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Autore: riccardoIII    24/04/2016    12 recensioni
Missing moment del capitolo 79 de "La Chiave di Volta", e stavolta non sarà Sirius a raccontare.
Lily chiede a James di passare un pomeriggio insieme e lui si convince che non è un appuntamento.
Ma quando ci sono i Malandrini di mezzo, si sa, le cose non vanno mai come previsto...
I personaggi appartengono a J.K. Rowling; scrivo senza scopo di lucro.
Genere: Commedia, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: James Potter, Lily Evans, Peter Minus, Remus Lupin, Sirius Black | Coppie: James/Lily
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
- Questa storia fa parte della serie 'La Chiave di Volta - Other Voices'
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James aprì gli occhi quando un raggio di sole pallido si posò sul suo volto. Prima di fare qualsiasi cosa, in un gesto automatico che denotava un’abitudine lunga quindici anni, ­portò il braccio destro al comodino e recuperò gli occhiali ficcandoseli con uno sbadiglio prima di voltarsi alla sua sinistra.
Sirius dormiva, come sempre, sul fianco, infagottato nelle coperte fino al naso. Aveva avuto l’abitudine di rannicchiarsi in quel modo fin dal primo anno e James ricordò come l’aveva trovato buffo esattamente sette anni prima, quando per la prima volta aveva aperto gli occhi posandoli su di lui.
Col tempo e le scoperte che erano venute, da quel primo giorno di scuola del primo anno, aveva capito che nel sonno, quando l’inconscio prendeva il sopravvento, Sirius diventava quel bambino che non aveva mai potuto essere davvero.
Sorrise senza preoccuparsi di nascondere quel rantolo di nostalgia che si era ficcato con la forza sotto la casacca del suo pigiama, risalendo lungo la schiena.
Il tempo era passato davvero troppo velocemente.
Conscio che non si sarebbe più addormentato a causa di quel leggero malessere, nonostante avesse dormito poco più di tre ore, levò le coperte e si mise a sedere sul letto; il russare debole di Peter era una compagnia costante, insieme al respiro pacato di Remus che a mala pena si sentiva. Le tende del suo baldacchino erano sempre serrate, fin dalla prima notte lì, fin da quando era solo un ragazzino smilzo e spaurito che se ne andava in giro con troppi libri e tentava di nascondere se stesso dal resto del mondo.
Si trattenne dallo sbuffare; quella giornata era cominciata in modo decisamente melenso.
Dopo una rapida e silenziosa visita in bagno ritornò sui suoi passi ed estrasse dal baule la sua divisa; sua madre aveva insistito per prenderne una nuova per lui e una per Sirius, come ogni anno, perché nemmeno tre centimetri di caviglie sbucassero dalla veste. La infilò perfettamente ripiegata nella tracolla e sfilò un pantalone comodo e una t-shirt da sotto il mucchio di vestiti perfettamente impilati da Milly per poi indossarli e, allacciate le scarpe da tennis, lasciare il Dormitorio senza fare rumore.
La Sala Comune era prevedibilmente vuota e James sgusciò fuori dal buco del ritratto con agilità; percorse scale e corridoi con calma, senza ricorrere a scorciatoie segrete, deciso per una volta a godersi il castello. Raggiunse la Sala d’Ingresso con facilità e senza incontrare anima viva, o morta, per poi scoprire che il portone di quercia era aperto; scese le scale e si ritrovò sul prato nell’aria fresca del mattino, con la brina che bagnava l’erba e una sottile nebbiolina che lentamente si alzava verso il cielo.
In lontananza si scorgeva un filo di fumo salire dal comignolo della capanna di Hagrid e alle sue spalle gli alberi della Foresta Proibita riempivano l’orizzonte. Vide i pali innalzarsi dal capo da Quidditch e sorrise, tentato, ma non era quella la sua meta.
Posò la borsa in mezzo ad un cespuglio e poi prese a correre verso il Lago Nero alla maggiore velocità che le sue gambe gli consentirono, concentrandosi sull’aria che gli sferzava il viso e cercando di rimuovere quella patina di dolore e malinconia che aveva sentito fin da quando aveva aperto gli occhi.

L’idea che quello fosse il primo giorno del suo ultimo anno, l’idea che non avrebbe più visto Sirius racchiuso in un bozzolo di coperte come prima cosa al mattino, che i grugniti di Peter non gli avrebbero fatto da ninnananna o che non avrebbe più sentito il sospiro lieve di Remus dietro quelle tende rosse che avevano da sempre rappresentato tutta la sua riservatezza l’aveva scombussolato e quando i pensieri cominciavano a diventare troppo pressanti James, semplicemente, correva.
Era da sempre l’unica fuga che si regalava, fina da quando era bambino.
La prima volta che era scappato di corsa in giardino era stata quando suo padre gli aveva rivelato la sua fallibilità. Quando Josh era scomparso e lui non era riuscito a riportarlo a casa.
Come ogni volta, il pensiero di Josh fu una stilettata in pieno petto. Non solo perché quel dolore, lo stesso che l’aveva spinto a correre lontano da suo padre quel giorno per cercare rifugio tra gli alberi e poter piangere senza essere visto, non se n’era mai davvero andato.
Lui era quello forte, no? Quello che era stato accanto a Sirius fin da quando la guerra tra lui e quella famiglia di pazzi era cominciata, lui era quello che sgridava Remus perché non riusciva a vedere altro che la parte peggiore di sé, lui era quello che che spronava Lily a parlare con qualcuno per sentirsi meglio perché non si poteva contare solo su se stessi.
Lui era quello che si prendeva cura degli altri, che sapeva dire loro come comportarsi e dove stavano sbagliando.
Peccato non avesse mai permesso loro di conoscere i suoi, di oscuri segreti.
Nessuno dei suoi amici, ad esempio, aveva mai saputo che Charlus e Dorea Potter avevano dormito in camere separate, senza rivolgersi più di una ventina di educate parole al giorno, per circa sei mesi. James aveva cinque anni e c’era voluto un po’ per capire cosa stesse accadendo, tanto che suo padre aveva preso a guardare di nuovo sua madre con quell'aria adorante negli occhi prima che lui si fosse arrischiato a fare domande.
Nessuno sapeva quanto male gli avesse fatto crescere in una casa enorme e vuota per la maggior parte del tempo. A nessuno aveva confidato quanta gioia ci fosse nei suoi occhi di bambino quando la mamma e il papà finalmente tornavano a casa e lui riceveva l’abbraccio che aveva aspettato per tutto il giorno.
Nessuno sapeva che aveva cominciato a fare scherzi e a comportarsi da scalmanato per attirare l’attenzione dei suoi genitori, che già dedicavano a lui ogni secondo libero, e al contempo per rendersi degno dei suoi amici, di quei pochi compagni di giochi tutti più grandi di lui che non l’avevano mai messo da parte, ma a cui lui sentiva di dover dimostrare qualcosa.
Nessuno, ovviamente, sapeva nulla di Josh McKinnon.
Era un fottuto ipocrita e si odiava per questo.
Dopo il quarto giro attorno al Lago crollò seduto sulla riva. Il sudore rischiava di congelarglisi addosso e quello non era decisamente il momento giusto per ammalarsi; estrasse la bacchetta dalla tasca e si ripulì, poi Appellò la sua borsa che ci mise un secondo a raggiungerlo. Tirò fuori una sigaretta dal pacchetto e l’accese con un colpo di bacchetta, cercando di rimettere quei suoi pensieri strani al loro posto in fondo alla sua mente mentre un volto incorniciato da capelli rossi emergeva più forte di tutte le altre immagini insieme ad una ferrea determinazione lievemente offuscata dalla paura e da un senso di inadeguatezza.
Aveva preso una decisione, si. Ma era ancora più terrorizzato di quanto avrebbe mai potuto ammettere.

Circa mezz’ora dopo James Potter, col suo solito sorriso sereno, la spilla da Caposcuola appuntata sfrontatamente sulla divisa e l’incedere sicuro, fece il suo ingresso nella Sala Grande semivuota. Sedette al tavolo dei Grifondoro dove i pochi mattinieri lo salutarono, sorridendo al loro Capitano, e si servì caffè e bacon in abbondanza.
-Non perdi l’abitudine di svegliarti all’alba nemmeno a scuola, vedo-
Non dovette nemmeno voltarsi per permettere a un sorriso spontaneo e sincero di salire al suo viso.
-Buongiorno, Lily-
Lei gli si sedette accanto.
-Sei andato a correre?-
-Cos’è, stai cercando di crearti una specie di agenda in cui segnare tutti i miei impegni quotidiani?-
Lei ammiccò.
-Potrebbe essere che io stia studiando i tuoi orari per trovare uno spazio tutto per me-
Gli occhi di James, fissi sul suo viso, rimasero pacatamente sorridenti.
-Non è iniziato nemmeno il trimestre, Lily, non puoi voler ripassare Trasfigurazione da prima che ci sia qualcosa su cui esercitarsi-
Le sue guance si colorirono delicatamente di un tenue rosa.
-Chi dice che dovremmo studiare?-
Lo stomaco di James si strinse in una morsa piuttosto fastidiosa. E calda.
-Vuoi dire che stai davvero considerando l’idea di passare del tempo con me senza alcuna costrizione?-
Lei alzò gli occhi al cielo e lui pensò che fosse bellissima.
-Abbiamo diviso la stessa stanza per un mese, James. Sul serio vuoi fare questo discorso?-
James ridacchiò, sollevando le mani in segno di resa.
-Ok, ok, hai vinto tu-
Seguì un momento di silenzio cauto, in cui lui prese un sorso di caffè per togliersi dall’impiccio di doverla guardare con la paura costante di mostrare ogni cosa di se stesso.
-Quindi… Be’… Domani pomeriggio sei libero?-
Pessima, pessima idea quella di bere il caffè. Stava per strozzarsi, all’improvviso sembrava che la comunicazione tra la gola e lo stomaco si fosse interrotta. Dove diamine ci si aspettava che andasse, quella dannatissima bevanda bollente?
-Io… Si, non ho nulla da fare. A parte i compiti di cui ci sobbarcheranno e che Remus si ostinerebbe a farmi cominciare il prima possibile-
Era possibile che una persona si illuminasse come una stella? Perché James avrebbe potuto giurare che Lily risplendesse, ora. Certo, se la metà razionale del suo cervello non fosse stata impegnata a convincere l’altra metà, quella perennemente esagitata, che le cose non stavano come sembrava, che non c’era nulla da festeggiare.
-Allora che ne diresti di una passeggiata nel parco, dopo pranzo? Credo che… Ehm… Ci sarà il sole-
Improvvisamente nessuna parte del cervello di James aveva qualcosa da dire.
-Io… Mmh… Credo sia un’idea fantastica-
Era arrossito? Davvero, era arrossito?! Porco Salazar, stava andando a fuoco!
Si tranquillizzò lievemente quando notò che la splendida ragazza di fronte a lui versava nelle sue stesse condizioni. Sarebbero stati davvero una coppia fantastica.
Dannazione!
-Bene! Ah, sarebbe meglio se ti mettesi abiti comodi. Tipo quelli che usi per correre. Niente veste da mago, ok?-
La curiosità montante scacciò perfino l’imbarazzo.
-Cosa hai in mente di fare, Evans, rincorrermi urlando che sono un piccolo bastardo arrogante?-
Il ghigno furbo che si fece spazio sul suo volto somigliava così tanto a quello di Sirius da essere inquietante.
-Sarai tu a rincorrere qualcosa, James Potter, e di certo non sarà la tua umiltà-

James, indossando i suoi pantaloni sportivi e una maglietta nera, se ne stava in Sala Comune a chiacchierare con Remus. Tecnicamente, in realtà, stava distogliendo l’attenzione di Remus da Sirius che, alle sue spalle, sostituiva la sua piuma con un’altra, abbastanza famosa e abbastanza incantata; questo gli bastò a spiegarsi perché si fosse perso l’immagine di Lily Evans che scendeva le scale dei dormitori femminili.
Si accorse dell’arrivo della ragazza, comunque, nel giro di quel nanosecondo che il suo cuore impiegò a perdere un battito.
James poteva anche non vedere Lily, ma il suo corpo la percepiva come percepiva il fuoco.
Aveva sempre avuto la sensazione che fosse colpa dell’istinto di sopravvivenza.
-Sono in ritardo, per caso?-
E allora la vide.
Lì, nei suoi abiti Babbani comodi, con i capelli fiammanti stretti in una coda alta sulla nuca che metteva ancor più in evidenza il viso morbido e gli occhi grandi, Lily se ne stava dietro alle spalle di Remus sorridendo. Le gote erano lievemente imporporate, ma null’altro tradiva una possibile agitazione.
Remus si voltò verso di lei e le indirizzò un ghigno storto.
-Suppongo che tu sia sempre puntuale, come tutte le signore-
Lily gli tirò un buffetto gentile sulla spalla, per poi spostare lo sguardo su James.
Lui, per inciso, si sentiva decisamente agitato. Il suo stomaco stava ballando la conga.
Sperando con tutto se stesso di nasconderlo le porse il braccio con galanteria in un’imitazione del gesto che tante volte aveva visto fare a suo padre alle feste noiose dei Purosangue, prima di invitare sua madre a ballare.
Ok, e anche a Sirius quando rimorchiava una ragazza.
-Andiamo, Madamoiselle?-
Lei accettò il suo braccio con uno sbrilluccichio strano nello sguardo e James, nonostante nessuno avesse fatto il suo nome, si sentì chiamare.
Non dovette nemmeno chiedersi cosa stesse succedendo perché era sempre così. Quando Sirius posava il suo sguardo su di lui, James rispondeva. Sempre.
Che c’entrasse anche in questo caso l’istinto di sopravvivenza?
Comunque, voltando di poco il capo mentre Lily usciva dalla Sala Comune trovò gli occhi grigi di Sirius fissi su di lui. Aveva un sorrisino soddisfatto sul volto e stringeva una penna d’oca in mano, ma soprattutto nella lingua segreta che loro condividevano gli stava dicendo qualcosa. Un misto tra “Trattala bene” e “Fatti valere”. Non si prese la briga di far altro se non sorridere e seguire la ragazza.

Se aveva temuto che ci sarebbe stato dell’imbarazzo, si era sbagliato. Scesero scale e attraversarono corridoi chiacchierando come facevano ormai da quasi un anno, senza curarsi degli sguardi dei ragazzi che camminavano lungo i loro stessi tragitti. Nessuno faceva più caso alla loro amicizia, che tante chiacchiere aveva invece sollevato qualche tempo prima, ma evidentemente vederli andare in giro in abiti Babbani scatenava qualche curiosità e, James non riuscì proprio ad evitare di irritarsi per questo, un po’ di disprezzo.
-Allora- le chiese quando sbucarono nel parco dopo aver salutato una McGrannitt stupita, -Che avevi in mente per oggi pomeriggio?-
-Be’, avevo voglia di mettere qualcosa dentro quella scatola. Credo che Octopus potrebbe sentirsi solo-
Una scintilla scoppiò nel petto del ragazzo.
-Ottimo, ho proprio voglia di nuove avventure. In cosa consiste esattamente questo “qualcosa”?-
Lei fece spallucce. Non aveva ancora levato il braccio dal suo.
-Ho notato che scappi spesso in giro per i parchi e voglio mostrarti una cosa che concilia la corsa a una palla in movimento da usare per fare punti. Dovrebbe essere molto nel tuo stile, ed è ottimo per scaricare i nervi-
Un moto di euforia invase il suo petto, scaldandolo a fondo.
Quante ragazze avrebbero proposto una cosa del genere, dopo aver invitato ad uscire un ragazzo?
Merda, quello non era un appuntamento! Non doveva crederci, oppure…
-Sei una scoperta continua, Lily Evans. Dove mi stai portando esattamente?-
Ma la domanda era superflua, considerando che erano giunti al campo da Quidditch.
-Bene!- fece lei, tutta eccitata, -Oggi, mio caro Cacciatore, giocheremo a calcio-
Detto questo, sotto i suoi occhi sgranati, recuperò quattro pietre e le posizionò a una certa distanza tra loro per poi pronunciare un “Engorgio” che le fece diventare abbastanza grandi da essere ben visibili; si infilò una mano in tasca e ne estrasse una biglia che dopo un altro svolazzo di bacchetta si rivelò essere un pallone di cuoio, poco più piccolo della Pluffa ma decisamente più gonfio, formato da pentagoni neri e esagoni bianchi cuciti insieme.
James non si dovette nemmeno sforzare di sopprimere un sorriso eccitato.
-Vuoi dire che correremo dietro a quella palla cercando di farla passare tra le pietre tirandola con i piedi?-
Lily sembrò piuttosto soddisfatta dalla sua competenza mentre sistemava la palla al centro del campo improvvisato, proprio a metà strada tra le due “porte”.
-Esattamente. E sappi che ero un asso, alle elementari. Giocavo per la squadra femminile di Cokeworth-
Un lampo di sfida passò sul viso del ragazzo quando si posizionò davanti a lei, pronto a combattere per la supremazia.
-Vediamo quello che sai fare, allora-

Un’ora dopo erano entrambi sdraiati nel bel mezzo della porta che James avrebbe dovuto difendere. Non che ci fosse riuscito troppo bene, dopotutto.
Proprio per sottolineare questo, Lily continuava a ridere tenendosi la pancia e lui osservava, imbronciato, i ciuffi rossi che erano sfuggiti alla sua coda appiccicandosi alla fronte sudata.
-Ok, mi hai stracciato, lo abbiamo capito. Potresti smetterla di prenderti gioco di me, adesso?- fece con una voce fintamente petulante, da bambino piagnucoloso. Lei rise ancora più forte e poi si voltò verso di lui, raggiante nella sua aria scomposta ma felice.
-Hai passato sei anni a vantarti di essere lo sportivo migliore della scuola e ora ti fai battere da me!-
-A Quidditch non si usano i piedi, si vola! Non sono bravo a fare quella roba, passare la palla da una gamba all’altra senza perdere l’equilibrio o lanciarla troppo forte!-
Lei sbuffò.
-Hai rischiato di cadere almeno cinque volte per essere inciampato sul pallone. Ti avevo avvertito che non sarebbe stato saggio metterci il piede sopra!-
-Non puoi pretendere che fossi allenato! Non giocavo a calcio da circa otto anni, e comunque sono sempre stato una schiappa con i passaggi di piede!-
Ooops.
-Tu… Tu avevi già giocato a calcio prima?-
James, sperando che non si fosse offesa per quella confessione non voluta, voltò la testa e prese a guardare il cielo. Erano decisamente troppo vicini per continuare a fissarla negli occhi senza desiderare di baciarla.
-Vivo in un paese mezzo babbano, Lily, e non è che casa mia fosse questo gran divertimento per un bambino solo. Ogni tanto scendevo giù al villaggio a giocare con gli altri, anche se in genere preferivano il rugby. Ecco, in quello ero davvero bravo! Un’ottima tre quarti ala destra, se vuoi saperlo-
Per un secondo non ci fu nessun rumore, poi un singhiozzo ruppe il silenzio che si era creato e allarmò James; ma quando guardò di nuovo la ragazza scoprì che lei stava ridendo, di nuovo, e aveva le lacrime agli occhi. Non riuscì ad impedirsi di ridere a sua volta.
-Tu… Tu sapevi che avresti giocato male… E non mi hai detto niente comunque per non rovinare i miei piani?-
-Tecnicamente non è che sapessi che avrei fatto una pietosa figura di merd… Che saresti stata davvero così brava a dribblare!-
-Dribbl… Oh Merlino, non posso crederci! Un Purosangue che gioca a calcio! Che fa la tre quarti ala destra a rugby!-
E scoppiarono a ridere, di nuovo, fissandosi negli occhi per un momento che durò un tempo infinito, e la voglia di baciarla divenne così forte che James non riuscì ad impedirsi di…
-Sai, mi ha insegnato papà a giocare. Allenava lui la squadra femminile dei pulcini e io correvo dietro al pallone da quando avevo sei anni. In cambio mia mamma mi faceva sempre indossare dei vestiti, credo temesse che sarei venuta su come un maschiaccio-
James ridacchiò senza distogliere lo sguardo dal suo viso, che invece si era spostato per consentirle di guardare il cielo.
-La prima volta che mi portò a vedere una partita avevo appena compiuto cinque anni. Nottingham Forest-Leeds United, zero a zero. Tifavamo Nottingham, ovviamente. L’ho supplicato così tanto di prestarmi la sua felpa che alla fine non l’ha più rivoluta indietro. Sai che nello stemma ci sono due cervi? Ti piacerebbe-

-Come stai?-
Il sorriso di Lily si placò e i suoi occhi persero un po’ di quella brillantezza smeraldina, ma si voltò a guardarlo.
-Abbastanza bene, suppongo. Credo mi manchi molto, ma è normale no?-
James non smise di guardarla.
-Si, credo sia normale-
-Sai- disse lei dopo un attimo di silenzio, -A volte penso che sono davvero una stronza. Avrei potuto passare con lui gli ultimi mesi se non fossi stata così presa a giocare alla piccola guerriera, o addirittura gli ultimi anni se avessi deciso di mettere da parte la magia-
Un sorrisino mesto si aprì sul volto del ragazzo.
-Non credo che lui avrebbe voluto che tu rinunciassi alla tua essenza, alla tua vita per guardarlo appassire in un letto d’ospedale. Non sarebbe stato affatto giusto. E credo anche che quello che ha passato i suoi ultimi mesi in quel letto non fosse tuo padre, e che lui è fiero di te sapendo cosa hai scelto di fare in questa guerra. Anche se probabilmente è preoccupato da morire e mi odia per aver contribuito a trascinarti in questa cosa- concluse, tentando di alleggerire la tensione.
Lily fece un piccolo sbuffo.
-Mio zio Riaghail, suo fratello, faceva parte della Provisional IRA. Sai cos’è l’IRA?-
James scosse la testa, curioso.
-L’Irlanda, come spero tu sappia, fino al secolo scorso era sotto la giurisdizione inglese, anche se la maggioranza della popolazione voleva ottenere l’indipendenza. Ci sono state delle rivolte, una vera e propria guerra portata avanti dall’Irish Republican Army, un esercito di volontari nazionalisti, e nel 1921 dopo un conflitto abbastanza sanguinoso l’Irlanda è diventato Stato Libero, anche se l’Ulster è rimasto parte del Regno Inglese prendendo il nome di Irlanda del Nord.
Questo non è bastato a concludere il conflitto: l’Irlanda non era ancora una Repubblica e l’isola era stata spezzata; tutto ciò portò all’inizio di una guerra civile tra la frangia dell’IRA che aveva accettato il Trattato che sanciva la libertà dell’Irlanda e quella che invece lo rifiutava perché incompleto. La guerra civile durò pochi anni ma fu molto violenta e alla fine coloro che erano contrari al Trattato si arresero, ma l’IRA non morì mai.
Nell’Irlanda del Nord la situazione era diversa: il governo era strettamente dipendente dalla corona inglese e portò avanti una politica di forti repressioni nei confronti di tutti coloro che si riteneva potessero appoggiare l’Eire, ovvero tutti i cattolici della regione; l’IRA scese di nuovo in campo ricominciando gli attentati ai danni del governo nordirlandese e riprese la guerriglia con l’esercito britannico e la porzione estremista protestante della popolazione.
Mio padre era in Inghilterra da parecchi anni quando la situazione si inasprì, ma mia nonna e lo zio Riaghail furono sordi alle sue richieste di raggiungerci qui, dove eravamo al sicuro. Nonostante abitassero a Kilkenny, in quella che ormai era stata dichiarata Repubblica, la situazione sociale era sempre preoccupante.
Nel ’69, quando i protestanti lealisti attaccarono il quartiere cattolico di Belfast con l’appoggio della polizia dell’Ulster, mio zio decise di arruolarsi nella Provisional IRA per dare il suo contributo alla riunificazione dell’Eire nonostante mia nonna avesse cercato di dissuaderlo. A papà non aveva detto nulla, probabilmente per non farlo preoccupare o perché temeva che non avrebbe approvato. Abbiamo scoperto tutto solo quando fu annoverato tra i dispersi, nel 1972, dopo tre anni in cui nessuno di noi aveva avuto sue notizie. Non sappiamo se sia stato incarcerato senza processo dal Governo Nordirlandese o se sia morto in uno degli scontri-
James la ascoltò con attenzione, cercando di comprendere ogni cosa senza perdersi alcuna sfumatura d’espressione sul suo viso.
-Quando scoprì tutto mio padre fu distrutto, come puoi ben immaginare, dalla perdita del suo unico fratello. Eppure mi ricordo che fece un discorso a me e Petunia.
Mi disse che non c’è giustizia senza rispetto e che non si può usare la violenza sulle persone inermi per rispondere ad altra violenza, per quanto questa possa essere spietata. Mi disse che la guerra esiste ed esisterà, ma che bisogna essere coscienziosi anche nel combattere. Mi disse che non è sbagliato credere in qualcosa fino alla morte e lottare per ottenerla, ma è sbagliato cercare di raggiungere i propri obiettivi con la forza e senza preoccuparsi di fare del male agli innocenti-
Lily prese un respiro e chiuse gli occhi per un attimo, probabilmente per cacciare quella patina lucida che li aveva ricoperti.
-Quindi si, James. Penso che lui sarebbe fiero di me. E alla fine non credo ti odi, tuo padre gli stava troppo simpatico-
Riaprì gli occhi e gli sorrise, solo lievemente malinconica; James non riuscì a trovare molto da dire, ma nemmeno a staccare gli occhi da lei.
-Ti sei davvero confidata con me?-
Lily fece spallucce e ammiccò.
-Qualcuno mi disse che avrei dovuto farlo-
Un nuovo silenzio riempì lo spazio che separava le loro spalle adagiate sull’erba, una accanto all’altra.
-Quando ti ho detto che ti avrei marcato stretta non scherzavo, sai?-
-Non ci avevo sperato, in effetti-
James le tirò un buffetto sul gomito. E poi capì che non avrebbe più resistito.

-Io… C’è una cosa di cui ti devo parlare, Lily. Da Upper Flagley, o forse da molto prima. Ma poi con tutto quello che è successo non ne ho avuto il tempo o il modo, e mi sembrava piuttosto indelicato visto ciò che è accaduto a  tuo padre-
La ragazza lo guardò con aria decisa.
-Puoi parlarmi di tutto ciò che vuoi, James-
Lui annuì e inspirò profondamente. Culla dei coraggiosi di cuore. Audacia, fegato...
-Io ci ho provato, davvero, a fare finta di nulla. Ma non ci riesco. E non è giusto.
Io… Non posso essere un buon amico, per te. Cioè, posso se è quello che vuoi. Ma per esserlo davvero devo dirtelo, oppure mi sentirò in colpa fino alla fine dei miei giorni.
Ho paura per te. Ho paura di quello che potrebbe succederti in questa guerra, ma so che non posso fermarti.
E comunque razionalmente non vorrei farlo.
Ma ho paura per te. Ho paura che ci possa accadere qualcosa e io non posso lasciarti andare prima di avertelo detto.
In realtà credo di non poterti lasciare andare nemmeno dopo, ma lo farò se devo. Se è quello che vuoi-
Le sopracciglia rosse di lei erano aggrottate.
-James, mi stai facendo preoccupare. Cosa ti prende?-
-Credo di essere dannatamente egoista, si. Chi altri metterebbe questo sopra una guerra, o la morte di un padre? Sono uno stronzo egoista, ecco. Dovresti tenerlo a mente-
Una smorfia insofferente distorse lievemente il viso della ragazza.
-Se ho mai conosciuto una persona meno egoista di te mi mangio un Ippogrifo-
James scattò a sedere, agitato, ma continuò a guardarla negli occhi.
-Lo sono, invece! Sono egoista, perché tu sei fantastica e io vorrei tirarti fuori da tutto questo per tenerti al sicuro, eppure credo che se tu non fossi così dannatamente te stessa non sarei in questa situazione. Se tu non fossi troppo… Io non ti guarderei come ti guardo, e non ti vorrei come ti voglio. Non mi piaceresti così tanto, e io non avrei questa enorme, colossale cotta per te.
E non lo so se è solo questo, perchè non lo so come si misurano i sentimenti, ma so che sei troppo, troppo forse per chiunque ma non per me.
E so che c’è una guerra, che tu hai perso una persona importante e probabilmente la mia stupida dichiarazione è l’ultima cosa di cui hai bisogno.
E so che mi hai odiato per cinque anni, che non mi sono sempre comportato bene con te, che solo un anno fa ti ho urlato che sei una presuntuosa arrogante e che tu me lo hai ripetuto a giorni alterni da quando mi conosci.
E so che siamo miracolosamente diventati amici, che tu ora mi sopporti un po’ di più, che riusciamo a lavorare insieme senza scannarci e che questo potrebbe rovinare tutto ciò che abbiamo costruito l’anno passato.
Ma non m’importa.
Perché la guerra ci insegna che potremmo morire domani, e io non posso morire senza dirtelo.
Perché forse siamo entrambi così tanto testardi e orgogliosi che possiamo davvero avere un’opportunità.
Perché siamo amici, ed è fantastico, e ti prometto che farò di tutto per restare tale in ogni caso, qualsiasi sia la tua risposta, e potremo continuare a lavorare insieme-
Lily lo guardava con gli occhi sgranati, le guance arrossate e le labbra dischiuse. James sentì una morsa stringergli il petto.
-Non potevo non dirtelo. Ti avrei presa in giro, e non voglio farlo. Ti avrei tolto la possibilità di scegliere, e non posso farlo.
Ora non ti chiedo nulla. Vorrei solo che… Ci pensassi, ecco. E scusami se ho fatto un po’ di confusione con le parole, ma non credo di essere un asso con questi disc…-
Una mano piccola e sottile strinse la sua, quella che stava usando per sostenersi, e all’improvviso la voce di James fu risucchiata da un mostro che aveva preso ad agitarsi nel suo stomaco.
Perché Lily gli stava stringendo la mano, e si era sollevata sulle ginocchia proprio di fronte a lui, e lo fissava da sotto i ciuffi di capelli che erano scappati dalla sua coda con la sua solita determinazione e con una luce strana che faceva sembrare quegli occhi verdi un po’ più liquidi del solito.
-Sai, Prongs- cominciò, lentamente e senza tentennamenti, -Ci sono momenti in cui parlare non serve. Momenti come questo, ad esempio-

E, davvero, che cos’erano le parole? A cosa servivano i discorsi, quando le labbra di Lily Evans erano a un soffio da quelle di James Potter ed erano così rosee, e sembravano così morbide, e lei non si stava allontanando…
E le sue mani le stringevano il viso con urgenza, e la sua testa si avvicinava sempre di più, e dov’era finito il mondo mentre lui non pensava ad altro che a Lily Evans?
Ah, eccolo il mondo. Sotto la sua schiena crollata sul terreno del campo da Quidditch perché non c’era più alcuna mano a sorreggerlo, troppo impegnata ad accarezzare il viso di Lily mentre le loro labbra si sfioravano.
Eccolo lì, mentre Lily cadeva addosso ad un James che non aveva la minima intenzione di lasciarla andare ed entrambi ridevano prima di baciarsi ancora.

Eccola la cavalleria, Pads. La stringo per non farle toccare terra, vedi?
Aspetta, la stringo. E siamo sdraiati.
Merda!”
 
Note:
per chi non conosce "La Chiave di Volta" questa one shot sarà un po' difficile da capire, perchè è zeppa di riferimenti alla long; lo stesso titolo è riferito a una battuta di Sirius del capitolo 79.
"Piccolo bastardo arrogante" è ripreso da "L'Ordine della Fenice", quando Sirius autodefinisce sè e James in questo modo dopo cha Harry vede il peggior ricordo di Piton; ho immaginato che potesse essere uno degli epiteti con cui Lily li aveva definiti nei primi anni di scuola.
La penna d'oca che Sirius sostituisce con quella di Remus è quella incantata da Remus stesso per aiutare i suoi amici con i compiti quando erano impegnati con il Progetto Piccolo Problema Peloso; Sirius e James, evidentemente, non l'hanno messa via.
Octopus è il pesce rosso che Lily ha Evocato in una delle sue esercitazioni di Trasfigurazione con James; la scatola a cui Lily si riferisce è quella che lei gli ha regalato per i suoi diciasssette anni in un tentativo di concretizzare il suo proposito di passare un po' di tempo insieme e conoscersi per davvero.
Ho immaginato che James avesse potuto far amicizia con i bambini del villaggio in cui viveva, considerato che passava la maggior parte del tempo da solo e che la sua famiglia era ben predisposta nei confronti dei Babbani, e che con essi avesse fatto i tipici giochi babbani, quindi conosce calcio e rugby.
Il Nottingham Forest è una delle squadre di calcio inglesi; i colori sociali sono il rosso e il bianco e all'epoca lo stemma erano due cervi rampanti con uno scudo tra loro. Adesso è stato cambiato in un disegno stilizzato di un albero sopra un fiume, bianco su campo rosso.
La parentesi storica sull'Irlanda era necessaria perchè dubito che James fosse informato su cosa fosse l'IRA o che nel Mondo Magico si sapesse dei Troubles; Riaghail è un nome tradizionale Irlandese e si pronuncia Reel.



 
   
 
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