legilmanzia?”.
“Non c’è il rischio che i suoi ricordi vengano compromessi” spiegai “ma qualsiasi azione su un corpo tanto debole potrebbe rivelarsi destabilizzante…il troppo stroppia!”.

Mi abbracciò, con una folle delicatezza che mi lacerò l’anima per sempre. Non potevo credere che con la stessa mano con cui impugnava feracemente la bacchetta, con cui aveva sradicato e dilaniato, stesse toccando le mie intimità tanto dolcemente. Le sue dita erano dappertutto, dentro e fuori.
Quando le sue carezze divennero più violente e dolorose, mi sorpresi a non volerle fermare.

“Non sarebbe una cattiva trovata…potremmo appropriarci dei piani dei tedeschi e sbarazzarci di un individuo pericoloso”.
Dubitai profondamente che a Medcraft interessasse il destino di Gellert o dell’Inghilterra stessa: sarebbe stato capace di servire chiunque, i pii quanto gli assassini.
Era questo che desiderava Gellert? Essere ucciso da una mano conosciuta, prima della sua disfatta? Aveva finalmente capito che il futuro che agognava non poteva essere altro che il sogno di un folle?
Quel corpo anziano mi urlava la sua stanchezza, i suoi ideali sfumati come l’aurora.

Lo morsi e mi aggrappai a lui. Agganciai i talloni ai suoi fianchi per il terrore di scivolare via, di perdermi.
Non sentivo il mio corpo, solo il suo, le sue mani frenetiche, il suo respiro rotto, il suo membro che mi plasmava, che modificava il mio corpo a suo piacimento.

Sollevai le palpebre stanche di Gellert e vidi, dopo anni, decenni, i suoi occhi verdi: erano fuligginosi come una finestra lercia. Ma anni e decenni non potevano cancellare l’abisso che celavano. Fu semplice vederlo, era appena dietro la cortina di polvere: ci passai sopra il dito, la tolsi con un soffio ed eccolo là, a guardarmi, mi aveva trovato.
Se guarderai a lungo nell'abisso, anche l'abisso vorrà guardare in te.
 
Mi tenne fermo il viso mentre veniva e urlò i suoi gemiti sul mio viso, disperato, i suoi denti tra il mio naso e le mie labbra.

Entrare nella mente di Gellert significava stanare ricordi che credevo sepolti, tumulati. E forse significava danneggiare irrimediabilmente le sue sinapsi.
È giusto che alcune persone debbano morire per consentire al Bene Superiore di germogliare.

Lo vidi debole e insicuro, contro la mia gola. Si nascondeva, stravolto e forse un po’ stupito dalle sue azioni.
Ma io non mi mossi: lo tenni dentro di me, nonostante il fastidio.
Gli alberi sradicati scricchiolavano, non avevano mai smesso: non lo potevo ancora sapere, ma ben presto Gellert avrebbe sostituito gli alberi con uomini, donne e bambini. Li avrebbe sventrati come se la loro pelle fosse legno e il loro sangue clorofilla.

Non sarebbe stato difficile.
Che importanza poteva avere il corpo di un solo uomo, la corteccia di un solo albero per il Bene Superiore?
Non sarebbe stato difficile.
Era come calcolare gli anni degli alberi: bastava tagliare il tronco e contare i cerchi.




“È stata una scena molto…particolare. Lei, seduto al capezzale di Grindelwald. Mi ha ricordato Romeo e Giulietta”.
“Ho sempre apprezzato Shakespeare. È stato un brillante Corvonero”.
Ignorai il sorrisetto sibillino di Medcraft: fortunatamente il mio nome era abbastanza rinomato e non temetti per eventuali pettegolezzi o male voci. 
Mi ero nascosto all’arrivo della squadra Auror; non erano particolarmente stupiti dal ricevere i piani dei tedeschi in una boccettina piena di ricordi argentati. Il fatto che nessuno di loro avesse ipotizzato di sotterrare Gellert in una fossa comune mi fece intendere che il nostro Ministero della Magia non fosse totalmente in guerra con quello tedesco e che ci fossero molti più venduti di quelli che temevo.
Mai rimpianto di aver abbandonato la politica.
Mi riunii a Valerius che volle accompagnarmi presso la mia Passaporta per l’Inghilterra, prima di raggiungere la squadra Auror. Il gelo russo continuava a sospirare tra le mie vesti.
“E quello?” chiese Medcraft all’improvviso, notando una boccettina argentea nascosta nel mio abito.
La raccolsi delicatamente, l’aprii e lasciai scivolare via quel ricordo.
“Una memoria comune” raccontai “un tragico ricordo che condividiamo. Non ho potuto fare a meno di cercarlo, mentre estraevo dai suoi ricordi i piani nemici”.
“Ha trovato quello che cercava, professore?” chiese Medcraft.
Il ricordo si era smembrato nell’aria.
“Ho scoperto che nemmeno lui aveva la riposta alla domanda che tuttora mi attanaglia” commentai pacatamente “e forse era questo che voleva condividere con me, il motivo per cui mi ha voluto qui”.
Forse anche lui era rimasto bloccato in quel ricordo: se Ariana non fosse morta, avremmo potuto passare tutte le stagioni della nostra vita a Godric’s Hollow, sospesi come in un sogno, statici come alberi. Forse era il suo modo per chiedere perdono.
Invece ci saremmo sfidati presto, ormai lo sapevo: bruceremo vivi, attenteremo alle nostre vite, vomiteremo polvere.
Ci guarderemo negli occhi e conteremo gli anni che ci hanno separato nelle rughe dei nostri volti.







Note finali per i coraggiosi giunti fino in fondo:
Note su alberi e affini= la famosissima scienza che studia gli anni degli alberi è la dendrocronologia: osservando i cerchi all’interno di un tronco si possono conoscere gli anni di vita dell’albero ed eventuali traumi subiti(periodi di siccità, incendi etc…). Si può addirittura comporre un grafico sulle condizioni climatiche di diversi anni fa (data la longevità degli alberi) analizzando i cerchi di piante della stessa specie e che risiedono in aree limitrofe.
Note sulla seconda guerra mondiale= la Rowling ha specificato più volte che un periodo di crisi nel mondo Babbano influisce su quello dei maghi e viceversa…quindi dubito che i maghi londinesi fossero particolarmente sereni, mentre l’aviazione tedesca bombardava la loro città.
Leningrado (ai giorni nostri San Pietroburgo) è stata tenuta sotto assedio per 900 giorni dall’esercito tedesco, dal 1941 al gennaio 1944. La via della Vita, attraverso il Lago Ladoga, è esistita veramente.
Note sulle pozioni: il fatto che una pozione possa avere delle controindicazioni è una mia idea(anche se non lo trovo così stramba come opzione). L’espressione “il troppo stroppia” è stata usata da Lumacorno nel sesto libro, riferendosi alla Felix Felicis.
Altre note: Elphias Doge è un buon amico di Silente e appare per la prima volta nel quinto libro come membro dell’Ordine. Nell’epitaffio per la morte del professore, che scriverà nel settimo libro, citerà la loro mancata partenza, a causa della morte di Kendra Silente.
L’idea di Shakespeare-mago è una mia idea cretina…anche se a leggere alcune sue opere mi viene qualche dubbioXD

Ringrazio infinitamente la GiudiciA Freya Crescent e il suo contest “Di vite intrecciate e verità emblematiche” che mi ha permesso di partorire questa schifezza storia, tra l’altro la mia prima yaoi.
Grazie per l’attenzione!




 




  
Leggi le 3 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Harry Potter / Vai alla pagina dell'autore: Lalani