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Autore: JesterZ    24/04/2016    0 recensioni
La pallavolo è la quintessenza del gioco di squadra, riuscirà una ragazza minuta e scontrosa ad eccellere?
Questa è la storia di Autunna Jallet e del suo percorso di maturazione nella vita e nello sport.
Riuscirà a fare suoi i match point che si troverà davanti?
Beh, cominciare a leggere il primo capitolo è un buon modo per scoprirlo.
Genere: Sentimentale, Slice of life, Sportivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Era la sua giornata, se lo sentiva. Erano avanti di un set, ancora uno ed avrebbero trionfato. Si sarebbero aperte le porte del torneo distrettuale. 
Stava giocando bene, d'accordo, alcune sue schiacciate non erano state decise, una battuta era finita contro la rete e due o tre bagher avevano preso una direzione insolita, ma era decisamente giunto il suo buon momento, lo avvertiva dentro.
Le avversarie giunsero alla battuta, la rete virò la traiettoria del pallone che ora stava compiendo una discesa quasi verticale.
Autunna si lanciò senza pensarci troppo in un bagher improvvisato a singola mano, la palla rimbalzò sulla nocca del medio e l'alzatrice la rimandò nella sua posizione, forse pretendendo troppo.
La giovane cercò di saltare il più alto possibile in quelle condizioni, arrivò alla battuta ma sentì il familiare suono del pallone catturato dalla rete.
«Non preoccuparti, hai fatto il possibile Autunna» il capitano le porse la mano, ma lei non la strinse.
Cosa intendeva con "il possibile"? Era un contentino per la più bassa della squadra? In caso, ne era ben conscia, non c'era bisogno di rimarcarlo, tutto ciò la mandava in bestia.
Nicole Saverish era la giocatrice più forte della scuola, alta, slanciata, bella, dai capelli lunghi ramati ed occhi azzurri. Tutti dicevano che fosse il miglior capitano che la squadra potesse pensare di avere, apprensiva, calma, stakanovista, certe volte era lei stessa a prendersi cura delle reclute in prova quando il coach era impegnato in allenamenti importanti.
Le ragazze impazzivano per Nicole, nessuna aveva mai remato contro la sua leadership, ma Autunna quell'atteggiamento da brava ragazza non era mai riuscita a mandarlo giù.
Era troppo perfetta, doveva esserci un qualche tranello.
Le avversarie rimandarono il pallone nel loro campo, Jordan ricevette più che egregiamente indirizzando la traiettoria sul versante opposto di Autunna.
Jade regalò una bella alzata al capitano, che costrinse una delle avversarie ad un bagher roccambolesco che deviò la palla fuori dal campo.
Cinque minuti dopo erano sul punteggio di 22-18, mancavano tre punti al traguardo. Avrebbero vinto tranquillamente, non doveva preoccuparsi. Si avviò al posto di battuta.
Autunna prese lo slanciò, la mano colpì a piena forza il pallone che sfiorò appena il nastro ed invase l'altro campo.
La traiettoria venne controllata con semplicità dal libero avversario, che insieme all'alzatrice orchestrò un'ottima azione corale che venne però rovinata dalla schiacciata finale. 23-18.
«Più forza Autunna, colpisci con più forza, puoi farcela!» Il capitano le fece un cenno d'incoraggiamento con il pollice.
Avrei un paio di consigli su dove preferirei vedere quel pollice, si disse in preda alla furia.
Più forza, devo solo colpire più forte.
La ragazza balzò e colpì. La sfera cadde poco più avanti della metà campo. 23-19.
«Dai dai! Avanti ragazze! Solo due punti! Solo due!» ruggì Nicole battendo con forza i palmi delle mani.
Autunna non era perfettamente lucida, un groviglio di frustrazione e rabbia s'impigliò nel suo stomaco ed un sorriso nervoso si fece strada sul suo viso. Assunse la posizione di ricezione visibilmente malferma, la battitrice avversaria, che non si era lasciata sfuggire il particolare, schiacciò dritto su di lei. 23-20.
La giovane si rialzò con la tempia pulsante, era stata troppo lenta a mutare il proprio assetto ed era stata abbattuta. Proprio come un birillo, che vergogna. Scrollò la testa e riprese la posizione d'attesa, la battuta era nuovamente diretta su di lei.
Questa volta il bagher fu reattivo, ma la deviazione non era delle migliori. Costrinse le compagne ai salti mortali per evitare l'uscita del pallone dal terreno di gioco, ai termini dei quali nacque un' insignificante parabola.
Le avversarie gestirono e rilanciarono, il 23-21 fu deciso da un errore di valutazione del capitano che battezzò la traiettoria fuori.
Fu allora che il tecnico chiese la sostituzione per Autunna.
La giovane filò dritta fuori dal campo senza voltarsi indietro, raggiunse gli spogliatoi con le grida del proprio allenatore sulle spalle. La partita si concluse 3-2 per la squadra della sua scuola, che di conseguenza era ammessa al torneo del distretto, ma il gesto di Autunna non poteva passare inosservato.
L'allenamento successivo lo passò in parte a colloquio con il tecnico.
Egli aveva delegato le proprie mansioni a Nicole, le vacanze invernali erano alle porte e quel pomeriggio era necessario per rivedere ed analizzare gli errori della partita precedente. Il capitano poteva gestire benissimo la sessione.
Autunna fece come le era stato indicato, raggiunse l'ufficio del coach prima ancora di passare dagli spogliatoi. Chiese permesso e dopo averlo ottenuto entrò, adagiò rumorosamente il borsone a terra e si sedette. L'allenatore, che da quando aveva varcato la soglia non le aveva tolto gli occhi di dosso, sospirò sonoramente.
Il coach Ferler non le aveva mai trasmesso nulla, non era imponente o minaccioso, non aveva nè lo sguardo penetrante nè intelligente, un semplice uomo insomma. La guardò da sopra gli occhiali, dopodichè li tolse e si passò una mano sopra la testa luccicante.
«Perchè devi comportarti così figliola? Può capitare una giornata negativa, a questi livelli non è una tragedia. Siete sulla via dell'apprendimento, tutte voi.»
Autunna che tamburellava le dita sulla scrivania da quando era entrata volle togliersi lo sfizio. 
«Perchè mi ha sostituito? Crede davvero che facessi tanto schifo in quel momento? Tanto da togliermi a due punti dalla fine?» Si sorprese di aver pronunciato le ultime parole a voce tanto alta. Il Signor Ferler la guardò dapprima stupito, poi assunse un'aria tutt'altro che amichevole.
«Credi davvero che ti abbia fatto uscire per quei due errori? Oh ragazza mia, così mi deludi. Come ben sai, la pallavolo è per definizione uno sport di squadra. E' impossibile che un talento individuale possa portare un team in testa! Un team diventa grande solo quando i giocatori diventano una persona sola. I sei sul campo di gioco sono testa, braccia, gambe e cuore dell'individuo squadra!
Ora, rifletti, che cosa rappresentavi in gioco in quell'esatto momento? Eri allineata ed in sintonia con la squadra?»
Autunna restava lì seduta, ora con gli occhi bassi senza proferir parola. Il tecnico aveva ragione. Aveva danneggiato la squadra e sè stessa, aveva contribuito a trasformare un set agevole in una rimonta clamorosa.
Il Signor Ferler leggeva nei suoi occhi il profondo risentimento, dunque addolcì il tono.
«Dolce figliola, non crucciarti. Goditi questo meraviglioso sport e divertiti. Se vorrai continuare su questa strada le vere difficoltà ancora devi conoscerle. Approfitta di ogni aiuto che le compagne ti offono, trattale da sorelle. Questa è la maniera migliore per vivere la pallavolo. Adesso torna in campo, vai Autunna! Avremo bisogno anche di te per il campionato.»
La ragazza arrancò verso la porta, non era felice ma sollevata. L'uomo le aveva fornito diversi spunti sui quali avrebbe rimurginato non solo nei mesi, ma anche negli anni a venire.
«Ah, un'ultima cosa signorina Jallet, la prossima volta che la sentirò rivolgersi con quei toni a me non se la passerà liscia. Per questa volta credo che tre allenamenti a settimana possano bastare.»
La giovane restò sull'uscio, non certa di aver compreso ciò che il coach intendesse dire.
«Mi scusi signore, ma ne facciamo già quattro alla settimana.»
Il signor Ferler rimase per qualche secondo fermo, con gli occhiali in mano, come dovesse decidere se si trattava di una battuta o meno.
«Tre allenamenti a settimana, durante le vacanze, Jallet. Ora porta il tuo culetto in campo, hai già perso abbastanza tempo.»

  
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