Anime & Manga > TSUBASA RESERVoir CHRoNiCLE / xxxHOLiC
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Autore: AnhelKreep    07/04/2009    3 recensioni
Kurogane aveva perso i suoi genitori in un terremoto.
Kurogane odiava i terremoti, ed era per questo che cercava di combatterli.
Ma Kurogane non avrebbe mai creduto di trovare qualcosa da amare sotto le macerie.
Il punto d'incontro fra amore e distruzione, a volte, diventa molto sottile. [KuroFay][Tematiche angst]
Genere: Romantico, Malinconico, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Fay D. Flourite, Kurogane
Note: Alternate Universe (AU) | Avvertimenti: nessuno
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Beneath The Debris – EarthQuake

 

 

All’Abruzzo:

Metà del mio sangue,

metà del mio cuore;

sperando che una storia come questa possa esistere anche lì,

sebbene sia solo una mia illusione.

-Rika-

 

Kurogane aveva perso i suoi genitori in un terremoto.

Erano rimasti schiacciati sotto quintali e quintali di cemento armato e tegole rotte, spappolati dal peso dei loro sacrifici e del loro sudore.

Il loro stesso impegno che si era rivoltato contro di loro.

Il bambino dai capelli neri era stato salvato dalla madre, che l’aveva gettato fuori dalla finestra pochi istanti prima che il tetto le piombasse sulla testa ed una trave di legno spezzata le trafiggesse il petto. Gli aveva lanciato un ultimo sguardo ed uno dei suoi sorrisi dolci che il bambino tanto amava, prima che  i calcinacci e le piastrelle dei pavimenti  ostacolassero il contatto visivo fra lei e il figlio, sollevando una nube di polvere grigia che odorava di morte.

Il grido del bambino era stato coperto dal rombo della casa che piombava senza pietà sulla sua felicità, il suo passato e il suo futuro.

Le sue lacrime s’infransero sui detriti, i suoi singhiozzi risuonarono come un’eco nella strada distrutta.

I suoi vicini di casa lo trovarono così, davanti ai resti della sua casa, e cercarono di convincerlo ad alzarsi con parole di conforto. Nulla, però, sembrava smuoverlo.

Fu la loro giovane figlia, Tomoyo, a scuoterlo dalla sua apatia, prenderlo gentilmente per mano e rivolgendogli poche parole decise con gli occhi umidi.

Kurogane odiava i terremoti, ed era per questo che cercava di combatterli.

Gli era sembrato naturale, dopo quell’evento, sacrificare la sua vita tirando fuori cadaveri e persone vive  da sotto quell’inferno soffocante e buio.

Anche quando diventò qualcuno continuò ad andare nei luoghi dove la terra si era smossa, continuando a sporcarsi le mani nella sua lotta disperata contro il tempo, per non aggiungere un’altra tacca al numero delle vittime.

Scavava a mani nude, totalmente privo della paura di ciò che avrebbe potuto trovare lì sotto.

Non c’era braccio spezzato o gamba amputata che lo impressionasse.

Non c’erano brandelli o interiora che lo fermassero.

Continuava a trascinare vivi e morti con la stessa espressione scocciata.

Ma Kurogane non avrebbe mai creduto di trovare qualcosa da amare sotto le macerie.

 

***

 

C’era la solita baraonda indecente di ruspe, badili e grida.

Gli uomini della Croce Rossa continuavano a correre a destra e a sinistra urlando richieste di medicinali e bendaggi, facendogli venire una voglia matta di tappargli la bocca con una tegola dritta sulla testa.

Forse non era un’idea geniale, ma Kurogane odiava quei volontari che strillavano come oche impazzite quando lui cercava di cogliere un respiro, un sussurro da sotto i massi che potesse indirizzarlo verso una giusta direzione, invece di proseguire a casaccio in mezzo a mobili frantumati e lampadari accartocciati su sé stessi.

Erano passate diverse ore dalla scossa, e l’uomo sapeva bene che molti rinunciavano a gridare aiuto dopo nemmeno mezz’ora, abbandonandosi alla stanchezza e alla disperazione.

Per questo voleva silenzio, silenzio assoluto.

Dopo qualche minuto la sua richiesta sembrò realizzarsi, e i soccorritori si spostarono un vicolo più in là, lasciandolo apparentemente solo.

Un paio di passi strascicati attirò la sua attenzione, e sollevando lo sguardo Kurogane vide il suo diretto sottoposto Shaoran Li guardalo con aria stanca, con pala posata sopra una carriola piena di massi e un taglio sopra l’occhio destro.

“Kurogane-san, ci stiamo spostando. Lei rimane qui?”

Dopo aver riportato lo sguardo sulla casa crollata l’uomo grugnì in assenso, continuando a spostare le macerie con le mani, in un chiaro invito a non disturbarlo per le successive ore.

Prima che il ragazzo se ne andasse, il moro disse con voce leggermente roca: “Come te lo sei fatto quel taglio sopra il sopracciglio?”

Il ragazzo si portò la mano sulla parte incriminata, costatando con una smorfia la fuoriuscita del sangue.

“Poco fa, con un coccio di vaso, credo. Ma non è nulla” disse, riprendendo in mano i bracci della carriola e iniziando a girarla per raggiungere il resto dei soccorritori.

“Vatti a far mettere un cerotto da Sakura. Se entra della polvere dopo sarà dura pulirla.” Disse l’uomo, senza distrarsi dal lavoro.

Il ragazzo arrossì prepotentemente a sentir nominare la dolce volontaria con il quale ormai era fidanzato da più di un mese, e sparì velocemente per andare ad eseguire l’ordine del suo superiore.

Kurogane sospirò, immaginando la faccia paonazza del ragazzo.

La sua visione però fu distratta da un suono indistinto sulla sinistra.

Immediatamente l’uomo aguzzò l’udito, spostandosi velocemente di lato e seguendo quello che ora si era trasformato in un respiro accelerato e pesante.

E poi, una voce che sembrava il ritratto della disperazione lo scosse, più di quanto era riuscita a fare qualsiasi altro accento prima di quel momento.

Era una semplice parola, la più ovvia e la più sconfortante.

 

“Aiutatemi…”

 

Fu questione di pochi minuti.

Il punto da cui proveniva il richiamo era coperto da detriti piuttosto leggeri, e per i muscoli dell’uomo fu più che facile spostarli.

Una trave in cemento armato aveva riparato lo spazio sottostante dalla caduta del soffitto, creando una nicchia riparata dal crollo dove, leggermente rannicchiata nella penombra, stava una figura in pigiama.

Capelli biondi a cui il buio del luogo e lo sporco non rendevano giustizia si smossero appena quando un tenue raggio di luce pomeridiana penetrò nel sottosuolo, illuminando un angolo stracciato della veste che indossava la vittima, di un tenue blu scuro. Il colore faceva pensare che fosse un ragazzo, sebbene la corporatura fine e le caviglie sottili gli avessero fatto pensare di avere davanti una giovane donna.

Kurogane concentrò tutta la sua forza per spostare un pezzo di muro che gli faceva da impedimento, allargando la falda  di luce e spingendosi in avanti, cercando di raggiungere con un braccio il corpo accasciato, senza però arrivarci.

“Oi!” gridò, facendo sobbalzare la figura, che a poco a poco girò la testa.

Due occhi blu, grandi ed allucinati, lo guardarono estraniati. Il ragazzo aprì la bocca, ma non gli uscì nemmeno un suono strozzato. La richiuse, umettandosi prima le labbra con la lingua, ottenendo però ben pochi risultati.

Forse è in stato di shock, pensò Kurogane. Dopotutto ne aveva visti fin troppi in quelle condizioni prima di essere estratti dalle macerie.

“Oi!” ripeté, abbattendo un altro pezzo di muro crepato e sporgendosi ancora più in avanti.

Il ragazzo sembrò allora risvegliarsi, mutando l’espressione di stupore in una smorfia a metà fra il dolore, la gioia e il sollievo.

Allungò un braccio, permettendo finalmente al suo salvatore di tirarlo bruscamente a sé, comportandosi come una bambola di pezza che si fa maneggiare da una bambina un po’ rozza ma, a suo modo, gentile.

Il moro riuscì a prendere in braccio il ragazzo, sollevandolo senza sforzo e portandoselo vicino al petto, stringendolo a sé mentre cercava di uscire da quel grezzo agglomerato di pareti e piastrelle.

Quando entrambi videro nuovamente appieno la luce del sole, il giovane biondo strinse con forza la tuta del suo salvatore, portando la testa vicino alla sua spalla.

“Acqua” chiese, grattando il fondo dei suoi polmoni per trovare la forza di dire quell’unica parola, e Kurogane si diresse a passo spedito verso il suo zaino che aveva abbandonato poco lontano.

Da una tasca a reticella esterna prese la sua bottiglietta d’acqua, aprendola cautamente e mettendosi poi in ginocchio per far posare a terra le gambe del biondo.

“Ecco” gli disse semplicemente, portando la bottiglia alle sue labbra.

Fu allora che si guardarono veramente per la prima volta.

Il rosso si perse nel blu, e fu un attimo solo per loro, in piena luce.

Il suono di una sirena lontana interruppe quel momento, facendo sobbalzare il ragazzo biondo che accostò velocemente le labbra alla bottiglia, aspettando che il moro la reclinasse per prendere a bere ferocemente il liquido trasparente.

Quando anche l’ultima goccia sparì fra quelle labbra rosate, la giovane vittima sorrise.

Era un sorriso un po’ stupido e anche falso, ma Kurogane pensò che era il massimo a cui poteva aspirare da un tipo simile.

Non che aspirasse ad altro, che fosse ben chiaro.

Lui salvava vite umane, tutti l’avevano calorosamente ringraziato, ma alla fine non aveva mai visto nessuno più di due o tre volte.

Eppure, in fondo al suo cuore, il moro non desiderava lasciar andare quel ragazzo.

C’era qualcosa di strano nel suo sorriso, qualcosa di diverso nei suoi occhi, che lo spingeva a non portarlo un isolato più in là per lasciarlo nelle mani dei medici.

Qualcosa che lo rendeva ingordo.

“Grazie.”

La sua voce, adesso un po’ più chiara e cristallina, interruppe i suoi pensieri e lo spinse a recuperare il suo solito cipiglio corrucciato.

“E’ il mio lavoro.” Rispose brevemente, rimettendosi svogliatamente in piedi per eseguire l’ultimo dei suoi doveri verso quello strano biondo, sebbene una parte della sua mente fosse incredibilmente contrariata.

“Io sono Fay. Fay Fluorite. – disse il biondo, alzando i suoi occhi azzurri verso lo sguardo infuocato del moro - Potrei almeno sapere il nome del mio salvatore?” chiese il ragazzo ridacchiando appena e portando Kurogane ad inarcare ancora di più un sopracciglio.

Perché stava ridendo? Aveva preso una botta in testa?

“Kurogane Suwa” disse, camminando lentamente (troppo lentamente) e con passo cadenziato.

“Che nome pauroso! Che ne dici se ti chiamo, non so… Kuro-pon?”

La marcia del moro s’arresto di botto, e gli scavatori nei vari isolati vicini sentirono chiaramente l’urlo del loro comandante forte come mai prima di allora.

“CHE COSA?!”

 

***

 

Kurogane ringhiò qualcosa di indistinto al ricordo (ormai perenne) della figuraccia fatta due ore prima con l’idiota biondo.

Dopo l’urlo disumano che aveva lanciato non aveva esitato a scaricare il suo “dolce peso” nelle mani di medici e di infermieri accorsi sul posto, raccomandandosi con un borbottio seccato di controllargli bene la testa, perché di sicuro aveva preso una botta bella forte.

E invece lo smilzo stava benissimo, aveva solo riportato qualche livido qui e là ed una contusione ad un gomito. Un miracolo, dicevano tutti, e una parte del cervello di Kurogane si era sentita sollevata alla notizia che il ragazzo non aveva nulla di serio.

Aveva ripreso a scavare per alleggerire il ricordo, sia positivo che negativo, del salvataggio di Fay Fluorite, e in parte c’era riuscito… Il problema era che aveva smaltito solo l’incazzatura, mentre gli era rimasta una mezza specie di nostalgia al ricordo del volto del biondo.

Come se non bastasse aveva iniziato anche a piovere, e Shaoran aveva insistito per fargli fare un turno di riposo finché l’uomo non era crollato.

Kurogane girò casualmente fra le tende dei soccorsi, senza ammettere a sé stesso che l’unica cosa che gli interessava in quel momento era localizzare una testa bionda nella massa di sfollati.

Alla fine lo vide, seduto al riparo di una tenda umida, che gli rivolgeva un altro di quei sorrisi idioti.

Sbuffando lo raggiunse, lasciandosi cadere al suo fianco e chiudendo la tenda per evitare che l’aria fredda entrasse, senza dire nulla. Era sicuro che sarebbe stato il biondo ad iniziare la conversazione, e difatti…

“Perché sei venuto a sederti proprio qui, Kuro-sama?” chiese con voce canzonatoria l’idiota, fissandolo con quei dannati occhi blu.

“Non c’erano altri posti liberi” mugugnò Kurogane, e difatti non era poi così errata come risposta: gran parte delle tende erano occupate da famiglie o coppie, e Fay sembrava l’unico ad avere uno spazio abbastanza largo da poter contenere un uomo grosso come lui.

Il biondo fece una faccia alla so-che-stai-mentendo-ma-stavolta-la-passi-liscia, prima di sorridere di nuovo.

“Hai avvisato qualcuno per dire che sei ancora vivo?” chiese Kurogane con apparente casualità.

Il viso del biondo, però, si fece stranamente triste.

“Non ho nessuno da avvisare…” disse, abbassando gli occhi. Poi, quasi si stesse rendendo conto di essersi esposto troppo, fece un gran sorriso e si lasciò andare disteso sul pavimento della tenda, atterrando con la testa sul una giacca che gli faceva da cuscino improvvisato.

 “Oi, fai piano” lo ammonì l’uomo, seguendo il movimento del suo gomito fasciato.

“Oooh, Kuro-sama, ti stai preoccupando per me?” trillò il biondo, attaccandosi con il braccio sano al busto del suo salvatore.

“Smettila con questi nomi idioti!” ruggì l’altro, afferrandolo per il colletto del pigiama e tirandolo a sé per fissarlo dritto negli occhi.

Pessima mossa, si disse poco dopo.

Si erano ritrovati con i volti a pochi centimetri l’uno dall’altro, con i loro respiri caldi che si incontravano e si sfioravano in tenue nuvolette nella fredda aria di quella giornata piovosa d’Aprile.

Improvvisamente, tutto era scomparso: il terremoto, le vittime, i pianti, le urla, il dolore, la disperazione, il freddo, le lacrime…

Tutto.

C’era rimasta solo quella tenda e nient’altro.

Fay socchiuse un poco gli occhi, tirandosi ancora più su per andare incontro al viso e alle labbra di Kurogane, che non faceva nulla per fermarlo.

Le loro labbra si sfiorarono appena, in un contatto appena accennato, che caricò entrambi di una voglia spropositata di approfondire quello sfiorarsi così piacevole.

Stavano per incontrarsi di nuovo, stavolta con le labbra semi-aperte, quando la tenda s’aprì di scatto, rivelando la figura di un uomo con un paio di occhiali rettangolari ed un sorriso fin troppo pacifico per essere vero, accompagnato da una graziosa ragazza dagli occhi verdi.

Kurogane fece un salto all’indietro, e Fay si voltò di scatto, nascondendo il viso nella coperta di lana che gli avevano dato in precedenza e rivolgendosi al medico con sguardo allarmato.

“Seishiro-san…” iniziò a dire, ma l’uomo lo interruppe subito.

“Fluorite-san, sono qui per verificare le sue condizioni… Come si sente?” disse l’uomo con un sorriso smagliante, senza scomporsi minimamente di fronte a ciò che aveva visto.

“Ah… Ecco… Bene, grazie…” biascicò il biondo.

Nel frattempo, Sakura aveva posato il suo sguardo interrogativo su un Kurogane decisamente imbarazzato, che trovava stranamente interessante la parete della tenda.

“Ottimo! Ah, Suwa-san, hanno richiesto di lei: hanno trovato...”

“Bene, vengo subito” disse l’uomo, senza permettere al medico di finire la frase.

Uscì dalla tenda senza guardarsi indietro, rosso d’imbarazzo e vergogna, seguito da due sguardi incuriositi e da uno molto triste.

 

***

 

Kurogane evitò accuratamente di incrociare il biondo per tutta la nottata e la mattinata seguente, riprendendo a scavare.

Trovò diversi cadaveri, ma nessun sopravvissuto.

Il macabro evento gli fece venire una strana voglia di tornare da quello smilzo, per perdersi ancora un po’ nei suoi occhi e dimenticare tutta la distruzione che permeava quel luogo.

All’ora di pranzo vide una Sakura decisamente agguerrita corrergli incontro, con un’espressione imbronciata sul viso.

“Kurogane-san! Ho parlato con Fay-san!” lo chiamò, e l’uomo immediatamente le diede tutta la sua attenzione.

La ragazza gli si avvicinò, rivolgendogli poche parole, e Kurogane smise di avere quell’espressione più accigliata del solito che si portava dietro da diverse ore.

Raggiunse a grandi falcate la tenda del biondo e ci si infilò dentro, senza badare minimamente alla sua espressione di puro stupore.

Pochi istanti dopo erano l’uno nelle braccia dell’altro.

Per restare.

 

***

 

Assistettero al funerale celebrativo delle vittime assieme, fianco a fianco.

Non pronunciarono preghiere, né fecero segni della croce. Entrambi non credevano in Dio, ed entrambi credevano solo l’uno nell’altro.

Quando tutto si concluse passeggiarono via, fra le macerie, e quando Fay fu sicuro che nessuno li stesse guardando azzardò un mano nella mano e un bacio a fior di labbra.

Intorno a loro, solo distruzione.

Eppure, mentre camminavano, Kurogane vide di sfuggita qualcosa che interpretò come un segno.

Fra le macerie, solitario e bianchissimo, era spuntato un piccolo fiore.

 

 

 

 

 

 

Note d’autore:

Bene, ammetto d’essermi persa a metà fan fiction.

Volevo scrivere una storia piena di angst, con la morte di qualche personaggio conosciuto, e invece non sono riuscita a farlo: sono caduta inevitabilmente nel buonismo assoluto.

L’ho sempre detto che il drammatico non è il mio forte…

Comunque… Eccoci qua. La colpa di questa fic va alle ragazze del forum GRD sull’Horitsuba Gakuen,  che a forza di parlare di KuroFay e fan fic mi hanno fatto venire voglia di scrivere di nuovo.

Questa fic è anche per loro, in fondo (ma molto in fondo XD).

A presto, forse… XP

 

 

 

 

 

 

  
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