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Autore: Lala96    24/04/2016    3 recensioni
Lalage, giovanissima promessa della musica classica, a seguito di una serie di eventi dolorosi e di fallimenti professionali si trasferisce dalla capitale francese a Aix en Provence, dove si ritrova a vivere con la bislacca zia materna. Tormentata da dolorosi ricordi ma tenace, troverà ad attenderla persone, ragazzi giovani come lei, che l’aiuteranno a ritrovare l’amore mai scomparso per la musica. E le daranno il coraggio di affacciarsi investigando negli abissi della Storia, alla ricerca dell’amore perduto di sua nonna…
Genere: Commedia, Introspettivo, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: Otherverse | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Allora?” “”Disturbo psicosomatico” hanno detto” “È grave?” “Se non la forziamo forse smetterà da sé”. La mamma mi guarda. Tutto è come sospeso, in una bolla di nulla. “Dopo tutti questi anni…” “Non è questo che conta. Ora dobbiamo solo preoccuparci di lei” “Sì…”.
Di nuovo. Di nuovo, quel sogno. Ormai lo conosco a memoria. Si vede che sono agitata…
 Poi, una stanza, nella penombra. E quella voce, rauca,  furioso, che urla. “Sei un fallimento! Sì questo sei, un fallimento! Come è possibile che tu non riesca a capire?! Sei solo stupida, una piccola stupida fallita!!”. La voce di qualcuno che piange. Cosa sono queste? Lacrime?

La sveglia la svegliò trillando, e dovette socchiudere gli occhi. Doveva esserci dimenticata di abbassare la persiana, perché tutta la stanza era inondata di luce. Si guardò attorno. Il pavimento era invaso dagli scatoloni, alcuni ancora chiusi. I vestiti erano dove li aveva lasciati la sera prima. Fuori poteva vedere il cielo azzurro, di quel bell’azzurro che è il colore della Provenza, e un bel venticello gonfiava le tende lillà. Qualcuno entrò in camera e lei si rintanò sotto le coperte, bofonchiando. “Guarda che è inutile che fai finta di dormire, signorinella, ti ho visto benissimo”. Nessuna risposta. La zia posò il vassoio con la colazione sul comodino e gorgheggiò “Laaaalagee, ho portato la colazioooone!”. Lalage. Nome maledetto. Chi diamine chiama sua figlia Lalage?? Tutti chiamano i propri figli con dei bei nomi normali: Maria, Luisa, Beatrice…. Ma suo padre aveva tanto insistito, lui che avrebbe voluto tanto fare Lettere Antiche ma si era trovato bene solo a Lettere Moderne, per affibbiarle quel nome latino. Lalage…da un’ode di Orazio, “Lalage dulce ridentem” “Lalage che ride dolcemente”. In più il nome in sé vuole dire “cinguettare come la rondine”. Ma Lalage non credeva che al mondo ci fosse un solo essere vivente che, dovendo svegliarsi alle sette per confermare l’iscrizione in un liceo sconosciuto in una città dove si vive da meno di quarantottore, e con quella zia per di più, avrebbe cinguettato. Tuttalpiù, ci si potrebbe  aspettare un ringhio. “Dai che fai tardi. Sorgi e fai colazione cocca” “Mpf” fu la risposta poco convinta di Lalage mentre riemergeva da sotto le lenzuola. “Allora, contenta di riprendere a studiare?” “ ’Na gioia, proprio” “Ti ho portato la colazione a letto, non sono meravigliosa?”. Lalage la scrutò attraverso gli occhi socchiusi. “Zia, si può sapere perché diavolo sei sempre vestita così?”. La zia indossava un completo da fata, pieno di tulle rosa, cuoricini scintillanti, il tutto coronato da un diadema dorato. Come se non bastasse, portava tre, dico tre paia di ali di libellula in- cos'è, celofan?- sulla schiena, e i capelli raccolti in un’enorme treccia morbida. “Così come cara? Non ti piace la tua fatina custode?” “Vabbè lasciamo stare”. Portò la tazza alle labbra. “Cioccolata?” “Per renderti dolce il risveglio, tesoro!” “Zia, io bevo caffelatte. Senza non riesco…” “Su su, mangia in fretta che tra poco devi andare!” e danzando sulle punte la zia uscì. Lalage sospirò e strappò un pezzo di baguette tuffandolo nella cioccolata. Zia Agata. La zia strana. La sorella di mamma che abitava dall’altra parte del paese, in Provenza. Con quello strano accento meridionale, e le sue abitudini decisamente bizzarre- la mania del cosplay, tanto per dirne una. Che lavorava all’ospedale di Aix, reparto pediatria, e che giustificava quell’abbigliamento dicendo che ai bambini piaceva tanto, e nascondeva nella valigetta di pelle diadema e bacchetta magica.  Non riusciva ancora a convincersi che essersi trasferiti vicino a lei fosse una buona idea. La mamma le aveva detto che la zia la avrebbe tenuta d’occhio- ma chi avrebbe tenuto d’occhio la zia? Però, tanto valeva provare. Dopotutto…”Dopotutto” bisbigliò a sé stessa “lassù non c’è più niente, per me”. Posò la tazza e si vestì con calma. Non è che scalpitasse proprio per andare a scuola. Ma la prospettiva di passare la giornata in compagnia della zia la inquietava ancora di più. Quando scese al piano di sotto, la zia la stava aspettando con le chiavi in mano. “Ti accompagno in auto” “NO” “Su non fare storie, ormai ho deciso” “Ti prego, no” “Ti devo ricordare che non sei maggiorenne e che devi fare quello che ti dico?”. Ecco. Il giuridichese. Non c’era più speranza. Prima di cambiare idea ed entrare a Medicina, la zia aveva seguito, poco e con scarso interesse, i corsi di Giurisprudenza. Col risultato di ricordare quel –poco- diritto che le veniva comodo. Bofonchiando salì a bordo, mentre sua zia chiudeva l’appartamento e salita metteva in moto. “Allora, agitata?” “Mm” “Il primo giorno di scuola in un nuova città. Com’è elettrizzante!” “Mm” “ E scommetto che magari ci sarà anche qualche ragazzo carino”. La zia la guardò e ammiccò. “Mm” “Ma sai dire solo “Mm” oggi?” “Quanto manca?” “Pochi isolati cara. Che cocca, non hai proprio voglia di lasciare la zia, vero?” “Proprio!”. Mentre aspettavano al semaforo, la zia vide un ragazzo che attraversava. “Che carino quello, no?” “Un modello proprio” “Oh che brontolona, quei capelli rossi non mi dispiacciono per niente”. Lalage gettò uno sguardo sul ragazzo in questione. Era vestito con una giacca di pelle nera rimboccata fino ai gomiti, i capelli rossi erano legati in un coda e stava aspettando che scattasse il verde per i pedoni, dall’altra parte della strada. D’improvviso si voltò, e per un secondo, prima che lei abbassasse lo sguardo, i loro occhi si incontrarono. Scattò il verde, e la zia mise la prima e partì. “Hai visto?” “Carino” “Oh non avevo ragione?”. Guardava nello specchietto retrovisore. “Zia ti prego, guarda la strada. Stavi per mettere sotto una vecchia” “Ma si è spostata, no? Oh, ma ha una custodia con sé! Cos’è, una tromba?” “Credo sia una chitarra zi… zia ti prego, almeno rispetta le precedenze. Non voglio morire giovane”. La zia aveva completamente invaso la corsia opposta, decisa inconsciamente a ridurre all’unità la popolazione del quartiere. Lalage in preda al terrore afferrò la maniglia sopra il finestrino, piantandovi disperatamente le unghie. “Zia, la stra…ZIA GUARDA LA STRADA!” “Sai secondo me è più un contrabbasso” “TI GIURO CHE E’ UNA CHITARRA, ORA IN NOME DELLA SANITA’ MENTALE…”. Lalage vide un tir che faceva retromarcia dal parcheggio di un supermercato, dritto davanti a sua zia che solo ora si decideva a guardare la strada. Non si contenne più e urlò a piena voce facendo tremare l’abitacolo. “STAI A DESTRA, STAI A DESTRA IDIOTA!!”. La Zia allora si voltò, la guardò con gli occhioni sgranati e poi- oltre ogni immaginazione della nipote-esclamò con la voce più candida del mondo “Ma cara, se non apri il finestrino, non ti sentono!”. Nell’auto piombò, fino al semaforo successivo, un silenzio esterrefatto.
Sua zia al semaforo verde successivo riattaccò a parlare del ragazzo misterioso. Anche se la nipote trovava leggermente eccessivo parlare di vacanze estive di coppia, matrimonio, maternità con uno dalla tinta ignobile che aveva attraversato la strada. Nemmeno davanti a loro. E venti minuti buoni prima. “Sempre più intrigante, un bel ragazzo che suona la chitarra! Sembra il personaggio di una sitcom per adolescenti” “Ma anche no zia” “Magari se suona la chitarra classica potreste…”. Lalage sentì una morsa fermargli il fiato e le orecchie ronzargli; rispose secca “No”. La zia la guardò preoccupata. La nipote teneva strette nei pugni chiusi le maniche del maglioncino di cotone, e il suo sguardo era freddo e perso. “Ma Lalage, dopo tutti questi anni…sarebbe bello riprovare a suonare, no? Un violino non è una chitarra, ma con un bel gruppo di amici…”. Questa volta urlò, e la zia ebbe un sussulto “HO DETTO DI NO!!”. Nell’abitacolo piombò un silenzio tombale. Senza dire una parola la zia guidò fino alla scuola, un bell’edificio circondato da un muro di mattoni con un palazzetto che doveva essere la palestra e un’area verde con la serra. Posteggiò lì vicino. “Ti vengo a prendere quando hai finito?” “No, prendo l’autobus” “Hai i soldi per il biglietto?” e la zia le mise in mano una banconota. “Zia…” “Su su che fai tardi, quando arrivi a casa dimmelo che vengo a farti da mangiare, ok?” “Non serve, posso farmene da sola” “Beh, chiamami comunque, ok?” “Sì” “Allora ciao” “Buon lavoro”. E Lalage le voltò le spalle dirigendosi risoluta verso il cancello. Aspettò che la macchina della zia fosse filata via prima di rallentare il passo. Non entrò subito. Guardò la folla di studenti che si riunivano in gruppetti nel cortile interno, attraverso le inferiate. Il ragazzo con la chitarra ripassò, la guardò di sottecchi ed entrò. La campanella suonò, e gli alunni iniziarono ad entrare. Lei no. Lei rimase lì, immobile. Era tutto così surreale! Il vento che frusciava le foglie, le risate dei ragazzi che entravano… . Ebbe voglia di non entrare mai. Di rimanere così, in quel mondo sospeso. Che era lo stesso che riusciva a percepire quando, dal balcone dell’appartamento, guardava il sole tramontare sui tetti, e pareva che il cielo prendesse fuoco. E sentiva un sentimento fortissimo prenderla, mentre i suoi occhi seguivano il delicato nascere delle stelle. Poi era la notte. La notte del sonno, dei sogni. La notte degli incubi. Inspirò profondamente ed entrò nel cortile. Non c’era più nessuno. Ma ormai, comunque, si era in ballo, e allora…”Balliamo” si disse, procedendo spedita verso il portone. In quel momento una voce famigliare la lasciò di sasso, lì nel sole. Una voce infantile che se non era un incubo, sicuramente non prometteva nulla di buono. “Vuoi ballare qui? Tutto per te principessa!”.  Sudando freddo, Lalage si voltò. Un ragazzino mingherlino, occhialuto, con un taglio di capelli semplicemente improponibile. In un lampo cento ricordi le tornavano alla mente. Cominciò mentalmente a pregare. “Ciao Lalage!”. Niente da fare.  Quello non era un sogno. Purtroppo. “TUUU??” “Sei felice?”. Lalage voleva mettersi a piangere. “Hai voglia!”. “Sai appena ho saputo che ti saresti trasferita ho mosso mari e monti per venire nel tuo stesso liceo”. Lalage impallidì. “Cioè studi qui anche tu??” “Che bello vero? Ma Lala, non devi sentirti troppo bene stamattina, sei così pallida… ah ecco infatti siediti un attimo magari è un calo di zuccheri, guarda se vuoi ho dei bisco…Lalage, come mai la testa fra le mani? Perché la scuoti così? Hai l’emicrania?”
 
   
 
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